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Maghi e imbroglioni Nel maggio 1945 la Germania si arrese e finì la guerra. Molti soldati tacevano da anni: morti, vivi o prigionieri, di loro non si sapeva niente. I carabinieri e gli uffici vari non erano in grado di rispondere alle insistenti domande delle famiglie che anche da 4/5 anni attendevano invano una lettera o un telegramma. Il fenomeno era cominciato nel 1940 con i primi prigionieri smistati dagli inglesi nel loro grande impero e si acuì nel 1943 quando molti soldati si dispersero o furono catturati e deportati o semplicemente non potevano corrispondere perché per tanti la posta non viaggiava e non viaggerà per molto tempo. Ma alle mamme, alle mogli, non era sufficiente la speranza che fosse vivo, volevano la certezza e così iniziò la ricerca della previsione, ricorrendo a quei personaggi che da sempre millantano di possedere poteri straordinari. Questo fenomeno crebbe a dismisura in tutta la nazione, fece la fortuna di tanti maghi e indovini che volentieri si fecero coinvolgere e purtroppo molti di loro giocarono con i sentimenti e con gli affetti di tanta gente disperata. Naturalmente l'esito della previsione si rivelò molto spesso esatto ma, secondo il calcolo delle probabilità, su una doppia risposta "è vivo" o "non è vivo" e considerando l'alta percentuale dei ritornati, anch'io posso indovinare nell'80, 90% dei casi. Alla previsione, che di solito accontentava l’aspettativa delle persone, venivano aggiunti particolari come "è per la strada" oppure "ancora non può tornare"; frasi generiche che in definitiva non dicevano niente. Forse molti di questi indovini erano in buona fede e allora ancora una volta si deve rimarcare sulla credulità del popolino disposto a tutto per i propri affetti. Dalle nostre parti raggiunse una grande fama il "mago di Castelnuovo". Ognuno di questi indovini aveva il proprio metodo: il mago di Castelnuovo usava un pendolo. La zia Ilda che attende il ritorno del fratello, ci va: "C'era la fila ... gli si portava la foto ... aveva un pendolo ... se lo metteva alla fronte e sopra alla foto sul tavolo .... se il pendolo si muoveva lateralmente era vivo ... se si muoveva in circolo era morto... mi disse che era vivo". La gestualità quasi liturgica e ripetitiva e gli strumenti come il pendolo o la sfera servono per comunicare fiducia e certezza. Quella volta il mago non c'indovinò, ma la zia Ilda torno contenta a casa. C'era a Firenze un prete che dava notizie dei soldati. Don Luigi, sollecitato dalle sorelle Rossi, le richiese per lo zio Gino che si pensava prigioniero. Allora il prete di Firenze gli rispose con una lettera per comunicargli la morte del soldato Gino Rossi. Il curato però non disse niente alle sorelle che ancora pativano per il lutto della mamma. Solo dopo il ritorno di Gino parlò del fatto alla zia Ilda: "... bimbetta, mondo birbone, il prete di Firenze mi aveva detto che era morto" . Un'altra indovina che si era meritata la stima di tutti per la sua serietà era una certa "Dinda" che poi era l'appaltina di Costalpino. Lavorava col tavolo. Se il tavolo ballava il soldato sarebbe ritornato, se rimaneva immobile era morto. Quando i Mori le si presentarono per il fratello Dino, lei li fece accomodare intorno a famoso tavolo e iniziò la seduta. Il tavolo ballò.."sta bene e torna presto" parlò la maga. Aveva indovinato. Sempre i Mori erano soliti ricorrere alla vecchina del Bruco, un' indovina altrettanto nota. Un giorno comunicò:"State tranquilli che vostro fratello sta bene e sarà a casa per il palio". Mai previsione fu più azzeccata. Un’altra esperienza, e questa può dar fiato alla credibilità di molti, venne vissuta dalla mia mamma che insieme alle sorelle era costantemente in cerca di novità per i fratelli Gino e Nello. Vivevano a Siena, subito fuori porta Camollia, là dove oggi sorge l'asilo, due anziane sorelle che ricevevano chiunque e "lavoravano" con le carte. Molto spesso le sorelle Rossi le avevano visitate e pagavano con zucchero e altri prodotti alimentari. Volevano sapere dov'erano i fratelli e pendevano dalle labbra di queste due indovine. Di solito la conclusione della seduta era che "stanno bene", ma un bel giorno la predizione si fece più precisa, più difficile: ".. e presto