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La Fattoria Centro del potere e della vita padronale, nella fattoria si concentravano alcuni dei principali servizi agricoli come il frantoio e la cantina dove i contadini trasportavano olive e uva per la lavorazione e la svinatura. Non mancava il granaio per i prodotti della parte padronale e del seme. Alcune fattorie erano molto lontano dai luoghi di produzione: "Fino al 1934 i contadini del Mulino e della Casanuova portavano l'uva alla cantina della fattoria. Ma la loro fattoria era quella di Montarioso, da secoli dello stesso proprietario dei due poderi. I due contadini, quello del Mulino e l'altro della Casanuova, si alternavano nel trasportare l'uva a Montarioso percorrendo sette chilometri e numerosi viaggi ciascuno. Dopo svinato mettevano il vino della loro parte nelle botti e lo riportavano ai poderi". La pratica venne interrotta con la costruzione della cantina al Mulino. Alcune fattorie, come Passeggeri o Larginano, si erano dotate di fucina, mole e altro dove al bisogno un contadino o un salariato fungeva da fabbro per i piccoli lavori urgenti. Alcune stanze distaccate erano riservate all'abitazione del fattore. Inoltre vi si trovava il famoso "scrittoio", croce e delizia dei contadini; l'ufficio dove a fine mese i contadini si presentavano al fattore per registrare i conti e a fine anno per chiuderli. Una vera fattoria aveva la sua villa come abitazione estiva per il padrone e la sua famiglia e comunque serviva da base per ogni periodo dell'anno. La fattoria comprendeva più poderi, alcuni attigui, altri distanti dalla medesima. Petroio, Macialla, Il Castellare, Passeggeri, Le Gallozzole, il Castello e la stessa Quercegrossa erano fattorie con villa. In alcune ci si immetteva da un bel viale alberato a cipressi. Non mancava la stalla per il cavallo, ad uso del padrone e del fattore, che un contadino custodiva e foraggiava e quando era necessario usava egli stesso: "Al Castellare la cavalla serviva per i padroni, ma spesso Memo (Guglielmo Buti) cavalcava fino a Siena per portare a casa dei padroni uova, verdure e formaggio". Alcuni ambienti erano adibiti a coltivazioni o lavori particolari: la stanza del bucato; la stanza dei limoni, ambiente tipicamente padronale dove crescevano piante di limone in grosse conche nella stagione fredda, mentre a primavera le piante venivano spostate nel prospiciente giardino. Non mancava l'orto della villa, lavorato da salariati o contadini. La presenza della famiglia del padrone in fattoria nella stagione estiva per le vacanze, vivacizzava l'ambiente e in quei giorni le contadine si trasformavano in servette o in lavandaie, quando il padrone non avesse avuto personale fisso di servizio al seguito. Inoltre, le fattorie disponevano di salariati fissi, detti casieri, i quali custodivano la villa durante l'anno fungendo da giardinieri e da cantinieri. Al bisogno si trasformavano in cocchieri. I poderi di proprietà della fattoria erano collegati ad essa con strade di campo parzialmente alberate o vere e proprie strade mantenute da contadini e salariati. - “All'Arginano per i lavori di manutenzione ci pensavano i contadini, strade, stabili ecc. inoltre mandava anche Ruggero a riparare la strada".
Lo scrittoio Tutto garbato e timoroso il contadino si presentava allo scrittoio con il cappello in mano in segno di rispetto. Entrava e si trovava alla presenza del padrone, del fattore, e in certe fattorie anche del ragioniere che teneva i registri. Si tiravano le somme dell'annata calcolando le spese e i ricavi spettanti alle due parti. Finalmente quando usciva sapeva se quell'anno era stato positivo o negativo. La domanda d'obbligo che rivolgevano in famiglia al capoccio al ritorno dallo scrittoio aveva sempre la solita risposta: "Allora quest'anno com'è andata?". "Anche quest'anno un c'è rimasto niente". Per il controllo della produzione del grano e di altri prodotti spesso si era nelle mani del fattore: "Annualmente si ripeteva la storia di Armando Masti