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CAPITOLO III - ARRUOLAMENTO E GUERRA

La Guardia Civica
I fermenti politici che stavano portando l’Italia verso lo scontro con l'Austria coinvolsero direttamente le popolazioni chiamate a partecipare alla battaglia che doveva portare a una Italia federale secondo il Granduca, e all'unità d'Italia secondo coloro che erano animati da spirito patriottico. Tutto ciò ebbe come effetto, oltre che l'arruolamento di volontari, la creazione in Toscana della Guardia Civica che venne istituita alla fine del 1847.
Aveva il compito di affiancare la Milizia, garantire l'ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini. Di essa facevano parte tutti gli uomini abili dai 19 ai 60 anni che avevano l'obbligo di prestare il servizio presso la comunità di residenza. In ogni Comunità il Gonfaloniere presiedeva una commissione chiamata alla formazione delle Liste e a scegliere gli elementi da assegnare alla Guardia Attiva oppure alla Riserva. Nel dicembre 1847, un avviso inviato ai parroci li pregava di leggere e affiggere alle porte della chiesa una Notificazione riguardante la costituzione della Guardia Civica. Nel comune di Monteriggioni furono 63 i cittadini chiamati a formare la Guardia attiva. Tra i prescelti non figura nessun abitante di Quercegrossa e soltanto tre uomini per Basciano: Luigi Fiaschi e due fratelli Fusi.
Il 28 Gennaio 1848 il Gonfaloniere dello stesso comune stanziava la somma di lire 600 per l'acquisto di armi in ottemperanza ai Sovrani comandi del 27 novembre scorso, spesa approvata dalla Regia Camera di Soprintendenza Comunitativa, unitamente alla richiesta di collaborazione rivolta a tutti i cittadini "che volessero spontaneamente concorrere con doni e oblazioni ... che potrà loro piacere ad offrire e donare.. al Casone e alla Muraglia".
Anche la leva annuale bandita a guerra iniziata ebbe un carattere straordinario sia per quantità che per procedura e furono chiamati alle armi 2000 soldati in tutto il Granducato.
Il 3 agosto 1848 un sovrano ordine invitata i parroci a collaborare per il reclutamento di battaglioni di Militi volontari, "il primo di essi composto immediatamente dei volontari che sono tuttora al campo Toscano in Lombardia e di coloro che hanno già militato nella presente campagna".
Ordinava di formare in ogni parrocchia una commissione composta dal parroco e da altri due uomini ritenuti idonei a esercitare un'influenza morale sui giovani facendogli conoscere gli obblighi di ogni cittadino, l'oggetto della guerra presente e convincerli ad arruolarsi facendo loro presente i vantaggi che ne deriveranno per quanti "brandiranno le armi".
Non essendoci rimasto alcun documento non sappiamo come venne vissuta a Quercegrossa la Prima guerra risorgimentale e se, al di là dell'entusiasmo che deve aver contagiato un po' tutti, qualcuno dei giovani partecipò come volontario o come reclutato alle vicende belliche del 1848.
Conosciamo che la deputazione della parrocchia del Poggiolo era formata dal parroco don Giuseppe Merlotti e dai sigg. Leopoldo Andreini e Achille Bindi Sergardi.
Gli incentivi offerti per l'arruolamento, che comportava però anche l'obbligo di ferma per un anno o per l'intera durata della guerra, fanno pensare che l'entusiasmo iniziale cominciasse a calare e sempre più difficoltosa si rivelasse la costituzione di nuovi battaglioni. Comunque erano promesse pensioni ai militi feriti e alle vedove dei morti oppure ai figli fino al 18° anno nel caso di morte del milite vedovo; preferenza nelle doti per le figlie dei caduti, preferenza per tutti i soldati nei concorsi per gli uffici pubblici e naturalmente il soldo previsto.
