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Nascita e sviluppo della Mezzadria Definiamo subito quello che è stata la Mezzadria condensandone il significato in un breve concetto: “La Mezzadria è una forma associativa tra due parti dove una, il concedente, cioè il "padrone" dei terreni e degli immobili agricoli, dà all'altra, ossia il mezzadro o il "lavoratore", la propria terra affinché quest'ultimo la lavori per ottenere una produzione equamente divisa a metà tra le due parti, cioè "a mezzo". Si è discusso in passato, da parte degli studiosi e degli addetti, se questa forma di rapporto abbia avuto un carattere di locazione, o invece di associazione come stabiliva la legge del 1933. Ma questo è un particolare secondario, certamente senza interesse per i coloni e quindi nemmeno per noi. E’ d’obbligo aggiungere che il sistema mezzadrile è nato dalle nostre parti, in quelle terre a cavallo tra le province di Siena e Firenze, ma si può affermare senza paura che la Mezzadria sia un fenomeno tipico del senese. Il contratto, la consuetudine, e nel Novecento i patti colonici, hanno regolamentato i delicati rapporti tra le parti, fino a contemplare vere e proprie minuzie e sottigliezze. Le due parti hanno camminato sempre in precario equilibrio e spesso, nel mutare dei tempi, in situazioni favorevoli, ciascuna ha tentato di modificare le regole a proprio vantaggio anche se alla fine non ha vinto nessuno. Trattando di questa istituzione, che tanta importanza ha avuto per il nostro territorio e per i suoi abitanti, non potevo non spendere due parole sulla sua origine e sviluppo e per far questo bisogna risalire ai più antichi documenti e premettere una breve sintesi storica. All'asservimento totale dei coloni nell'alto Medioevo seguono forme libere di contratti d’affitto (livello), secc. IX - XIII, che contemplano un pagamento annuo del canone in denaro o in prodotti agricoli, variabile secondo l’estensione del fondo e dei servizi offerti: casa, capanna, bestiame ecc., mentre al tempo stesso il legame del colono al manso va facendosi sempre più debole. Infatti, fino all’XI secolo alcuni contratti, generalmente riguardanti monasteri e conventi, grazie ai quali sono stati conservati essendo molto carente la parte privata notarile, prevedevano ancora affitti di terre comprensivi della stessa famiglia colonica considerata vincolata alla terra, ma nel volgere di pochi decenni verrà meno questa forma di servitù e il contadino sarà libero di muoversi nel mercato degli affitti. In questo contesto di libero accordo tra l’affittuario e il concedente del terreno, si inseriscono le prime forme di contratto mezzadrile, ritenute più vantaggiose da entrambe le parti, anche se con motivazioni diverse, che nel finire del XII sec. cominciano ad apparire con più insistenza, ma dei quali si ha già qualche sporadico accenno da tempi molto anteriori. Con il XIII secolo (1201-1300) il contratto di mezzadria comincia lentamente a prevalere sulle altre forme di affitto e tutto ciò è testimoniato in numerosi documenti. L'affermazione di quest'ultima forma di gestione delle terre va ricercata nei due secoli dello sviluppo cittadino, secc. XII-XIII, e alla nascita della società comunale che allarga lentamente il suo potere politico al contado circostante, nel quale i cittadini, nobili e borghesi cominciano ad investire i propri capitali acquistando appezzamenti di terra, dando così il via ad una proprietà fondiaria concessa a lavorare in affitto agli antichi servi della gleba, oppure lavorandola essi stessi. I piccoli proprietari terrieri, che possiamo definire coltivatori diretti, originati dal fenomeno suddetto, spesso univano alle proprie terre altre in affitto e saranno nel tempo sopraffatti dal nuovo sistema. Ovunque si privilegia il contratto a mezzo, compreso la nostra zona di Quercegrossa, scompariranno quasi del tutto. Un altro fenomeno derivato da questa nuova istituzione fu l'abbandono forzato dei villaggi da parte dei coltivatori per dimorare nei poderi che divengono la vera unità di produzione. Il fenomeno dello spezzettamento delle terre in una miriade di pezzi coltivabili, quasi degli orti, o per altra destinazione, ci rimane chiaro nella Tavola delle Possessione del 1319 e dagli inventari delle Chiese. Ma nello spazio di due secoli, per effetto della mezzadria, essi saranno in buona parte accorpati ai poderi, intorno ai quali viene a crearsi il “podere”, inteso come tutt’uno tra la casa del lavoratore e le terre d’intorno. Si delineano, inoltre, nel territorio senese nei secoli successivi, i grandi latifondi delle famiglie magnatizie e mercantili cittadine, le quali, unitamente agli enti ecclesiastici, si approprieranno totalmente della proprietà fondiaria, fermo restando le solite eccezioni di proprietari piccolo borghesi o di qualche rarissima proprietà contadina. La Mezzadria, fu quindi il sistema adottato in Toscana fin dal XIII sec. Durante il suo rapido affermarsi nei contadi di Siena e Firenze nel Trecento e Quattrocento, si vide diffondersi contemporaneamente anche nell'aretino, nel pratese, nel pistoiese e più tardi nel pisano, con diffusione parziale e molto più tarda in Emilia, Umbria e Veneto. Prima di addentrarci in questo mondo rurale, prendiamo in esame un dato interessantissimo che ci mette a