Quercegrossa (Ricordi e memorie)

CAPITOLO VI - LA COMPAGNIA DI S. ANTONIO


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Introduzione
(1) La Compagnia a Quercegrossa(2) La soppressione del 1785 e ripristinazione
Il Libro dei Capitoli         (4)Amministrazione e attività
(5) Arredi e culto            (6)Funerali e varie

Il Libro dei Capitoli
La Compagnia della Visitazione di Vagliagli venne fondata nel 1569 e si conserva il Libro dei Capitoli che ne regolamentava l’attività. Un secondo Libro venne approvato ottanta anni dopo nel 1648 e contiene modifiche marginali rispetto al primo; è quello preso in considerazione come esempio per capire a fondo lo spirito caritativo e di mutuo soccorso che animava quelle lontane genti.
Questi Libri descrivevano con molta precisione gli atti che gli associati dovevano compiere ordinariamente durante l’anno e nei momenti particolari. Gli associati, detti Fratelli e Sorelle, insieme al parroco “Correttore” costituivano la Compagnia. Il governo di questa era affidato a diverse persone che venivano elette o nominate in spirito di larga democrazia e tutti erano chiamati a dare il meglio per la Confraternita nella diversità della cariche: sedici Fratelli formavano la parte direttiva ed esecutiva. Solo gli uomini avevano accesso alle cariche e partecipavano alle varie elezioni mentre per le Sorelle era prevista soltanto la nomina di due infermiere da parte del Priore o dei Consiglieri. Queste, scelte tra le donne devote e di almeno 25 anni, dovevano rivolgere alle Sorelle quelle attenzioni previste per gli Infermieri verso i Fratelli.
Alle donne era tassativamente proibito darsi una propria Priora o Camarlenga o creare altre cariche fra di esse. Un Correttore, un Priore, due Consiglieri, un Camerlengo, due Infermieri, un Segretario, un Mazziere, un Crucifero e sei festaioli costituivano il governo e venivano rinnovati annualmente con divieto di nuova nomina per tre anni per le cariche maggiori.
Il Correttore era sempre il parroco della parrocchia con i compiti specifici del prete: celebrare nella festa e applicare le messe per i Fratelli vivi e defunti. In mancanza di Fratelli idonei, ossia di Fratelli che sapessero leggere e scrivere, gli era anche richiesto il compito di insegnare a tenere i libri. Per le sue funzioni riceveva un compenso annuo.
Il Priore era il rappresentante e la massima autorità, ma anche lui si doveva muovere entro precisi limiti di potere e soprattutto la brevità del mandato annuale impediva che la Compagnia cadesse in mano a persone o famiglie. Di età superiore ai trenta anni, doveva essere di buona fama, di buon giudizio e di buoni costumi affinché potesse accrescere la Compagnia, conservare la pace e l’unione tra i Fratelli, vigilare sulle cose della Compagnia e in particolare che ogni Offiziale, cioè incaricato, facesse il suo dovere, altrimenti era chiamato a correggerlo. Altresì era suo compito richiamare fraternamente i Fratelli che non osservavano i Capitoli o che tenevano comportamenti "di mala vita"; dopo il terzo richiamo si doveva procedere contro questi "scandalosi" e cassarli dalla lista dopo aver aver votato la loro espulsione. Il Priore conservava presso di sé una delle chiavi della cassetta di pietra murata o fissata a muro, mentre l’altra era in mano al Camarlengo. Questa cassetta era in pratica la cassaforte della Compagnia e vi si tenevano i soldi avanzati dalla gestione e non si poteva aprire senza la contemporanea presenza del Correttore, del Priore, del Camarlengo e dei Consiglieri. Il Priore poteva a sua discrezione spendere venti soldi al mese per i poveri attingendo a questa cassa. Inoltre tra i suoi compiti rientravano quelli del passaggio delle chiavi tra i camarlenghi, il controllo dei conti e conteggio del denaro a fine mandato. Per la raccolta delle elemosine nei vari uffizi e feste c’era una seconda cassetta portatile delle elemosine che il sacrestano usava e custodiva. Chiusa anche questa a chiave, veniva votata una volta all’anno nella cassa a muro e la sua chiave in questa conservata.
