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Il 25 luglio 1526, festa di San Giacomo Maggiore e di San Cristoforo, l’esercito inviato contro Siena da Papa Clemente VII e dai fiorentini viene disperso dai soldati della Repubblica nella celebre battaglia di Camollia, lasciando sul campo carriaggi e artiglierie.
La fuga viene definita "vigliacca" dagli stessi fiorentini, certo sproporzionata rispetto alle forze disposte in campo dall'avversario. L’episodio è ricordato in una lettera scritta da Francesco Vettori il 5 agosto a Niccolò Macchiavelli: "Voi sapete che io mal volentieri mi accordo a creder cosa alcuna soprannaturale; ma questa volta mi pare stata tanto straordinaria, non voglio dire miracolosa, quanto cosa che sia seguita in guerra dal 1494 in qua; e mi pare simile a certe istorie che ho lette nella Bibbia, quando entrava una paura negli uomini che fuggivano, e non sapevano da chi. Di Siena non uscirono più che 400 fanti che ve ne era il quarto del dominio nostro banditi e confinati, e 50 cavalli leggeri, e fecero fuggire insino alla Castellina 5000 fanti e 300 cavalli, che se pure si mettevano insieme dopo la prima fuga mille fanti e cento cavalli, ripigliavano l'artiglieria in capo a otto ore; ma senza esser seguiti più d'un miglio, ne fuggirono dieci. Io ho udito più volte dire che il timore è il maggior signore che si trovi, e in questo mi pare di averne visto l'esperienza cortissima".

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Nel luogo dello scontro si trova un edifico particolare che dalle visioni “demoniache” delle truppe fiorentine, secondo alcune leggende, ha preso il nome: Palazzo Diavoli. L'edificio, in laterizi, ha oggi una forma singolare. La parte più antica della struttura risale al XIV secolo, poi venne sopraelevata e munita di torre cilindrica.
La cappella, ora oratorio di Santa Maria degli Angeli, risale ai primi decenni del XVI secolo e fu eretta per volere della famiglia Turchi, alla quale si deve l'ampliamento del palazzo. L'attribuzione della progettazione della Cappella è dubbia. Storicamente l'attribuzione oscilla tra Francesco di Giorgio e Antonio Federighi, ma la critica recentemente è orientata verso maestranze locali guidate da un disegno del Peruzzi.
Nel mese di giugno, prima della battaglia, i governanti avevano affidato all'artista Giovanni di Lorenzo la realizzazione del gonfalone con la Vergine Immacolata, che venne portato in solenne processione, il 18 luglio, a Porta Camollia e posto sulla porta stessa a protezione della città.

Nell’agosto 1531, dopo approvazione delle autorità, inizia la costruzione, in Salicotto, della chiesa intitolata ai Santi Giacomo Maggiore e Cristoforo proprio in memoria della vittoria di Porta Camollia: i padri leccetani della parrocchia di San Martino concedono agli abitanti il permesso di edificare un edificio religioso mentre la Balìa dona agli abitanti “desiderosi di costruire un oratorio in Salicotto” calcina, denari, nonché i materiali del diroccato “Torrazzo” di San Prospero e del distrutto monastero di San Prospero. Per finanziare il progetto gli uomini delle due contrade di Salicotto che avevano preso parte in prima persona alla battaglia, contribuiscono con offerte in denaro e prestando il loro lavoro materiale e organizzativo, testimoniate nel “libro maggiore” della chiesa di San Giacomo.

Tra i primi operai della chiesa c'è maestro Giovanni di Lorenzo, che dal 1526 abitava in Salicotto, il quale si impegna fortemente per l’edificazione dell’oratorio, gratuitamente e compiendo un gesto generoso: nell’agosto del 1531 destina a favore della chiesa il compenso di 12 lire che gli spettava “da deta chontrada per dipentura di una bandiera de’ Liofante, fata più tenpo fa”. A conferma, questo, della connessione tra la chiesa/compagnia laicale di San Giacomo e la contrada che riuniva gli abitanti di Salicotto di sopra e di Salicotto di Sotto e svolgeva le sue attività in campo ludico almeno dal 1506 sotto il simbolo dell’Elefante. Questo legame è confermato dall’antica campana di bronzo dell’oratorio, databile al 1532, firmata da Antonio da Siena e ottenuta, secondo la tradizione, proprio dalla fusione delle artigliere conquistate ai fiorentini nel luglio 1526. Nell'oggetto sono scolpiti sia l’aggraziata immagine della Vergine Immacolata, sia l’animale totemico, l’elefante turrito, il cui castellotto sul dorso con merlatura guelfa richiama la torre del Mangia e preannuncia il nome moderno della contrada, quello della Torre
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