riceverete la visita di un signore che vi consegnerà una lettera del vostro fratello Nello, che sta bene, ma non può spedire". Non ci crederete, ma tutto questo si verificò pochi giorni dopo la profezia. Non bastando maghi e indovini la gente ricorreva anche a soluzioni casalinghe che facevano parte da sempre della cultura contadina, in bilico fra il sacro e il profano e sempre alla ricerca del mistero: "... a casa con lo staccio si mettevano le forbici infilate sui bordi e con un dito nel mezzo alla retina si diceva: "Santa Barbara benedetta, ditemi?". Se girava lo staccio era vivo. Lo staccio girava sempre intorno, bastava un po' di abilità. E così continuava l'illusione. Oppure si eseguiva il rito del bicchiere d'acqua. Consisteva nel mettere dell'olio nel bicchiere pieno d'acqua e ritrovarsi al buio. Se vedevi un lumicino il parente era morto, se il buio persisteva e non vedevi niente era vivo.. ovvio no! Quella sera però dai Nencioni partecipò anche la nipote Marisa, una bambina, alla quale, terminata la seduta col bicchiere, scappò detto.."ho visto un lumicino" e gettò tutti nello sconforto. Molte previsioni furono indovinate. Altre, purtroppo o per fortuna, no. Gli italiani che conobbero la prigionia furono 800.000. Licenza Agricola Per licenza agricola s'intende un periodo di congedo limitato concesso per far fronte alle necessità stagionali dei lavori agricoli. Ne beneficiavano contadini e operai agricoli, che così potevano rientrare a casa e dare una mano. Generalmente aveva la durata di un mese, ma poteva variare secondo necessità e disponibilità. In tempo di guerra, nei primi anni e fino a quando fu possibile, si ricorse molto a questa prassi, ma si doveva essere richiesti dall'azienda o dalla fattoria. Come nel caso di Bruno Sestini per il quale era stato richiesto l'esonero come aiuto motorista per la trebbiatura. La richiesta al Comando venne accettata e per la durata di un mese fu alle dipendenze dei Mori. I Carabinieri controllavano. La Tessera Una conseguenza dello stato di belligeranza assunto dall'Italia nel giugno 1940 fu il controllo dei prodotti agricolo-alimentari (Ammasso del grano e altro in appositi magazzini). L' intento dello Stato fu di disporre rifornimenti per l'esercito e controllare la distribuzione di viveri nell’intero paese, evitare accaparramenti, imboscamenti e speculazioni. Naturalmente successe proprio il contrario e per motivi diversi la distribuzione sfuggì a ogni controllo, anche per la corruzione degli uffici preposti. Nel 1942 la produzione nel settore agricolo diminuì vistosamente, acuendo la crisi. I produttori, attratti da facili guadagni, cominciarono a immettere i loro prodotti nel mercato della "borsa nera". Un esercito di accaparratori e speculatori spuntò su tutto il territorio nazionale, appropriandosi dei prodotti di prima necessità che cominciarono così a raggiungere prezzi altissimi, fuori della portata delle famiglie, che in tutta Italia iniziarono ad avvertire i segni della fame. Un fenomeno che i protagonisti del tempo ricordano particolarmente, perché la fame non si dimentica. Già dalla fine di agosto del 1939, in previsione di una probabile entrata in guerra, il governo aveva emanato disposizioni relative alla distribuzione di generi alimentari e alla requisizione di beni ritenuti di pubblica utilità, insieme ad altre direttive come la chiusura dei locali pubblici e l'oscuramento. ![]() Se nei primi due anni le razioni assegnate potevano essere appena sufficienti, dal marzo 1942 ogni italiano poté disporre di soli 150 grammi di pane a testa (invece di 250) e 400 di carne (quando c'era) e razioni al minimo anche per gli altri prodotti. Le privazioni cominciarono a farsi sentire e il mercato nero si fece rigoglioso. Il possessore della tessera era il capo famiglia e per ogni "capo" veniva data solo una pagnotta di pane che doveva bastare per tutti i componenti della famiglia. L’organizzazione dipendeva dal Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste ed era gestita in ambito provinciale da una "Sezione provinciale dell'alimentazione". Essa aveva potere nella concessione delle tessere alle famiglie, approvava le richieste dei Podestà per i supplementi, stabiliva le norme per accedervi e sul piano più pratico procedeva alla