Quercegrossa (Ricordi e memorie)
CAPITOLO V - MINIERE
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Introduzione
Le Miniere di Lilliano
Miniere a Quercegrossa
La miniera
Minatori
La Cooperativa minatori
La miniera
Affrontata la parte introduttiva economica, manageriale e logistica della produzione, entriamo nel vivo della miniera cercando di coglierne tutte le sue caratteristiche funzionali per ricondurle poi a quell'aspetto molto più interessante che concerne il lavoro dell'uomo, del minatore. I piani inclinati o “discenderie” con le “dirette” ossia le gallerie di scavo e i pozzi di raccolta (con esclusione degli impianti esterni) costituivano la miniera vera e propria. Mentre sopra, all'aperto, si procedeva nelle varie fasi di cernita e spedizione del materiale, là sotto si snodavano, a vari livelli e in modo tentacolare, decine e decine di gallerie e cunicoli dove si muovevano in modo intelligente, come formiche operaie, i minatori intenti a sbriciolare a picconate i banchi della non troppo fragile lignite e avviarla all'aperto. Queste gallerie si allungavano a raggiera dai vari livelli del piano inclinato verso i banchi da abbattere e raggiungevano lunghezze anche di duecento metri. Ora, per una miglior comprensione della struttura interna della miniera e dei mezzi e attrezzature usate per lo scavo e il trasporto della lignite, si tratterà di essi in modo particolareggiato, voce per voce.
La Bocca
Si accedeva alla miniera da un antro oscuro detta "Bocca" dove la pendenza si faceva subito sentire e dove il binario, lucente per l'uso, vi si immetteva deciso insieme a fili, cavi e tubi di ogni tipo; il tutto era sormontato, protetto e sorretto da travi e pali di legno. La bocca misurava 3 metri per 2,50 e da qui entravano e uscivano i minatori che a piedi percorrevano il piano inclinato su una scala gradinata laterale scavata nella terra per tutta la sua lunghezza.
Il Piano inclinato
Così era chiamata la prima galleria di ingresso alla miniera vera e propria. Era detta anche "discenderia". Di larghezza poco maggiore delle dirette, circa 2 metri e mezzo, era in forte pendenza e alla sua fine si trovava l'area di manovra dei carrelli detta “l’aggangio”. Fin dall'ingresso erano posti ogni 50 centimetri grossi pali di sostegno di pino o castagno, legni che più si prestavano a questo bisogno. Così era anche nelle gallerie, ma dove c'era più solidità ne mettevano uno ogni metro. Questo era il lavoro degli ”armatori” tra i quali si ricorda Beppe Giachini. All’interno della miniera poi si rendeva spesso necessario realizzare volte a mattoni e altre opere murarie per tutelarsi maggiormente dalle frane. Questo era il compito del muratore Corrado Castagnini nel periodo in cui lavorò fisso alla miniera. Il piano inclinato costruito a ridosso di un banco di lignite ne seguiva pressappoco la pendenza. A Monteo era al 75% con 220 metri di lunghezza da cui a vari livelli si diramavano le dirette. Alla Bocca 6 raggiungeva la lunghezza di 160 metri. Alla Bocca 8 la pendenza era del 70%. Generalmente le varie bocche aperte avevano un solo piano inclinato ma ce n'era una, la 8, dove era stato scavato un secondo piano inclinato che raggiungeva la profondità di 200 metri sotto livello del terreno; la sua realizzazione mirò ad estrarre la buona lignite che vi si trovava, ma insieme c'era tanta acqua; a volte arrivava “fino ai ginocchi”.
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L'ingresso alla Bocca 8 da una foto della Nazione al tempo dell'incidente del 1952.
Il Binario
Il binario, unico per evidenti motivi di spazio, era la vita stessa della miniera; sopra di esso si alternavano circolando in due sensi carrelli vuoti o carichi di materiale scavato e di minatori in spostamento. La squadra addetta sia alla manutenzione che all’installazione dei nuovi binari vi prestava grande attenzione. I binari, tenuti uniti da traversine a 60 cm di distanza tra loro, dovevano essere in perfetto piano; di conseguenza era loro rivolto un attento controllo per far fronte al fenomeno di “bradisismo” tipico delle miniere: il terreno, sotto la forte spinta di banchi di lignite nel vuoto delle gallerie, si alzava e provocava l'allentamento e il piegamento dei binari. Era nei turni di notte o il sabato quando non viaggiavano i vagoni che veniva fatta la manutenzione detta "lo sbasso" che dava l'opportunità di fare straordinari: "Spesso la notte a far gli straordinari, si andava a fare gli "abbassi" perché il terreno si alzava". I binari veniva distesi sempre sopra la terra, mai sui banchi di lignite da abbattere.
