Quercegrossa (Ricordi e memorie)
CAPITOLO I - LUOGHI E PODERI
(QUERCEGROSSA)
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Quercegrossa - Introduzione storica
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Nuove costruzioni
Quercegrossa paese - Introduzione
Trattando la storia civile e religiosa del paese in altri capitoli mi limiterò qui a una descrizione degli edifici che costituirono fino agli anni Settanta del Novecento la cosiddetta "frazione di Quercegrossa" e dei poderi associati a detti edifici. Le origini dell'abitato non sono né documentate né ipotizzabili perché certamente sono molto antiche e affondano le loro radici nella storia romana e forse etrusca.
Dalle numerose case o domus del 1319, una quindicina in borgo di Quercia grossa, ma è impossibile stabilire il numero degli edifici e se comprendevano anche quelle interne al castello, si svilupparono le quattro principali costruzioni che si fronteggiavano in una limitata superficie tra le quali scorreva l’antica strada della Castellina e guardate in lontananza dalla chiesa. Esse per alcuni secoli compongono il nucleo abitativo detto "Quercia grossa".
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Quercegrossa nell'anno 1770
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Quercegrossa nell'anno 1825
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Veduta del centro di Quercegrossa da una foto di Brunetto Rossi del 1920 ca. Tra le persone
presenti alla porta dell’osteria si distingue la sora Emilia per la sua bassa statura. A destra
l’ambiente della posta e del forno con l’ingresso al podere dei Mori e un contadino che fa
capolino. Lì c’era un cancello metallico a chiusura della piazzetta colonica. Questa foto fa
parte di una serie di tre, donate da Brunetto Rossi a don Luigi Mori e da questi all’autore.
Poi, a partite dalla fine dell'Ottocento, lentamente e in modo sparso sorgono alcune abitazioni lungo la strada principale. Il fenomeno si fece più marcato, ma sempre contenuto, nei due decenni del secondo dopoguerra per poi dilatarsi e stravolgere completamente i caratteri originali urbanistici e ambientali. Frattanto lavori di ristrutturazione e ampliamento apportati nel Novecento agli edifici in paese contribuivano ad aumentare seppur di poco la scarsa popolazione. Nel 1672 abitano in Quercegrossa diciotto persone così suddivise: otto all'osteria, famiglia Petrilli; quattro pigionali alla chiesa, famiglia Cicali; quattro nel podere Amidei, famiglia Bonci, e due pigionali a Quercegrossa, i Bianciardi. Questi ultimi sono pigionali degli Andreucci, proprietari della villa fin dal 1662, e abitano di certo nell’edificio di Casagrande. L’elenco suddetto ci serve per introdurre un argomento che presenta tratti di incertezza cronologica e di proprietà: quello dei poderi in Quercegrossa. L’unico citato in quell'anno è il podere Amidei, ma non è l’unica unità poderale in paese perché gli Andreucci posseggono già il podere detto di Quercia Grossa, che si estende sull’attuale territorio di Castelnuovo i cui confini arrivavano all’Olmicino, e si avvalgono dell’opera di salariati per la sua coltivazione. Prima dell’Andreucci si aveva un’unica grande proprietà Amidei in paese comprendente tutte le terre adiacenti alla villa dalla parte di Monteriggioni con molto bosco e incolte, utilizzate forse come riserva di caccia, della quale abbiamo una menzione, confinanti col Castello e Larginano giù fino al Mulinuzzo, e quelle a Nord-Est, dalla parte di Castelnuovo, delimitate dalla vecchia strada per Castellina con confine il Castello che si estendono fino al fiume Staggia e risalendo toccavano i campi dell'Olmicino e la chiesa, ma con qualche appezzamento sparso in mano ad altri. In pratica l'Amidei controlla quasi tutte le terre intorno all'abitato escluse quelle del Castello. Esse facevano parte dell'antico possedimento dei Benvoglienti che abbracciava tutte le terre di Quercegrossa e del Castello, insieme ad altre proprietà a Gardina e Lornano. Infatti nel 1570 e 1572 non appare la famiglia Amidei tra i proprietari del comunello di Querciagrossa, ma ci sono i