distribuzione delle tessere. Nella circolare della Commissione incaricata del 24 dicembre 1941, indirizzata ai Podestà e alle varie associazioni fasciste dei lavoratori, si confermava l'invio ai Comuni dei quantitativi di carte richieste per i supplementi per il pane (color verde) e per i generi da minestra (color scarlatto). Si confermava altresì l'esclusione dal beneficio dei braccianti agricoli a eccezione di quelli che lavoravano in alta montagna (oltre i 1000 metri). Come accade spesso, anche in quelle tristi circostanze la burocrazia si diede da fare stabilendo mille regole e regoline. Creò la fascia dei "lavori pesantissimi", dei "lavori manuali" (senza diritti), delle gestanti sopra il 5° mese, dei convittori, degli operai che usufruivano della mensa per un pasto al giorno oppure per due pasti ecc., con disposizioni sempre più complesse. Per finire fu richiesto ai comuni il conteggio "esatto" delle tessere distribuite. In un’altra circolare vennero dettagliatamente specificati i diritti di alcune categorie. Ad esempio: Donne atte a casa - Nulla; Ammalati curati a domicilio - Nulla; Mutilati, Invalidi ed ex combattenti - Nulla; Militari in licenza ordinaria - Nulla; Militari in licenza agricola - un supplemento generi da minestra e due di pane; Convalescenti - Nulla, a meno che non siano tubercolotici; Addetti alla pastorizia - un supplemento di pane; Fornai (addetti a forni e impastatori) - un supplemento pane; Medici, Ostetriche, Veterinari, Insegnanti, telefonisti, telegrafisti, ricevitori postali e postini - Nulla, mentre al postino rurale spettava una razione di pane (forse camminava di più). Era ovvio che a categorie come commercianti, trecconi e simili non spettasse niente. Singolare la distinzione negli artigiani: Artigiani che esercitano un mestiere prevalentemente manuale in cui predomina il lavoro fisico - un supplemento di pane; Apprendisti artigiani - come sopra - età minima 14 anni; Artigiani e Apprendisti - Nulla. C'è da diventar matti! Infatti, la Segreteria Provinciale degli Artigiani di fronte a norme di così cervellotiche e pignole, di difficile interpretazione, comunicava ai Potestà della Provincia "... che evitando inutili carteggi per il rilascio dei certificati... il supplemento di 100 grammi di pane dovrà essere concesso a tutti gli artigiani". Era insomma un susseguirsi di circolari e comunicazioni che contribuivano soprattutto a confondere la popolazione e chi operava nel settore. Intanto in quel mese di dicembre 1941 la razione giornaliera pro-capite era scesa a 200 grammi di pane e la cinghia dei pantaloni si stringeva di un altro buco. Questa condizione di ristrettezza e penuria di cibo fu avvertita anche a Quercegrossa, ma in misura minore che a Siena. La campagna produceva e i contadini erano i più vicini alla produzione e alla raccolta e quindi beneficiarono una volta tanto della loro condizione. Facendo parte del sistema produttivo i contadini non avevano la tessere del pane, ma solo quella di altri generi, come lo zucchero. Consegnavano il grano all'Ammasso e restavano con la loro parte da macinare. A peggiorare la situazione si erano aggiunti anche gli sfollati e alcune famiglie erano aumentate di numero perché ospitavano parenti e amici sfollati dalle città e la farina era in quantità sempre più insufficiente, così tutti si arrangiavano come potevano. In casa di Egisto Rossi, a notte alta, entravano silenziosi, nel periodo della mietitura, i giovani del Forni. Portavano un sacco di spighe di grano raccolto di nascosto nei loro campi. Schiccolavano il grano e con una rudimentale macchinetta lo macinavano. Ne ricavavano qualche manciata di farina che sarebbe servita per il pane e lasciavano qualcosa alla famiglia che li aveva protetti nel loro "rubare". E così facevano in tanti. Un altro sistema per avere più pane era quello di "mischiare" la farina bianca con semolino, farina di patate e farina di granturco se avanzava. Si otteneva così un pane nero ma qualche pagnotta in più. Le tessere per lo zucchero erano assegnate per lo più alla bottega del Braccio e molti da Quercegrossa vi si recavano in bicicletta per ritirare la loro modesta razione. Fra i tanti c'erano anche la zia Ilda, la "Popa" di’ Marchetti e altre compagne. Nella salita da Fontebecci, prima del