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CAPITOLO IX - MEZZADRIA

La famiglia contadina
La forza lavoro nel sistema mezzadrile era costituita dalla famiglia del colono, che vedeva tutti i sui componenti, comprese le donne e i ragazzi, impegnati nella produzione. Era formata generalmente da più nuclei familiari che convivevano sotto lo stesso tetto, in stretta parentela fra di loro, ciascuno composto da padre, madre e figli. Essa era obbligata dai contratti a mantenere costante la propria forza lavoro, pena la disdetta. Ogni podere aveva la sua famiglia e rarissimi sono i casi di convivenza tra due famiglie non apparentate: poderi grandi richiedevano tante braccia e viceversa. Le modifiche causate da eventi naturali come nascite e morti, i matrimoni o il prevalere di un sesso sull'altro o l'invecchiamento, tendevano ad alterare il rapporto braccia-lavoro e questo aveva sempre delle conseguenze per la famiglia: con troppi componenti doveva dividersi perdendo uno dei nuclei, o cambiare podere, mentre, al contrario, abbandonarlo quando fosse risultata insufficiente a far fronte alle sue esigenze. Tutta la storia della Mezzadria ci parla di innumerevoli traslochi fatti caricando i pochi arredi sopra il carro agricolo. La permanenza media di una famiglia in un podere variava secondo la qualità di questi, perché, logicamente, in un buon podere si tendeva a rimanere. Alcune famiglie erano costrette ad una grande mobilità, altre stanziavano a lungo prima di cambiare. La partenza dal podere spesso avveniva anche per altri motivi che potevano dipendere dai cattivi rapporti col padrone che dava la "disdetta", ma soprattutto, nella maggioranza dei casi, era motivata dalla ricerca di un podere migliore. Anche le divisioni familiari andavano al di là dell'aumentata consistenza familiare, potendo maturare in un clima di litigiosità tra i vari nuclei. Inutile aggiungere che vi erano famiglie buone dal punto di vista della capacità produttiva e altre, diciamo, meno efficienti. Per far fronte ai lavori agricoli o di casa alcune famiglie ricorrevano a garzoni, fantine o lavoranti occasionali che consentivano il completo disbrigo dei lavori e delle faccende.

La famiglia contadina dei Salvini di Monteraponi (Radda) fatta schierare dalla padrona per una foto documentaria. E’ la famiglia di Vittorio Salvini che si imparenterà con i Masti del Mulino e tornerà a Quercegrossa. Presenta 11 componenti di tutte le età che vanno dal nonno al piccolo nipote: un tipico nucleo mezzadrile.

Le donne quando si sposavano lasciavano la famiglia e seguivano il marito. Al contrario, la nuova nuora entrava e prendeva possesso della sua camera matrimoniale. Il contadino sposava quasi sempre una contadina in quanto era difficile adattare ai duri lavori una giovane donna non abituata. La custodia dei figli era affidata alla massaia e alle nonne, quando la mamma lavorava nei campi.
La complessa vita della famiglia, spesso superiore alle dieci persone, era regolata da una figura classica della Mezzadria: il capoccio. Niente si moveva in famiglia senza la sua autorizzazione.
Il capoccio
Nel processo di formazione della Mezzadria emerse subito la figura del capoccio come punto di riferimento per i padroni e strumento di ordine e di equilibrio all'interno della famiglia. Egli, nel suo pieno potere, era il rappresentante legale della famiglia: lui aveva rapporti con il padrone; lui firmava i contratti; lui faceva i conti con il fattore; lui decideva la distribuzione del lavoro; lui decideva chi e quando doveva sposarsi in famiglia o dove andare a veglia la sera; lui andava ai mercati; lui teneva la cassa di casa e spendeva quando lo decideva. Era un ruolo di potere, ma nello stesso tempo delicato, da svolgere con diplomazia per non urtare i componenti della famiglia facendo sorgere gelosie, magari privilegiando il proprio nucleo. Proprio per questo spesso il capoccio era un fratello celibe, quando il fratello maggiore era sposato. Ci sono casi nei quali il capoccio era l'uomo più capace della famiglia, il più adatto al ruolo, un ruolo rispettato da tutti i componenti e quando ciò non fosse stato, al dissidente non rimaneva altro da fare che lasciare la famiglia. La scelta del capoccio aveva dunque una sua logica, applicata per garantire la pacifica convivenza tra i tanti nuclei; con i rinnovi generazionali spesso si ritrovavano a vivere sotto lo stesso tetto persone imparentate "alla lontana".
Lorio: "La mattina ognuno faceva il suo, poi alle otto colazione e allora il capoccio dava disposizioni per quello che c'era da fare.. tu vai a coltrare, te a ...ecc.".
- “I Fabiani erano tutti analfabeti, escluso il capoccio”.
- "Il capoccio era un dittatore: andava a Siena al mercato, ci mangiava, e faceva come gli pare".
“In alcune famiglie era il capoccio che tagliava per primo il pane e poi raccattava in una mano le briciole prodotte e le mangiava”.

