Quercegrossa (Ricordi e memorie)
CAPITOLO V - MINIERE
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Introduzione
Le Miniere di Lilliano
Miniere a Quercegrossa
La miniera
Minatori
La Cooperativa minatori
Introduzione
Giungevano alla spicciolata o in piccoli gruppi, col caldo o il freddo, da vicino o lontano, pronti e rassegnati a un'altro pesante turno di lavoro. Alcuni a piedi, altri in bicicletta quando la stagione lo consentiva. La sveglia alle cinque per il turno della mattina. Sette o quindici giorni lontano da casa per i più distanti. Erano i minatori delle miniere di lignite di Lilliano. E mentre si dirigevano verso i pozzi non vedevano le tonnellate di lignite da scavare, non sentivano il bruciore del caldo infernale e non avvertivano la paura del pericolo sempre imminente, ma sentivano l'inevitabile sacrificio di un dovere da compiere per uno stipendio, per vivere e sostentare una famiglia. Per questo erano uomini responsabili, uomini avvezzi al pericolo, uomini duri: erano "i cavini".
Una testimonianza
Anche in questo caso, per conoscere la nascita e il primo sviluppo di questa attività ci vuole l’aiuto di don Giuseppe Merlotti, il quale, dall'alto del Poggiolo, sulle Badesse, annotava esattamente tutto quanto accadeva intorno a lui. Essendo uomo scrupoloso, ci ha lasciato nella sua breve ma interessante nota, tratta dai suoi ricordi, tanta ricchezza di particolari che difficilmente avremmo potuto ricercare altrove:
"Nel tempo compreso nella prima metà dell'anno 1868 fu fatta la pregevole scoperta nel territorio del perimetro delle Parrocchie di Lornano e di Basciano, come pure in parte dell'altra Parrocchia di Quercegrossa del minerale combustibile detto "lignite" utile per la ferrovia centrale italiana quanto il carbon fossile che si faceva venire dall'estero. Il primo lignite fu trovato nel podere detto Casino confinante coll'altro detto Montenero, casualmente nel fare alcuni lavori da quel colono. Dietro questo fatto, in secondo luogo fu fatta tale scoperta nel podere detto Boria ove se ne cava a sufficienza come al Casino, che sembra più feconda quella cava. In terzo luogo è stata fatta simile scoperta nel podere del Castellare, poco sotto il diruto castello di Quercegrossa, ma questa miniera sembra poco feconda, pure vi si cava in abbondanza. Circa l'anno 1854 però era stata di già scoperta altra miniera nel podere di Topina sul torrente Gena, cioè presso alle sue sorgenti a settentrione della Pieve di Lornano. Questa si appartiene a Masson, fabbricante di lavori di vetro a Colle di Val d'Elsa, dopo diversi litigi coll'altro detto Masson per il suo edifizio di lavori in ferro nella stessa città di Colle. E tale miniera è fecondissima della detta lignite, di cui se ne fa continuamente il deposito nella piazza della Pieve di Lornano e per quindi a forza di barrocci e cavalli [viene] trasportata a Colle".
La zona delimitata dal rettangolo è quella interessata alla estrazione della lignite. Qui, a metà Ottocento, furono scoperti i giacimenti. Inizialmente lo sfruttamento fu artigianale con trasporto del materiale su carri agricoli alla stazione di Castellina Scalo. Dal 1885/90 con la proprietà della Società che controllava le Ferriere di Colle Val d’Elsa inizia la produzione industriale che si concluderà nel 1963 con l'ultime bocche aperte sotto Lilliano nel Pian dei Meli e a Cogna vicino Lornano.
Da questa attenta descrizione, la lignite appare come nuova fonte di investimento e di guadagno e se alcuni sondaggi del terreno si rilevarono infruttuosi, altri numerosi saggi ebbero esito positivo e l'attività estrattiva prese il via e prosperò per circa un secolo. Lo sfruttamento delle cave, come le chiama Merlotti, in maniera industriale richiese col tempo un sempre maggior utilizzo di operai che raggiunsero il ragguardevole numero di circa 500 nel periodo bellico della Seconda guerra mondiale. La vicinanza delle “bocche” a Quercegrossa favorì la manodopera locale e molti furono i salariati che divennero minatori, attratti dal maggior guadagno di una paga che era sensibilmente superiore rispetto alle opere agricole e artigianali. Nello Rossi nel 1937/40 era un apprendista fabbro alla Ripa e a fine settimana gli davano un civettino d'argento da 5 lire. Un amico lo consiglia: "Vieni alla miniera si guadagna di più". Il “di più” erano 16,50 lire al giorno nell'anno 1941: una differenza sproporzionata e allettante. Vista la natura del lavoro non tutti però ebbero la voglia di entrare in quelle buche nere che incutevano timore solo a guardarle. I contadini dei poderi limitrofi, salvo qualche eccezione, si tennero lontani preferendo l'aria pura e qualche lira in meno. Ma avendo le miniere durante la guerra lo status di industria necessaria allo sforzo bellico, venne concesso l'esonero dal servizio militare a chi vi era occupato, quindi chi poté cercò di entrarvi per sfuggire alla mobilitazione. Anche il ricordato Nello si trova in miniera allo scoppio del conflitto, ma essendo del 1924 e non comprendendo nel beneficio i chiamati di leva, parte per la guerra. Grande rilievo ebbe dunque questa attività economica e grandi benefici ne trasse tutta la popolazione che finalmente aveva trovato uno sbocco nel mondo del lavoro che oltrepassava i secolari limiti imposti dalla campagna. Divenuta la miniera notevole centro occupazionale, gli operai locali furono ben presto affiancati da tanti altri provenienti da tutta la provincia, anche da paesi abbastanza lontani come Monteroni, Asciano,Gaiole e della Val d'Elsa.