conoscenza della quantità dei prodotti pagati dai coloni al possidente in un regime di contratto d’affitto. Si tratta delle terre possedute da Ciampolo Ciampoli da Cerreto a Petroio e dintorni, e da lui cedute al Comune di Siena nel 1210: Giovanni Ronconi da Tabbiano e figlio che paga annualmente 28 staia di grano (circa sei quintali) Benesere de Basciano e figlio 17 staia di frumento (oltre tre quintali e mezzo) Orlandi de Petroio col suocero e figlio 16 staia di frumento Scotti de Petroio e figlio 12 staia di frumento Boninsegne de Petroio e padre e figlio 21 staia di grano Spinello di Santi a Gardina con 36 staia di grano (quasi otto quintali) Peruzzino da Vignale 6 staia di frumento Malliacanis de Vignale 1 staia di frumento Ranuccini de Lornano 11 staia et unam tortocleam inter duos annos per 325 lire. Il contratto Elemento di base e di garanzia nel rapporto mezzadrile è il contratto; un documento che attribuisce doveri e diritti alle parti contraenti. Tutta la storia della Mezzadria è caratterizzata dal contratto, dapprima nelle sue forme sostanziali poi, dal Novecento, con i cosiddetti "patti" si arriva a particolareggiare ogni aspetto del rapporto tra i due contraenti: quello del 1928 comprendeva ben 62 articoli con centinaia di punti specificanti. Fin dai primi contratti notarili, stipulati in pieno accordo tra le due parti, si intravedono in embrione le forme della Mezzadria classica e quei principi essenziali che resteranno immutati per secoli come la casa al colono, le colture promiscue, la durata dei contratti, la divisione a mezzo delle scorte e, naturalmente, la spartizione a mezzo dei prodotti. Compaiono anche le cosiddette "onoranze" per il proprietario come diritti di "pollaio" e altri obblighi di prodotti alimentari. Di conseguenza da questi testi possiamo ricavare le origini e l'evoluzione di questa istituzione (le date tra parentesi indicano l’anno di stipula del contratto). Durata dei contratti Per la validità dei contratti si assiste fino al 1348 ad un graduale aumento del periodo di contratto mezzadrile col prevalere decisamente, prima della peste, di accordi di tre e cinque anni, ma dal Quattrocento inizia a imporsi la più comoda clausola del tempo indeterminato, con tacito rinnovo annuale. Le scadenze dei contratti fanno riferimento a date di feste religiose come il 15 agosto, festa della Madonna, quella più comune; la festa di S. Michele, il 29 settembre, e Ognissanti, il 1 novembre che sostituisce progressivamente quella di S. Michele. In aumento i contratti del 1 gennaio, probabilmente per questioni di ordine pratico legate alla produzione vinicola. I cambi di podere, molto più diffusi di quel che si pensi anche a quell'epoca, prevedevano l'abbandono del colono senza contrasti o liti e di lasciare il podere in buone condizioni, come l'aveva ricevuto. La disdetta doveva essere data dalle parti sei mesi prima della scadenza (1296) Essenza del contratto Insieme alla primaria condizione della divisione a mezzo della produzione, si ritrovano nei contratti, fin dai primi tempi, una serie di clausole minori che investono tutti gli aspetti della conduzione mezzadrile; non si discostano di molto dagli accordi pattuiti nel Novecento dei quali, anzi, ne costituiscono la base: - a fornire la metà del seme e a comprare a metà i buoi e l'asino (1221); - tutti i raccolti saranno divisi a metà compresi i frutti dell'orto (1296); - promettono, inoltre, alla scadenza del contratto di dividere le bestie tenute a mezzo (1304); - un podere formato da terre, vigne, olivi, canneto e lama con una casa e tre tini (1296); - si impegnano, inoltre, ad abitare sul podere con la famiglia (1251); - il proprietario si impegna a fornire ……. la metà degli attrezzi (1254); - a non subaffittare il podere ad altri (1277); - di non lavorare altre terre (1296); - di lasciare alla scadenza del contratto la metà della terra ben coltivata (1306) Consegna a domicilio Vi troviamo quasi sempre l'obbligo per il mezzadro di trasportare la parte spettante al padrone dal podere alla sua residenza, molte volte specificata. E' questa un'esigenza dei padroni che usano i carri dei contadini per evitare spese di trasporto e noie varie, ma è un'imposizione con molti significati. Questa norma è sempre presente nei primi secoli fino a diventare consuetudine: - di consegnare a Siena a proprie spese, esclusa la gabella a carico del proprietario (1281); - a fornire a un suo messo il vitto al tempo della mietitura (1224); - di consegnare sull'aia della casa la metà dei prodotti (1299); - sotto pena di cento soldi a lavorare bene la terra e consegnare la metà di ogni frutto a Siena. Forza lavoro - si impegna di tenere con sé il figlio Guido (1299); - il mezzadro promette di tenere presso di sé un garzone cui dare vitto alloggio e un compenso annuo di 8 lire (1282); - di ospitare un altro garzone al tempo della mietitura e della vendemmia con il compito di custodire la parte padronale (1282); Lavori diversi e onoranze - di pulire ogni anno le fosse (1248); - di riattare le viottole e le siepi (1306); - in più 12 staia di grano della propria parte, 200 uova, 4 capponi e 4 pollastri (1306); - di dare 4 opere gratuite l'anno a fossatos magistros…. di tenere la capanna coperta (1308); - il proprietario si impegna a dare 3 lire a mezzadro