Braccio, incontravano spesso i fascisti: Compagnie di Camicie nere che inquadrate e in fila si esercitavano e marciavano. La Popa del Marchetti aveva un bel paio di guanti rossi che portava con civetteria e ben visibili nel guidare la bicicletta. Questi fecero l'effetto che fa un panno rosso a un toro. Presa come una provocazione, due fascisti uscirono dai ranghi e si avvicinarono alle ragazze. Bloccarono la giovane, le tolsero di forza i guanti rossi con parole minacciose che intimorirono tutti; quella volta lo zucchero risultò meno dolce del solito. Si videro spesso gruppi di cittadini che passavano alla ricerca di pane o di qualsiasi altra cosa. Molti si rivolgevano a conoscenti per un fiasco d'olio o un sacco di farina e qualcuno cominciò a operare in regime di "borsa nera". Tra questi c'era Gosto di’ Torzoli che aveva tante conoscenze per via del suo commercio di legna: "Nel tempo di guerra fece un po' di contrabbando ... con i contadini ... comprava olio, grano vino ... venivano a prendere i fiaschi d'olio". Arrivavano in sordina la sera quando annottava, in bici e a piedi. Sgattaiolavano su per le scale del palazzo per poi riuscirne guardinghi, nascondendo qualcosa sotto i vestiti o in qualche sacchetto ... ma c'era chi vedeva. Abbiamo visto che erano concessi supplementi di tessera ad alcune categorie di lavoratori e per periodi di tempo determinati. Questo beneficio doveva essere richiesto al Comune competente ed era facoltà del Podestà concederlo o meno. Una categoria speciale che ottenne per tutta la guerra il supplemento, fu quella dei minatori di Lilliano; se non lo davano a loro! Minestra e pane. "Veniva un camion forse da una trattoria di Colle. Due ramaiolate e un pezzo di pane. Verso le 10 arrivava e alle 11 si mangiava. Ci si presentava con i pentolini". Il 30 ottobre 1942 il Podestà di Castelnuovo scriveva all'Avvocato Luigi Pallini a Petroio: "Per la cortese consegna all'interessato, Vi rimetto le accluse n° 4 carte annonarie supplementari per prelevamento di pane o farina e n° 2 carte annonarie supplementari per prelevamento di generi da minestra, relativo ai mesi di Ottobre e Novembre, corrente anno, intestate all'operaio Torzoli Agostino, addetto a lavori pesanti. Tanto vi comunico in esito alla vostra nota sopra segnata. Il Podestà". Le richieste per Torzoli Agostino furono reiterate più volte e così motivate: "... lavora nel taglio dei boschi di questa Amministrazione". A Quercegrossa sembra che il controllo del buon funzionamento nella distribuzione fosse assegnato ad Anita Rossi, la moglie di Brunettino, che rivestiva una carica politica nella locale sezione del Fascio. In data 11 novembre 1941 lamenta al Podestà che le carte annonarie mensili supplementari sono giunte in ritardo "in questo piccolo centro rurale" quando l'unico spaccio, scaduto il termine, aveva gia spedito i buoni del periodo e che gli interessati avevano dovuto ricorrere ad altri spacci distanti diversi chilometri. Supplica, con tutta gentilezza, maggior puntualità. Finisce la lettera con una domanda di supplemento di pasta per gli operai Brunetto Rossi (il marito, falegname), Orfeo Mencherini (il vicino, calzolaio) e il bracciante agricolo Dionisio Meli. Si firma “La segretaria del Fascio Femminile Rossi Anita”. Puntuale e decisa fu la risposta del Podestà del 18 Novembre 1941 alla Segretaria del Fascio Femminile. In primo fa dello scaricabarile, attribuendo il ritardo nella consegna all'Ufficio di Siena, in secondo, per la richiesta del supplemento specifica che: "Gli artigiani Rossi Brunetto e Mencherini Orfeo da Voi segnalati non hanno diritto al supplemento della pasta, e così pure l'operaio agricolo Meli Dionisio il quale ultimo non figura come addetto ai lavori pesanti". Conseguentemente sul razionamento dei viveri, si creò nel paese un clima di sospetto e le delazioni fioccarono perché tutti iniziarono ad arrangiarsi. Molini e fornai vennero controllati ma non servì a niente. In casa Rossi, Egisto mandava il figlio Nello dall'amico mugnaio Bonelli al Mulino a prendere un sacchetto di farina bianca che poi allungava con pasta di patate. Evidentemente il mugnaio riusciva a nascondere al controllo parte del macinato. Anche alla trebbiatura, fin dai primi tempi presenziava e controllava un incaricato