Il malessere generale traspare anche nella Circolare nel 22 agosto inviata dal Gonfaloniere di Monteriggioni a tutti i parroci che inizia rilevando il dispiacere con cui il Real Governo vede che in alcune località non sono appresi i vantaggi dell'istituzione della Milizia Cittadina e fa appello al parroco “che la sua opera può essere di molta utilità dimostrando l'erroneità dei pregiudizi e confutando le false "intelligenze" contrarie allo scopo della istituzione e inducendo alla persuasione il suo popolo che la Guardia è una forza protettrice della sicurezza del Paese, dell'osservanza delle leggi, dell'ordine pubblico e il pieno e perfetto svolgimento delle riforme accordate dal Principe per il bene dello Stato”. Invita il parroco a smentire "nella guisa che ella riterrà più adatta" quelle voci che danno per imminente da parte del Granduca lo scioglimento della stessa Milizia. Conclude pregandolo di volersi prestare con la maggior premura possibile e di informarlo onde possa darne comunicazione alla Prefettura di Siena che gli ha commesso quanto sopra.
Con l'abbandono di Firenze da parte del Granduca avvenuto il 31 gennaio 1849 e con la proclamazione del Governo provvisorio fu decretata un'altra chiamata di volontari per sostenere la causa; il 4 marzo venne messo a conoscenza il popolo di Monteriggioni attraverso la solita voce dei parroci: "Invita pertanto tutti quelli cui stando a cuore il servizio della patria vuolessero arruolarsi e profittare nel tempo stesso dei vantaggi che il rammentato decreto fissa a favore di tutti quei che volontari si arruoleranno. Dalla residenza Comunitativa di Monteriggioni il Gonfaloniere A. Palmieri Nuti". Uno dei centri di reclutamento era a Lornano presso il Sig. Capitano Giacinto Sestini.
Tra appelli all'arruolamento volontario nell'esercito e richieste di adesione alla Milizia si assistette in quei due anni a un continuo ripetersi di avvisi, notificazioni e circolari.
Ancora il 24 marzo 1849 si richiedeva al parroco del Poggiolo don Merlotti di presentare lo stato d'anime che deve essere esibito alla Commissione Incaricata della mobilitazione della Guardia Nazionale di questa comunità per la quale deve operare. Il 4 marzo del 1849 la Guardia Civica assunse il nuovo nome di Guardia Nazionale, ma dopo poco tempo venne soppressa.

La Guardia Nazionale
Col riprendere nel 1859 la guerra per l'indipendenza dall'Austria, che ebbe come conseguenza l'abbandono del potere in Toscana da parte del Granduca Leopoldo II il 27 aprile, si ripropose la Guardia Nazionale con le stesse funzioni di tutela dell'ordine pubblico simili a quelle già esercitate dalla Guardia Civica, regolamentata poi su scala nazionale nel 1861.
Le Comunità mantennero il compito di preparare le liste e correggerle annualmente per la formazione dei contingenti, incarico spettante al Consiglio di reclutamento.
La guerra con l'Austria richiamò, nel rinnovato entusiasmo generale, un alto numero di volontari e in conseguenza di ciò non ci fu bisogno di ricorrere alla leva annuale.
In questo susseguirsi di chiamate e appelli si ripeté quanto era successo dieci anni prima con abbondanza di circolari e avvisi, mentre i soldati dell'ex esercito granducale confluivano in massa nell'esercito piemontese.
Alle operazioni di reclutamento volontario o di leva si aggiunsero iniziative in tutte le Comunità per contribuire in modo tangibile alle operazioni militari attraverso raccolte di denaro e materiali vari. A Monteriggioni la Commissione comunale costituita a proposito inviava il 15 giugno 1859 una circolare a tutti i parroci incaricandoli di avvisare la popolazione che potevano "rimettere quelle somme o robe" nella mani di alcune persone comprese nella lista che seguiva.
All'appello faceva seguito un primo elenco di offerenti che comprendeva anche i parroci di Uopini e Fungaia. Il totale raccolto assommava a lire 2020 più alcune pezze di stoffa, teli, pezze e fila fine per libbre 5. Firmato dal Gonfaloniere F. Bindi Sergardi. L'anno successivo, il 2 novembre 1860, un nuovo Ordinamento della Guardia Nazionale per le province Toscane veniva distribuito dalle autorità comunali a tutti i parroci per l'affissione e stabiliva che il Ruolo Generale comprendeva tutti gli uomini validi dal 21° al 55° anno d'età ed era prevista anche l'iscrizione per i giovani dai 18 ai 21 anni, previo consenso paterno. Il gonfaloniere F. Bindi Sergardi invitava nella sua villa detta “i Colli” "per ricevere le relative dichiarazioni e somministrati tutti quelli schiarimenti che verranno domandati".
