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La scuola rurale a Quercegrossa Aspetta e aspetta, giunse anche per Quercegrossa il momento storico e nella nuova Scuola rurale, pianificata dal Comune di Castelnuovo B.ga nel novembre del 1919, ebbero inizio le lezioni con la maestra Maria Lucchesi, ma, come vedremo, i primi anni patirono il loro travaglio, come ci viene raccontato da un interessante carteggio esistente nell'archivio comunale di Castelnuovo, e che ritengo opportuno riportare come importante documento di costume. Da una lettera del 9 ottobre 1922, nella quale Lorenzo Mori, proprietario del Palazzaccio, richiede al Sindaco la liquidazione della pigione arretrata "della scuola di Quercegrossa" e "della casa che abita la maestra richiesta da codesto Comune", ricaviamo le date esatte dell'inizio dell'insegnamento scolastico pubblico a Quercegrossa. Nel dettaglio della richiesta d'affitto vediamo che l'anno 1920, da gennaio a dicembre, a lire 20 il mese, si riferisce alla sola casa della maestra, mentre la sottostante riga comprende invece casa della maestra e la scuola per l'intero anno 1921 a 40 lire il mese. Facile dedurne che dal gennaio 1920 la maestra risiede stabilmente in paese per svolgervi il ruolo di insegnante. L'altra notizia rilevante è che dal gennaio 1921 l'insegnamento si svolge nelle stanze del Palazzaccio per il quale i Mori percepiscono dal Comune un affitto annuo. Nel post scriptum della predetta lettera il Mori senza tanti preamboli informa il Sindaco: "E tanto per sua regola lo prevengo che per l'anno in corso, a cominciare dal mese di novembre la pigione (cioè casa e scuola) non mi conviene più tenerla adibita a scuola e perciò fino dal suddetto mese di novembre la licenzio senza nessun comporto avendo persone che mi danno assai di più". Il Mori ha ricevuto soltanto alcuni acconti, e può essere irritato verso il Comune per il ritardo dei pagamenti, oppure potrebbe mirare a un sostanzioso aumento del canone di affitto. Fatto sta che il sindaco Emilio Griccioli risponde in maniera altrettanto ferma e nello stesso tempo conciliante, dimostrando di aver compreso il messaggio, e si propone per superare le divergenze in atto e mantenere la scuola nell'edificio: "Relativamente a quest'ultima le faccio poi osservare come sia addirittura assurda e priva di qualsiasi fondamento giuridico - in confronto agli usi e alle consuetudini locali - la di Lei pretesa di dare disdetta al Comune, per i locali della scuola in questione, con un semplice preavviso di venti giorni, e proprio nell'epoca in cui si riaprono le scuole. La S. V. comprende benissimo che in così breve periodo di tempo sarebbe impossibile trovare un nuovo locale; e quindi la scuola non potrebbe essere riaperta, con grave danno per uno dei più vitali interessi della popolazione, quello cioè dell'istruzione pubblica. Confido pertanto che la S. V., ponderate maggiormente le conseguenze e le ripercussioni che il suo atto, invero poco simpatico, potrebbe avere nell'opinione pubblica, vorrà recedere dalla detta determinazione revocando la disdetta data. La prevengo ad ogni buon fine, che il Municipio, forte delle sue ragioni, non accetterebbe in nessun caso la disdetta, anzi basandosi sulle disposizioni di legge vigenti in materia sarebbe invece costretto, ove la S. V. insistesse nella disdetta, ad invocare e far valere. anche giudizialmente il diritto alla proroga della locazione fino a tutto l'anno scolastico 1922-1923; proroga che probabilmente verrà poi estesa a tutto l'anno 1924, essendo già in corso un nuovo Decreto al riguardo. D'altra parte, quest'amministrazione comunale per dimostrarle che tiene in debito conto le ragioni dal Lei addotte a giustificazione della disdetta data è disposta a concordare, magari con effetto e decorrenza retroattiva dal 1 gennaio 1922, un equo aumento del canone d'affitto, fino al limite massimo consentito dalle ricordate disposizioni di legge e cioè nella misura del 30%. Per cui, essendo il fitto attuale di Lire 480 annue, il nuovo canone, al detto aumento del 30%, verrebbe ad essere fissato, a decorrere dal 1 gennaio 1922, nella somma di Lire 624 annue (Lire 52 mensili); somma che, data la media dei fitti praticati in codesta località, mi sembra abbastanza giusta e remunerativa. Inoltre ... è indispensabile ormai per regolarità amministrativa, addivenire senz'altro alla