Edificata probabilmente alla fine del Cinquecento, in quel periodo di transizione dalla casa fortificata alla villa rurale, come residenza di campagna della famiglia Amidei, al centro di una proprietà agricola molto estesa vicino alla quale sorse in contemporanea o poco dopo l’annesso agricolo detto in seguito il Palazzaccio. La villa era unita a questi da un alto muro che chiudeva il giardino della villa stessa ed era interrotto da un ingresso di servizio. Un piccolo edificio sorgeva nel giardino di fronte all'ingresso rammentato, forse per uso agricolo o residenza del casiere. Esso scomparve probabilmente a metà Ottocento in concomitanza della costruzione del nuovo ingresso.
Il fabbricato della villa appare costruito ex novo e ha mantenuto intatta la sua struttura originale esterna presentando pochi segni di modifiche compresi i due archi che davano sulla strada, murati probabilmente già in tempi antichi, e altri rimaneggiamenti di porte e finestre sul muro nord. Ma i resti di un pavimento in pietra riscoperti di recente durante lavori di sistemazione del pavimento della cucina intorno al pozzo incorporato nel muro Sud, ci confermano che la villa nacque su un preesistente edificio (il rammentato
Palazzo dei documenti) munito forse di un chiostro che comprendeva l’antico pozzo.
All’interno della villa due lunghe rampe di scale collegano i tre piani. Anche queste sono frutto di lavori successivi perché la collocazione della prima rampa è in conflitto con l’arco murato della parete esterna alla quale è a ridosso. Si può pensare che a metà Seicento, con l’arrivo degli Andreucci, l'edificio abbia subito importanti modifiche interne. Un’altra variazione si ebbe sul tetto con la scomparsa dello svettante colombaio, documentato nel Settecento.
Sotto la costruzione esiste una profonda ed estesa cantina dove dopo una corta scala iniziale partiva a destra, in senso contrario, un lungo corridoio che pendendo lentamente si diramava in diversi ambienti sotterranei di tufo, con pochi tratti di muratura, e da uno di questi cominciava un misterioso cunicolo che a memoria dei vecchi conduceva a Macialla. Dapprima abbastanza agibile, diveniva via via sempre più stretto fino a consentire il passaggio di una sola persona, fino a che un cancellino, mai superato impediva di continuare. Presentando anche il Palazzaccio lo stesso cunicolo, si può pensare che sia la continuazione del precedente, interrotto alla costruzione del fabbricato. Entrambi vennero chiusi, fatti franare dallo zio Sandro negli anni Sessanta, per timore di cedimenti che avrebbero potuto avvenire nel corso di incursioni fatte soprattutto da noi ragazzi. Comunque rimane un mistero e certamente il cunicolo era anteriore alla costruzione della villa.
La prima notizia della villa l’abbiamo da un battesimo di Lornano nel 1603 quando il parroco annota la residenza del battezzato:
"in predio Amidei in villa Quercia grossa" e nel 1604
"in villa quercegrossa - compare Pietro Granai abitante in detta villa". Nel 1609 abbiamo lo stesso Granai "abitante nel podere dell’Amidei a Quercia grossa". Ora, appare inconfutabile già in quegli anni l’esistenza della villa, evidentemente già restaurata o rifatta dopo la guerra di Siena, perché se il nome “villa” indicava a quel tempo un agglomerato di case, certamente doveva esservi una costruzione di rilievo rispetto alle normali abitazioni.
La proprietà si trasferì dagli Amidei ai Mochini e da questi agli Andreucci nel 1662, dato offertoci da una testimonianza di Ferdinando Andreucci che nel 1668 dichiara di abitare a Quercegrossa da sei anni nella sua villa.
Naturalmente come tutte le ville campestri serviva ad esclusivo uso estivo, quando famiglie intere si trasferivano in campagna e vi trascorrevano alcuni mesi, anche se l’inventario del 1766 compilato alla morte di Giovanni Francesco Andreucci, nel quale si descrive accuratamente l’interno della villa, sembra che il proprietario vi possa aver vissuto per periodi che andavano oltre le ferie estive; lo testimoniano i numerosi oggetti personali e di servizio per tutti gli usi presenti nella villa.
