|
Altri prodotti Fieno La coltivazione di fieni di tipo diverso aveva come fine l'esclusivo uso di foraggio per le bestie. Essa rivestiva una grande importanza nell'economia del podere e impegnava seriamente il contadino. Una buona produzione poteva consentire, inoltre, l'allevamento di qualche bovino in più e di conseguenza avere maggiore letame per il campo. Le operazioni occorrenti dalla semina al raccolto erano del tutto simili a quelle del grano, variando soltanto la stagione di semina e il numero dei raccolti. Tra le varietà di fieni coltivati nei nostri campi si ricordano l'erba medica, il lupinello, il bolognino, il trifoglio. Si seminavano a spaglio a primavera, con l'eccezione del trifoglio a fine settembre. Alcuni di questi fieni erano ottimi allo stato fresco, altri seccati o dati bolliti "cotti" mischiati nel segato. Tagliato dunque il fieno con la grande falce fienaia, veniva lasciato sul campo ad asciugare un paio di giorni, poi con forchicchi di legno o di ferro era rovesciato e bastavano pochi giorni per asciugarlo. Alcuni usavano fare delle piccole manne e attaccarle agli ulivi o fili traversi per asciugarle. Era poi portato col carro nella capanna o veniva fatto un piccolo pagliaio ai margini dell'aia. La tribbiatura dei semini era l'ultima operazione. Giulio Carli: "Alle Gallozzole producevo fieno: lupinello ed erba medica. Il lupinello è una pianta di fieno e i semini di lupinello sono seminati a mano. Venivo a Quercia a macinare i semini e il granturco nel piazzale davanti allo stanzone". - "Il fieno veniva seminato sul terreno del grano verso marzo, aprile". - "Tagliato il fieno veniva fatto asciugare nei campi e messo in capanna oppure sistemato a pagliaio". - "Erba medica per le bestie serviva per fare il fieno". - "Le vecci seminate erano biada da buoi, fiori con pallini rossi”. - “Il terreno seminato a erba medica o bolognino non veniva riseminato a grano (rotazione)”. - “Il fieno, erba medica ecc. veniva seminato anche stando davanti ai bovi che trascinavano il coltro”. Granturco o Mais Altro alimento importante per l'alimentazione del contadino, il granturco veniva coltivato in tutti i poderi. Di origine americana si diffuse anch'esso nell'Ottocento. - "Il granturco si coglieva, si sfogliava, si facevano le trecce, poi con lo staio col ferro a traverso si schiccolavano". - "Il granturco veniva sfogliato la sera dopo cena nel chiostro o nella stalla e legato a mazzi e attaccato per seccare. Lavorato poi con lo staio e grattato. Macinato al mulino dava la farina gialla per la polenta o il pane di granturco". La sfogliatura era anche il momento di rinnovare il letto di camera scegliendo le foglie migliori; non tutti gli anni, ma spesso. Quando i Mori acquistarono la macchina del granturco i contadini cominciarono a tribbiarlo come il grano. Azionata dal trattore come la tribbia, con le spannocchie messe in una cassa metallica a terra dove passava il nastro che le portava dentro la macchina che le schiccolava e riempiva i sacchi. Foglie e torsoli fuoriuscivano con forza da un lungo tubo posto sul davanti della macchina, con i ragazzi pronti ad afferrarli al volo. Spesso tribbiavano sul piazzale davanti allo Stanzone, dove i contadini portavano i sacchi. Prima dell'avvento della macchina si usava una sgranatrice con una manovella azionata a mano che separava chicchi dai torzoli e nella quale la spannocchia vi veniva introdotta già sfogliata. Il girasole, altra pianta americana veniva piantato buttando qualche seme in qua e là nei campi di granturco, e si coltivava per foraggio, mentre i semi fornivano olio e mangime.
Cereali diversi Tra gli altri cereali che i contadini di Quercegrossa producevano si distinguono l'orzo e l'avena, o "vena", per completare l'alimentazione del bestiame. Le operazioni di semina, raccolta e mietitura erano praticamente identiche a quelle del grano. Erano somministrati a tutti i bovini e la vena era data anche ai coniglioli, mentre l'orzo per l'uomo era un sostituto del caffè: "C'era l'attrezzo per tostare l'orzo, il tostino. Si girava con il fuoco di brace sotto e mandava un profumo". "L'orzo si dava anche al cavallo". Entrambi erano considerati rinfrescanti e venivano somministrati anche bolliti. “Orzo due qualità: di birra e orzo da foraggio. Si trattava come il grano e veniva dato alle bestie”. Tra le altre varietà di cereali coltivate troviamo la spelta, tipo di avena, coltivata nel passato, la scandella, o orzo distico, e il miglio. Scarsissima e del tutto assente nei nostri poderi la coltivazione della segale, riservata a terreni montani. Legumi Insostituibile fonte di proteine vegetali nell’alimentazione dei contadini. Consumati freschi o essiccati, i legumi sono stati quindi una delle essenziali coltivazioni dei contadini. Prodotti dell'orto, ma coltivanti anche nei campi entrando nel ciclo del rinnovo della terra come le fave e i fagioli: "Prese intere erano seminate a fagioli e battuti con il correggiato nell'aia oppure con la cavalla". I maggiori legumi coltivati nei nostri poderi per l'alimentazione erano fagioli, fave, ceci, piselli e lenticchie. Si aggiungono a queste altre piante di leguminose coltivate a scopo di foraggio e farina per biade come le vecce, il lupino e, poco diffuse e piantate nei terreni più difficili, cicerchie e mochi. La procedura di seminagione, zappatura, raccolta e battitura era simile per tutte le leguminose e le varie operazioni fino alla battitura finale davano da fare al contadino. Non era difficile in tempi di carestia, perfino recenti durante la guerra, trovare il pane fatto di farina di fave. Sulla produzione di fave abbiamo alcuni dati del Settecento relativi ai poderi di Quercegrossa, Ticci, e Petroio di proprietà delle monache di S. Lorenzo. Si ricava che la produzione di questa leguminosa rivestiva un'importanza maggiore che ai nostri tempi. Nell'anno 1762 si raccolgono a Petroio 47 staia (ca. 10 q) di fave, con 8 st. di seme, e una quota per parte di 19 st. e mezza. Nel 1783 la raccolta nei due poderi è di 32 staia nel primo suddetto e 54 staia nel secondo. La resa è ottima, ed è molto migliore nel podere di Quercegrossa come d'altronde è per il frumento. In quell'anno, e limitatamente a Petroio, si raccolgono a mezzo anche 6 staia di lenticchie e 11 di cicerchie che tolto il seme per 6 staia rimangono 2 staia e mezza a testa. Fagioli e ceci coltivati probabilmente solo nell'orto che non rientra negli accordi di mezzadria. Nel podere Ticci si registra nel 1749 una raccolta di 16 staia di fave con 2 st. di seme. Nel 1718 sono raccolte 18 st. a Petroio e 9 a Quercegrossa. La resa delle fave era molto sensibile alla cattiva stagione e il raccolto era veramente misero, come quando in un podere delle monache, nel 1699, si ebbero 8 staia raccolte con 3 di seme, delle quali 3 conservate per il seme e due e mezzo di parte al contadino e alle monache. Patate Proveniente dall'America, questo tubero attese un paio di secoli prima di essere accettato dai contadini e diffondersi completamente nell'Ottocento. Entrò così nelle cucine dove se ne fece largo uso cucinandolo in tanti modi. Seminati i tuberi di patata nell'orto, o nel campo in una presa, si ricoprivano con la zappa e successivamente si rincalzavano, si governavano le piante, si medicavano e finalmente ad agosto, dopo la tribbiatura, si raccoglievano zappando, o con l'aratro manovrato in profondità nel solco delle patate per portarle allo scoperto. Barbabietole e rape Sia da zucchero sia da foraggio, la barbabietola veniva coltivata soprattutto per l'alimentazione dei maiali. Le rape, un altrettanto ottimo alimento per maiali; crude tagliate o cotte nei pastoni. Erano date anche ai coniglioli. Si seminavano d'agosto quando erano vicine le piogge e bastava smuovere un po' di terra. A settembre si tagliavano le foglie usate in cucina come verdura lessa. Zucche Giulia Carli: "Le zucche gialle piantate nei campi e poi portate al podere con il carro, venivano messe sotto la parata su delle mensole di tavola oppure anche sopra il tetto della capanna o del castro e venivano date ai maiali. I ragazzi le usavano per le morti secche a settembre per la festa della Madonna". Non c'era podere che non avesse lo "zuccaio", ossia un pezzo di terra in zona fresca sempre in prossimità dell'acqua dove si seminavano zucche, poponi e cocomeri. Le zucche si usava seminarle anche nelle prese insieme al granturco e a fine agosto raccolte e portate al podere. Dalla zucca, tagliata in due, si estraevano a