Il Carrello
Altro mezzo fondamentale era il carrello o vagone. Tirati o a ruota libera su quattro ruote, lenti o veloci, passavano là dove l'uomo aveva scavato e, con la loro altezza di un metro e mezzo, scorrevano a pochi decine di centimetri dalle volte delle gallerie, specialmente lì dove il terreno si era alzato. Larghi al massimo mt. 1,50 e lunghi circa mt. 1,70, occorreva molta attenzione al loro passaggio per non essere colpiti. Erano formati dal vagone e dallo "chassis", cioè la parte inferiore con il carrello. Avevano una portata di circa due quintali e mezzo di minerale e servivano anche per lo spostamento dei minatori, i quali non montavano mai all'interno ma uno soltanto per volta poteva salire su una pedanina alla base del carrello stesso. Sia carichi che vuoti venivano spinti a mano all'interno delle gallerie da un solo minatore. Era normale spingere due o più carrelli agganciati. Alla bocca 6 c'erano in dotazione le cosiddette "berline": piccoli carrelli più bassi ma più lunghi che portavano quasi il doppio di un carrello normale; mentre i carrelli venivano ribaltati a mano con una leva, le berline venivano vuotate con un congegno meccanico che le ribaltava dentro il silos.
L' Argano
Se i binari e i carrelli rappresentavano la linfa vitale delle miniere, l'argano era la forza che finalizzava il lavoro di scavo. Grazie alla sua potenza tirava fuori dal piano inclinato per mezzo di un cavo d'acciaio che si avvolgeva al tamburo solcato e rotante fino a quattro carrelli carichi e riceveva l'energia da due enormi generatori che si trovavano in una vicina stanza. Alla Bocca 8, dove si aveva un secondo piano inclinato dopo la diretta, un argano elettrico più piccolo consentiva di trainare un massimo di due carrelli. Prima dell'arrivo dell'energia elettrica la forza motrice era sviluppata da motori a vapore. Non era raro trovare anche nel Novecento inoltrato miniere dove venivano impiegati animali, in prevalenza muli o ciuchi, per il trasporto all'esterno del minerale.
L'Aggangio
Alla fine di ogni piano inclinato si aveva uno slargo di circa 10 metri di larghezza per altrettanti di lunghezza dove avveniva lo scambio di carrelli pieni e vuoti; ve ne potevano sostare fino a dieci o dodici circa alla volta. Qui si trovavano gli scambi dei binari che consentivano di agganciare i carrelli carichi provenienti dalle dirette al cavo dell'argano che li tirava in superficie a gruppi di quattro. C'era un filo di ferro che collegava l'operatore all'argano e il minatore all'aggangio che comunicavano attraverso un semplice ma efficace codice: una decisa tirata al filo e il carrello si doveva fermare; due colpi significavano invece tirare i carrelli in superficie; infine tre colpi per far scendere i carrelli in miniera. Gli addetti, dallo sbancamento nelle dirette, spingevano a mano due o tre carrelli carichi fino all'aggangio dove erano attaccati al convoglio per l'esterno e poi, dal binario di scambio dove sostavano i carrelli vuoti, ne staccavano altrettanti e rientravano nella diretta verso lo sbancamento per riempirli di nuovo. E così via.
Dirette e Montanti
Si dipartivano a differenti livelli dal piano inclinato e dall'area di manovra dei carrelli ed erano scavati lungo i banchi di lignite da abbattere. Si procedeva inizialmente con scasso a mano o con l'uso di mine e subito i cunicoli venivano armati. Si avevano dirette anche di duecento metri e in queste gallerie si allungavano i binari che gli addetti piazzavano man mano che si avanzava per lo sgombro prima del materiale terroso misto a lignite e poi per il trasporto in superficie della lignite. Larghe circa 2,20 mt. al soffitto e 2,50 mt. alla base, permettevano l'agevole passaggio dei carrelli e si doveva usare sempre molta prudenza per non essere investiti: "Nelle gallerie non c'era spazio, quando ti movevi dovevi stare attento ai carrelli" . Alla fine del secondo piano inclinato della Bocca 6 si dipartivano otto dirette. Ogni galleria era contraddistinta da un numero. "Per fare le dirette con le mine veniva tritata un po' di lignite in piccoli pezzettini. Per l'abbattimenti, specialmente quando c'erano grossi tronchi, si staccavano pezzi anche di uno o due metri. Questi si spaccavano noi" .