del Mulino che domandava al fattore: "Quanto grano s'è avuto quest'anno (un guanno). "Un po' più dell'anno prima", oppure: "Un po' meno dell'anno prima", e nessuno sapeva mai niente”. - "Una volta al mese il capoccia andava dal fattore a sistemare i conti". - "Lo scrittoio dell'Arginano era in casa Mosca, nella villa, dove veniva ricevuto il capoccia a fine anno per i conti". - "A fine anno con i libretti colonici li portavano allo scrittoio e facevano i conti". - "C'erano dei contadini che portavano soldi allo scrittoio invece che in banca". - “Quando era in credito il contadino non prendeva i soldi al momento dei conti, ma quando gli servivano qualcosa gli davano". Il Padrone Il padrone era “il Padrone”. Semplice ma efficace definizione di questo personaggio che si è sempre contrapposto al contadino, e insieme a lui rappresentò l'elemento cardine del sistema mezzadrile, fosse ente o persona fisica. Esso poteva essere il signore di nobile nascita e di antica famiglia, il borghese arricchito, il commerciante benestante di Siena, il fattore che aveva acquistato le terre, un affittuario cittadino o del posto, l’ente religioso locale, ossia la parrocchia, oppure un convento o monastero della città. Egli, chiunque sia stato, dalla sua posizione di possidente ha beneficiato del lavoro che altri praticavano sui suoi campi, per questo è sempre stato visto in maniera contraddittoria, quando comprensivo e generoso, spesso prepotente e sfruttatore. Si potrebbero usare decine di aggettivi per inquadrare la categoria e tuttavia non sarebbe sufficiente perché tante sono le sfaccettature di metodo con i quali i cosiddetti “conducenti” si sono rapportati ai loro mezzadri. Diciamo semplicemente che ciò è consequenziale alle persone, ai loro caratteri e alle loro qualità umane. Nei ricordi dei contadini di Quercegrossa si riscontrano proprietari accomodanti, quasi buoni, esigenti e intransigenti, birbi e presuntuosi. “Quando faceva il pane la mamma Argia faceva sempre dei crissini con la stessa pasta per il padrone”. Onoranze, regalie e corveè. In questa voce rientravano tutti gli obblighi del colono verso il padrone che derivavano dalla consuetudine, anzi, si può dire che siano nati con la Mezzadria. Consistevano in un tributo in pollame e uova aggiunte a prestazioni di qualche giornata con carro o soltanto mano d’opera, ma negli ultimi tempi, quando la legge proibì ogni forma di prestazione gratuita, questi lavori vennero retribuiti parzialmente. Anche per frutti e prodotti dell’orto, non previsti nella divisione a mezzo, ci scappava sempre il panierino per il padrone. - "Annualmente portavano col carro a Siena la legna al padrone che per diritto erano 2 metri cubi di catasta; gli davano all'anno 70/80 coppie d'ova poi pollame a Pasqua e il cappone a Natale; gli dovevano sistemare 150 metri di strada". - "La corvée era un franco e venti da sole a sole". - “A Gaggiola nel 1935 i patti poderali richiedevano la consegna di 70 coppie d'ova, accomodare 150/200 metri di strada; cappone a Natale e gallina a Pasqua; 4 galletti ad agosto”. Elio Rodani: “La corvèe dei contadini: i contadini di Passeggeri erano obbligati dal senatore Sarrocchi a fornire mano d'opera gratis per le opere della fattoria: con i bovi a trascinare il rullo per la manutenzione della strada oppure servizio di manovalanza o a fare mattoni alla fornace. Difficile quantificare questo servizio, ma ricordano alcuni che come minimo 2/3 giornate a famiglia. al mese”. Dalla visione di alcuni registri della fattoria, miracolosamente scampati alla distruzione, risulta che una parte delle opere sopraricordate venivano pagate. Il Fattore Le grandi e medie fattorie erano amministrate da un uomo di fiducia del padrone: il fattore. L'agente di beni, comunemente detto "fattore", era nelle fattorie un ruolo amministrativo e al tempo stesso esecutivo del volere padronale. A svolgerlo erano chiamate persone competenti in materia e capaci amministrativamente, ai quali erano richieste doti di solerzia e inflessibilità