Quercegrossa (Ricordi e memorie)

CAPITOLO V - MINIERE
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  Introduzione
  Miniere di Lilliano (Storia)
   Miniere a Quercegrossa
  Il complesso minerario di Lilliano
  Minatori
  La Cooperativa minatori



La Cooperativa

In questo sottocapitolo della storia mineraria di Quercegrossa descrivo l'ultimo atto dell'attività estrattiva. Ultimo atto che vede protagonisti un manipolo di minatori, la cui tenacia nel mantenersi un'occupazione, uno stipendio, meritava una sorte migliore. Nel far ciò fondo il contenuto di documenti ufficiali con la sempre preziosa memoria operaia.

La crisi ormai irreversibile del settore e l'esaurimento con conseguente chiusura delle Bocche 6 e 8 portò al disimpegno del Serafin e numerosi operai si ritrovarono di punto in bianco disoccupati. Riprendendo dall'assemblea con l'ing. Novaria nella quale viene comunicato agli operai la cessazione dell'attività estrattiva, sappiamo che questa risoluzione lasciò gli operai perplessi sul loro futuro. Allora, in quei momenti di sbandamento e di discussioni fu giocata l'unica carta possibile dagli ultimi irriducibili: la costituzione di una Cooperativa di Minatori. Nacque così in quel 1958 la "Cooperativa Minatori Operai Lilliano - Campalli". La sfiducia verso una possibilità di sopravvivenza era generale e solo dodici operai vi presero immediatamente parte. Aderirono Nello e Piero Rossi, il Corti, il Cortigiani, Nilo di Staggia, lo Zambri, Caccetti Gilberto di Lilliano, il Baldini detto “il gatto di Tregole”, Gino Travagli, Scoiolo e Angiolo Carletti.
Successivamente, molti ci ripensarono e parteciparono all'iniziativa. Infatti, un mese dopo, l'8 luglio 1958, oltre 30 operai si ritrovano in assemblea nel Circolo Enal di Quercegrossa e, con atto notarile dell'Avv. Ermino Campanini, Notaio in Asciano, davanti ai testimoni Papi Domenico, macellaio, nato a Castelnuovo nel 1909, e Mori Orlando di Castellina, impiegato, del 1924, danno vita alla “Società Cooperativa Minatori Operai - Lilliano Campalli” a responsabilità limitata con sede a Castellina Scalo. Le quote sono fissate in 1000 lire l’una e i comparenti sottoscrivono subito una quota ciascuno ed essendo 33 si parte con un capitale sociale iniziale di lire 33.000.
Erano presenti i soci (sono 32 gli elencati)
Cortigiani Nilo, di Poggibonsi, del 1925, autista
Panti Azelio, di Castellina in Chianti, del 1925, operaio
Rossi Nello, di Quercegrossa, del 1924, minatore
Caccetti Gilberto, di Castellina in Ch., nato a Firenze, del 1911, minatore
Solventi Quirino, di Castellina in Ch., nato a Siena, del 1911, minatore
Brogi Renato, di Castellina in Ch., nato a Gaiole, del 1914, minatore
Carletti Angelo di Quercegrossa, del 1902, minatore
Fabbrini Adamo, di Quercegrossa, nato a Siena, del 1911, minatore
Volpini Vasco, di Quercegrossa, del 1911, minatore
Ristori Ennio, di Poggibonsi, del 1926, operaio
Caselli Amerigo di Castelnuovo B.ga, di Castel Focognano (AR), del 1920, operaio
Picchioni Loris, di Poggibonsi, nato a Cavriglia, del 1918, operaio
Neri Sabatino di Castellina in Ch., nato a Radda, del 1918, operaio
Fiaschi Valentino di Castellina in Ch., del 1912, minatore
Ricceri Pilade, di Castellina in Ch., del 1923, operaio
Zambli Danilo, di Castelnuovo B.ga, nato a Colle Val d'Elsa, del 1920, operaio
Salvini Alfredo, di S. Leonino, del 1914, minatore
Giachini Giuseppe di Quercegrossa, nato a Radda, del 1901, minatore
Vitti Vito, di Monteriggioni, nato a Monticiano, del 1910, minatore
Carlino Calogero, di Castellina in Ch., nato ad Agrigento, del 1922, operaio
Licata Salvatore, di Castellina in Ch., nato ad Aragona, del 1897, operaio
Mazzone Angelo, di Castellina in Ch., nato a Benevento, del 1925, operaio
Rossi Piero, di Quercegrossa, del 1927, minatore
Burroni Rino, di Castellina in Ch., del 1932, minatore
Del Mastio Dino, di Castellina in Ch., nato a Barberino d'Elsa, del 1913, minatore
Bucciarelli Gino, di Castellina in Ch., del 1909, minatore
Guidi Valentino di Castelnuovo B.ga, nato a Volterra, del 1911, operaio
Borghi Nello di Castellina in Ch., nato a Radda, del 1923, operaio
Travagli Gino di Quercegrossa, nato a Colle Val d'Elsa, del 1904, minatore
Corti Cesare, di Vagliagli, nato a Barberino Val d'Elsa, del 1907, minatore
Porciatti Guido, di Vagliagli, del 1905, minatore
Meiarini Pietro di Castellina in Ch., nato a Murlo, del 1905, minatore

