IL PROCESSO A DOMENICO PAPEI
Molte notizie che abbiamo avuto sulla famiglia di Domenico Papei,
le abbiamo attinte dalla lettura degli interrogatori
di un processo a lui
intentato nel 1664, perchè sorpreso a rubare nella chiesa del Suffragio, sotto
Provenzano.

"Questa è certa Inquisizione [...] contro Domenico di Giovan
Maria Papei Clerico nativo di
Massa [Marittima], habitato fino dalla Cuna [culla] et
habitante in Siena perche servendo
questo di Clerico nella Chiesa del Suffragio di questa Città,
subordinato al detto Rev.
Sig. Carlo Bocci Custode, e dal quale li stavano fidate non
solo le chiavi della Chiesa,
ma anco d'altra cassetta, e se li fidava ancora tutte le
massaritie, e supellettili Sacre
della medesima da diabolica insinuatione indotto, un giorno che
fu veduto in detta Chiesa
ritrovarsi serrato un tal Pietro per rubbarla, fù ordinato dal
Custode al detto Clerico,
che andasse à veder se alcuno Ladro fosse in detta Chiesa, come
andato vi ritrovò detto
Pietro, che dal cassone dell'elemosine, non solo allhora, ma un
altra volta per l'innanzi
ancora haveva rubbato denari in somma di scudi dieci in tutto,
e richiesto rimetterli,
diede in mano à Domenico lire cinquanta, che si trovava
appresso perche li rimettesse in
detta Chiesa, quali ricevute, non solo non rimesse, mà negò
d'averci trovato il Ladro, et
appreso così mal esempio, si nascose di poi in detta Chiesa per
restarvi serrato con animo
di rubbare i denari dai cassoni come segui ben due volte, et
aggiungendo delitto à
delitto, procurò d'haver la chiave, che il Custode tiene della
cassetta dell'Armario
[armadio], e venuta nelle mani, ne fece fare da certo Mastro
Agostino altra simile, con la
quale in una delle due volte, che fù in Chiesa serrato, apri
detta cassetta, e rubbò da
quella un cartoccio di Crazie [antiche monete] in somma di lire
vinti spettanti al detto
Prete Carlo Bocci Custode; ne contento di furto
considerabilmente fatto in somma di più
scudi in più volte, licenziato dal Servitio, pensò di nuovo
rubbare, al cui effetto la
mattina 31 Marzo [1664] nascondendosi in Chiesa attese
d'esservi serrato, come seguì,
benche fusse stato veduto nascondersi, che ad arte, fù fatto
finta non vederlo per
ritrovarlo in fragrante, come seguì, che incontinente [subito]
per il sopradetto Custode
ne fù dato notitia in questa Corte con l'Istanza di mandar li
Sbirri alla perquisitione,
alla quale spediti, ritrovando non potersi aprire la Chiesa per
l'impedimento resovi dal
detto Domenico, nella violenza che si faceva alla Porta per il
rumore s'accorse d'esser
scoperto, e pensando nascondersi visto poter uscire per certa
ferrata [inferriata], da
quella fuggì in una Stanza della Madonna di Provenzano
contigua, della quale poteva aprire
l'Uscio, come apri, e scappò via fuggendo dalli Sbirri.
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(Archivio Arcivescovile di Siena, Cause Criminali n° 5557)
Domenico, che è lo stesso già citato nel precedente capitolo, nacque a Massa Marittima
alla fine del 1643 ed emigrò a Siena sin da quando
aveva tre mesi, probabilmente subito dopo la morte del padre.
I "verbali" lo descrivono come uno che si
distingueva fisicamente per la bassa statura ("di statura
mediocre"), per la sua "zazzeretta" e per non portare la
barba.
Inoltre, attraverso due documenti di Curia: l'episodio del prete Molletti con una cortigiana
e una pagina dei defunti della Pieve di S.Giovanni Battista, siamo venuti a
conoscenza che nel 1659 egli viveva in S.Bastiano,
nei pressi della piazzetta della Selva, insieme alla madre Lucia e al fratello maggiore Pavolo,
in una casa di proprietà della
"Cappella di Provenzano".