Ma come avviene spesso e in tutti i settori economici, i tempi d'oro finiscono e così accadde anche a quelli della lignite. Se in tempo di guerra era un minerale utile per le ferrovie, poi servì soltanto per le fornaci e i fornai. Pagò la concorrenza del carbone: "Poi cominciò ad arrivare il carbone dalla Rhur e la lignite non la voleva più nessuno". Si registrarono cali nell'occupazione e il licenziamento divenne lo spauracchio di molti. La miniera chiusa al passaggio del fronte riaprì la primavera successiva e fu subito crisi. Poi una ripresina, ma alla fine fu crisi nera e fioccarono i licenziamenti. Nel 1953/54 il mercato non tirava più, da 450/500 minatori si arrivò a una trentina nel 1958 quando fu costituita la Cooperativa. Persa dunque la guerra col carbone, più calorico, e a causa dell'aumentato uso degli oli combustibili, dopo qualche decennio di incerta produzione, angustiati anche da momenti di scontro sindacale, nel 1963, dopo un secolo di scavi, terminò per sempre l'attività estrattiva. Gli ultimi minatori associatisi in cooperativa avevano tentato ogni mezzo per ricercare un utile, ma il destino della lignite era segnato e non rimase altro da fare che riempire quelle buche nere nelle quali, come api industriose, erano entrati e usciti senza paura, mille e mille volte, generazioni di "cavini". E di quelle aperture, che come fauci spalancate ingoiavano uomini e carrelli, oggi non rimane cenno; soltanto qualche zolla arrossata e nerastra, come arrugginita dal minerale, potrebbe far pensare all'occasionale passante che lì, in quei piani, in quelle prese, c'era stata una volta una miniera.
L'anziano minatore alla ricerca di ricordi... ma trova solo campi arati in quei piani dove una volta c'era la bocca di Monteo con tutte le sue attrezzature. Dopo la chiusura dell'ultima bocca a Cogna nel 1963, l'attività mineraria è stata completamente dimenticata ed è sconosciuta ai più. E' stato possibile scrivere queste righe grazie ai ricordi dei minatori superstiti di Quercegrossa: Carletti Spartaco, Rossi Nello, Rossi Piero e Socci Silvano.
La Lignite

La lignite è un combustibile fossile simile al carbone ma dal quale si differenzia per il colore meno brillante tendente a nero bruno con sfumature giallastre. Questa differenza deriva dall'essersi formati in tempi geologici lontani tra loro e di conseguenza presentano un diverso processo di fossilizzazione: molto più antico il carbone, ricco di carbonio e più calorico, più recente e più povera la lignite e il rapporto di resa è tre a uno a favore del primo. Da parte sua la lignite ha generalmente il vantaggio di trovarsi a debole profondità e spesso viene estratta a cielo aperto con notevoli risparmi di costi. Anche le nostre ligniti possedevano la caratteristica della limitata profondità e solamente dopo un lungo sfruttamento si raggiunsero i 200 metri alla ricerca di nuovi banchi da abbattere. Al Pian dei Meli la lignite era più nera e fragile.
L'Italia si poneva tra i piccoli produttori di lignite, collocata agli ultimi posti in Europa. Nel 1932, in un periodo di generale diminuzione dell'estrazione, il nostro paese produsse 372 mila tonnellate contro le 986 mila della Francia e i 3/5 milioni di t. di paesi come l'Austria, l’Ungheria e la Jugoslavia. Buona in quegli anni la produzione Cecoslovacca con 15 milioni di t. Ma queste cifre sono irrisorie di fronte alla gigantesca attività tedesca che con 122 milioni di tonnellate da sola estraeva l'80% della lignite europea. Col periodo bellico si raddoppiò e triplicò la produzione delle materie prime e anche la lignite fece un bel salto. In questo quadro l'Italia occupava ancora davvero un posto secondario e così fu anche per Lilliano rispetto al panorama produttivo italiano. Le sue 10.000 t. l'anno scavate da 500 operai (negli anni migliori) rappresentavano solamente il 2% circa della produzione nazionale. Per comprendere ancor meglio l’irrilevanza di Lilliano ricordiamo che nelle miniere di lignite di Castelnuovo dei Sabbioni (Cavriglia) durante la Seconda guerra mondiale vi lavorarono fino a 6.000 minatori. Ma queste cifre non diminuiscono affatto il peso occupazionale che ebbero le miniere di Lilliano nel nostro comprensorio.
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