Dopo l'approvazione dello statuto venne eletto il consiglio direttivo e il presidente fu Cortigiani Nilo; Vice Presidente Panti Azelio. Il Cortigiani fu il primo e l'unico presidente della Cooperativa.
Si intavolarono le trattative con la vecchia Società per il passaggio della gestione, e attivate le procedure con lo Stato per i permessi delle concessione relative: istanza presentata il 30 agosto 1958.

In attesa di ricevere la concessione da Roma, perorata anche da Grosseto, i minatori avevano continuato in proprio l'attività di scavo e di commercio: a fine anno 1958 producevano mensilmente circa 200 t di lignite, venduta al prezzo medio di L. 3.500 la tonnellata con un massimo di 5.500 lire per la grossa pezzatura. Tale prezzo lascia un certo margine di guadagno alla Cooperativa.

Guerra_1 Essendo le principali bocche in via di esaurimento, la Cooperativa scelse di estrarre lignite dalla nuova cava di Pian dei Meli, situata tra il lago di Quornia e Lilliano, nel piano sotto la strada che conduce a Castellina in Chianti. Una bocca con un piano inclinato, un silos, una pesa e un modesto magazzino per depositarvi provvisoriamente i pezzi più grandi della lignite estratta; niente a che vedere con le grandi strutture di Monteo e Bocca 8. La lignite più trita era messa nel silos che a caduta libera riempiva gli autotreni diretti a Brescia. I pezzi più grossi immagazzinati, chiamati "pezzatura", venivano ripuliti dalla terra con l'accettino e caricati poi a mano. La lignite migliore e più costosa era riservata ai fornai. Per la parte tecnica assunsero un giovane ingegnere proveniente dalle miniere di Bossi e iniziarono una produzione molto ridotta ma che consentì loro di farsi uno stipendio. Riassumendo, la lignite estratta veniva pesata, caricata sui camion e avviata ai clienti o alla stazione. Rifornivano tutti i fornai delle principali cittadine, città come Siena e Firenze e persino un compratore di Brescia che si serviva della lignite per alimentare fornaci. Questo permise alla Cooperativa di sopravvivere per diversi anni. A un certo punto presero anche le fornaci del Pometti a Mucenni, cominciarono a far calce con l'antico metodo di cuocere i sassi per poi venderla. Vi lavorarono prevalentemente il Corti e lo Zambri che tra l'altro andavano anche nei boschi a far fastella per alimentare la fornace. Tutto sommato la scelta fatta della Cooperativa si rivelò indovinata: di fatto li ripagava. Erano partiti in dodici e si ritrovarono in venticinque soci, e inoltre assumevano operai per brevi periodi.

Intanto tra i minatori ci sono molte rinunce. In una successiva assemblea i soci decidono di finanziarsi lasciando ognuno la propria liquidazione e probabilmente impegnarsi con altro denaro non essendo il capitale versato sufficiente a fronteggiare le prime spese e l'acquisto della miniera. Questo portò molti ad abbandonare la Cooperativa. In una relazione di fine 1958, infatti, risultano soltanto 17 operai che lavorano al Pian dei Meli.