Nel 1862 l'elenco di coloro che risultavano iscritti alla Guardia nazionale per il Comune di Monteriggioni comprendeva 163 cittadini e della parte di Quercegrossa vi erano Luigi Fiaschi mugnaio, Luigi Landi della Magione e Giovanni Sancasciani delle Gallozzole.
Si comunicava che coloro che ritenessero di essere stati illegalmente inseriti nell'elenco potevano presentare i loro reclami entro 15 giorni.
L'11 ottobre 1862 si ricercavano ancora volontari per la Guardia nazionale mobile e si parlava di partenza di contingenti invitando a tenersi pronti per ogni possibile richiesta. I volontari saranno i primi della lista. Quest'ultimo allarme faceva seguito ai noti fatti della questione romana e allo scontro sull'Aspromonte che vide Garibaldi ferito.
Ai primi del 1863 il Gonfaloniere Brancadori rinnovava l'invito a iscriversi alla Guardia Nazionale a quei giovani che avessero preso domicilio da poco, che avessero compiuto venti anni e che pagassero una tassa annua non inferiore a lire 3. Ma con una precedente circolare del 17 gennaio convocava gli iscritti in casa sua a Siena per metter ordine nelle liste della Guardia Nazionale, essendo difficile aggiungere o togliere i nomi. Questo ultimo avviso dimostra le difficoltà sopraggiunte nel gestire una istituzione paramilitare il cui compito istituzionale stava perdendo ogni importanza essendo ormai pacificato il paese con l'unità d'Italia del 1861.
Per quanto riguarda la Guardia Nazionale nel Comune di Castelnuovo B.ga nella documentazione degli anni Sessanta appare da un controllo dei registri della Guardia la quasi totale assenza nelle liste degli uomini di Quercegrossa. Ad esempio, nel Registro matricola del 1862 su 936 nominativi risulta iscritto soltanto Agostino Manganelli, colono a Pietrata di 42 anni, mentre stranamente sono assenti i Ticci che saranno tra i mobilitati in quell’anno e nei seguenti. Di Basciano invece sono presenti alcuni nuclei familiari conosciuti come i Fiaschi, i Buti, i Palazzi e i Brogi. Un po' meglio era andata due anni prima, nel 1860, quando nell'elenco dei militi chiamati a far parte dei corpi distaccati risultavano di Quercegrossa Lorenzo Gori di 27 anni, Gaspero Patacchini di 30 anni e Giuseppe Ticci di 30 anni. In un altro elenco inerente il distretto di Vagliagli erano iscritti Giuseppe Sancasciani, luogaiolo ammogliato con quattro figli; Pasquale Becatti di 36 anni ammogliato con due figli; Lorenzo Gori di 46 anni, ammogliato con sei figli; Niccolò Gori di 42 anni ammogliato con due figli. Due soli gli scapoli: Pietro Gori di 22 anni e Deonisio di 26 anni. Vista l'età e la situazione familiare i potenziali mobilitati potevano essere soltanto gli ultimi due, ma entro breve tempo essi lasceranno Quercegrossa con le loro famiglie e di conseguenza l'anno successivo, nel registro di ruolo del 1861 dei militi obbligati al servizio attivo, risultano invece di Quercegrossa solamente i Ticci, cioè i quattro figli di Antonio, Giovanni, Raffaello, Luigi ed Emilio su un totale di 142 militi. Nel 1863, nel contingente dei "Mobilizzabili" attivi in servizio figureranno, su 64 militi, soltanto i possidenti Emilio e Giuseppe Ticci e il colono Fortunato Bernini di Petroio. Quell'anno in data 4 settembre Giuseppe Ticci comunicava al Gonfaloniere "di non poter altrimenti far parte di codesta Guardia nazionale" per aver posto il suo domicilio a Siena. Al che il Gonfaloniere rispondeva che "provi legalmente il variato indirizzo" e fino a quella prova si doveva considerare domiciliato in questo Comune.