In quegli anni la villa comprende un orto di circa un staio di terra (1250 mq.) e confina da due parti con la strada di Castellina e dalle altre con il podere delle monache della Madonna. Ora, l’esigua area intorno alla villa, il cosiddetto orto, ci dice che il giardino detto di sopra e quello di sotto, collegati da un’ampia scala in pietra serena, i secolari lecci, il lauro, le palme, il canneto e altre piante, oltre all’orto, la peschiera e, continuando sulla strada campestre, il viale dei mandorli e la sistemazione del bosco dei cipressini, risalgono ad anni posteriori, quando gli Andreucci acquistano il podere dalle monache della Madonna che, come abbiamo visto, si stendeva in Monteriggioni confinando con la villa. Si può quidi affermare che tra fine Settecento e i primi del secolo successivo, gli Andreucci dotarono la loro villa di un parco - giardino. Gli industriali e padroni Mori che vi presero dimora nel 1919 lo trovarono ancora ben disegnato.
Prima dell’acquisto del Palazzaccio dalle suddette monache, destinato a divenire la fattoria degli Andreucci, il pian terreno della villa aveva due ambienti per uso agricolo: uno detto “granaio” con molte botti, bigonci e barili; l’altro, attiguo al granaio, era un “magazzino” di deposito per il grano, fave e biada. Altre botti erano in cantina.
Tra coloro che abitarono nella villa si ricorda Benedetto Bacci possidente e affittuario per alcuni decenni dell’Ottocento dei beni degli Andreucci che si sono trasferiti a Firenze.
Appena presa la piena proprietà della villa, i Mori vi costruirono lungo il lato della strada del Castello un esteso fabbricato a due piani con il forno, datato 1920, il granaio e la stanza degli uccelli. Al piano terreno che dava nel giardino di sotto un gabinetto con accanto il grande pollaio. All’interno della villa si ricorda la magnifica sala al pianterreno, ammobiliata con gusto, con i suoi quadri, gli antichi sedili vellutati, l’orologio a pendolo e lo splendido lampadario; la grande cucina con la pesante tavola di marmo, intorno alla quale sedevano oltre venti persone, il salotto in cima alle scale del primo piano, come nel 1766, con caminetto, busto in marmo di Napoleone e vetrina antica. Poco prima della seconda guerra una piccola stanza del pianterreno venne affittata ai calzolai Cappelletti e la stessa servì più tardi come negozio di parrucchiera per Bianca Mori. Quell’altra stanzetta all’angolo della strada venne invece data al barbiere Attilio Furini e dopo di lui ad altri. Al primo piano si trovavano tutte le camere dei fratelli e al secondo quelle dei nipoti e dello zio Gigi, che gli rimase assegnata fino alla morte. C’era inoltre al secondo piano lo stanzino del carbone che, come ricorda Gina Rossi, era all’ultimo piano "e la padrona lo usava in cucina; bisognava scenderlo al piano terra". Vi si trovava anche la famosa stanza dei "topi", una specie di grande ripostiglio e guardaroba, con aglio, cipolle e frutta a seccare, regno incontrastato dei "tarponi", alla quale donne e ragazzi si affacciavano timorosi. Chiudeva il giro la porticina della scala per la piccionaia, che nel Settecento dava sul colombaio e la stanza del vinsanto, ai suoi tempi piena di caratelli per una produzione di competenza dello zio Sandro, trasformata in seguito a camera per la zia Alduina, dove poi sarebbe deceduta.
Verso il 1955 i Mori divisero la grande cucina e la sala per ricavarvi quattro cucine e uno studio per l’amministrazione. La successiva divisione del 1965 diede la proprietà del palazzo ai fratelli Alessandro e Dino, ed oggi vi vivono i loro figli.
Il viale dei mandorli che conduceva da Quercia ai Cipressini. Realizzato dagli Andreucci era luogo di lunghe passeggiate per tutti e cavalcate degli Andreucci come ancora si rammenta. Nella stagione della fioritura gli antichi mandorli colorivano di rosa e bianco un paesaggio dominato dal verde dell’erba e dal bianco delle tante margherite, come appare nella foto. La bambina con la bambola è Emanuela Bandini. Un altro viale dei mandorli era stato realizzato nelle terre del podere di Casagrande che conduceva ai campi vicini al Casino.
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