Benvoglienti con il loro colono Battista Mazzini. Nel 1581 appaiono invece gli Amidei a Quercegrossa e i Benvoglienti sono padroni soltanto del Castello e del Casalino. Nel 1592, poi, il colono degli Amidei è un certo Drea figlio o parente di quel Battista Mazzini colono dei Benvoglienti. Questa continuità della famiglia del lavoratore nel podere dimostra che nello stesso ai Benvoglienti si sono sostituiti gli Amidei verso il 1575. Queste terre, passate ora agli Amidei, saranno ripartite successivamente, in epoche diverse e da altri proprietari, su quattro poderi, in un processo di frazionamento che terminerà nel 1936/37. Ora, seguendo l’evoluzione delle proprietà vediamo che si creano a fine Seicento tre unità poderali distinte, che comprendono, la prima, le terre dell'osteria che attraverso i Tantucci, i Lottorenghi e gli Amidei, sono passate in mano alle monache del convento di S. Lorenzo di Siena, in data imprecisata. A proposito di queste terre siamo a conoscenza di una causa che le interessa e coinvolge un altro convento di Siena, ossia le monache di Ognissanti, le quali avevano preso in affitto nel 1646 terre e osteria dai nobili Tantucci, proprietari anche del Castello. L'affitto pattuito non era stato pagato regolarmente e quindi fu aperta la causa che si risolse con l'abbandono di Quercegrossa da parte delle monache tre anni dopo, nel 1649. La seconda unità comprende il podere di Quercia grossa dei sigg. Andreucci, acquistato dagli Amidei in un tempo sconosciuto, ma anteriore al 1668 (modifica: gli Andreucci acquistarono il podere dai Mochini nel 1662), comprendente la casa colonica, più tardi detta Casagrande, in territorio di Castelnuovo, con annesse le terre che vanno fino all'Olmicino, che funge da fattoria anche per il podere del Casino. La terza, infine, il podere anch'esso detto di Quercia grossa di proprietà delle Monache della Madonna venduto dagli Amidei nel 1720 a Francesca Ugolini e poi alle dette Monache nel 1730 che si distende in Monteriggioni e confina con l'orto Andreucci, la strada del Castello e la via detta allora comunale. Nella ricordata compravendita Amidei - Ugolini si scontrano interessi di istituzioni e privati: nel 1720 gli Amidei vendono il podere di Querciagrossa alla Sig.ra Francesca Ugolini in Arrighi. Il Monte vacabile dei Paschi aveva tenuto poi, come creditore, i beni della Ugolini che alla sua morte per disposizione testamentaria erano passati per donazione alla compagnia di S. Pietro in Duomo, la quale aveva proceduto alla vendita per mezzo di asta pubblica e quindi nel 1730 le Monache della Madonna, la cui offerta di 3650 scudi venne ritenuta la più vantaggiosa, comprano "un palazzo (il Palazzaccio) nel comune di Quercegrossa con tutte le sue ragioni e pertinenze che confina con l'Andreucci e la strada comunale"; un podere di detto Comune di Quercegrossa ad uso di mezzaiolo; altro podere detto il Molinuzzo, e il Casalino. I 3.650 scudi vennero divisi secondo i diritti degli enti e degli eredi. La nuova situazione delle proprietà in Quercegrossa perdura per tutto il Settecento ed è caratterizzata da vendite e compere di piccoli appezzamenti di terra sparsi, con il fine di aggregare intorno alla propria tenuta sempre più terre. Nel 1766 dal testamento di Giovanni Francesco Andreucci si ha una descrizione del suo podere: "Un podere denominato Quercia Grossa vitato, olivato e di circa staia venticinque (tre ettari c.a) con casa per il colono al quale confina da due la strada pubblica che porta alla Castellina e da altra parte il podere detto dell'Olmicino di proprietà del sig. Pompilio Faleri". L'estensione del podere in quell'anno è molto inferiore a quella che risulterà nel 1800 e in basso descritta. Più tardi, per conseguenze derivate da Leggi superiori, si avvia un processo di cambiamento delle proprietà che avviene fra la fine del Settecento e gli inizi del successivo ed è facilmente comprensibile avendo due poderi in mano a enti religiosi; enti che saranno soppressi in due fasi, quella granducale del 1785 e quella napoleonica del 1808, e i loro beni incamerati dallo Stato e rivenduti a privati.