dell'ufficio per l'ammasso. Non gli sfuggiva niente, ma con alcuni di loro "bastarono poche ragazze intraprendenti per distoglierli dalla loro occupazione" e così i sacchi sparivano da tutte le parti. Le regole dell'Ammasso stabilivano che ad ogni famiglia di produttori, cioè di contadini, venisse lasciata una quantità di grano sufficiente per il consumo, mentre la rimanente doveva essere consegnata all'Ammasso dove rilasciavano una ricevuta che avrebbe loro consentito di riscuotere il prezzo stabilito per legge. E così era anche per la parte patronale. I contadini di Quercegrossa consegnavano ai depositi autorizzati che si trovavano a Vignaglia nella tinaia, a Topina o a Siena al mulino Muratori in Pian d'Ovile. In questo stretto regime di controllo della produzione, esisteva imposto dallo Stato anche un calmiere dei prezzi, ma i risultati furono assolutamente deludenti perché i prezzi in periodo di rarefazione dei prodotti sul mercato, tendevano di conseguenza ad aumentare in barba ad ogni tentativo di contenimento. Oltre al grano, genere vitale per l'alimentazione, fu organizzato l'ammasso di altri prodotti alimentari tra cui l'olio. Ai contadini produttori era lasciata una quota minima, assolutamente insufficiente per il loro fabbisogno. Allora, oltre che ricorrere a sotterfugi e sottrazioni, facevano anche richieste ufficiali all'Ente preposto per ottenere qualche chilo di olio come fece il 7 giugno 1941 la famiglia Masti del Mulino che era rimasta sprovvista. Lo stampato apposito si presentava così: AUTORIZZAZIONE DI SVINCOLO DELL'OLIO DI OLIVA PER IL FABBISOGNO DEL PRODUTTORE n 484/6 Sezione dell'Olivicoltura dei C. P. P. A. di Siena Questa Sezione, vista la domanda presentata dal Sig. Masti Armando fu Alberto, produttore di olio di oliva in Comune di Castelnuovo Berardenga - Quercegrossa, esaminato lo Stato di convivenza rilasciato dal Podestà di Castelnuovo Berardenga per N. 10 persone, autorizza lo svincolo di Litri di olio pari a Kg. 3 per consumo famigliare. Il suddetto quantitativo potrà essere trasferito da ..... a ...... luogo di residenza del produttore sopraindicato. Data 7.6.41 IL DIRETTORE La tassa del maiale Un'altra disposizione poco conosciuta chiamata dai nostri contadini "La tassa del maiale", prevedeva la consegna alle locali autorità comunali di una parte del maiale macellato da destinare alle forze armate, ossia ai combattenti nei vari fronti. Si doveva consegnare al Comune un salame, o un rigatino o simili. Quella mattina Ezio Losi all'Arginanino chiamò Dedo e gli consegnò un bel pezzo di rigatino perché lo portasse al Comune di Monteriggioni per la loro quota. Dedo e l'amico Gosto Bruttini si incamminarono. Ma consegnare un pezzo di buon rigatino a un ragazzo in quei tempi di rinunce era come dirgli "mangialo!". Infatti, percorse poche centinaia di metri, i due giovani non ebbero dubbi e si dissero: "Ma perché non si mangia noi?". Non erano ancora usciti dal bosco vicino casa e attaccarono il pezzo di carne impepata ad un ramo di una quercia e ve lo lasciarono. Nei giorni seguenti gli servì per fare colazione. Ne tagliavano alcune fette, lo arrostivano sulla brace e se lo mangiavano. Era d'inverno e il rigatino si conservò bene finché ce ne rimase. Ezio ne fu informato molti anni dopo. Danni di Guerra Si udivano ancora i colpi del cannone, che iniziò nel paese la corsa al rimborso del danni di guerra. Partendo dal principio che lo Stato era responsabile dei danni causati a cose e beni da parte di forze militari sia alleate che nemiche, il principio venne attualizzato. Esso, poi, rientrò nel grande disegno della ricostruzione del paese e il rimborso dei danni ebbe una sua precisa regolamentazione e venne gestito da un ente dell'Amministrazione dello Stato: l'Ufficio Tecnico Erariale. In ogni provincia, e dove non era presente si ricorreva a quella del capoluogo regionale, questi uffici accettarono domande di rimborso da privati o aziende o Enti di ogni genere. Si avvalsero dell'opera di altri uffici della pubblica amministrazione come l'Ufficio del Genio Civile e furono coadiuvati da Carabinieri, Guardia di Finanza e Vigili del Fuoco per il controllo delle dichiarazioni. Autorizzarono centinaia di migliaia di rimborsi con un seguito di corsi e ricorsi che non finivano