per la mietitura e la trebbiatura (1281); - di dargli 80 uova nel caso tenga le galline (1224); - e 100 uova (1269); - 400 uova e 4 paia di capponi in cambio potrà allevare liberamente i polli (1282); - promette di dare ogni anno 130 uova e meta dei pollastri in cambio potrà tenere sul podere 6 galline un gallo e un paio di capponi; - un paio di capponi, 2 paia di pollastre e 100 uova ogni paio di buoi che terrà (1426); - et debbano darci 3 paia di galline per Carnasciale, buone et grasse, e uno paio di pollastre per Santo Augustino e… 100 uova l'anno ogni due mesi (1431). Sementi A metà fin dall'inizio, con qualche eccezione. Gestione stalla - di comprare e tenere a mezzo tutto il bestiame (anno 1221); - di dargli la terza parte di eventuali guadagni lavorando con i buoi fuori dal podere (1221); - a dare la metà di un paio di bovi, di un asino e due porci (1269); - il mezzadro si impegna a mettere di suo un paio di bovi del valore di 24 lire da impiegare solo sul podere (1282). Bestiame piccolo - tutto il bestiame, porci pecore e capre sarà tenuto a mezzo (1257); - terrà inoltre su podere 2 porci comprati a mezzo … riservandosi il proprietario la scelta di uno dei due al momento della divisione (1281); - terrà …. 50 pecore (pagate per i due terzi dal proprietario) (1281); - tenere a soccida 24 pecore (1282); - e 12 o più pecore a soccida acquistate dal proprietari di cui si dovrà dividere a metà i frutti. Al termine le pecore e gli agnelli rimasti spetteranno per due terzi al proprietario (1296); - di allevare a mezzo due porci comprati a mezzo e divisi a mezzo per Natale (1300); - di acquistare a proprie spese un paio di buoi e una bestia da soma (1308); - ancho debbano tenere le troie, pechore et capre et vache che no' gli daremo per modo di soccia (a soccida) (1431); - e in più ci dovrà dare el mezo del cacio che farà da le sue pecore (1508). Bosco E’ considerato un bene esclusivo del padrone fin dai primi tempi. - di raccogliere soltanto le ginestre e le scope necessarie al proprio vivere (1269); - potrà raccogliere la legna minuta nei boschi (1296); - di non tagliare alberi nemmeno quelli secchi (1308); - e si pure navesse bisogno possa tagliare una catasta per noi e una per lui (1508). Olivi e frutti La coltura dell'olivo sembra rivestire in antico minore importanza per il colono, probabilmente a causa dei lunghi tempi di crescita della pianta. - ancho devono piantare ogni anno tre olivi e tre alberi domestici (1431). Paglia e concimi Non mancavano indicazioni sulla concimazione a letame che doveva essere impiegato tutto nel podere o del suo acquisto a carico del proprietario e poi a mezzo: - di utilizzare sulla terra tutto il letame prodotto (1221); - di lasciare alla scadenza del contratto tutta la paglia e il letame nel podere (1221); - il proprietario si impegna ….. a dare il denaro necessario per l'acquisto di 40 salme di letame l'anno, mentre il mezzadro deve fornirne 20 salme. (1257); - a lasciare sul podere a scadenza la metà dello strame (fieni e paglia) (1300); - di lasciare nel pagliaio o nella capanna tutto lo strama la paglia la lolla o il fieno (1304). Prodotti vari Nei primi contratti del Duecento vengono rammentati i prodotti della terra come olio, vino, grano anche se l'olio rimane una produzione secondaria per molto tempo. - di seminare ogni anno otto staia d'orzo, spelta, fave, seme di lino e vecce; - tenere sei cupilia di api (due terzi del costo a carico del proprietario) (1282); - di consegnare la metà di tutti i prodotti in particolare noci e fichi (1304); - di ciò che ricoglie .. di grano, biada, vino, legumi e frutta (manca l'olio) (1505); Metodi di lavoro Alcuni contratti trattano in modo chiaro i metodi di lavorazione dei terreni, e includono una programmazione, seppur limitata, di rotazione delle colture e comunque i proprietari tendono a cautelarsi contro il disimpegno dei coloni in partenza dal fondo. - di lasciare tanta terra coltivata come al momento dell'inizio del contratto (1254); - la lasciare ogni anno 12 staia di terra a maggese ed assumere “sectores” con falce fienaia per tagliare le stoppie cui dovrà dare il vitto e metà salario (1296). Vigna Appare chiaro che la vigna rappresenta un elemento a sé stante e in alcuni casi e trattata a parte o esclusa dal contratto. - concedono tutto il loro podere tranne la vigna grande e un pezzo di terra che vogliono trasformare in vigna (1221); - e in più un moggio di grano l'anno quale canone d'affitto della vigna (1251); - fornirà inoltre la metà dei pali e dei legacci per la vigna (1269): - di zappare la vigna almeno due volte l'anno (1308); Lino La lavorazione del lino appare importante ed è trattata in numerosi testi. Orto Ampiamente ricordato è l'orto, vista l'importanza che avevano i suoi prodotti nell'alimentazione del tempo e soprattutto dei contadini. Non dimentichiamo che la scoperta dell'America è ancora lontana e i prodotti del Nuovo mondo come le patate, i pomodori, il granturco o mais, si diffonderanno nelle nostra campagne dal Settecento con piena produzione nell'Ottocento. - il mezzadro potrà fare un orto sufficiente alla sua famiglia, ma ne potrà disporre anche il proprietario quando verrà (1281). Penali Non potevano mancare le clausole relative a chi disattendeva al contratto e sono cifre discrete