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Il Ballo
La danza, rituale o meno, accompagnata da suoni più o meno ritmati, si può dire è antica quanto l’uomo e senza entrare in analisi antropologiche basta dire che è stata un patrimonio di tutte le civiltà e culture diversamente progredite. Il rifiorire delle danze nelle corti signorili d'Italia nel Quattrocento favorì la stesura dei primi trattati che ne codificarono i passi e le tecniche, fino alla grande affermazione dei balli nobiliari del Settecento come il Minuetto e la Contraddanza. Altrettanto non avvenne per la danza popolare che rimase nell'oscurità di una cultura minore, e di conseguenza manca ogni testimonianza scritta sulla sua pratica ed evoluzione. Si conoscono però tanti balli tradizionali regionali, oggi folcloristiche rappresentazioni. Si deve alla rivoluzione francese se nuove danze e balli popolari cominciarono ad affermarsi, divenire pubblici e di generale diffusione. Si impose, come evento innovatore, il ballo di coppia, che vedrà nel valzer la sua massima espressione, e anche nel mondo rurale contadini e operai cominciarono a muovere i primi passi al suono di qualche improvvisato strumento a fiato o di un violino, oppure di un organetto. Quest’ultimo si diffuse in Italia intorno al 1840, ma dal 1870 apparvero le prime fisarmoniche dovute a Paolo Soprani di Castelfidardo, considerato il padre di questo strumento, perfezionato poi da Mariano Dallapé che costruì la fisarmonica polifonica come la conosciamo oggi.
Il ballo pubblico si impose anche nelle nostre campagne e ogni ambiente coperto, o all'aperto, era buono per fare due salti, per ritrovarsi e fare baldoria, ma soprattutto per corteggiare le ragazze in un modo del tutto nuovo. Divenne in sostanza uno svago per le giovani che vi trovarono un'alternativa ai lavori domestici e dei campi. In definitiva il ballo, conquistando le piazze di mezzo mondo, diventò un fenomeno sociale di vasta pratica che contribuì alla forte socializzazione fra le diverse comunità e nelle campagne si propose in alcuni periodi dell’anno come alternativa o integrazione alle tradizionali veglie.
Ma questo nuovo modo di far festa e divertirsi ebbe i suoi accaniti avversari nella società perbene e quel che conta nella Chiesa, dalla quale fu visto come un’occasione di tentazione per la carne e di peccato e degenerazione dei costumi. Venne subito osteggiato attraverso iniziative di condanna sia da parte dei vescovi che dei parroci e per allontanare i fedeli da questa che era ritenuta una pericolosa fonte di disordine morale si fecero pressioni verso i genitori richiamando la famiglia alle più salutari pratiche devozionali come nel 1837:
"Tutti i sigg. parochi rammenteranno al popolo l'indulgenza di giorni quaranta visitando Gesù Sacramentato dalla domenica di settuagesima ed esorteranno i fedeli dall'astenersi dai disordini e pericoli del carnevale, dichiarando tra i principali fra essi ed inculcheranno ai Padri e alle Madri di tenerne lontani con ogni possibile maniera i loro figli e figlie". Era proprio in carnevale che esplodeva la gioia del ballo ormai affermatisi come il più sentito dei divertimenti e tentare di mettervi un freno o richiamare a non strafare e di astenersi dalle eccessive manifestazioni era una battaglia persa. Una battaglia combattuta fino ai giorni della nostra fanciullezza. Anche i più calorosi predicatori non riuscirono a modificare il comportamento dei giovani che molto spesso fecero orecchie da mercante alle accorate prediche. Come esempio di questa battaglia, persa sia dalla Chiesa sia dalle autorità civili, riporto alcuni documenti il cui contenuto esplicita quanto ormai sia dilagante la voglia di ballo.