Infatti, il piccolo podere dell'Osteria, o parte di esso, già delle monache di S. Lorenzo, viene venduto nel 1784 ad Antonio e Giovanni Ticci per il prezzo di scudi 1000 comprendente un casamento ad uso osteria e un edificio a uso oliviera con circa un ettaro e mezzo di buone terre ed è pensabile che in altro contratto i Ticci siano divenuti proprietari di tutti quei campi che arrivavano alla Staggia. Stesso discorso per il podere delle monache della Madonna passato nelle mani degli Andreucci fra gli anni 1783/85, anche se il monastero rientra nella seconda soppressione. Da questo momento, e con successive aggiunte, gli Andreucci posseggono le terre al di qua e al di là della strada principale di Quercegrossa. Di fronte vi sono i Ticci con il loro podere. Questo è un assetto patrimoniale duraturo, e ne passerà del tempo perché si modifichi nel Novecento con l’avvento dei Mori e di Giotto Fontana. Ai primi dell'Ottocento risale la descrizione dei due poderi in mano agli Andreucci: "Un podere detto di Quercia Grossa di cui è mezzaiolo Antonio Lazzeri di estensione a corpo e non a misura di circa stara 100 o siano are 1250 (dodici ettari e mezzo), pomato olivato seminato e boschivo; altro parimenti denominato Quercia Grossa di cui è mezzaiolo Francesco Fusi di estensione a corpo e non a misura di circa stara 150 (ca. diciannove ettari), seminato, pomato, vitato, olivato, alberato a stipa ceduo e d'alto fusto". L'unica variazione apportata dagli Andreucci nel 1836/37 è quella di riunire le loro terre in un unico, grande, podere, affidato a una famiglia di mezzadri e avvalendosi anche dell'opera di salariati. Infine, si ha l’avvento dei Mori che comprano tutta la proprietà Andreucci nel 1919, con Villa, Palazzaccio, Casagrande, terreni e boschi, per una superficie complessiva di novantatrè ettari (errore di copiatura: leggere quarantatrè), e di Giotto Fontana che acquisterà nel 1921 dai Ticci e provvederà personalmente negli anni Venti alla costruzione della casa per il contadino dietro l'osteria. Ma, mentre Giotto lasciò immutata la destinazione delle sue terre, i Mori procedettero subito a creare un secondo podere verso il 1921/22, affidandolo ad una seconda famiglia che avrebbe abitato in Casagrande, rimodernata per accoglierla, e dotandola di parte dei terreni nel Comune di Monteriggioni. Poi, quindici anni dopo si ha la creazione del terzo podere con abitazione per il contadino nel nuovo caseggiato di fronte a Casagrande e terreni in Monteriggioni tolti ai Losi che confinavano con la strada statale e arrivavano fino ai Cipressoni, compresa una parte dei campi che scendevano alla strada del Dorcio. Si hanno così tre poderi Mori più quello di Giotto che fanno quattro, e con questi si chiuderà la stagione della mezzadria in Quercegrossa. Il podere detto di Giotto al tempo del Vettori si estendeva per cinque ettari circa al di qua e al di là della strada statale fino al piano del Mulino. Il contadino teneva nella stalla un paio di vacche e tre o quattro vitelli. Il podere Mori abitato dai Losi aveva un'estensione di circa dodici ettari e terre quasi tutte in Castelnuovo, con qualche pezzo sparso in Monteriggioni da quando la maggior parte erano state assegnate al Giannini del terzo podere. Nella stalla due paia di bestie, una di bovi e una di vacche. Avevano dieci pecore e "Alda le portava nel bosco prima dei Sodi". Nel castro nessuna scrofa, ma sempre magroni da ingrassare. Il secondo podere di Casagrande inaugurato senz'altro dai Baroncelli venne assegnato poi al Morrocchi, quindi al Mecacci e per ultimo al Pruneti. Era un podere di circa dodici ettari che comprendeva terre in Monteriggioni ossia la parte destra e sinistra dei Sodi al confine col Castello e il Molinuzzo. Nella stalla tenevano quattro vacche. Le numerose famiglie che si sono alternate nei tre poderi dal Cinquecento ad oggi si ricordano quella del Mazzini nel 1598, definito "Fiorentino", poi Bonci, Quercioli, Franci, Riccucci, Galardi e Banchi nel ‘600. Per il Settecento Fontani, Fusi, Dreassi, Brogi e Rossi. Nell’Ottocento Lazzeri, Morandini, Gori, il Bacci affittuario dei beni Andreucci, i Rovai pigionali, i Buti a più riprese e infine le famiglie già rammentate per il Novecento.
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Veduta di Quercegrossa intorno al 1880. Dipinto di Alberto Andreucci. Il quadro è proprietà di Raffaella e Mario Socci, avuto in erdità dal nonno Raffaello, fattore dell’Andreucci a fine
Ottocento. Si osservano i particolari interessanti dell’ingresso di servizio alla villa sulla
destra, il lungo muro che arrivava alla chiesa e il campanile a torretta rovinato da un fulmine
nel 1905 e rifatto pochi anni dopo.
Fabbricati antichi e recenti
I fabbricati storici del paese sono le case dette dei Ticci, comprendenti abitazioni, osteria e palazzo; la villa Andreucci, poi Mori; il cosiddetto Palazzaccio, la casa colonica chiamata Casagrande e alcune capanne agricole. Gli altri edifici da abitazione innalzati o modificati successivamente sono la casa del camporaiolo del prete contigua alla chiesa, le case del Leccino, il Leccino Nuovo, Casa Boddi, Villa Castagnini, le case dei Mori col nuovo podere e la Privativa, casa Brogi e le abitazioni tra la chiesa e il centro abitato in entrambi i Comuni. Come si può vedere un lento sviluppo edilizio avviato da privati che disponevano di mezzi o hanno personalmente edificato la loro abitazione come i due muratori Rossi.
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