nel controllo dei contadini. Generalmente erano persone preparate professionalmente nelle varie scuole agrarie, come quella delle Capezzine, oppure più semplicemente munite di un modesto titolo di studio, ma con una esperienza consolidata. La sua autorità era riconosciuta, rispettata e temuta. Si poneva subito al di sotto del padrone, quasi sempre assente, il quale gli lasciava completamente carta bianca nella gestione e sorveglianza di fattorie e poderi nei quali faceva il bello e cattivo tempo. Un segno di distinzione era la classica divisa formata da pantaloni di velluto e stivali che alcuni fattori portavano con alterigia. Si spostavano a cavallo, il mezzo tradizionale di ogni fattore. Molti di loro, per la loro riconosciuta istruzione, vennero chiamati a prestare la loro opera al servizio dello stato come presidenti di seggi elettorali e altri incarichi di concetto. La professione spesso si tramandava di padre in figlio e i fattori vivevano in una loro dimensione a metà fra il padrone e il contadino. Le loro relazioni sociali si riversavano verso le famiglie della piccola borghesia nelle quali spesso trovavano la compagna della loro vita, come poteva essere la figlia di un collega, di un sensale, la maestrina, la levatrice e persino la figlia di un possidente. Naturalmente esistevano casi di unioni con contadine. Il lato negativo della professione era rappresentato dal limite numerico della sua famiglia che non doveva mai eccedere le due, tre unità pena la perdita del posto a causa del timore dei padroni che una famiglia numerosa distogliesse l’uomo dalle sue responsabilità professionali oltre che il bisogno di sfamare troppe bocche tentasse il fattore. Quindi abbiamo quasi sempre fattori ammogliati con poca prole. In certe grandi fattorie era proibito lo sposarsi senza autorizzazione e chi contravveniva, come avvenne in un caso conosciuto, doveva lasciare la fattoria e cercare altrove.
Alcuni hanno sentito parlare di quando giungeva a Quercia, al piccolo trotto sul suo cavallo baio, il Porciani, temuto fattore del Castellare, che stava facendo una corte serrata a Isolina, la vedova di Lorenzo Mori, e da lui sposata nel luglio 1925. La fattoressa non si interessava degli affari del marito, ma gestiva la casa e il giardino con qualche giovane contadina a servizio. In alcune fattorie, specialmente negli ultimi tempi, si incaricarono sensali e contadini di svolgere la mansione di fattore come il Guarducci a Petroio e un colono alle Gallozzole. Nei poderi di Quercegrossa il fattore era presente a Petroio, a Pietralta della fattoria di Mucenni, Passeggeri, Castellare e Arginano, Molino e Casanuova, Macialla.
Certamente nella categoria dei fattori si potevano trovare delle eccezioni, e ai fattori-padroni si affiancavano personaggi dal volto più umano e comprensivo. Tra quest'ultimi si inquadrano due figure vissute a lungo nel nostro popolo ed entrambi ricordati per le loro virtù e capacità: Cesare Castagnini e Pietro Tacconi. Entrambi abitavano nelle loro case acquistate dai Ticci nel 1924. Cesare Castagnini è rammentato dalle vecchie generazioni per la sua mitezza di uomo pacato, paziente e perbene. Giunse giovane fattore a Macialla e morì a Quercegrossa il 18 luglio 1943. Tacconi Pietro è a noi più vicino nel tempo essendo deceduto nel 1956. Fattore dei Festa nei poderi di Montarioso, Mulino e Casanuova e poi di Macialla e di altri, la sua immagine è sempre vivida e ne faccio un breve ritratto in “Cose d’altri tempi”. Le righe seguenti spaziano nei ricordi dei contadini e contengono accenni alla diffusa voce che i fattori in qualche modo arrotondassero lo stipendio derubando padroni e contadini, o detto più civilmente, manomettessero i conti in modo da ricavarne un utile personale alterando fatture e ricevute o godendo di sconti, per esempio dal fabbro o dai commercianti, mancando di registrarli nei libri contabili. Una cosa è certa: le paghe non erano altissime e il padrone permetteva loro di ricevere donativi in natura dai contadini, e