La massaia
Accanto al capoccio si muoveva la massaia, di solito la moglie, ma poteva essere anche una cognata.
A lei spettava, in piena autonomia, la conduzione della casa e del pollaio e non doveva render conto a nessuno. Organizzava la cuocitura del pane, il lavaggio dei panni e controllava tutti i lavori di casa in particolare l'alimentazione della famiglia. Era l'unica donna a non lavorare nei campi e da lei dipendevano le figlie e le nuore che dovevano eseguire i suoi comandi ed aiutarla nel fare conserve, nel preparare il formaggio e nel filare. Trattava della vendita del pollame e delle uova e pensava a rifornire il guardaroba. "In casa Carli era massaia Argia moglie di Giovanni, mentre Sestilia moglie del capoccio di Luigi non era la massaia, era sempre malata". La situazione descritta non è un'eccezione perché nelle famiglie contadine si ritrovano tanti casi dove la massaia è una cognata e non la moglie del capoccio per evidenti motivi di equilibrio nei rapporti tra i vari fratelli che vivevano in famiglia.
Il bifolco
Il bifolco era lo specializzato della famiglia. Il suo settore era la stalla e le bestie da lavoro che lui doveva custodire, governare, ripulire aggiogare per i lavori. Data l’importanza delle bestie come forza lavoro nell'economia del podere, grande era la sua responsabilità, in parte condivisa col capoccio con il quale si consultava nella compravendita del bestiame ecc. La sua giornata iniziava presto con la scelta delle erbe e la preparazione del segato come foraggio per le bestie. Puliva la stalla due volte al giorno e rifaceva i letti agli animali con la paglia, che intrisa poi di escrementi e urina sarebbe diventata letame per i campi. Conduceva le giovenche alle monte e addomesticava i vitelli per abituarli al giogo. Guidava i buoi e le vacche durante il lavoro. Scelto fin da piccino a svolgere questo ruolo, il bifolco maturava una grande esperienza nella conoscenza degli animali e delle loro malattie o infortuni che curava anche con gli antichi rimedi. Inoltre assisteva il veterinario nei parti.
Guardiani e garzoni
Portare maiali, pecore e grosso pollame al pascolo era compito dei ragazzi, avviati fin dai 5/6 anni a questa mansione. La svolgevano fino a 14 anni circa, quando cominciavano a prendere la zappa o la falce in mano e aiutare nei campi divenendo braccia utili e non più bocche da sfamare.
“Il Festa arriva alla Casanuova e dava la via ai maiali e poi saliva in casa: "Che si possono vedere quelle bestie sempre chiuse, mentre i ragazzi stanno al caldo. Toccava recuperare i maiali un po' dappertutto".
A questa compito di guardiania erano addetti anche i piccoli garzoni, una tipica figura di lavoratore presente in tutta la storia della Mezzadria. Questo lavoratore veniva a integrare le famiglie in difetto di mano d'opera, divenendo così elemento indispensabile. Molti contadini s’avvalevano di garzoni adulti per i diversi lavori. Il garzone o anche la garzona detta fantina provenivano di solito da famiglie di salariati, i quali affidavano i loro figli ai contadini per qualche anno, oppure erano orfani dell'ospedale di Siena, rallevati fin da piccoli. Alcuni degli esposti rimanevano fino all'età adulta nelle famiglie dalle quali si separavano generalmente col matrimonio.
Leda Sanleolini. “Per il podere veniva ad aiutare anche Geppino di Losi e un certo Palle di Siena, del Montone, che aveva fatto tutte le fosse per le viti. Continuò a venire anche da vecchio e dormiva da noi... fra tutti si tirava avanti” (vedi “Garzoni” in Cose d’altri tempi”).



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