stipulazione di una formale scrittura di affitto; scrittura della quale Le invio la minuta, perché ella possa prenderne opportuna visione". La lettera termina con l'invito del Sindaco al Mori a recarsi al Comune anche in giorno festivo "... ed allora verbalmente sarebbe assai più agevole mettersi d'accordo". L'incontro deve essere avvenuto entro breve con generale soddisfazione delle parti; il che consentì al Sindaco di convocare il 2 novembre successivo una riunione straordinaria del consiglio comunale per deliberare sugli accordi raggiunti. Il Consiglio ratificò sull'aumento del canone nella misura concordata, sulla immediata liquidazione delle somme spettanti ai Mori, sulla durata triennale del contratto con rinnovo tacito annuale e sulla stipulazione di un regolare contratto di affitto. Nella premessa si ricorda che sono da anni di competenza dello Stato la nomina e il pagamento degli stipendi agli insegnanti, mentre rimangono a carico dei comuni le spese per i locali scolastici, per l'arredamento e la pulizia dei medesimi. Il Sindaco ricorda come in seguito alle pratiche della giunta fosse messo a disposizione un locale di proprietà Lorenzo Mori in Quercegrossa "... composto di una stanza abbastanza grande da adibirsi come aula scolastica, al primo piano, e di altre tre stanze con latrina e cucina, al secondo piano, da destinarsi come alloggio per l'insegnante", il tutto, dal lato igienico abbastanza corrispondente alle norme e adatto all'uso cui deve servire, secondo la relazione dell'Ufficiale sanitario. Non avendo nessun obbligo verso l’insegnante, la Giunta propose di praticargli per l'abitazione un canone di subaffitto di Lire 25 mensili, pari cioè alla metà circa del canone mensile concordato con il proprietario. Anche il regolare contratto invocato dal Sindaco ebbe la sua stipulazione nell'agosto 1923. Il 22 novembre 1923, dopo aver sistemato a norma di legge l'organizzazione dell’insegnamento elementare di Quercegrossa, presa coscienza che le spese gravano tutte su Castelnuovo nonostante la detta scuola "avesse tutti i caratteri di una scuola consorziale e intercomunale", veniva indirizzata al sindaco di Monteriggioni una "richiesta di contributo nella spesa di mantenimento", motivata dal fatto che la metà degli alunni "appartiene a codesto Comune" e anche la sede scolastica "è situata nel territorio di codesto Comune". Si fa presente, inoltre, che per il suo funzionamento occorrono lire 1200 circa annue, così ripartite: affitto annuo lire 624; salario all'inserviente per la pulizia della scuola lire 100 annue; spese varie per stampati, arredi, oggetti di cancelleria e legna da ardere per riscaldamento ecc. lire 500. Totale lire 1224. “Così stando le cose confido che la S. V. Ill.ima non avrà alcuna difficoltà a riconoscere come sia giusto e opportuno che codesto Comune ... contribuisca in parte alle spese di funzionamento che finora questa Amministrazione ha sostenuto intieramente da sola. Pertanto, d'accordo con i colleghi della Giunta avrei fissato in lire 500 il contributo annuo che codesto Spett.le Municipio dovrebbe corrispondere a questo a decorrere dal 1 gennaio 1924. Non dubito che la S. V. Ill.ma troverà ragionevole la richiesta ecc.”. La risposta non si fece attendere: il 20 dicembre 1923, preso atto della richiesta e sentito anche il consigliere Giuseppe Vienni di Quercegrossa, il quale dichiarò che effettivamente la metà degli alunni abitavano in Monteriggioni, il Consiglio comunale, in seguito a determinazione del sindaco Bandino Ugurgeri della Berardenga, approvò all'unanimità con voto palese il contributo richiesto di lire 500 all'anno. Iniziò così, com'era giusto, una compartecipazione alle spese per la scuola di Quercegrossa tra i due enti, mai interrotta. Naturalmente, secondo il buon costume del nostro paese, il Sindaco di Castelnuovo fu costretto in data 22 settembre 1924 a sollecitare il collega di Monteriggioni per la liquidazione delle 500 lire, e finalmente due giorni dopo veniva emesso il mandato di pagamento. Erano trascorsi dieci mesi. Anche per il 1924/25 si dovrà replicare il sollecito. Ma, mentre tutto sembrava funzionare per il meglio, altre nuvole nere si addensavano sulla scuola. I Mori intrapresero in quegli anni un'opera di recupero e riconversione ad abitazione del Palazzaccio, e necessitavano di parte dell'abitazione della signora Periccioli