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La misteriosa lapide


Nel transetto a destra dell'altar maggiore, è murata una lapide che, per tradizione orale e a memoria d'uomo, si dice che riferisca la notizia di un delitto.
Collocata intorno al XIII secolo, fu scritta in un latino medievale, così da risultare impossibile a tradursi, anche da esperti latinisti come i coniugi Antonio e Alda Fredianelli.
Le parole della lapide che sono spesso sormontate da alcuni segni convenzionali indicanti le abbreviazioni, sono scritte una di seguito all'altra fino alla fine del rigo, dove sempre una parola si spezza per continuare in quello successivo. Anche nel passato, altri studiosi provarono a fornire una traduzione che avesse un senso logico, come ad esempio il Cav. Antonio Pecci, erudito paleografo e accademico degli Intronati, che in una sua opera pubblicata a Lucca nel 1748 (Archivio di Stato di Siena), intitolata: "Storia del Vescovado della città di Siena unita alla serie cronologica dei suoi Vescovi e Arcivescovi", dopo un preambolo, espone la sua interpretazione.

Buonfiglio, che Celso Cittadini lo crede della Nobilissima consorteria degli Ugurgeri, fu eletto, e consacrato Vescovo di Siena nel 1216.
Ribenedisse ancora l'anno 1227 la Chiesa Plebana di Marmoraja, situata nella Montagnuola di Montemaggio, che fu poi dalla Diocesi di Siena smembrata l'anno 1592, quando fu eretto il Vescovado di Colle, come dimostra una lapida ivi collocata, colle seguenti parole:


Millenus duecentenus cum bis duodeno
Tertius annus erat, cum Cornu Chrismate pleno
Bonfilius praesul, temeraria quam violavit
Hanc manus Ecclesiam, sacra dando purificavit.
Bondominus Plebanus erat, qui tempus amarum
Hic celebri sumptu, sed absilitatis amicum
Fasus avaritiae foedus reprobavit iniquum.
Si, Lector, quaeris, quid commoditatis habetur;
Criminis huc veniat si quis, qui mole gravetur,
Dico tibi, sic est, a Summo Praesule rerum
Quadraginta tibi laxatur poena dierum,
Atque pari studio venientes conciliantur,
Quae venalia sunt septena parte levantur.

Per maggiore intelligenza dell'Iscrizione riportata, ardisco osservare, che le voci - Fasus e Absilitatis - si truovano di sicuro nel marmo. La prima a mio giudizio è posta in cambio di faßus; e la seconda è un Genitivo del Sostantivo - Absilitas -, che in quei tempi barbari probabilmente avrà voluto significare estorsioni, o altri effetti iniqui, che nascono dall'avarizia, massimamente parlandosi di persona, che voglia vivere con lusso, oppure eccessiva premura di conseguire Benefizj Ecclesiastici. In fatti fra le voci Latine Barbare si truova - Absilis - in senso di Benefiziati. Invero l'Iscrizione è assai oscura, ma le si potrebbe dare il suo giusto senso in questa guida. Fra i popolani di Marmoraja è inveterata tradizione, che anticamente un Pievano non volesse ricevere a' Sacramenti un certo ricco Usurajo, e che perciò questi sdegnato uccidesse il Sacerdote in Chiesa; onde poi il Vescovo di Siena venisse per ribenedire, e consacrare la Chiesa Interdetta. Ciò per l'appunto mi pare di truovare nell'Iscrizione, a cui darei questo senso, or compendiandola, or parafrasandola, e non traducendola a parola.

Era l'anno 1227, quando Buonfiglio Vescovo di Siena ribenedisse, e consacrò questa Chiesa, la quale rimaneva Interdetta, perchè una mano temeraria vi aveva commesso un misfatto col uccidervi il Pievano Bondomino (cioè Buonsignore), il qual'ebbe coraggio di esporsi ad un grave pericolo, coll'escludere da i Sacramenti (reprobavit) un Usurajo, che era assai ricco (celebri sumptu), ma però amico di estorsioni, e d'ingiusti guadagni (absilitatis amicum), ben conoscendo, che egli non doveva per tratto di civiltà condiscendere ad un simile Usuraio - faßus esse iniquum foedus amicitiae -. Per questa sacra vi sono quaranta giorni d'Indulgenza ec."
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Fra le pagine di questo libro, c'è un foglietto manoscritto in epoca antica, che riporta integralmente, lettera per lettera, il testo della lapide.