mai. Liquidava la somma stabilita l’Ufficio Provinciale dell'Intendenza di Finanza e i fondi erano gestito dal Ministero del Tesoro. Tutto questo gran movimento era regolato da leggi e circolari che fissarono la casistica dei danni e le modalità di stima. La liquidazione dei danni di guerra si trascino per oltre un decennio. A Quercegrossa le richieste di rimborso riguardarono i danni arrecati agli edifici e furti di animali da lavoro. Tutte modeste pratiche di poche migliaia di lire. Le domande dovevano recare la firma di un perito e del proprietario. La seguente richiesta venne presentata in data 25 gennaio 1945 dalla Signora Dina Mori fu Raffaello negli Oretti ed è una "Perizia del lavoro occorrente per le riparazioni al fabbricato di abitazione civile sito in Quercegrossa ecc.". Abitazione civile: 1) Tetto da ripassare m. 10.20 x10 = mq. 102 Misura a Lire 5,00 a metro Importo Lire 510; tegole alla Marsigliese da sostituire n° 80 x 6,50. Importo 620; 2) Riparazione dei canali per l'acqua del tetto, di lamiera zincata, aperto e verticale con saldatura e parti nuove di lamiera. Importo Lire 600; 3) Infissi - Portoncino d'ingresso dell'abitazione da riparare alcuni fori prodotti da schegge di proiettile e rincollare in altre parti, come pure la porta del gabinetto. Importo Lire 200; 4) Vetri per le finestre n° 11. Mq 1,25 a 400 Lire. Importo Lire 500; 5) Posa in opera dei vetri. Importo Lire 80; LAVORI ESTERNI Fabbricato per lo stanzino di sgombro e cantina: 1) Tetto da rimaneggiare mq. 7x2,50 = mq. 17,50 a Lire 30. Importo Lire 525; tegola alla romana n° 60. Importo Lire 900; coppi alla romana n° 30. Importo Lire 500; 2) Infissi: porta d'ingresso allo stanzino da riparare; Muri di cinta sul lato della Strada Provinciale: 3) Ricostruzione di muro a pietra con cimase di cemento di fronte al fabbricato mq. 7x0,80x0,45 uguale a metri 2,52. Importo Lire 1600; 4) Ricostruzione di altre parti di muro a pietra con la cimase sempre di pietra mq. 7x1,20x1,45 = mc 3,780 a Lire 1200. Importo Lire 4536. Il totale della perizia assomma a Lire 12.643. Non sappiamo quale fu l'esito della richiesta. Certamente i danni erano reali. Ricordiamo la bomba d'artiglieria esplosa nell'orto e i militari accampati nel medesimo. Tutte le abitazioni di Quercegrossa si presentavano danneggiate più o meno nella stessa maniera con maggiori danni per quelle colpite da proiettili e alcuni muri abbattuti dai carri armati come quello della chiesa lungo la statale. Tutte le perizie dovevano ricalcare quella presentata dalla zia Dina. Tra le tante pratiche che ebbero il loro indennizzo si trova infatti anche quella relativa ai danni della chiesa di Quercegrossa. Presentata da don Luigi Grandi venne liquidata a don Ottorino Bucalossi nell'anno 1953 su sollecito del medesimo che intendeva riparare la chiesa e ristrutturarla nella parte Ovest eliminando gli archi per prolungare lo spazio interno. Il 10 dicembre 1953 il Genio Civile di Siena inviava una richiesta a Mons. Arcivescovo avente come oggetto la riparazione dei danni della chiesa dei SS. Giacomo e Niccolò a Quercegrossa: "Si prega codesta Archidiocesi di voler inviare con cortese sollecitudine a questo Ufficio un certificato attestante che la Chiesa di cui all'oggetto è parrocchiale e pertanto avente diritto al rifacimento dei danni di guerra da parte dello Stato". Mesi dopo, il 15 marzo 1954, pervenne la risposta dal Ministero dei Lavori Pubblici per mezzo del Provveditorato Generale per le OO. PP per la Toscana che informava essere stata approvata la perizia di Lire 400.000 per i lavori di riparazione della chiesa di Quercegrossa. Accadde anche ....... La pora "Bibi" ![]() Alla pagina 513 nel capitolo dedicata alla Guerra allego al racconto una foto della ragazza da giovane. Purtroppo la notizia fornitami era inesatta trattandosi invece della mamma Teresa Nenci. Un Jeep mortale Nell’anno 1953 la famiglia Costanzi entra a Quercegrossa nel podere che era stato dei Giannini. Vi tornarono Chiarina e i figli, ma non c’era Pietro, il babbo. In una limpida giornata del febbraio 1945, Pietro, che allora abitava a Tolena, si era recato con carro e botte alla fonte per far scorta d’acqua. Quella bella fonte murata sulla strada di Lornano, prima del paese. La guerra era passata da tempo