Un articolo del giornale diocesano nell’anno 1931 riporta una feroce critica a una serata di ballo tenuta in Avvento, che come abbiamo visto era uno dei periodi proibiti, ma si vive ormai in una società dove il lassismo morale ha preso campo, secondo il colorito e metaforico pezzo titolato “Feste da Ballo”:
“Dimenticando di essere in Avvento, in questa parrocchia si divertono a girare in tondo come i dannati delle bolge dantesche. E si balla e si va a vedere ballare. Ma che forse si è perso del tutto il senso del cristianesimo e di moralità? Quando il parroco con dolore deve constatare simili aberrazioni del buon senso, non può astenersi dal protestare nel Nome di Dio, della Civiltà e della moralità e della salute pubblica. Anche della salute pubblica perchè ci sono delle mamme senza cervello che non solo permettono di frequentar simili ritrovi alle loro giovani figliole; ma ci vanno anche esse e vi portano anche delle tenere creature in mezzo a quel polverume sitoso, dove tanti germi tubercolosi fanno il giro in tondo insieme ai ballerini”.
A dare voce all’opposizione religiosa si ritrova la posizione del regime fascista che vede nella pratica del ballo una degenerazione dei costumi e poca marzialità del comportamento. Infatti, in altro articolo intitolato
"A proposito di ballo" viene preso di mira un "Trattenimento danzante pubblico" organizzato dal circolo Il Leone di Siena per le ore 21 di una domenica sera, e si usa la posizione del Regime in merito al ballo per dare forza alla contestazione nei confronti di questo
"sfrenato" divertimento riportando letteralmente le parole di Mussolini:
"Il Duce, in una circolare del 30 ottobre 1928, scrive: Bisogna arginare e combattere la pericolosa tendenza per il ballo".
Nel 1933 una lettera comunitaria venne indirizzata da alcuni vescovi toscani alla Segreteria di Stato vaticana
“...perchè la Santa Sede intervenga a far cessare gli abusi che si verificano durante i balli nelle feste patronali, balli dannosi alla pubblica moralità”.
Dalla risposta fatta pervenire nel giugno 1933 appare evidente una disposizione più tollerante del Governo nei confronti di questa attività ricreativa, ormai consolidata in tutti i Dopolavoro. Dichiarava sì la ferma disponibilità a proibire là quando certi eccessi erano compiuti, ed autorizzava balli all’aperto solo al termine delle funzioni religiose, ma nello stesso tempo deplorava l’eccessiva severità del clero nel proibire
“quello che si poteva tollerare”. Per concludere, si richiedevano maggiori informazioni soprattutto per quei balli che davano scandalo (abusi) onde avere valide ragioni per invocare l’intervento delle competenti autorità civili locali.
A ben poco servirono le invocazioni e gli interventi a tutti i livelli compreso quello a Quercegrossa, dove il Capo della banda di Fonterutoli Gino Mazzini risponde irritato il 12 aprile 1940 ad una lettera del novello sacerdote don Luigi Mori che si doleva dell’organizzazione delle feste da ballo a Quercegrossa e di una non ben precisata attività del coro della parrocchia di Fonterutoli:
“Debbo anche farle notare che in qualità di Musicante accetto impegni a suonare per solo scopo di guadagno perchè ho bisogno, e mi tengo fuori da ogni responsabilità, e non sono io a organizzare feste da Ballo, e perciò si rivolga ai suoi paesani, se domenica sera ballano”.
Nonostante tutto, l’organizzazione di serate da ballo da parte di Circoli diversi si diffuse in tutta la provincia; rimase però quell’inviolabile confine tra Carnevale e Quaresima rappresentato dal Martedì Grasso e il Mercoledì delle Ceneri: alla mezzanotte dell’ultimo giorno di carnevale Brunetto saliva sulla sedia nel mezzo della sala da ballo al Dopolavoro di Quercegrossa e proclamava solennemente:
"E' mezzanotte, suona la campana, donne smettete di sventolare la sottana". “A carnevale si chiudeva il ballo a mezzanotte, poi si riballava il lunedì di Pasqua”.
Esclusi tassativamente Quaresima e Avvento e i momenti di forte impegno del lavoro nei campi, gli altri tempi dell'anno erano buoni per organizzare un ballo quasi sempre in maniera semplice, anche occasionale, e l'aia andava bene come qualsiasi podere che avesse una grande stanza, fosse un magazzino con aglio e cipolle e qualche salame attaccato al soffitto oppure la cucina. Dopo il tempo proibito, il Lunedì di Pasqua si riprendevano le danze e proseguivano per tutta l'estate fino all'Avvento.