Dopo l’elezione, il nuovo Priore chiedeva ai Fratelli riuniti se il vecchio Priore avesse mancato contro le regole della Compagnia; nei casi affermativi veniva sottoposto a penitenza, che gli veniva assegnata dal Correttore e dal nuovo Priore. L’accennato spirito democratico che regolava le Compagnia aveva la sua massima espressione nell’elezione del Priore, dei Consiglieri, del Camarlengo e degli Infermieri, cariche dalle quali praticamente nessuno era escluso. Alla data fissata "nell’ultima Tornata del suo Offitio" si radunavano tutti i Fratelli e si preparavano tanti "brevi", ossia foglietti, quanti erano i Fratelli e su tre di questi brevi si scriveva "Ave Maria". Imbossolati i brevi, ognuno dei Fratelli estraeva il suo e quelli che pescavano il foglio con la scritta “Ave Maria" si ritiravano per consigliarsi, per poi proporre tre nominativi che ritenevano "sufficienti" alla carica di Priore e di Consigliere. Si procedeva allora all’elezione segreta col sistema dei lupini bianchi e neri. I lupini, semi leguminosi, o sostituiti da altri piccoli oggetti così detti, come bilie, dadi o bottoni di colore bianco e nero, erano lasciati cadere da ogni elettore nell’apposita cassetta o borsa, secondo la volontà di voto: bianco per un voto favorevole alla persona o regola votati, nero per un voto contrario o negativo. Colui che aveva più lupini bianchi sarebbe stato, nel nostro caso, il nuovo Priore, gli altri due i nuovi Consiglieri. Allo stesso modo avveniva per la successiva elezione del Camerlengo e degli Infermieri: il più votato assumeva la carica di Camerlengo, gli altri due di Infermiere.
Il Camerlengo, detto anche “Camerlingo” o “Camarlengo”, fungeva da cassiere e segretario dell’associazione. Infatti, doveva tenere i conti dei capitoli, delle varie offerte e farne rendiconto, registrare inoltre nel Libro dei Ricordi tutte le deliberazioni prese. Il giorno della festa della Compagnia, vestito di cappa e seduto al tavolo riscuoteva le tasse da Fratelli e Sorelle, facendosi aiutare da un Fratello nel caso non avesse saputo scrivere. A fine mandato restituiva conti, saldo e chiavi al Priore.
Gli Infermieri, in numero di due, erano chiamati a eseguire uno degli obbiettivi prioritari propri della Compagnia: l’assistenza ai malati e il servizio ai defunti. Essi visitavano gli ammalati confortandoli ma nello stesso tempo richiamandoli alla salute dell’anima e alla pazienza nella malattia. Dovevano, nel caso di malato indigente, sovvenzionarlo "come parrà al Priore" e perfino ricorrere al Capitolo in presenza di grande povertà e lunga malattia. Se non fosse stato possibile radunare il Capitolo, potevano essi stessi recarsi da tutti i Fratelli e raccogliere le elemosine per l’infermo bisognoso. Quando un Fratello moriva era loro dovere pulirlo, vestirlo e seppellirlo "acciò che la medesima carità habbia da essere esercitata verso di noi quando saremo morti". Anche le Infermiere avevano gli stessi doveri verso le Sorelle.
Il compito del Sacrestano, anch’esso eletto tra tre nominativi, riguardava le cose della Compagnia, che doveva tenere e custodire ed essere sollecito ai bisogni della stessa. Teneva le chiavi, spazzava gli ambienti e faceva rispettare luoghi e cose. Curava l’inventario e ne rendeva conto a fine mandato. Nei giorni di festa o momenti della Compagnia suonava le campane al mattino e per tutte le occasioni, accendeva le candele, preparava per la liturgia, raccoglieva le offerte, e sistemava i panni, cioè cappe e tovaglie, scuotendoli per togliere l’umidità e le tignole. Doveva inoltre invitare i Fratelli, “quando gli sarà comandato”, per i morti e per le processioni straordinarie e infine, ma questa non era una regola scritta, seppelliva i cadaveri aiutato da tutti.