Nei successivi anni l'unico rappresentante sarà sempre Emilio Ticci mentre la forza della Guardia attiva oscillerà tra i 123 militi del 1864 e gli 80 del 1866, fino ai 59 del 1867 in evidente decadenza.
La chiamata in servizio sia per le esercitazioni che per la mobilitazione veniva effettuata dal Gonfaloniere per mezzo di ricevute che venivano consegnate a mano agli interessati o ai loro familiari. Nei casi di assenza ingiustificata il milite veniva deferito al Consiglio di disciplina, come avvenne per il Ticci che il 26 settembre 1862 non si era presentato per il servizio di pattugliamento, la mancanza più frequente per la quale venivano deferiti gli assenti. A questa si univano denunce per assenze alle istruzioni di tiro e alle parate. Tra i casi conosciuti di questi veri processi c’è un verbale contro Emilio Ticci, condannato a lire 2 di multa per mancanza dal servizio il 27 marzo, ma fra tutti risalta per la sua risonanza, almeno documentaria, quello contro Pietro Andreotti, possidente di Vagliagli che non si era presentato al servizio di perlustrazione del 29 marzo 1863 e per questo denunciato dal Capitano Valentino Valenti. La Commissione di disciplina riunita in Castelnuovo il 27 agosto successivo giudicò in contumacia il reo, assente per “mal di stomaco”. Per il reato ascritto all’Andreotti, furono giudicati nella stessa udienza altri militi tra i quali Giovanni e Giuseppe Ticci e vennero formulate le seguenti condanne: due giorni di carcere per l’Andreotti e Giovanni Ticci e tre per il recidivo Giuseppe. La Commissione poi si ritirò per deliberare in segreto “e dopo competente spazio di tempo rientrò in udienza”. Le sentenze emesse videro confermata la pena del carcere di due giorni per Pietro Andreotti, mentre venne trasformata in una multa per i fratelli Ticci rispettivamente di 4 lire per Giovanni e 6 per Giuseppe. Naturalmente il possidente condannato non rimase con le mani in mano e rispose personalmente dimostrando la sua non colpevolezza in quanto non esisteva legge che lo condannasse, mettendo quindi in discussione la legalità della Commissione. Tutto ciò non fu sufficiente e la condanna veniva confermata. Per tentar di metter fine alla sua storia di “Mobilizzato della Guardia” l’Andreotti in data 27 settembre inviava al Sindaco un certificato firmato dal dr. Bianciardi di Castellina che riportava “... in progresso di tempo gli si sono sviluppate le emorroidi esterne, da renderlo impotente agli Esercizi militari come meglio apparisce dall’annesso certificato, che per paralisi di lingua subì una operazione dal prof. Berti di Siena”. In sostanza l’Andreotti non può camminare a lungo, certifica il dottore, ed è quindi inabile ad ogni servizio. La condanna alla pena del carcere non era teorica ma doveva essere scontata in quella che era la sede della Guardia la cui custodia rientrava tra i compiti del Tamburino. Una memoria del capitano Valenti richiamava quest’ultimo al rispetto delle regole sulla custodia dei carcerati maturate senz’altro dall’allentamento di queste, vista la particolare natura dei prigionieri e dai rapporti di conoscenza se non di amicizia tra questi e il loro custode.
Il Tamburino non doveva introdurre liquori di sorta né doveva lasciare entrare nessuno nella prigione. Doveva tenere un registro e segnarvi i movimenti dei carcerati e si doveva presentare tre volte al giorno al carcere: al sorgere del sole, a mezzo dì e alle ventiquattro. Qualsiasi sua infrazione sarà punita con il “toglimento del suo soldo fino a mesi tre”. Gli era vietato espressamente anche di intrattenersi a confabulare con i detenuti perché era altrimenti del pari punito sul soldo. I prigionieri potevano scegliere se “darsi il vitto”, cioè farselo portare da casa o dalla locanda, o se accettare quello del Comune che in tal caso era equiparato a quello delle carceri. Stipendiato regolarmente dal Comune, il Tamburino, oltre a sfilare con il battaglione nelle adunate, doveva far rullare il tamburo nei paesi quando c’era la mobilitazione della Guardia e svolgeva anche compiti di messaggero ai comandi del capitano. Era un ruolo utile e sappiamo che venne svolto fino al giugno 1863 da Carlo Meini sostituito da Antonio Fineschi come risulta dalla sua richiesta di arruolamento del 23 luglio 1863, in cui dichiara di aver provato tale compito per un mese, come può testimoniare il Capitano della Guardia. I Tamburini in servizio erano due.