e nessun pericolo minacciava ormai le normali attività agricole che erano riprese in pieno. I militari alleati di occupazione costituivano una inavvertibile presenza per i contadini. Finito di riempire la botte, Pietro, per salire sulla parte anteriore del carro mette il piede su un raggio della ruota mentre i bovi attendono, ruminando, il suo comando. Mille volte aveva ripetuto quella manovra, ma quel giorno entrò in ballo un fattore nuovo, impensabile, fatale: una camionetta dell’esercito americano. Questa, sfrecciando rombando nella discesa sterrata, impaurì le bestie alla fonte che si mossero sorprendendo Pietro e facendolo cadere a terra proprio davanti alla ruota del carro. A terra, non ebbe tempo per scansare la grossa ruota cerchiata che lo travolse passandogli sopra all’altezza dell’inguine ferendolo dolorosamente, ma soprattutto lesionandolo internamente. Trasportato all’Ospedale di Siena, venne adagiato sul letto della camerata e ai familiari non fu consentito di vegliarlo, anzi vennero allontanati subito con bruschi modi da una suora e a Chiarina non restò altro da fare che tornare a casa. La mattina si ripresentarono all’Ospedale ma Pietro era gia “sul tavolo di marmo”. Lasciato probabilmente, anzi, abbandonato sul suo letto, la grave emorragia interna lo condusse alla morte, mentre, forse, la presenza di un familiare avrebbe potuto allertare i medici. E questo è sempre stato il rimpianto della famiglia. Un matrimonio di guerra: una tra le poche cose liete di quegli anni duri e indimenticabili. ![]() Passano i giorni e una bella mattina .... Svegliata dal rimbombare dei pugni che battevano con insistenza sulla porta di casa, aprì gli occhi pieni di sonno e li diresse alla grossa sveglia sul canterano. Erano le cinque, appena passate. Non si meravigliò Gina di questo insistere. Erano tempi difficili in quel 1944 e lei, la moglie di Dante il bottegaio, lo sapeva bene. Qualche emergenza poteva sempre capitare: la necessità di una famiglia o altro, del resto era già successo di essere chiamati così presto. Non esitò oltre; non si affacciò alla finestra come la prudenza avrebbe consigliato, per controllare chi fosse e cosa stesse succedendo, ma scese subito da basso e aprì. Si trovò di fronte un giovane militare, robusto con due baffetti neri appena accennati, che le diede il buongiorno. Gina riconobbe in questi uno dei suoi avventori che spesso con i commilitoni si intratteneva in conversazione con tutti davanti ad un bicchiere di vino, che lei o la figlia Lara servivano alla mescita. "Dov'è Lara?" Chiese senza preamboli il militare, mentre un leggero sorriso tranquillizzante gli increspava i baffetti, consapevole della sua strana domanda. E lei, d'istinto, con un pizzico di ironia, ribatté: "Penso che a quest’ora sia a letto"." Senta", aggiunse, ancor più sbrigativo il giovane, "Sua figlia mi piace, io devo partire verso il nord con la mia divisione, chiedo il permesso di scriverle". Per porre fine a quella che incominciava ad essere una imbarazzante situazione, Gina, si strinse addosso la vestaglia per parare il fresco, ma soprattutto par darsi un contegno e assumere un’aria d'ufficialità. Concluse così: "Scriva pure, se le piace, ma non prometto che risponderà". Soddisfatto da queste parole il giovane si congedò con un secco "grazie e arrivederci", lasciando Gina stupefatta e perplessa e, chiusa la porta, scuotendo la testa se ne ritornò a letto. Cinque anni dopo Lara e Mimmo si sposavano nella nostra chiesa parrocchiale e questo credo sia stato l’unico "matrimonio di guerra" a Quercegrossa. Un raccontino Dopo l’8 settembre, nel clima di smobilitazione dell’esercito, un ufficiale italiano arriva a Quercia e gira in cerca di un contadino per lasciagli temporaneamente il cavallo e riprenderselo successivamente. Pastina (Corrado Tanzini) era in piazza e si offre di tenerlo. Nei giorni seguenti questo cavallo diventa pubblico divertimento e ci montano un po’ tutti. Una mattina Giotto ha bisogno di cemento per murare e incarica Pastina di procurarglielo, e questi sfrutta l’occasione del cavallo. Si fa prestare il barroccio dal Bernardeschi vi attacca il cavallo e chiama Spartaco del Carletti a fargli compagnia. Era un cavallo da sella, non uso al traino, e all’andata, da scarichi, tutto