mano i semi e il resto dato ai maiali. I semi seccati in forno, dopo cotto il pane, erano in di solito mangiati da tutti, ma spesso una parte erano venduti al treccolone. Alcune zucche gialle tagliate a fette finivano in cucina come fritto per la famiglia. Saggina, salci e canne La saggina, prodotto non alimentare, serviva per fare granate. "Granate di saggina e di scopi. Le prime erano usate in casa e le seconde nelle stalle e per gli esterni come l'aia e i castri ecc.". "La saggina era coltivata e piantata insieme al granturco; ogni tanti solchi se ne piantava uno di saggina”. "La granata veniva tenuta insieme dal salcio. Tagliato veniva tenuto ammollo nelle fonti, poi con apposita macchinetta sbucciato e tagliato lungitudinalmente e anche spianato da una parte col coltello. Poi con uno strumento tipo succhiello, ma diritto con asola o foro in cima, veniva passato in mezzo alla saggina e così come una cucitura teneva insieme il mazzo di saggina, tenuta stretta da una corda per lavorarla". I vinchi, o salci, erano rametti flessibili dei salci, o di altre piante, usati dai contadini in molteplici usi. "I vinchi si coglievano e si mondavano: servivano per fare ceste e panieri. I giunchi color verde e giallo da secchi, ce li comprava Geppolino a 20 lire il mazzetto nel dopoguerra. Il salcio serviva per legare le viti. Per cercare i vinchi si andava per il borro della Staggia su fino a Cavasonno". "I panieri se li costruivano con vinchi che prendevano nella vincaia: erano ceppatelli con rami lunghi tre metri. Si mettevano all'ombra poi con una specie di forbice si spellavano e veniva fatto il paniere che era venduto. Venivano tenuti in bagno prima di lavorarli perchè non seccassero". Le canne nascevano spontanee lungo i piccoli e grandi corsi d'acqua. Tagliate alla base erano appoggiate ritte in fasci ad una pianta perché asciugassero. Di tutte le misure e grandezze servivano principalmente per realizzare cannicci, sostegni nella vigna e nell'orto e per recintare. La legna Per il contadino nostrale l'uso del bosco era limitato alla raccolta o al taglio, sempre autorizzato, di ramaglie, macchie e scarti di tagli. Qualche fungo al suo tempo e le castagne. "Nell'autunno si andava a fare i fastelli al Palagio poi si portavano a casa a piedi anche le famiglie dei salariati". "Fastella di macchia per scaldare il forno: con le roncole in quei fondi e borri". "La scappiole e ramaglia nei boschi". "Ogni 5 anni si tagliava il bosco di scopi per evitare che inceppissero". Il Segato Operazione giornaliera per triturare fieno e paglia da darsi agli animali della stalla. Con l'introduzione del trinciaforaggi a mano, munito del grosso falcione, fare il segato divenne facile e meno faticoso e ancor di più con l'allacciamento elettrico in alcuni poderi a metà anni Trenta. "Il segato fatto con fieno e paglia veniva tagliato in abbondanza a Viareggio. La stanza del segato era piena, poi venivano messi dei sali per l'alimentazione delle bestie, veniva bagnato con acqua calda perchè troppo secco, e rigirato con i forconi e dato agli animali nella mangiatoia". "A Poggiobenichi avevano una ciuca che serviva per fare il segato. Girava intorno a un albero che attraverso un ingranaggio a puleggia faceva girare il falcione". "A Viareggio c'era la stanza del maneggio dove la ciuca girando intorno azionava il falcione del segato". Il fieno, scelto per le bestie della stalla. Dai Masti: "Il fieno a mano si girava con la ruota; il fieno era duro e due con una fune tiravano, aiutavano a girarla. Il segato si faceva la sera col fieno e paglia poi ci si metteva il pagliolo (la parte tenera della spiga), un paio di ceste, e si mischiava. La lolla era la buccia del chicco. La lolla, il pagliolo e il fieno, in capanna; la paglia per mescolare il fieno. A volte si faceva per tre quattro giorni e si facevano due monti di paglia e di fieno da una parte, poi si prendeva un mazzettino di quello e uno di questo". “Damino del Losi si levava alle 3.30 per governare i bovi, e dopo aver fatto il segato, si metteva a sedere nella sua pietra a fianco della porta della stalla". “All’Arginano il segato era esterno, nella capanna”. Frutta Sparsi nei campi, o piantati negli orti, gli alberi da frutto come