Le attività della Guardia, esclusi i due anni di guerra del 1859 e 1866, si riducevano: al controllo dell'ordine pubblico in occasione di feste popolari, fiere e mercati con una forza da due a quattro militi con un sergente e un caporale; a scorta del commesso per il censimento o di altri ufficiali del Comune; a servizio di ronda diurno e notturno e pattugliamenti e perlustrazioni come rinforzo ai carabinieri. Nel 1864 furono comandati dal Prefetto, certamente a seguito di lagnanze dei proprietari vittime di ruberie, a pattugliare nei dintorni di Castelnuovo "onde venga tutelata la proprietà campestre nel presente periodo di maturazione delle uve e provveduto come di legge contro chi si rendesse contabile di simili furti". Venne a tal fine organizzato un servizio di perlustrazione a giorni alterni per il capoluogo mentre per le campagne ci si rimetteva allo zelo ed energia dei capo pattuglia. Per quanto riguardava la sezione di Vagliagli tutto era rimesso alla responsabilità del Comini, ufficiale della medesima.
Nelle parate in occasione di feste come quella civile dello Statuto, la Guardia sfilava in colonna, probabilmente tra gli applausi dei presenti, al rullar del tamburi che i giovani tamburini suonavano con fierezza.
A un servizio straordinario era stata chiamata nel 1861 la Guardia Nazionale di Castelnuovo a S. Gimignano, che si tradusse in 20 giorni prestati presso il carcere di quella città con una forza di 10 militi comandata dal capitano. Il sindaco di detto Comune aveva poi inviato una lettera di buon comportamento.
Tutte le spese di gestione della Guardia erano a carico della Comunità come prevedeva l’art. 90 della Legge 4 marzo 1848. Il bilancio annuale del 1864 ci illustra con poche voci la natura di tali spese: stipendi dei due tamburini: lire 360; istruzione della Guardia: lire 250; per supplire alle spese del Consiglio di disciplina: lire 100; per piccole spese d’ufficio: lire 50; per restauri ai fucili, tamburi, monture del Comune: lire 30; per cartucce d’ambo le qualità e capsule: lire 60; per pigione di un corpo di guardia da istituirsi a Vagliagli: lire 67,20; per oggetti necessari nel medesimo: lire 80; per spese impreviste: lire 100. Firmato: il comandante Valenti.
Da questo documento appare prossima l’apertura di una sede distaccata a Vagliagli sotto la direzione del possidente Cumini e le spese per armamenti e divise. Quest’ultime fornite da commercianti specializzati nel settore, mentre armi e munizioni dai Magazzini d’artiglieria dell’esercito. Quest’ultima voce comprendeva polvere per fucili, cartucce a pallottola sferica e munizioni varie, inizialmente date con l'autorizzazione del ministro della Guerra poi a semplice richiesta del Sindaco ai Magazzini; e il tutto con un prezzo a carico della Comunità. Ad esempio vediamo che nel 1864 la polvere da fucile costava due lire al Kg. e le cartucce a pallottola sferica da mm 14,3 con grammi 2,80 di polvere da fucileria con capsule lire 0,03 cadauna. Nel 1863 i fucili in dotazione alla G. N. di Castelnuovo sono 100. L’attenzione che i fucili richiedevano non trovava però riscontro nella pratica e queste armi chiuse in casse, spesso per anni, erano soggette a guasti e usura. Il 31 luglio 1863 il responsabile di Vagliagli si rivolgeva al Gonfaloniere richiedendo l’autorizzazione alla riparazione, da parte di perito armaiolo, dei 14 fucili che “non essendo giammai stati consegnati ai militi si trovavano terribilmente ossidati e poi guasti anche nelle parti interne”. Questa doveva essere ovunque la situazione tanto da far smuovere il Ministro della Guerra che nel 1869, preoccupandosi del deperimento a cui vanno incontro i fucili della G. N. che eccedono i ruoli della milizia cittadina e stante l’impossibilità di conservarli nei Magazzini d’artiglieria, ordinava attraverso i Prefetti “la vendita dei fucili in eccedenza che trovansi nelle casse Comunali”. Ciò però non interessò Castelnuovo che anziché sovrabbondare era scarso di numero di fucili.