Compresi tra le cariche a elezione annuale anche il Mazziere e il Crocifero, per i quali si procedeva con l’estrazione dei due nomi dall’elenco dei Fratelli: il primo estratto faceva il Mazziere e il secondo il Crocifero, ossia colui che portava devotamente la croce, davanti, alle processioni.
Il mazziere, vestito di cappa, doveva sorvegliare che nella processione ci fosse la dovuta devozione e che si rispettassero le distanze in modo da procedere con ordine. Aveva anche il compito di aiutare il Sacrestano.
L’importante ruolo dei "festaioli" era ricoperto da sei Fratelli eletti con estrazione dalla borsa contenente tutti i nomi degli adepti. Estratti la domenica successiva alla Festa della Compagnia, rimanevano in carica per un anno. In caso di più festaioli della stessa famiglia venivano rimborsati e sostituiti. I festaioli, appena eletti, si dovevano recare presso gli associati alla Compagnia e raccogliere le solite elemosine di grano che poi consegnavano al Camerlengo, il quale in occasione della festa doveva restituirne sette staia che sarebbero servite per la confezione dei pani da una libbra. Infatti, ad ogni Fratello e Sorella spettava al momento del pagamento del capitolo o tassa un panino insieme alle uova e al vino solito, in modo che con tale refezione potevano tornare alle loro case. Ricevevano nella circostanza anche una candela da mezza libbra, mentre ai Consiglieri spettava da una e al Priore da due libbre.
La grande carità che muoveva i Fratelli verso il prossimo si manifestava altresì nelle piccole cose, come la consegna della detta refezione a coloro che per povertà non potevano pagare la quota annuale, a patto che la richiedessero. Se il grano avesse ecceduto le sette staia si doveva vendere e mettere i denari nella cassa murata. In caso contrario sarebbe stato acquistato con la stessa cassa.
Per il giorno della Festa i festaioli dovevano addobbare solennemente l’altare e far celebrare la messa con un numero adeguato di sacerdoti, almeno otto. Per queste spese ricevevano 28 lire dalla cassa della Compagnia, con esclusione della cera che veniva pagata a parte.
Il rinnovamento dei quadri della Compagnia avveniva accogliendo i membri delle nuove famiglie che tornavano nella parrocchia o di donne che vi contraevano matrimonio. I novizi, cioè coloro che entravano a far parte della Compagnia, erano considerati necessari a causa delle morti e soprattutto delle partenze di famiglie verso altri luoghi. In una Tornata venivano presentati dal Priore all’assemblea per farli conoscere e nella seguente sarebbe andata ai voti la loro accettazione, avendo così tutto il tempo per controllare se erano degni e se non fossero bestemmiatori o pubblici peccatori con dubbie situazioni familiari. Il nuovo Fratello era sottoposto in quel giorno a un cerimoniale di ingresso che lo vedeva vestito della propria cappa, confessato e comunicato per guadagnarsi la solita indulgenza. Solo così poteva far l’entrata dopo la votazione favorevole e il suo nome veniva subito imborsato per mazziere, crucifero e festaiolo. Per le donne non era prevista la votazione, ma bastava la proposta del Priore e dei Consiglieri per iscriverle nel libro delle Sorelle, naturalmente se donne oneste e di buona fama. Nel caso di una novizia malata, ella doveva pagare una tassa di lire quattro per beneficiare subito della celebrazione delle messe solitamente fatte per i Fratelli e Sorelle, così come dovevano pagare la stessa somma coloro che desideravano entrare nella Compagnia dopo morti e godere dei suffragi previsti per i Fratelli.