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Quando nella miniera attiva gli ingegneri individuavano un banco di buona lignite e ne veniva deciso lo sfruttamento, si poteva procedere in due maniere secondo la disposizione del banco che quasi sempre si trovava in una posizione pendente, cioè seguiva le curvature del terreno, come l’ondulazione collinare (simile alla torre di Pisa per capirsi). Aveva la forma approssimativa di un parallelepipedo e variava nelle dimensioni; ne poteva raggiungere notevoli di qualche centinaia di metri di estensione. A motivo di questa pendenza un lato della base si trovava a una minore altezza rispetto all'altro. La lignite si era formata a banchi a seguito di fenomeni naturali accaduti in tempi diversi perciò tra un banco e l’altro si trovava uno spesso strato di terra di circa 20/30 metri che isolava i banchi stessi. Di conseguenza si avevano più banchi sovrapposti dei quali il primo quasi in superficie poi, a scendere di livello lo strato di terra, il banco due, nuovo strato di terra, ecc. Alla Bocca 8 si presentò il curioso fenomeno del terzo banco tutto pietra, di colore nero ma pietra.
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Abbattimento
L'azione di demolizione di un banco, detta “abbattimento”, iniziava da sotto il banco stesso. A questa operazione vi partecipavano i minatori addetti allo scavo armati di piccone, gli spalatori che caricavano i carrelli e gli artificieri per far saltare tratti del banco. Dal piano inclinato o dall'aggangio si iniziava la costruzione delle due gallerie parallele dette “dirette” che si sarebbero estese per tutta la lunghezza del banco sotto di esso, alla sua base. Come spiegato, una galleria era sopraelevata rispetto all'altra di circa 10/15 metri, secondo la pendenza del banco. Una volta realizzate si procedeva con lo scavo in salita delle montanti di collegamento tra le due gallerie per consentire la circolazione dell'aria. Questo metodo facilitava anche il lavoro di demolizione del banco che inizia dalla parte finale delle dirette. Osservando la successiva figura possiamo meglio comprendere di come avveniva l'operazione di scavo. Si iniziava a scavare le montanti col piccone e una carretta che, spinta vuota in salita e piena in discesa, serviva per portare nella diretta la prima lignite. "Solo all'inizio si usava la carretta, poi la lignite presa a picconate scivolava giù" . Si procedeva quindi a far franare il soffitto e le pareti delle montanti con le mine perché sarebbe stato oltremodo pericoloso col piccone. Gli artificieri, fra i quali Gino Travagli, posizionavano le mine che avrebbero sbriciolato il banco.
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L'esplosivo
L'esplosivo, detto "cheddite", era una pasta a forma di cartuccia di circa 10 cm. "Si inseriva il detonatore dentro la cartuccia con la miccia attaccata. Poi si metteva il tutto nei buchi fatti con le subbie (scalpelli a punta piramidale) e con terra bagnata si calcava nel buco, altrimenti quando esplodeva aveva l'effetto razzo" . L'esplosione produceva un boato che rimbombava e scuoteva la terra; poi un fumo acre, intenso, si spandeva nelle gallerie tanto che ci voleva del tempo per ripulirle. Dopo, l’artificiere detto "il fochino" con apposita lampada per i gas entrava nel sito dell'esplosione per controllare la presenza del pericoloso “grisù”.
Banchi in verticale
Il metodo delle montanti però non fu applicato al Pian dei Meli dove la lignite si presentava in banchi posti in posizione verticale, cioè non inclinati alla base e quindi, pur impiegando in pratica lo stesso criterio la differenza stava nelle due dirette parallele scavate allo stesso livello. Si procedeva con lo scavo di due gallerie parallele di 100/150 metri in piano e larghe ciascuna circa 2/2,30 metri e alte altrettanto. La distanza fra le due gallerie parallele variava tra i venti e i trenta metri. Poi partendo dall'inizio, ogni 10/15 metri si scavava per collegare le due gallerie parallele realizzandone altre dette “traverse”, per la circolazione dell'aria e inoltre facilitavano l'abbattimento. Erano queste le premesse per aggredire il banco di lignite a picconate e con la dinamite per far saltare parti di esso. "Sopra i banchi ci volevano anche le scale per salirci" .
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Il "coprifoco"
Demolita così la parte estrema del banco, quella indicata nella figura precedente come "Zona di inizio abbattimento", si creavano le condizioni ottimali per le frane e bisognava stare molto attenti. Inoltre la lignite abbattuta bruciava con una lenta combustione sviluppando gas: si formavano sacche di "aria morta". Per difendersi da questi fenomeni e continuare il lavoro veniva isolato l'ambiente in fondo alla diretta con un muro fatto di creta e zolle di terra. Si aggiungeva infine terra sempre più molle per tappare bene. Tutto questo lavoro veniva chiamato "coprifoco". Così si procedeva, retrocedendo, fino al totale smantellamento del banco di lignite. Nel frattempo la rete dei binari si era distesa nelle gallerie parallele e mentre un gruppo di minatori demoliva la lignite, l'altro armato di pale la caricava sui carrelli tenuti obliqui per facilitarne il riempimento. Giunti all'esaurimento del banco rimanevano enormi stanzoni che poi parzialmente franavano o si riempivano d'acqua.
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