A Quercegrossa il ballo pubblico organizzato si teneva da tempo all'osteria la domenica pomeriggio e sera, probabilmente molto prima del Brogi, in quella stanza che sarà poi del biliardo. Con la realizzazione in paese del Dopolavoro fascista l'attività del ballo si trasferì in questo ambiente, sorto nel 1929 per le attività sociali e ricreative del partito. Nel periodo del suo massimo splendore tra gli anni 1935 e 1940 le serate di ballo divennero memorabili e si videro in pista fino a 100 coppie ballare il tango, valzer e mazurca al suono dell'orchestra. Il caposala di turno organizzava il ballo e la quadriglia ed aveva anche il compito di vigilare che non sorgessero litigi o questioni per qualche ragazza come talvolta avveniva. Fra i caposala si ricordano Brunetto Rossi e Dante Oretti. Capitò e capitava spesso che un giovane si rivolgesse loro perché una signorina non voleva ballare con lui e intendeva conoscere il motivo di questo rifiuto. All'usuale invito:
"Signorina permette questo ballo", si era sentito respingere e la storia si era ripetuta tutta la sera con scuse come
"Ora sono impegnata", "Più tardi si vedrà", ecc. tanto da mandarlo in bestia. Molti i motivi per rifiutare un ballo, spesso erano legati alla simpatia personale, ma avvenne anche che Giuseppe Socci fu richiamato nel 1935, forse per la guerra di Abissinia, ma non partì. Nel tempo della sua assenza la fidanzata Anna Tacconi non ballava. Andava al Dopolavoro e in piedi sopra una panca guardava ballare e non ballò mai nonostante gli inviti ripetuti e insistenti del vecchio spasimante, un Mannucci di Siena figlio del fattore Pietro Mannucci. Una fedeltà a prova di bomba.
Divenuta famosa e di moda per i suoi veglioni domenicali (e qualche volta di sabato), la sala da ballo di Quercegrossa era frequentatissima da uomini e donne che giungevano da tutte le parti: Basciano, Siena, Fonterutoli, Castellina, Lornano e perfino da Poggibonsi:
"Gente ce ne capitava tanta". Arrivavano in macchina il Parigini, il ristoratore Paolini e l'orefice Fini di Siena, e quelli dai posti più lontani. Tanti in bicicletta. Il paese si animava di gente vestita a festa. Attaccavano alle 19 e poi nella pausa andavano a cena dal Brogi. Facevano passare le biciclette da casa per posteggiarle sul retro e si accomodavano ai tavoli.
"La domenica sera chi voleva la frittata, chi voleva il pollo". Una volta ammazzarono un pollo e lo portarono in bottega e Zaira:
"Ve lo pelo io", e lo mangiarono in umido.
"Erano polli giovani che cocevano presto". Alcune ragazze dei dintorni venivano ospitate da parenti e amici e in queste case si ristoravano, si truccavano e si apprestavano al ballo. Ida e Ada Vannini, le figlie del fattore di Passeggeri, cenavano dalle amiche Tacconi ed era un’occasione per fare anche delle belle mangiate di arrosto in compagnia. Rina, la figliola di Beppe di Passeggeri, arrivava di buon ora in casa dello zio Egisto Rossi e qui cenava durante la pausa delle otto. Una cena frugale con una minestrina, una fettina di pane con buristo o rigatino e poi di nuovo in pista. Alla fine del ballo, dopo mezzanotte, si accompagnava al numeroso gruppo di Passeggeri e insieme rincasavano, stanche, ma contente. E si che ce n'era di belle donne. Nel 1939 in paese spiccavano per la loro presenza ed eleganza le due sorelle Albana e Anna Tacconi vestita di raso nero, insieme alla sarta Anna Rossi. Poi Lida di’ Forni, le sorelle Gina e Maria Rossi, Alda e Duilia Losi, Ada e Verdolina Marchetti detta "La Popa" e Libera Bernardeschi. Non si contavano poi le ragazze dei poderi vicini come quelle del Carli, del Bianciardi, Manganelli, Sestini, Vannini ecc. C'era anche Vittorina dei Vannoni che ripeteva spesso: "Io se non trovo uno con la Balilla non mi sposo". Da Fagnano arrivavano abitualmente le sorelle Giovanna, Orfella e Sesta Vigni con Leonetta dei Buti dell'Olmo e Leda delle Sodole. A tutte le ragazze in cerca di marito si aggiungevano le coppie di sposi più o meno giovani, amanti del ballo in cerca di svago. In quei momenti di divertimento nacquero e si sciolsero velocemente fidanzamenti; nell'intimità del ballo, fiorivano promesse con mezze frasi sussurrate all'orecchio. Nascevano amicizie e alcune di queste si consolidarono poi col matrimonio.