Dal Distretto Minerario di Grosseto, in data 10 settembre 1958, l'ing. Capo Rolando Bonazza comunicava che la Cooperativa era tenuta al pagamento annuo di lire 200 per ogni ettaro per un totale di 68.600 lire, per i 343 ettari della concessione nonchè al diritto fisso di lire 25.000.
L'ing. Novaria si dichiarava favorevole al passaggio della concessione trattandosi di terreno sicuro e senza grisù, e finiva con una nota di carattere sociale reputando la continuità del lavoro minerario "indispensabile per questa zona del Chianti depressa e senza occupazione".
Gli operai sono aiutati dalle autorità locali e provinciali e dalla stessa Società che richiede solo un modico pagamento dilazionato di lire 500.000 che tra l'altro riscosse in breve tempo.
Il 14 settembre 1959 arrivava comunicazione dell'avvenuto passaggio della concessione alla Cooperativa Operai - Minatori. Mesi prima, il 30 maggio 1959, l'assemblea degli azionisti della Società Anonima Ligniti e Derivati aveva deliberato lo scioglimento della Società stessa e l'autorizzazione del passaggio delle licenze alla Cooperativa.
Il 15 dicembre 1959, infine, ci fu il passaggio ufficiale della concessione alla Cooperativa "Lilliano Campalli" per la somma di L. 2.700.000 e per la quale il Serafin dichiarò essere già pagato. Alla Cooperativa passò anche tutto il materiale esterno e interno: vagonetti, cavi, silos, e materiale diverso.
Nella relazione del dicembre 1959, fatta dall’ing. Novaria, sappiamo che al Pian dei Meli lavorano 18 operai per una produzione di 200 t di lignite al mese. Si lavora in gallerie larghe 2 m e alte altrettanto.
Nel 1960 entra in vigore la nuova legge di Polizia mineraria che regolamenta l'uso degli esplosivi. La preparazione delle cartucce va sempre fatta con le solite cartucce di Dinamon fornite dalla direzione. L'operaio Brogi Renato provvede ai prelievi e alla distribuzione per il consumo giornaliero. Gli incaricati per il carico e il brillamento sono: Brogi Renato, Burroni Rino, Caccetti Gilberto, Carletti Angelo, Corti Cesare, Fiaschi Valente, Fabbrini Adamo, Guidi Valente, Rossi Nello, Solventi Quirino e Vitti Vito.
La produzione continua costante nell'anno 1961: 14 minatori riescono a cavare mensilmente 200 t di lignite. Ma il banco va esaurendosi e si cercano nuove soluzioni per dare continuità al lavoro. Per i soli sondaggi al Pian dei Meli la Cooperativa spende 3 milioni di lire. Si sonda nella vecchia Concessione Topina, ma con scarso esito. Si tentano inutilmente anche sondaggi in località Montespertoli e si prende perfino in considerazione la riapertura della Bocca 8, ma ciò è sconsigliato dai tecnici: "Lo scrivente la ritiene piuttosto aleatoria sia dal punto di vista economico che da quello della sicurezza degli operai. Per raggiungere il giacimento posto a 120 metri dalla superficie occorrerebbe scavare due lunghe vie con pericoli vari ecc. Operazione che sarebbe anche poco remunerativa con gli attuali prezzi di vendita della lignite".

Ma passati alcuni anni, "...il Pian dei Meli era esaurito... e lì si finì".

Miniera di Cogna
Infatti, nel mese di luglio 1962 si abbandona la miniera del Pian dei Meli e l'attività della Cooperativa, continuata con grossi sacrifici economici personali dei soci, si sposta nella zona di Cogna (Le Cogne) dove, dalla fine del 1961, si scava una discenderia che ora raggiunge i 160 metri con pendenza del 70%, per raggiungere il banco scoperto dai sondaggi: un banco alto 1,5 metri profondo 25/30 metri e lungo 150 metri. Nella discenderia ogni 20 metri al massimo si aprono nicchie di ricovero alternate, una a destra e una a sinistra.
Le gallerie raggiungono uno sviluppo di 300 metri con buona qualità di lignite più si avanza. Il lavoro viene svolto con vagoncini decauville tirati da un argano con motore della potenza di 30 CV circa. La "eduzione" delle acque dall'interno è assicurata da due pompe della potenza complessiva di 20 CV. All'esterno si realizzano capannoni per lo stoccaggio della lignite di 600 mq. e con una capacità di stock di 500 tonnellate ed è previsto un ampliamento fino a 1000 mq. Vi sono altri locali e capannoni; l'impianto di vagliatura e un piazzale per le manovre degli autotreni. Si lavora alacremente ma in una lettera del 6 ottobre 1962 l'Ispettore Capo G. Bonazza denuncia che i lavori nella nuova miniera detta Le Cogne "si svolgono in modo scarsamente razionale e tecnico".