quelle previste. - si impegna, sotto pena di 10 lire; - sotto pena di 25 lire (1251); - il mezzadro promette sotto pena di 25 lire (1296); - sotto pena di 25 lire (1306); - sotto pena di 50 lire (1307). Contratti a Quercegrossa Tra i numerosi contratti del Trecento che vengono riportati nelle varie pubblicazioni alcuni interessano le terre di Quercegrossa e quindi le trascrivo perché riguardano, oltre ad alcuni luoghi anonime, i poderi di Gaggiola, del Castellare e Macialla. Infatti, uno di essi, risalente al 2 febbraio 1354, vede Biagio del fu Vannino da Santo Stefano a Brusciano (Basciano) prendere a mezzadria, per cinque anni, due poderi. Il primo con casa e chiostro, terra lavorativa e vignata nella cura di S. Stefano, luogo detto El Castellare, l'altro nel luogo detto Caggiuola. I patti prevedono di dividere tutto a mezzo e il colono si impegna a trasportare la metà del vino, biade e grani all’abitazione del proprietario. In un altro contratto, stipulato tra Berto di Ciolo e suo figlio Andrea con Castello di Naddo da Siena, non viene citato il nome del podere in curia di Quercegrossa, composto da casa, capanna e aia, ma, quando si parla di portare in Siena i prodotti, appare "in villa Querciagrossa ad tue abitatione", e questa precisazione ci dice che il podere sia situato proprio in paese. Le rimanenti carte hanno la stessa concedente in Margherita, vedova di Pietro dei Forteguerri, e ricalcano gli usuali accordi. Uno, datato 20 novembre 1334, la detta Margherita concede a mezzadria a Chele, Stefano e Cenni figli del fu Giorgio da Quercegrossa per cinque anni a partire dal prossimo primo gennaio un podere posto nel popolo di S. Stefano, in vari luoghi detti “... in primis unam petiam terre e vinee con domo et capanna sitis in ea ... in loco dicto Macialla”; il podere confina da tre parti con il monastero di S. Prospero, cioè le monache della Madonna proprietarie di Larginano. Due gli altri contratti con la Forteguerri risalenti al 9 gennaio 1335: Andrea del fu Giuntino da Quercegrossa riceve a mezzadria per cinque anni un pezzo di terra con casa posto nella curia di Querciagrossa, davanti alla strada pubblica, e confina da una parte con Tura Boglienti. Ancora riceve un pezzo di terra il luogo detto Danese con aia e capanna confinante da due parti con gli eredi Vannucci e dalle altre parti con Meo Nadducci. Seguono altri pezzi di terre poste in Siena e dintorni. Si impegnano a tenere a mezzo bovi, semi, porci e pecore. Andrea si impegna a non lavorare altre terre senza il permesso di Margherita e darle 200 ova e due capponi e promette di portargli la legna all'abitazione in Siena; sotto pena di 50 lire promette di lavorare la terra come si deve. Nel secondo contratto, datato come il precedente, si menzionano Bindo e Piero figli del fu Ganuccio e, anche a nome del fratello Cecco, prendono a mezzadria alcuni pezzi di terra posti in curia di Quercegrossa. con le stesse clausole del precedente. Tutti questi "patti" che abbiamo citato, e altri del senese, hanno in comune la regola della mezzadria, tuttavia presentano delle varianti da zona a zona determinate da locali consuetudini maturate in condizioni socio economiche e ambientali diverse. La Mezzadria fu soggetta all'attenzione del Governo di Siena, il quale, chiamato spesso in causa, tentò di regolamentare e proteggere il nuovo sistema di conduzione agricola con il fine di garantire il fabbisogno alimentare alla città e le entrate fiscali nelle casse dello Stato da parte dei singoli o delle comunità rurali. Infatti, intervenne a tutti i livelli sia sociali che produttivi, verso coloni e proprietari, per mettere ordine nei loro rapporti. Nei due secoli XIII e XIV, funestati da guerre a calamità, furono all’ordine del giorno iniziative tendenti a ripopolare zone di confine quasi desertiche, compresa la nostra, incentivando in qualche modo i coloni a restare o ritornare, non disdegnando minacce e multe. Lo scompenso demografico causato dalla peste del 1348, e la successiva epidemia del 1363, ebbero riflessi negativi sul mercato del lavoro. Infatti, oltre a favorire migliori condizioni contrattuali per i mezzadri, portarono ad aumentare notevolmente i prezzi della manodopera (12 soldi o uno staio a opra) e ad un conseguente eccessivo aumento di braccianti, con pericolose previsioni di abbandono dei poderi da parte dei mezzadri attirati dalle più consistenti paghe. Questa paventata conversione venne affrontata dal Comune con pene pecuniarie per coloro che non lavoravano determinati staiori di terreno e con incentivi fiscali e altri vantaggi normativi ai mezzadri. Alcuni decenni dopo la situazione non è mutata, e per tutto il Quattrocento si presenta un quadro di assoluta crisi con tanti aspetti negativi come l'indebitamento dei mezzadri verso i proprietari e la difficoltà a reperire mano d'opera mezzadrile per motivi di insicurezza nelle campagne, ai quali si univano l'eccessiva pressione fiscale: tasse, gabelle, dazi e salari agli uffiziali tenevano lontano i coloni. La fuga di nascosto fuori dai confini del mezzadro indebitato, portando via armenti e robe, era una prassi costante, e la confusione derivata dalle lotte per assicurarsi i mezzadri, le lamentazioni padronali che i poderi non rendevano, accrescevano il disordine ed evidenziavano