meli, peri, susini, albicocchi, ciliegi e fichi garantivano alla loro stagione una ottima integrazione alimentare per le famiglie contadine. Ma alle piante “da frutta” non veniva concessa molta cura, né potatura dai contadini e di conseguenza si avevano prodotti scadenti. La produzione non era contemplata di norma nei patti agrari e al padrone si usava portare un panierino dei vari frutti. "Susini e susine in quantità; ci si ingrassava i maiali. Quando c'erano si portava un panierino ai padroni". La frutta veniva consumata generalmente fresca, e le mele venivano fatte maturare conservandole nei più svariati posti come il pagliaio, la capanna o a casa in cannicci. Agli animali, maiali e coniglioli venivano dati i frutti cascati dalla pianta o quelli un po' marci. Importante era la raccolta di fichi e susine con le quali si confezionavano marmellate conservate in "garaffe" di vetro. I fichi dottati messi a seccare a piccie con una noce andavano bene per le colazioni e come dessert con un vinsantino la domenica. La frutta secca che comprendeva mandorle e noci era a disposizione del contadino. Un noce si trovava sempre vicino casa e con lunghe canne e pertiche si battevano i rami per far cadere le noci ancora rivestite. Lasciate a seccare lentamente entravano nell'alimentazione invernale come secondo con pane o impiegate nella preparazione di dolci. La raccolta delle castagne si faceva, al suo tempo, nei boschi di Vagliagli e Montemaggio. Pur non costituendo una parte rilevante nell'alimentazione dei nostri contadini ne rappresentava però una delle tante integrazioni e la sua cerca era praticata da tutti per mangiarle poi lesse, dopo la bollitura in una pentola col finocchio, oppure arrosto castrate. "I contadini le mettevano da parte per l'inverno". "Nei boschi nessuno ti diceva niente, ma in alcuni non ci potevi andare perché la proprietà non voleva". Seccate, erano ridotte in farina e in molte zone costituivano una riserva alimentare di notevole consumo. Ortaggi La coltivazione dell'orto forniva i tipici prodotti conosciuti: pomodori, insalate, cavoli, patate, fagiolini, cipolle, aglio ecc. erano elementi importanti nell'alimentazione dei contadini. Ai prodotti più antichi come cavoli e legumi, che per secoli erano stati la parte fondamentale dell'alimentazione in campagna, si aggiunsero dall'Ottocento patate e pomodori. Portate da Colombo dall'America le piante di pomodoro finirono per essere considerate piante da ornamento prima di entrare negli usi alimentari degli europei. I pomodori coltivati negli orti di Quercegrossa davano un frutto rosso, tondo, non molto grande, consumato a merenda strofinato sul pane, usato in cucina e in pentola per i più svariati usi e altrettanto importante per fare le conserve. - "I Pallini avevano l'orto e i contadini lo zappavano". - "Si metteva la frasca e foco ai fagioli prima che si levasse il sole". Paglia Di notevole importanza la produzione della paglia per un podere. La paglia serviva per molti usi; il più importante era quello di lettiera per bestie: si metteva sul pavimento della stalla (appena pulito) dove gli animali potevano sdraiarsi. In piccole quantità andava nel segato. Veniva tagliata dal pagliaio utilizzando una lama ricurva a due manici. Dopo l’uso finiva nella concimaia con lo sterco degli animali. Lino, canapa, lana e filatura Tutto finì a metà anni Cinquanta del Novecento, ma fino ad allora le donne di casa avevano filato e cucito a mano biancheria e vestiario per i componenti della famiglia, con qualche pezzo di stoffa venduta ai treccoloni. Un’attività autosufficente che presupponeva la coltivazione della canapa, del lino e l’allevamento delle pecore per ottenere la lana. Questi prodotti adeguatamente trattati fornivano la materia prima per tessere. In casa Masti a Casagrande di Petroio: "S'aveva anche il telaio e si faceva la tela per i lenzuoli. Si faceva la lana e la stoppa (canapa). Il lino si seminava e poi si tagliava. Dopo seccato si metteva nell'acqua e si lasciava maciullare. Poi si metteva in forno e poi si maciullava di nuovo con una forcella si batteva sopra lo stocco e rimanevano i fili che si mettevano in mazzette e poi si filava i mazzetti e col fuso si girava e veniva il filo. Il riassunto di queste fasi di