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La Basilica di S.Maria in Provenzano. Sotto questa chiesa si trovava la Compagnia del Suffragio
Questa confraternita sorta nel 1601, riuscì a ottenere
dal collegio di Balia il permesso di usufruire dei locali
della cripta, adattandoli a luogo
di devozione, di sepoltura e di adunanze. Fu soppressa nel
1785 e il suo oratorio venne adibito a magazzino; poi nel
1824 i locali furono ceduti alla contrada della Giraffa che
in tempi recenti vi ha costruito la propria sede.
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ASS, Patrimonio Resti 2414
E proprio da una finestra di questo imponente
edificio, scalzandone l'inferriata, Domenico riuscì a
fuggire dirigendosi verso S.Francesco.
La sua latitanza durò fino al 12 maggio 1664 quando fu
arrestato "in casa di Flaminio trombetto" (suonatore di
chiarina) e condotto nelle carceri segrete, che erano in via
di Malcucinato, ossia in quel tratto di Salicotto che
iniziava dalla Piazza del Campo per terminare allo sbocco
del vicolo del Luparello.
Reo confesso e adducendo delle banali scuse, "Domenico Papei
già Clerico per sentenza nostra privato dell'abito e deposto dagl'Ordini fu condennato
alla Galera per le cause di che in Processo ove fù condotto ad istanza nostra per Ordine della Signoria Vostra e consegnato al Signor
Proveditore dell'Arsenale di Pisa...".
L'arsenale di Pisa, fu creato dal primo Granduca
Cosimo I allo scopo di proteggere i viaggi per mare dei
Cristiani, dagli Ottomani, dai Berberi e soprattutto dalle
navi corsare provenienti dal nord Africa. Le coste venivano
pattugliate da navi veloci e leggere, dette galere o galee
che, oltre alle vele, avevano come "forza motrice" le
braccia dei galeotti, ossia di coloro che erano stati
condannati dai vari tribunali della Toscana per gravi reati.
E all'Arsenale di Pisa si rivolgeva anche la Biccherna, che il 16 settembre 1665, "avvisava" il Provveditore di detto Arsenale "che non faccia relevarsi detto Papei se prima non mostra fede d'haver rimesso le spese alla Biccherna".
Se anche questi libri finanziari evidenziavano il suo nome, era segno che doveva essersi messo davvero in un bel pasticcio!

Archivio di Stato - Biccherna 872 c. 18v
In seguito, attraverso la richiesta delle fedi matrimoniali, abbiamo saputo che
inizialmente egli scontò la pena a Livorno per circa un anno, quindi venne esiliato ad Arezzo e infine a Firenze: lo conferma pure la sentenza del Trinunale del 28 aprile 1667, che "gl'ha
permutato la Galera nell'esilio dalla Provincia sotto pena
della residenza...".
Fra i motivi della benevola decisione influì
senz'altro la sua "minor età", l'indossare l'abito talare, la promessa di restituzione del denaro sottratto e
la tenacia che dimostrò sua madre Lucia nel muovere una
supplica all'Arcivescovo affinchè si adoperasse in favore di
suo figlio.
Il nome di Lucia Mazzanti compare anche nel volume
2414 del Patrimonio Resti dell'Archivio di Stato di Siena,
perchè a lei fu affidato il compito di versare le rate alla
Compagnia del Suffragio, per conto di suo figlio,
momentaneamente mandato al confino,
che "...spontaneamente e non per forza, confessa per la
verità esser vero, e legittimo debitore della detta
Congregazione (...) e s'obbliga restituire scudi quattro
l'anno e così continuare fino all'intero pagamento (...) di
scudi trenta nove...".
Per meglio rendersi conto delle condizioni di vita dei reclusi,
basti dire che fino al 1766, il
vitto giornaliero consisteva soltanto in un pezzo di pane
accompagnato da una ciotola d'acqua.
Poi, un bando del 10 gennaio di quell'anno, "considerato la
scarsità del cibo che vien somministrato
alla poveri Carcerati delli Segreti consistente in solo pane,
ed acqua, e la stravaganza, e
orridezza dei tempi correnti, ordinò che dei denari
dell'Elemosine e dei soldi che sono in deposito
in questa Cancelleria da oggi in avvenire si somministri a
ciascuno dei detti Carcerati miserabili
minestra, e vino due volte la settimana, cioè il giovedì e la
domenica, conche la spesa non passi
cinque soldi per ciascun carcerato..." (Archivio di Stato di
Siena, Capitano di Giustizia 875).
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