l'impotenza del Governo nel far rispettare le leggi. Si assiste in questi anni anche alla quasi completa acquisizione delle terre da parte dei grandi proprietari, con compattamento dei poderi, restando in mano ai coltivatori in proprio poche terre tra le meno produttive e più selvatiche. Tutto ciò, unito all'ormai definitivo obbligo di residenza nel podere, ebbe come conseguenza l’isolamento dei contadini e il loro allontanamento dalla vita amministrativa e di responsabilità nelle Comunità rurali, relegandoli ad un ruolo inferiore nella scala sociale perdurato fino ai tempi nostri. La tassazione del reddito da pagarsi alla Comunità, improntata in un primo momento "sui frutti", venne sostituita o affiancata da quella avente come misura "il paio di buoi", come imposta (tre lire) che garantiva una stabile rendita non essendo legata alla variazione del raccolto causata dalla stagione, ed era di facile conteggio al quale difficilmente si sfuggiva. A questi obblighi di tipo fiscale, nel 1427 si ribadiva alle comunità rurali da parte di Siena che il mezzadro doveva pagare una sola tassa esonerandoli da quella "di contado", e si deve sempre rammentare le prestazioni di mano d'opera, insieme agli altri abitanti, per il mantenimento di strade, vie, ponti e fonti della comunità. Un'altra curiosità derivava dalla forte mobilità dei mezzadri, provocando conflitti con le Comunità rurali per il pagamento delle tasse, e si arrivò a stabilire di pagare "dove dormono". Negli ultimi decenni del Quattrocento si va diffondendo l'uso padronale di registri per la tenuta dei conti. Ma abbiamo anche notizie di mezzadri che avevano libri di conti "gemelli" a quelli del proprietario. La legge stabilì per gli analfabeti la scrittura dei libri fatta da terza persona e davanti a testimoni. Servivano soprattutto nei contenziosi col padrone: è' la nascita del libretto colonico. In conclusione si può dire che la Mezzadria venne sempre tutelata dal Governo, proprio per incentivare l'ingresso dei lavoratori della terra nei poderi, in un progetto generale di recar vantaggi ai proprietari cittadini, gli stessi che deliberavano. L'entrante Cinquecento troverà il sistema di conduzione mezzadrile ormai trionfante in tutte le campagne del contado senese, sottoposto alla proprietà delle grandi famiglie e degli enti ecclesiastici tra i quali la fa da padrone, da tempo, l'ospedale di S. Maria della Scala con i suoi numerosi possessi tra la Val d'Arbia e la piana di Rosia. Tra i cittadini ed enti ecclesiastici non si riscontrano discordanze nella gestione delle terre appoderate. Le popolazioni rurali, compresa la nostra, sono completamente ridotte allo stato di mezzadri con rare presenze artigianali come falegnami, calzolai e fabbri, attività, queste, spesso svolte dai contadini stessi. Nel Cinquecento, dopo la guerra di Siena, il territorio di Quercegrossa e Basciano rimase per intero in mano alle famiglie senesi e a monasteri femminili. Tra le famiglie si annoverano gli Amidei, i Benvoglienti e poi Cinuzzi, Barbucci, Tegliacci, Credi, Cosci ecc. Alcune saranno sostituite dai potenti Piccolomini e Sansedoni altre dagli emergenti Perfetti e Andreucci. Tra i monasteri senesi hanno beni nei poderi di Quercegrossa le monache di S. Lorenzo, della Madonna o Trafisse e quelle dette del Santuccio. Alcune antiche proprietà scomparvero nel Seicento con il declino delle famiglie stesse, altre, come i Piccolomini e gli Andreucci giunsero fino al Novecento, mentre le proprietà religiose finirono al tempo delle soppressioni fra Sette e Ottocento. La Mezzadria domina incontrastata e grazie all'archivio delle Monache della Madonna, proprietarie di Larginano, Gaggiola e Viareggio, abbiamo una trascrizione di un contratto per la concessione del podere di Larginano alla famiglia Porcelli. Il testo, come consueto in quegli anni inizia con la formula: "Sia noto e manifesto a qualunque persona vedrà la presente scritta come oggi questo dì ultimo di aprile 1537, madonna Gentile, venerabile abbadessa del monastero di S. Prospero e suor Agnesa e suor Giacoma e suor Caterina camarlenghe alogano in nome di detto monastero uno podere detto lo Arginano nel comuno di Querciagrossa a Piero, Luca e Santi di Giovanni Porcelli, per anni tre prossimi a venire da cominciare a gennaio prossimo futuro, da seguire con questi patti e modi”. Segue l'elenco particolare degli obblighi ai quali si soggettano i Porcelli e il finale conclude: "In tutte le altre cose ad uso di buoni mezzaioli dando la vera parte al monastero e in fede del vero Io messer Giovanbattista di messer Iero canonico senese ho fatto la presente scritta in presenza delle sopraddette camarlenghe et Piero e Luca quali promettono per Sancti loro fratello, questo dì ultimo di aprile anno decto in luogo di decto monastero li quali Piero e Luca non sanno scrivare, io sottoscrivarra per loro terza persona. E io Antonio di Benedetto da Pontremoli mi so sottoscritto per Luca e Piero". Ma che cosa promettono i fratelli oltre a dividere a mezzo da buoni mezzaioli i prodotti senza commettere furti? Prima di tutto si obbligano a mettere due paia di bovi nel podere per lavorarlo nel primo anno, e da vedersi in seguito se debba stare a mezzo, o a stima, detto bestiame. Si obbligano a "porre ogni anno 36 capi di viti" e "porre