ritenersi una modesta parte di alcuni prodotti o, come in qualche caso, il fattore amministrava per più padroni. Di un certo tenore ed esplicativo di quanto detto è il racconto di una esperienza fatta da Bruno Sestini, contadino a Gaggiola, col suo fattore del Castellare: "C'è un fattore al Castellare e ci comunica che i semi sarebbero stati distribuiti il martedì e il giovedì. Un martedì parto col carro, vo’ al Castellare, mentre il mio fratello era a coltrare nel campo col trattore. Arrivo al Castellare e il fattore non c'è. Aspetto, aspetto, poi torno a casa. Tanto tempo perso. Poco dopo arriva il Brogi Beppe. "Il fattore è arrivato, vieni a prendere i semi". Ritorno alla fattoria e ce lo trovo. Ero infuriato e gli dissi qualcosa. Mi rispose: "O che sei te il mio padrone". "E te sei il garzone mio e del padrone" risposi, e s'attaccò una baruffa a base di spintoni e manate. Il chiasso richiama il figliolo del Bindi che ci divide. Dopo andarono a dire che ero un prepotente. Qualche giorno dopo mi chiama la signora Bindi e mi chiede come è andata. Gli spiego tutto e aggiungo: "Stia attenta signora che questo fattore ogni anno gli mangia un angolo della casa". Dopo tre mesi lo mandarono via, ma gli toccò dargli cinque milioni. "Avevi ragione mi disse la padrona". - "A Passeggeri negli anni 1958/59 c'era un fattore di Firenze, un certo Arnone, che “mangiava”: "Deve aver rubato tanto!". Prima di questo c'era il Calonaci; si vedeva solo quando si tribbiava perché si mangiava prosciutto e beveva". -Dai Nencioni: "Quando il fattore si fermava a mangiare veniva trattato bene con uova e altro, e a noi cresceva una rabbia". Maria Pistolesi: "A quei tempi bisognava farle le cose. Una volta pioveva, non potevi più seminare e il fattore con prepotenza al mi' babbo: "Devi seminare se no ti mando al confino". "Poco prima e durante la guerra avevano questo fattore che si vestiva come Mussolini e lo imitava". Quetole, fine Ottocento, Ilio Nencioni: "Una volta la massaia aveva preparato la polenta, ma arrivò il fattore. Tutti fuori col capello in mano e la polenta ghiacciava, e lui non se ne andava". - "Il Mosca fattore a Larginano, e poi il figlio Giorgio". Da Anna Masti: "Il fattore dei Casini era Emilio Panterani detto Milio. Abitava a Pietralta dove stava l'Auzzi. I conti si facevano allo scrittoio di Mucenni. Il fattore era "boncitto", si volevano bene col mi' zio e quando c'era un agnello in più un coscio era per il fattore". - "La nonna Palmira lavorava come un uomo e sapeva fare il formaggio a marzolino o forma. Una volta al mese veniva il fattore Tacconi con due panierini a ritirare la parte padronale. Uno poi lo portava alla fattoria e uno a casa sua. Chi era fattore qualcosa faceva, qualcosa gli si appiccicava alle mani". In casa del fattore Tacconi si precisa: "Erano i contadini che davano o portavano i prodotti alimentari a casa". Tra il fattore e i salariati delle grandi fattorie operava un ruolo di mezzo: il cosiddetto terzo uomo. Non pensate sia il titolo di qualche stravagante ruolo, ma semplicemente il "terzomo" era un capo operaio di fiducia, al quale il fattore si rivolgeva per dare ordini sui lavori e sulla loro esecuzione. Ma, a proposito del ruolo dei fattori andiamo a vedere come erano visti sei secoli fa, alla fine del Trecento e ci accorgiamo che i tempi non sono poi mutati di molto: “El fattore usi bona disciplina, guardi le feste, abstenga le mani da quello d’altri, el suo conserbi diligentemente ... sempre sobrio perchè il briaco si sottrae le cura de lo officio et insieme la memoria. Non sia innamorato, alla qual cosa se sarà dato, non può altro pensare”. Non posso non trascrivere un interessante testo scritto da un fattore o da un terzuomo della fattoria di Vignaglia come promemoria di osservazioni da farsi allo scrittoio al momento dei conti e del colloquio del padrone con i contadini e, a quanto sembra, di quest’ultimi non aveva una buona stima. E’ un testo senza data; potrebbe risalire al 1920-30, ma il suo contenuto non ha tempo