filò liscio, anche se il cavallo tendeva a dirigersi verso la caserma. Al ritorno, invece, col barroccio carico di ballini di cemento, fino a che la strada si mantenne liscia e in discesa tutto andò bene, ma quando la strada a sterro dopo Fontebecci prese a salire, il carro cominciò a scricchiolare per le buche e battere il legno. A questi rumori il cavallo diede segni di nervosismo, infine si imbizzarrì e inizio a scalciare con violenza facendo saltare le prime tavole del carro. Pastina e Spartaco restarono sorpresi e intimoriti dal fare della bestia e Spartaco impaurito si buttò subito giù, sulla strada, fratturandosi il polso. Il cavallo proseguì la sua corsa scalciando, e più scalciava più demoliva e spaccava tavole, e più faceva chiasso, più si imbizzarriva. Bene o male, con qualche curva fatta di traverso, arrivò a Quercia. C’erano rimaste attaccate le briglie e qualche tavola del carro che drusciava per terra. Videro arrivare questa bestia ormai stanca, che si affrettarono a condurre nella stalla. La sera stessa si ripresentò l’ufficiale italiano e ci rimase male vedendo il cavallo ferito e sanguinante ai garretti. Un fatto storico e un sogno profetico Abbiamo conosciuto Guido Rossi, il figlio di Egisto, come destinatario delle lettere del fratello Gino. Abita a Roma dove presta servizio presso la signora Olga del Gaizzo. Qui conosce Bruna, la sua futura moglie, che stava a servizio dai signori Rodano Cinciari e ogni tanto veniva chiamato anche in quella Casa. Quella sera dai Rodano Cinciari c’erà il ministro De Stefani e avevano fatto allontanare tutta la servitù escluso lui e Assuntina, altra serva. Si vociferava che il ministro fosse l’amante della Signora. Comunque orecchiando tra una portata e un’altra Guido e Assuntina riuscirono a sapere in anteprima della nomina di Badoglio a Primo Ministro che poi la radio avrebbe diffuso in tutto il paese il giorno dopo. Lo zio Guido vive a Roma e sogna la defunta mamma sopra una grande sfera e intorno cadono tante palle che si frantumano al suolo. Lui aveva manifestato il desiderio di tornare a Quercegrossa ma la mano imperiosa della mamma gli disse: "Guido, non ti muovere!". Il sogno lo fa desistere e rimase a Roma. In quei giorni il treno per Siena venne bombardato e ci furono delle vittime. Conclusione e ultime foto Con queste ultime note chiudo il capitolo dedicato alla "Guerra". Spero fermamente che non si possa riaprire mai più. Concludo parlando della mia esperienza personale sulla visita medica e un piccolo album fotografico. Terminata la guerra, proclamata la Repubblica, i giovani ripresero il sevizio militare che vissero come una grande perdita di tempo, siano stati essi operai, contadini o altro. La "visita" medica, che era il primo atto da compiere, venne trasferita al Consiglio di leva di Pisa e in questa città ci si recava generalmente col treno. Coloro che presentavano documentazione medica per l’esonero o al quale i medici riscontravano qualche disturbo e difetto erano trasferiti per accertamenti all’ospedale S. Gallo a Firenze. La mia classe fu l’ultima a presentarsi a Pisa nel 1967. Arrivai il 13 marzo col treno delle 18. Gli alberghi intorno alla stazione erano tutti occupati e trascorsi la nottata nella sala di attesa in compagnia di alcuni barboni. La notte successiva alloggiai nella caserma in una camerata messaci a disposizione dall’esercito. Fu l’unica esperienza militare, ma mi bastò. Un sergente dopo averci fatto alcuni rammenti spense la luce. Non appena ebbe girato l’interruttore una potente pernacchia risuonò nel buio dello stanzone e immediatamente la luce si riaccese tra il generale sghignazzare. Il graduato innervosito cominciò a berciare chiedendo invano “Chi è stato? Guardate ragazzi qui non si scherza”. Mi fecero "rividibile" non riconoscendo sufficienti i miei 81 centimetri di torace e i 56 kg di peso. L’anno successivo mi presentai a Firenze per essere definitivamente riformato "per scarsità toracica" in base all’articolo 2. Andai a Firenze con la Cinquecento insieme a Giorgio Testi, altro riformato, e fu un ritorno felice. Tanti si industriavano e pagavano per sfuggire agli obblighi di un’istituzione considerata, già in quegli anni, anacronistica e inutile.
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