ogn'anno dieci arbori domestici" e "sei piantoni di olivi ogn'anno". Si obbligano anche a portare tutte le some in Siena al Monastero e dare ogni anno quattro some di paglia. (circa due quintali e mezzo). Nel bosco hanno la licenza, per uso del podere, di tagliare per costruire gli aratoli, ma non possono tagliare legna grosse né minute né scopeti. Per le onoranze devono fornire annualmente 5 paia di polli cioè 5 capponi e 5 pollastre, 200 uova e una libbra di cera per la festa di S. Prospero. La famiglia Porcelli rimase almeno nove anni nel podere perché il contratto venne rinnovato la seconda volta nel 1543 e non è escluso che abbiano visto anche la guerra di Siena nel 1554 dall'Arginano. Alla presa di possesso del podere viene loro consegnato l'8 gennaio, a stima, il bestiame piccolo composto da "bestie porcine, pecorine e caprine". Bestiame stimato da Frosino Casamonti da Pretoio (i suini) e da Antonio Guiducci e Bastiano Masseti, altri mezzaioli delle monache. Se manca il numero dei maiali, concessi per un valore di 23 lire, consegnati loro da Bastiano Tanzini, vi è invece riportato quello di pecore e capre nelle rispettive quantità di 23 e 20 capi, per una stima di 110 lire, e in più ricevono da altro mezzaiolo 6 capre per un totale di 26 capi. I suddetti mezzaioli stimarono anche il pagliaio, dato di valore 16 lire. Il 12 agosto dell'anno successivo, quindi dopo la battitura del grano, ricevono dal detto Bastiano quaranta lire di paglia a stima, sintomo questo di un'annata andata a male. Lo stesso giorno entrano nel podere un paia di bovi forniti da due diversi venditori, Serafino Serafini e Giulio Santi, per una spesa di lire 210. Esattamente un anno dopo si spendono 190 lire per l'acquisto di due "buoi" da parte di Piero e Luca Porcelli con una spesa di lire 198, "dati e consegnati a stima". Si riportano secondo un'usanza che perdurerà ancora per molto tempo, i nomi dei bovi comprati: uno si chiama il “Montagnolo” e l'altro “Chiappino”. Ancora una registrazione nel 1540, quando comprarono due birrachi (giovani vitelli non domati) al prezzo di lire 75 acquistati da Meio e Luca "e menornoli allo arginano e si consegnorno a tutti a mezzo". Da altri documenti come quello riferentesi al podere Valacchio del Poggiolo, sempre proprietà delle stesse monache, si ricava che per lire 14 viene comprata "una troia con otto porcelli a piei". E tempo dopo si acquista una troia con quattro porcelli al ridotto prezzo di lire 4 e 10 soldi. Un valore veramente modesto, corrispondente a quello di due capre, se paragonato agli animali della stalla. Senza prolungarsi ulteriormente sui particolari dei contratti del '500, risulta che il 3 maggio 1561 il podere dell'Arginano e concesso ad altra famiglia nei nomi di Benedetto e Mattio, fratelli. Il loro contratto e delle stesso contenuto del precedente. Non si cita il cognome dei fratelli, ma trattasi della famiglia Granai. Infatti, andando allo Stato della anime di Basciano del 1598, risulta mezzaiolo a Larginano, capoccio di 14 persone, il figlio del detto Mattio, chiamato Benedetto come lo zio; sono presenti ancora nel 1633. I contratti del Quattrocento e Cinquecento quindi non presentano sostanziali novità, ma si consolidano tutte le norme e consuetudini che troveranno omogenea applicazione nei secoli a venire. Si conferma in modo inequivocabile la chiara la tendenza padronale ad assumersi in toto la gestione del podere, dettando le direttive operative e lasciando al colono la sola manualità. Questa autonomia decisionale resterà sempre nelle mani padronali e ancora a metà Novecento viene ribadita e fa parte di contratto complementare: "Il solo padrone deve esser responsabile della coltivazione, seminagione dei campi vigneti e piante". Viene inoltre rammentato costantemente il "principio di garanzia" della responsabilità del colono che dovrà esercitare il suo lavoro da buon lavoratore e senza frodo nel rispetto degli impegni assunti: "Tutti li mezaioli del monastero de l'Abadia sono obligati lavorare bene e cum ogni studio, diligentia e solicitudine di homo de bene". Questo richiamo alla responsabilità sarà ripetuto all'infinito, fino agli ultimi mezzadri. In una bozza di contratto usato nel 1781 dai Canonici del Duomo per i contadini dei poderi di proprietà del Capitolo, tra i quali vi era il Mulinuzzo di Basciano, si ritrova la detta formula: "Che il detto e i suoi, siano tenuti ed obbligati, conforme per sé e i suoi e promette e s'obbliga tenere il detto podere da buono e diligente padre di famiglia e piuttosto migliorarlo che deteriorarlo”. Del punto quattro merita conoscerne il testo: "che sia tenuto ed obbligato conforme promette, e s'obbliga portare a Siena secondo gli sarà ordinato da detto Amministratore o amministratori pro tempore, le grasce che si raccorranno in detto podere per la parte dominica senza pretendere in premio se non la colazione nel giorno del trasporto". In un contratto del 1906 della famiglia Corbini, tornati a Quercia nel 1940, al punto uno si legge: "Il conduttore Corbini Luigi s'obbliga per sé e per la sua famiglia colonica a tenere e coltivare i fondi locati da buono e diligente padre di famiglia secondo tutte le regole dell'arte, le locali consuetudini e gli ordini dei padroni". Questo interessante contratto dei primi del Novecento