Se per una qualsiasi faccenda utile alla Compagnia si doveva andare a partito, cioè votare per decidere, era prevista la presentazione dell’argomento in una Tornata e la votazione nella successiva "acciò le cose si trattino con maggior consiglio". Il partito non era valido se non raggiungeva la maggioranza dei due terzi con l’intervento al voto di almeno 18 Fratelli e del Correttore.
L’adesione alla Compagnia comportava per il Fratello e la Sorella una serie di obblighi spirituali, morali e cultuali, ai quali si doveva sottomettere con carità cristiana e devozione e che di fatto condizionavano completamente la sua vita pubblica e privata. Oltre che soddisfare totalmente l’esercizio di tutte quelle pratiche cerimoniali e liturgiche comandate dal regolamento, come la presenza alle messe, alle varie processioni, alle adunanze della Compagnia, ai funerali, ecc., era chiamato a una serie di pratiche devozionali alle quali il Fratello scrupoloso difficilmente si sottraeva. Poi, sempre in proporzione alle sue possibilità economiche, era chiamato al costante esercizio della carità verso i Fratelli malati e poveri. Tutto questo si doveva inserire in una vita cristiana esemplare e degna davanti agli occhi di tutti.
La prima domenica di ogni mese gli iscritti di Vagliagli (ma teniamo presente che ogni Compagnia aveva similari usanze), erano tenuti a partecipare all’Offitio della Beata Vergine vestiti con le proprie cappe bianche e partecipare alle processioni ordinarie e straordinarie in occasione di speciali festività. Sempre a Vagliagli, Fratelli e Sorelle dovevano andare processionalmente con la corona in mano ad alcune cappelle vicine come quelle di Casa Strada, cantando le Litanie della Madonna all’andata e il Te Deum al ritorno, mentre nella prima domenica di maggio e nel giorno della Festa visitavano, sempre processionalmente, la cappella di Cignano cantando le litanie del Signore e altri salmi. Il giovedì Santo, alla sera, tutti vestiti in cappa assistevano agli offizi della Settimana Santa e alla lavanda dei piedi; anche in questa circostanza si visitavano cappelle vicine della parrocchia ed era proibita ogni "mangeria o colazione". Il venerdì Santo, giorno di penitenza e di mestizia, continuava la visita a cappelle e chiese sul territorio della parrocchia, rimanendo vestiti delle proprie cappe fino alla conclusione dei riti e della Messa. A questi appuntamenti tradizionali si aggiungevano spesso processioni straordinarie in occasione di Giubilei o comandate da Mons. Arcivescovo per implorare il Divino aiuto per qualche necessità. La preghiera di devozione unita a quella di suffragio era una pratica personale con precise regole da effettuarsi giornalmente e nei giorni comandati: "Ogni giorno recitino sette Pater Noster e sette Ave Marie a riverenza delle sette grazie della Beatissima Vergine e tutte le feste comandate della medesima una Corona di sei poste per la conservazione della Compagnia in tutte le buone opere, acciò si viva sempre col timor di Dio, e carità verso i fratelli". Inoltre ogni iscritto aveva l’obbligo di confessarsi dal rettore o altro sacerdote, e comunicarsi nel Giovedì Santo e nel giorno della Festa della Compagnia.
In occasione dei funerali tutti i Fratelli e le Sorelle erano chiamati a svolgere l’opera di misericordia con la presenza e con la preghiera ed erano tenuti ad accompagnare il morto al camposanto processionalmente col crocifisso e due torce accese bianche o gialle e, sepolto il cadavere, cantare il Miserere con un’orazione "conforme" al defunto. Non solo, ma avuta notizia della morte di un Fratello o Sorella si raccomandava l’immediato raccoglimento e la recita di una Corona di sei poste per l’anima del defunto. Anche la fine di ogni mandato del Priore era segnata da un Uffitio di suffragio per tutti i morti della Compagnia che veniva fatto con le elemosine raccolte tra i Fratelli e consisteva nella celebrazione di quattro messe. Al momento della morte di un Fratello o di una Sorella venivano celebrate quattro messe per la sua anima se era in regola con il pagamento della Tassa altrimenti, se era in debito, una messa soltanto. Anche i festaioli, dopo la Festa, avevano l’obbligo di far celebrare sei messe per i defunti della Compagnia a proprie spese.