Come anticipato, nel 1866 con la mobilitazione dell'esercito nella terza guerra contro l'Austria, la Guardia Nazionale venne coinvolta con la chiamata di 50 battaglioni a compiti di tutela nelle città e a tal fine si ebbe una mobilitazione per il servizio di guerra della durata di tre mesi con tanto di visita sanitaria a seguito del Regio decreto del 3 maggio 1866. Il Sindaco proclamava l'8 maggio 1866: "…il valoroso nostro esercito ha abbandonato le città dove teneva presidio … per raccogliersi compatto lungo il Po ... la G. N. è chiamata al servizio di Guarnigione e sono sicuro che non mancherete di adempiere ad un sacro dovere che la Patria e la Legge vi impone". La Guardia di Castelnuovo era inquadrata nell'83° battaglione. Solo due non si presentarono.
Altra mobilitazione di una certa rilevanza si ebbe nel dicembre 1868 quando un’ordinanza prefettizia mobilitò 50 militi della Guardia con servizio fuori comune stante la scarsità delle forze regolari “dopo aver avuto particolari informazioni sullo stato della tranquillità pubblica e della sicurezza personale in alcuni Comuni del Circondario”. Ogni Comune, Castelnuovo compreso, fornì 5 uomini.
In tempi ordinari per dare stimolo e interesse ai militi veniva organizzata una Gara di tiro a segno nazionale per la Guardia e la prima edizione si tenne a Milano. Ci si preparava nelle sede del tiro a segno di Siena e tutti gli anni si svolgeva nelle grandi città con la partecipazione dei migliori tiratori. Nel complesso l’attività della Guardia venne stimolata dalle autorità superiori che non sempre trovarono riscontro in quelle locali e nelle popolazioni e spesso appare una palese ignoranza delle regole sul comportamento e sulla mobilitazione.
Nel 1864 veniva convocata per la prima volta l'intera Compagnia della Guardia a Castelnuovo per l'elezione dei graduati: un capitano, un sergente e due caporali. La forza era di 123 iscritti ma non si raggiunsero le 62 presenze necessarie per la validità delle operazioni e pertanto l'elezione venne annullata. Nel 1865/66 un ispettore riferisce al prefetto che la Guardia di Castelnuovo giaceva in abbandono. Si moltiplicarono le domande di esenzione e i rifiuti si fecero sempre più numerosi. A questa che sembra un vera agonia mise fine il decreto ministeriale del 24 febbraio 1870. Successivamente, il 23 aprile 1870 sull’intero territorio comunale vennero affissi manifesti che informavano dello scioglimento della Guardia Nazionale e assegnavano otto giorni di tempo agli ex militi ai quali era stato consegnato il fucile per riportare la rispettiva arma ai magazzini comunali a tal uopo aperti dalle 10 antimeridiane alle 3 pomeridiane. Finiva per sempre la G .N. perché non sarebbe stata più riproposta in futuro. Lo scioglimento della Compagnia non mise però fine al suo servizio e alcuni volontari, dietro pagamento, presero parte nei mesi successivi a operazioni di rinforzo ai carabinieri su richiesta dei Comuni come quello di Radda, che richiese 5 militi, o quello per problemi di ordine pubblico nel Comune di Gaiole di 10 militi, di cui 5 di Castelnuovo e 5 di Castellina, con base operativa a Radda. Il guadagno si aggirava su una lira o poco più al giorno e il corpo prendeva residenza nel Comune che lo aveva ingaggiato. Già a Castelnuovo si era ricorsi anni prima, nel 1867, alla G. N. di Radda per un “atteso grave servizio” di 5 militi a pagamento per 15 giorni, con un costo complessivo di lire 81, delle quali 18 al caporale Gaspero Braccini e 15,75 a ciascun milite. Era finita, ma ancora nel 1871 il Sindaco scriveva per la revisione annuale delle liste della G.. N. e questo è l’ultimo documento.



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