è il compendio del rapporto padrone contadino, ormai giunto a completa perfezione e ben poche modifiche e migliorie apporteranno i successivi patti mezzadrili. L'anno 1906 e questo dì ventotto del mese di novembre in Monteroni d'Arbia. Per la presente privata scrittura messa in doppio originale da ritenersi una per ciascuna delle parti contraenti, da valere nei modi migliori di legge e di ragione, si fa manifesto come i Sigg. Guglielmo Marsili ed Alfredo Marchetti domiciliati in Monteroni d'Arbia affittuari della tenuta denominata "Isola" in Comune di Siena hanno dato e concesso il podere denominato Isolina, facente parte della tenuta suddetta a Corbini Luigi e sua famiglia composta come segue: Corbini Luigi, Capo di Famiglia, Corbini Antonio, Corbini Giuseppe di Luigi, Corbini Cesare di Antonio, Corbini Ferdinando, Corbini Giulio, Corbini Paolo, Corbini Giovanni, Caselli Giulia vedova Corbini, Mencherini nei Corbini Caterina, Ciacci nei Corbini Italia, Nonni nei Corbini Cesira. La quale condizione e rispettiva locazione è stata fatta e stipulata secondo le disposizioni di Legge ed a norma delle consuetudini locali in quanto non siano derogate dai seguenti fatti e condizioni. 1) vedi sopra. 2) Gli affittuari, oltre al terreno e fabbricato occorrente corredano il podere del necessario bestiame, dei sughi fieno e paglia etc. che si richiedono al bisogno dando al prezzo la stima fissa e permanente di £ 0,50 a braccio cubo; al fine di £ 15 al carro di libbre mille e alla paglia di £ una ogni cento libbre; il qual prezzo non varierà alla riconsegna delle stime in caso di licenza. La quantità del fieno e della paglia non dovrà essere minore di quella ricevuta e la differenza in più, nella riconsegna sarà valutata e divisa a metà. 3) Tutti i prodotti da tenersi, nessuno escluso né eccettuato come pure della stalla il cui bestiame dovrà essere fornito dai padroni dovranno esser divisi a metà tra il colono e i padroni. Dovranno farsi a comune tutte le spese che occorrono per la letamazione per i fieni e per ogni sussidiaria alimentazione del bestiame. 4) Il colono sarà tenuto a recare senza alcun compenso ai padroni o a chi per essi, in campagna od in città, la parte dovutagli dei prodotti, avendo diritto soltanto al rimborso della tassa di dazio consumo che venga pagata per la introduzione di quei prodotti che piacessero apportarli in città, ed in qualsiasi altro caso per i prodotti medesimi dovuti agli affittuari. 5) Il colono si obbliga a fare non meno di 200 rimesse di viti all'anno, previa ricompensa di £ 5 al cento. 6) I padroni avranno diritto di scegliere due some d'uva senza premere dette alla leggera. 7) Il colono pagherà ogni anno la tassa poderale patto a contanti lire cento, nonché le tasse colonie agricole ed assicurazione. 8) Il colono corrisponderà ogni anno n° 100 coppie di uova, da portarsi ai padroni ogni mese per la quota ripartita in numero di 9 coppie nei primi 4 mesi e di numero 8 coppie nei mesi successivi; capponi n° cinque, galline n° cinque, galletti dall'aia n° due, corrisponderà altresì al padrone un carro di fieno di libbre mille nonché parte degli erbaggi in genere e di altri piccoli prodotti. 9) Le sigature (sic) saranno corrisposte al colono in ragione di lire due l'una, non tenendo però conto dei piccoli …… i quali in altro modo verranno compensati. 10) In caso di licenza il colono non può estendere la semina della biada (avena) di oltre uno staio e nella sementa in genere dovrà regolarsi secondo l'impresa degli anni precedenti, restando bene intesi, proibito il ristoppio il ricavare prati buoni nonché danneggiare piante e tagliare macchie. 11) Le piante destinate a periodici o straordinari rinnovamenti delle piantagioni dovranno essere fornite dai padroni ma sarà a carico del colono il fare tutte le spese occorrenti per la detta sostituzione. I legnami delle piante adulte diramate si devolveranno a profitto dei padroni meno le ramaglie dell'annuale potatura che resteranno a vantaggio del colono. 12) Mentre passeranno a carico dei padroni tutte le spese per le riparazioni ordinarie e straordinarie ai fabbricati colonici ai muri di cinta ed ogni altra costruzione in muramento, canali, argini irrigatoi etc. sarà a carico del colono il mantenimento delle fosse camporeccie, di scolo, dei relativi prati e delle siepi. 13) All'attuale famiglia colonica non potrà aggiungersi, nè allontanarsi nessuna persona, compreso il garzone, se vi fosse, senza l'esplicito consenso dei padroni. In caso che i padroni vogliano risolvere mediante disdetta pur notificata nei debiti modi e tempi al solo capo di famiglia escludendo in tal maniera ogni altra persona di famiglia e dipendenti. La presente scrittura è stata letta dai padroni al colono il quale l'approva in tutte le sue parti e la richiede per valida ed autentica come un pubblico strumento. Dott. Guglielmo Marsili Alfredo Marchetti CroXce di Luigi Corbini illetterato Corbini Giuseppe vice capoccia Angelo Civai Perugini Giulio Merita attenzione l'artico tredici che ribadisce il divieto assoluto di modificare la forza lavoro della famiglia. Fin dai primi secoli si manifesta la preoccupazione padronale ad avere garanzie che la produzione abbia luogo e alcuni contratti già anticipavano questa che diventerà una ferrea norma da rispettare, sotto