Ad ogni iscritto per il mantenimento "delli paramenti" e altre spese era richiesto il pagamento di una somma detta anche “capitolo” che il camerlengo riscuoteva il giorno della festa; gli uomini pagavano di tassa 12 soldi e le donne 8 soldi. Il Camarlengo esortava il regolamento per quegli associati che non avessero soddisfatto appieno ai loro obblighi, cioè di far celebrare una messa nell’anno per essere così assolti da ogni mancamento.
Le regole a cui si assoggettavano i Fratelli non sempre erano rispettate e chi mancava verso la Compagnia era pubblicamente corretto dal Priore davanti a tutti. La seconda volta che commetteva un errore subiva la penitenza inflitta dal Correttore e infine era espulso dalla Compagnia se ancora ricadeva nella colpa. La fragilità dell’uomo trovava nei Capitoli piena comprensione per questo una volta all’anno in un’adunanza convocata dal Priore prima della Pasqua o del Natale ogni Fratello, a turno, davanti all’altare e volto verso il medesimo a capo scoperto doveva dire "Ave Maria" a cui rispondeva il Priore con "Gratia plena": "Ivi si accusino di tutte le loro colpe negligenze e difetti commessi circa i Capitoli". L’autoaccusa avveniva pronunciando una formula già scritta nei Capitoli che conteneva tutte le possibili mancanze di un Fratello: non aver servito Dio come doveva fino a non aver osservato i Capitoli, essere stato negligente nel radunarsi fino ad aver pregato con poca devozione. Il pentito chiedeva perdono a Iddio per tutte le sue mancanze e invitava il Correttore a dargli la giusta penitenza mentre invocava anche il perdono dei Fratelli per le offese loro recate con fatti e parole. Nel caso di assenza del Correttore, spettava al Priore esortare il Fratello a ben fare e gli dava alcuni "Pater Noster e Ave Marie" di penitenza. Questo agire, che assomigliava pericolosamente al sacramento della confessione, deve essere stato ben presto abbandonato perché non vi è più traccia nei Capitoli successivi.
Col passar del tempo, nell’Ottocento i Capitoli vengono aggiornati a seguito dell’introduzione di nuove usanze e contemporaneamente vanno a scomparire altre di tipo disciplinare, oppure vengono mitigate. Si trova così codificato il pranzo dei Fratelli o "pranzo della Compagnia"; in alcune associazioni il Priore diventa "Governatore" e appare il Cancelliere al quale vengono attribuiti compiti già del Camerlengo, inoltre fanno la loro comparsa i lanternoni nelle processioni. Si allunga la lista delle indulgenze concesse agli iscritti delle varie Congregazioni. Ma in sostanza rispetto al passato le differenze sono minime. Così come minimamente si differiscono tra le diverse Compagnie il pagamento della tassa, gli obblighi dei Fratelli, gli offizi per i defunti e l’elezione delle cariche.
Abbiamo quindi riscontrato tutta una serie di riti e pratiche devozionali che, come vedremo, poco si discostano da quelli praticati fino agli anni Sessanta del Novecento, anni in cui le Compagnie iniziarono un veloce declino e persero quasi completamente il loro patrimonio culturale fatto di tradizionali consuetudini pubbliche e individuali, venendo meno i bisogni materiali e spirituali per cui erano nate. Rimase una sterile pratica amministrativa di riscossione delle quote annuali e una celebrazione liturgica alla morte di Fratelli e Sorelle. Uno stendardo continuava a sventolare nella processione di S. Antonio, ma non c’èra più il soffio vitale che sorreggeva le Compagnie.



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