rispecchiando situazioni rintracciabili in ogni epoca. Di particolare interesse l’analisi grammaticale. Appunti da rammentarsi ai contadini ai loro conti dal computista 1) Tutte le frutta che sono nei poderi il padrone non ne risente niente perchè va venduta a panierini e tutto portano a Siena per loro interesse ho pure andare male nei campi purchè il Padrone non ne risenta niente, in vecie al padrone bisogna fargli vedere tutte le entrate di alcuna piccolezza che si pole retrattare si vedono tutte le donne portare panierini di roba a Siena e nessun contadino a portato niente retaratto al padrone. Presempio i fichi in vece di vendergli ho lasciargli portare via al terzo e al quarto vanno seccati e poi divisi col padrone, ma in fino ad ora e andata così per portare via panierini di tutte le specie. Roba tengano la amico ci ho amico di e via discorrendo Tutti anno il suo ricovero in dove portare la roba 2) Non addoprare il coltro in dove sono piante 3) Zappare e vangare la terra in dove vi è di bisogno. E scegliere bene la Gramigna 4) Nella fattoria di Vignaglia non si ringrana eccettuato che un prato disfatto, e chi avrà da ripetere ripeta questo oggi alla presenza del Computista e de padrone. Ne pure portare a vendere fastelli di erba e Gramigna come fanno adesso che e tutta erba devono dare alle bestie, il contadino premuroso e industroso in vecie di vendila cerca di comprarla in fino che i contadini vendono la roba di foraggio ed altri generi da podere faranno sempre il disgraziato, e parimente il Padrone più disgraziato di loro 5) Se al saldo non venisse messo la feratura di bovi e dimezzo col padrone allora si darà il permesso di fare qualche vettura (viaggio) un qualvolta che vi saranno da ferare le bestie, perrò un qualche volta che fereranno i bovi porteranno un appunto della spesa delli feri messi dal feratore e fatto un appunto da lui medesimo della spesa di ciascuna ferata fa si dietro a codesta spesa verrà dato il permesso di fare qualche vettura ma alcuni intenderebbero campare col vetture in vecie di lavorare nel podere ma le bestie sono del padrone Dunque bisogna lavorare e far fruttare più che sia possibile il podere ed il bestiame e così ve ne troverete contenti ed il padrone prenderà sempre più affezione sopra di voiatri e parimente voiatri prenderete più affezione al vostro padrone perchè in fino ad ora vi è stato morti camorristi, ma non si alcolgano che fanno un danno per se istessi. Il guardia Il guardia, o guardiacaccia dei boschi, aveva il duplice compito di combattere il bracconaggio esterno, o anche interno dei contadini della fattoria, e l'abusivo taglio di piante e asportazione di legname. Infatti, oltre che sorvegliare i cacciatori di frodo, doveva vegliare perchè si praticavano numerosi sistemi di cattura meno appariscenti come trappole o il diavolaccio notturno, messi in atto un po' da tutti per procacciarsi di nascosto qualche lepre o volatile. Nei poderi di Passeggeri il Senatore proibiva assolutamente la detenzione di armi e cani da caccia. Al Cancelli, se voleva tornare a Poggiobenichi, gli toccò vendere entrambi. "Tanto c'è il guardia", gli disse il Senatore, "Ci pensa lui in caso di bisogno". Nell’uccellanda ci andava il Senatore con gli amici a tirare agli uccelli, quasi tutte le domeniche, alla stagione, e il guardia organizzava cacciate. Figure diverse intorno al mondo agricolo Intorno al mondo mezzadrile, che, come abbiamo visto era basato su ruoli ben definiti, ruotavano altre e diverse figure professionali, le quali fungevano da supporto nell'economia del podere e fornivano di beni e servizi la famiglia contadina. L'elenco di queste figure comprende poche, ma fondamentali voci, con le quali il contadino si rapportava giornalmente. Esse erano il sensale o mediatore; il bracciante agricolo o salariato dalle molteplici funzioni; il veterinario; il fabbro e il mugnaio. Queste categorie, che annoverano personaggi emblematici della professione, vengono trattate ampiamente nel capitolo “Cose d’altri tempi”. |