pena della disdetta. Ciò ha dato origine, da sempre, a liti e licenziamenti di contadini, ma soprattutto ha condizionato per secoli i medesimi, costretti dalle leggi e dal padrone a chiedere autorizzazioni per sposare i propri figli e figlie, o avviare un giovane ad altra professione. Non è lontano il giorno nel quale Giorgino Leoncini, quattordicenne, avendo trovato lavoro presso un fabbro, cessa di lavorare nei campi. Siamo nel 1955. La famiglia, che in questo caso non tiene fede alle unità lavorative, viene mandata via dal proprietario svizzero Huber e dalle Ville di Corsano torna a Corsignano di Vagliagli. Anche Valerio Berrettini aveva trovato lavoro a Siena e il Pucci, padrone dei Poggioni, "non voleva", per questo chiusero con la terra nel 1959. Il padrone soffre più per la mancanza di rispetto, che sta venendo meno, che per la mancanza di braccia, e contrattacca. Tra i tanti contratti nel Novecento ce ne sono alcuni dove il concedente è un sacerdote, in questo caso amministratore dei beni della parrocchia. Quasi tutte le parrocchie di campagna possedevano uno o più poderi, eredità di antiche donazioni o acquisti, che integravano le rendite del parroco. Oltre all'interesse economico derivato dalla lavorazione del podere, sta a cuore del parroco la moralità del contadino e il suo contegno rispettoso verso la religione, il padrone e la famiglia. Siamo nel 1939 e sono articoli interessanti: "Pienamente e liberamente mi impegno ad ogni buon effetto di legge ad osservare le seguenti condizioni e patti oggi stipulati con il mio padrone M. R. don Giovanni Nardini come complemento e integrazione del patto colonico vigente. Tale patto colonico liberamente da me firmato sarà da me e da tutta la mia famiglia osservato da veri cristiani e cattolici”. Il patto integrativo è il seguente: “Il colono e famiglia non devono lavorare nei giorni di festa consacrati al Buon Dio e Maria Santissima. Dalla famiglia deve essere bandita la bestemmia e la maldicenza. Il padre Capoccia deve essere assistito e aiutato nei lavori agricoli e rispettato, ubbidito dai figli e moglie con gioia, amore e santa ubbidienza. Il padre deve essere gentile e meno arrogante in famiglia. Ai figli con dolcezza a forma della di lui capacità in denaro quel pochino volentieri così i figli uniti al padre arrecheranno pace alla famiglia. Con il padrone, essendo sacerdote e ministro di Dio, devono essere tutti rispettosissimi, ubbidienti e più gentili, così facendo Gesù proteggerà tutti. Nel tempo della mietitura, il colono nelle feste di S. Pietro e domeniche deve trovare il tempo per ascoltare la S. Messa”. IL Settecento Questo secolo rappresenta per la Mezzadria un tempo di progresso e si assiste alle grandi opere di riforma agraria nella ricerca di una miglior produzione sia qualitativa sia quantitativa. Da parte dei proprietari si hanno investimenti diretti alla costruzione e manutenzione di abitazioni, stalle e altri impianti, pur rimanendo immutate le condizioni contrattuali coloniche. Grande sviluppo ebbe la ricerca teorica della qualità nella produzione che superasse i vecchi metodi e pregiudizi dei coloni, e in generale di tutti gli addetti ai lavori. Ciò portò a leggeri incrementi nella resa della produzione, ma in pratica rimasero immutati gli arcaici metodi di lavoro, così come le stesse attrezzature che non ebbero sostanziali miglioramenti. L'Ottocento Il nuovo secolo trova le campagne senesi in condizioni arretrate e le famiglie colone soffrono di questa situazione; ben pochi progressi si riscontrano nella vita quotidiana. Le note dei parroci all’imposizione della Tassa di famiglia nel 1815 ci mettono a conoscenza di diffuse condizioni di disagio economico e di dipendenza dal padrone per la quotidiana sussistenza, verso il quale i coloni si trovano indebitati. Don Bianciardi annota: “Contadini mezzaioli benestanti non ve ne sono per esser tutti in prestanza” (ricevono derrate alimentari dal padrone per andare avanti). Un altro parroco precisa a Uopini: “Questa famiglia può dirsi miserabile, perchè numerosa e non potrebbe andare avanti senza il soccorso del padrone col quale deve perciò fare vistosa somma di debito”. A S. Fedele si leggono brevi righe: “Mancanza di pane; debito col padrone”. nella parrocchia di S. Giovanni a Cerreto nel 1823 la maggior parte delle famiglie sono “indigenti”. In altra parrocchia: “Famiglia povera che non campa con la rendita del podere”. Si potrebbe continuare, ma questi pochi esempi esprimono pienamente la situazione generale di quei primi decenni dell’Ottocento. Si assiste nella seconda metà del secolo alla formazione delle prime leghe contadine, le riconosciute organizzazioni sindacali, le quali ebbero tutte una matrice politica, o cattolica o socialista, e spesso svilupparono autonomamente una lotta per sollevare il mondo contadino dalle sue miserie. I primi traguardi si raggiunsero a fine secolo concordando i patti colonici con gli agrari su scala provinciale e regionale. Già il primo codice di diritto civile dell'Italia unita fissava nel 1865 alcuni principi della Mezzadria attingendo alle consuetudini e leggi degli antichi stati. Nasce anche il primo dibattito su un piano squisitamente culturale sull’utilità della Mezzadria, tema che alimenterà per decenni una discussione accademica. |