per realizzare tre piccoli appartamenti al secondo piano. Questo fare suscitò le proteste della maestra, la quale si fece sentire nella sede adatta. Infatti, il 16 gennaio 1924 il Sindaco di Castelnuovo diffidava Lorenzo Mori di ridurre il già esiguo spazio di tre stanze riservate per l'alloggio della maestra, minacciando anche di adire a vie legali in caso contrario. Ancora il 30 gennaio Zeffiro Periccioli, consorte della signora, denunciava nuovamente con cartolina postale al Segretario comunale la ripresa dei lavori nella casa della maestra, "lavori che erano stati sospesi causa la macinatura dell'olive", minacciando di ricorrere alle autorità superiori.
L'inopportuno ostacolo sopraggiunto a impedire la sistemazione dello stabile, portò Raffaello Mori ad avanzare al Comune una nuova soluzione favorevole ad entrambi: la costruzione di una nuova scuola. Comunicata in data 30 dicembre 1924 la proposta riceveva il consenso del sindaco, il quale rispondeva che l'Amministrazione "non aveva difficoltà ad accettarla" e invitava il Mori a procedere con l'esecuzione di un progetto fatto da "persona d'arte", per poi assoggettarlo al giudizio dei tecnici comunali. Inoltre, per il nuovo ambiente scolastico sarebbe stato necessario rivedere il contratto di affitto. Nel 1926, in un crescendo senza pace, scoppiò un altro caso relativo al pagamento dell'affitto dei locali. Per tutto l'anno raccomandate, ingiunzioni e citazioni si susseguirono senza pausa in una diatriba che coinvolse il tenace commissario comunale Franci, la maestra Etra Petreni Periccioli, il Mori, il Provveditore agli studi, la Pretura e altre istituzioni raggiungendo punte impensabili di polemica personale con salaci battute. L'aver addossato alla maestra, da parte del Comune, un canone annuo di subaffitto non fu mai accettato dalla Periccioli, ritenendo la cosa ingiusta, e si guardò bene dal pagare una lira, anzi si mosse per sapere se fosse legittima l'imposizione comunale. La precedente amministrazione aveva stabilito il canone annuo alla maestra, ma non si era mai presa la briga di notificargli il provvedimento, e forse questa mancanza alimentò nell’insegnante la convinzione che nulla doveva. La musica cambiò con la nomina di un Commissario prefettizio al Comune, il quale si fece solerte obbligo di applicare le delibere comunali. Infatti, come primo atto, venne presentato alla Periccioli il conto relativo al 1925 di lire 250 (dieci mesi a 25 lire). Non ricevendo nessuna risposta né tanto meno il saldo, come conseguenza il 10 maggio 1926 il Commissario ribadiva l'ingiunzione alla maestra al pagamento dell'arretrato relativo corrispondente a lire 250, minacciando di ricorrere ai mezzi forzosi messigli a disposizione dalla Legge. A tambur battente replicò la maestra, respingendo la scadenza imposta del 15 maggio per il saldo dell'affitto "per pigione di una semplice soffitta", e venne allo scoperto aggiungendo che in quel momento non avrebbe pagato avendo fatto ricorso sul caso "poiché è l'unico Comune che esige la pigione dagli insegnanti". Continua che sarebbe stata cosa opportuna avvisare a priori la titolare della cattedra, già aggravata delle spese per raggiungere la sede. Se fosse stata informata non avrebbe certamente rinunciato al suo incarico a Monteriggioni (Scorgiano) "che sa ben tenere le proprie insegnanti". Dice che se costretta a pagare non lo potrà fare prima del 5 giugno, e desidera non venga più spiccato un unico mandato in quanto le sue condizioni economiche non gli permettono di lasciare per questo "quasi un mio stipendio mensile". In parole povere si rifiutò di pagare. Il successivo passo del Commissario, deciso come non mai, fu quello di ricorrere al pretore di Siena inviandogli il 4 giugno la pratica con preghiera di un sollecito ritorno e "di voler munirla del visto di esecutorietà". Questo causò l'immediata risposta della maestra, la quale, cambiando tono, lo informò che non poteva pagare essendo in atto il ricorso usando in ciò un'ironia meritevole di essere conosciuta: "Ben comprendo quanto sia la sua condiscendenza per me, ma sono assai dolente di dirle che in questo momento non posso aderire ai suoi desideri di pagamento mensile che ella mi ha proposto dato il ricorso che ho fatto e che da un giorno all'altro ne aspetto il ricorso". Tuttavia la Signora maestra, in previsione di esito negativo del ricorso, chiede