Nel programma per l'anno 1963 è prevista l'escavazione di 700-800 metri di gallerie e di una nuova discenderia per il riflusso dell'aria e seconda via di sicurezza per il personale: via di ingresso e scampo per il personale, fino allora non più di 10 operai; le gallerie a fondo cieco non più lunghe di 30 metri. La produzione tra le 2400-3200 t annue. La manodopera non supererà le 16 unita: 10 interne 6 esterne. Lavoro in un unico turno. Un rapporto del 26 aprile 1963 fornisce dati sul personale composto di 11 unità: 3 all'esterno e 8 in miniera. La produzione si aggira sulle 8/9 t al giorno. I prezzi di vendita della lignite sono i seguenti: pezzatura minuta 2000 lire alla tonnellata; troccolo 2800; pezzatura media 4300; pezzatura grossa 5300.

Ma tutti i buoni propositi e le speranze di mantenersi il lavoro vengono meno. Il giacimento Cogne va ora velocemente esaurendosi e la lignite estratta è di qualità scadente, frammista ad argilla. Inoltre, e questo è un colpo mortale, una parte dei clienti abituali non hanno intenzione di rinnovare i contratti di acquisto presso la Cooperativa, data la presenza sul mercato di ligniti esteri migliori e più a buon mercato.

Così si ricordano quei giorni:"A Cogna sarebbero stati necessari notevoli investimenti per attrezzature, per continuare la ricerca di nuovi banchi e soprattutto per muoversi in un mercato sempre più difficile e concorrenziale. Tutto ciò fu preso in considerazione e si programmò l'apertura di un nuovo piano inclinato ai "Tignitoi" vicino Lornano, che prometteva bene. Ma l'eccessiva spesa per realizzare le infrastrutture, i capitali negati da tutti gli enti interpellati e soprattutto la difficile congiuntura che si era creata per la diffusione dell'uso del gasolio da parte dei fornai, clienti che costituivano la maggior fonte di guadagno e che quindi furono persi, rappresentarono fattori negativi che portarono allo scioglimento della Società". Gli ultimi minatori si riciclarono operai del mobile, nel commercio al minuto, braccianti a tempo perso e alcuni se n'andarono in pensione".

L'esito fu scontato e il 4 giugno 1963 la Cooperativa, attraverso il presidente Cortigiani, chiedeva di rinunciare alla concessione. Seguiva la lettera del 24 giugno 1963 al Sindaco di Castellina in Chianti da parte dell'Ispettore Generale G. Bonazza, da pubblicare come prevedeva la legge “Istanza di denuncia della Concessione Mineraria "Lilliano - Campalli" in territorio del Comune di Castellina.
Il 13 luglio il Centro minerario inviava da Grosseto i tecnici per l'opportuna verifica della chiusa della Bocca "Cogna". L'ing. Francesco Albani e il geom. Ettore Cancellotti accompagnati dal presidente della Cooperativa Nilo Cortigiani e dai testimoni Lazzeri Alighiero e Lazzeri Mario di Castellina Scalo trovarono l'imbocco della discenderia della miniera completamente ostruito da una frana provocata, che interessava i primi 20 metri. Infatti, a circa 20 metri dal piano di campagna era stato creato un solido sbarramento, e riempito di materiale terroso accumulato nel piazzale del cantiere. L'argano e i modesti impianti esterni di vagliatura e trasporto erano stati smontati e alienati dalla Cooperativa. Gli ufficiali delle miniere ritennero, quindi, di non ordinare nessun provvedimento di sicurezza. "Si è così potuta restituire all'agricoltura l'area di terreno occupata".
Come prevedeva la legge il piano inclinato della Bocca venne sigillato. Gli ultimi minatori vi riversarono tonnellate di terra che riempirono cinquanta metri del piano inclinato; furono smontate le attrezzature e tutto tornò come prima. Fu l'ultimo atto. Poi il sipario si chiuse e il silenzio cadde su un secolo di sudore e sangue.
Come ultima nota, nel marzo 1965, veniva comunicato all'Intendenza di Finanza, dall'ispettore Bonazza di Grosseto, che non vi era più nelle miniere dette di Lilliano consistenza di beni patrimoniali demaniali essendo cessata ogni attività estrattiva.





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