lavoro potrebbe far pensare che con poche mosse si arrivasse ad avere il "filo" pronto per cucire, ma in realtà alcuni tempi erano lunghi e impegnativi come la filatura che richiedevano arte e pazienza. Altrettanto si può dire del lavoro al telaio, laborioso e richiedente tante ore per ottenere le pezze di stoffa. - "I Buti all'Arginano avevano l'arcolaio e filavano la lana. Piantavano il lino e facevano lenzuola di lino. Alcuni filavano la canapa, anche i Buti". - "Non tutti i poderi erano dotati di telaio e in questi casi si ricorreva ai vicini". - "I Masti del Mulino l’avevano al Mulino e la zia Giangia andava a lavorare e a fare la tela". - "Noi donne, d'inverno si filava la stoffa per fare giubbini e calze. Poi telaio a mano per tovaglie e lenzuola". La fibra della canapa era più grossa di quella del lino. "La maciulla per la canapa: lenzuoli e salviette dure". "Filatura: arcolaio e canocchia". Giulia Carli: "Il Lino lo coltivavano in un campo bellino, tutto celeste. Si sbarbava a mazzettini poi lo battevano per togliere i semi. C'era una fonte del Bianciardi a Poggiagrilli; pulivano la fonte e ben due carri riempivano la fonte di lino e la coprivano con tavole. Il lino macerava, lo portavano a casa e si metteva in forno poi si maciullava e veniva come una lana a filini fini. C'era il telaio al Paradiso di Petroio, l'usava la nonna Argia. Filava cotone, stoppe e canapa. Telaio con la spola e i pedali che si chiamavano "calcole". Faceva lenzuoli e tovaglie. Il seme di lino veniva venduto inoltre ci si facevano impacchi e acqua di lino". Dina Carli: "La stoffa si faceva al telaio di lana o di cotone: vestiti e camicie degli uomini e da donna poco prima della guerra, poi il telaio cessa di lavorare". Giulio Carli: "A ordire la tela andavano a Pietralta. Facevano di tutto: camicie, pantaloni. Il telaio era stato montato da Giovanni Carli che l'aveva costruito. I Licci per fare la tela più grande o più piccola. Seminavano il lino che veniva messo a macerare in acqua, in mazzetti. Poi veniva messo ad asciugare; d'inverno veniva asciugato nel forno. Poi con la maciulla si faceva la stoppa. Poi con le rocche (che costruiva il mio babbo) la trituravano e poi con il telaio e la spoletta a mesi interi". Palazzi: "Le donne facevano gli asciugamani di lino e canapa e da quanto erano ruvidi ti scorticavano. Lo zio Dino andava la domenica al fiume con due salviette per asciugarsi". Le donne dei Cancelli a Poggiobenichi: "Si seminava la canapa che dava piante alte 2/2,50 metri. Veniva poi raccolta in mazzetti piccoli e tribbiata per il seme. Poi seccata e a macero per 8 giorni si asciugava, poi in forno a seccare, poi macellata con l'apposita macchina si aveva la stoppa che veniva filata a mano o con il fuso e infine tessuta col grande telaio che avevano a Poggiobenichi, ormai distrutto". - “Le lenzuola fatte anche con misto cotone canapa”. Maria Pistolesi: "Avevano il telaio facevano tutto. Anche i materassi che faceva la mia mamma e la zia Narcisa i coltroni". La stoffa lavorata al telaio, alquanto grezza, serve per lenzuola, tovaglie e abiti, ma per i vestiti della festa si preferisce ricorrere alle stoffe più fini dei treccoloni e delle botteghe; questo è il motivo di un forte regresso nella coltivazione della canapa e del lino, anche se in molte famiglie si continua a preparare in casa il corredo delle figliole comprendente lenzuola, federe, asciugamani, tovaglie e tovaglioli. Stazzoni: “La lana veniva filata dalle donne e venivano confezionati calze e camicioli che sono stati portati fino a tardi”. - “Mentre il lino è prodotto da telaio le donne confezionavano indumenti come calze e camicioli usando lana e stoppa, filata con i ferri da calza sfruttando per questo lavoro ogni momento libero della giornata e nella veglia”. - "Memma faceva la calza: un camiciolo per un pane". La coltivazione del lino richiedeva un terreno buono, vangato in profondità poi erpice, zappa e semina a spaglio in primavera con successiva concimazione delle piantine. La metà del lino e della canapa andava alla fattoria ed in passato il lino è stato oggetto di decime alle parrocchie. Parte della canapa serviva in certe fattorie per far fabbricare da esperti cordari, cordami, robuste balle e sacchi. |