uno sconto e una forma di pagamento da lei sopportabile visti i problemi familiari che in quel momento l'assillano avendo due figli allo studio, uno disoccupato e uno militare. Il cosiddetto "ricorso", se mai vi fu e del quale non sappiamo niente, deve aver avuto esito sfavorevole per la Periccioli dal momento che il 30 agosto in una accomodante lettera al Commissario si dispiace di, nonostante la sua buona volontà, non poter far fronte alla somma richiesta e "Conoscendo quanto la S. V. sia di animo gentile e buono sono ben sicura che vorrà rimediare al caso rimanendole infinitamente riconoscente". Perseverando la Periccioli nella sua ostinata morosità e prevedendo contrasti anche per il futuro, il Comune prende la strada di negarle l'appartamento per il seguente anno scolastico e il giorno successivo alla missiva invia disdetta ai Mori dell'abitazione dell'insegnante, mentre continuerà l'affitto dell'aula. Contemporaneamente alla grave decisione di disdire l'affitto dell'abitazione, il Comune si mosse anche per informare il R. Provveditore agli studi della Toscana dell'atteggiamento tenuto dalla Periccioli verso la quale il Comune non poteva avere riguardi per non commettere ingiustizie verso altri insegnanti i quali pagavano regolarmente l'affitto (da ricordare che alcuni insegnanti, vivendo in quartieri di proprietà comunale, non erano soggetti al canone). Nella corposa lettera dove riassume tutta la storia, comunica che, nonostante tutte le agevolazioni possibili concesse alla prefata maestra per renderle meno gravoso il pagamento come i soli dieci mesi di affitto e la rateizzazione del debito, nulla è servito. Pertanto il Comune procederà con esecuzione forzosa per il recupero del credito, mentre ha già disdetto l'alloggio della Signora maestra. E' chiaro, termina il Sindaco, che questa procedura "darebbe luogo nel piccolo villaggio di Quercegrossa ad una estesa e scandalosa pubblicità, che comprometterebbe gravemente il decoro e il prestigio da cui deve essere circondata un'insegnante". Informata della lettera dal funzionario scolastico, la Periccioli a sua volta gli invia un esposto per presentargli le sue ragioni, e di ritorno, il 7 ottobre 1926, il Provveditore trasmette al Sindaco una nota nella quale evidenzia che la Periccioli "si dichiara pronta a sopportare l'aggravio", ma richiede una maggior rateizzazione del debito a venti rate di 21,25 lire invece di dieci di 42,50 ciascuna. Aggiunge "che, come sembra a questo ufficio, non sia il caso di accettare l'offerta fatta e di accordare le condizioni proposte". Da una seconda nota inviata dal Provveditore al Sindaco in data 16 ottobre si desume che il secondo, deluso della piega presa dal caso, abbia richiesto al provveditore di trattenere le rate dallo stipendio della maestra, ma ne riceve risposta negativa in quanto il suo Ufficio non può procedere in quel senso. Riceve però la notizia che è stato intimato alla maestra l'inizio del pagamento dal 5 novembre prossimo e di continuarlo ininterrottamente per 20 rate consecutive "sotto minaccia di provvedimenti disciplinari", e invita il Sindaco ad informarlo se l'insegnante non ottemperasse all'invito ricevuto. Finalmente il 21 ottobre seguente l'Esattore tesoriere del Comune veniva informato della rateizzazione concordata con la Periccioli e il Commissario prefettizio, persistendo nella totale sfiducia verso la stessa, invita a comminarle adeguate sanzioni disciplinari in caso di inadempienza e di informarlo se non ottemperasse agli ordini ricevuti dai suoi superiori. La vicenda finisce con la comunicazione per mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno alla Periccioli nella quale il Franci si fa premura di ricordarle "che solo per un doveroso senso di riguardo verso il R. Provveditore agli studi, che me ne ha fatto proposta, ho consentito", e termina con l'ultima minaccia di adire a vie legali qualora "non curi il puntuale pagamento delle rate". Ritirata anche la disdetta dell'abitazione, per la quale i Mori si rivolsero al Pretore di Siena, nulla venne più a turbare i rapporti tra i due interlocutori. La Maestra pagò puntualmente la pigione al Palazzaccio, come poi continuerà a fare nella nuova scuola. Tutto era nato dalla esitante politica degli amministratori del tempo, abbinata agli equivoci nati dalle molteplici usanze ancora permanenti nel settore scolastico. |