Si presentavano in sala signorine eleganti, pur nella semplicità di modelli confezionati dalle sarte di Quercegrossa, e molti erano crespati come allora andava di moda. La zia Gina al veglione "Sotto il cielo stellato" entrò in sala con un vestito in sintonia col tema della festa. Cucito da Annita, di taffettà celeste con sopra tulle bianco abbellito da tante stelle di cartone bianco fatte da Brunetto. Negli anni 1937/38 Marina Papi confeziona due vestiti rosa a Maria Rossi e Dina Carli (entrambe sue lavoranti e apprendiste) per un veglione. Di per sé la notizia non ha nessuna importanza, ma l'aver mantenuto il ricordo di due vestitini rosa indossati per un ballo ci dà l'emozione di quelle magiche sere vissute da due giovanette sedicenni alle prime esperienze in sala. I vari abiti si presentavano convenienti e difficilmente le scollature, così come la lunghezza delle gonne, uscivano dai limiti.
Fra tutte le ragazze ce ne erano alcune particolarmente brave nel ballare e si accompagnavano con cavalieri altrettanto bravi come Fino Landi da Viareggio. Gina Rossi aveva una passione innata che manifestava con una tecnica perfetta e ballare con lei era una meraviglia. Si trattava di una vera e propria sfida dove il bello e la sicurezza dei passi era apprezzato e non mancavano applausi soprattutto nelle gare di ballo che vennero organizzate per alcuni anni prima della guerra. Quando nel 1945 fece la sua comparsa in pista uno di Trieste, un ballerino eccezionale, Gina allacciò con lui alcuni valzer. Ma Gina sentiva che la loro brillante danza meritava qualcosa in più e allora chiese al caposala Nando Mecacci se gli faceva fare un ballo da sola col triestino. Nando in mezzo alla sala chiese a tutti se acconsentivano alla richiesta e dalla folla si alzò una smanacciata di conferma. Fu uno spettacolo fatto di tango, valzer e fox trot per 4/5 balli senza intervallo.
Per la sua abilità era impegnata dai migliori ballerini per i balli di gara e vinse tre o quattro premi. In una di queste gare, che si svolgevano a eliminazione, erano rimaste in competizione due coppie: Gina ballava con Alfio Marchetti e Ada Vannini con Augusto Buti.
"Si ballò l'ultimo tango e vinsi la gara. Ricevetti una sciarpa in premio". "Io ballavo da sempre, da quando stavo al Mulino", ricorda la zia Gina.
"E quando il mio babbo aveva poca sbornia entrava in sala e mi impegnava per il prossimo ballo. Era bravo, portava sempre il cappello e io lo tenevo mentre si ballava".
Nelle serate si organizzava anche la quadriglia, un ballo di gruppo e qui entrava in gioco l'abilità del capo sala con la sua dama che doveva guidare i passi di tanti ballerini nei vari movimenti previsti che finivano con la spirale finale e tanti applausi. Poi, nell’intervallo di metà serata, puntuale entrava in scena Brunetto Rossi che prendeva una sedia e vi saliva sopra al centro della sala. Declamava poesie e componimenti vari insieme a battute e barzellette e riceveva la sua dose di consensi, ma c'era anche chi borbottava e commentava:
"Rieccolo!".
Accadeva spesso durante i veglioni che per il gran numero di presenti molti invadessero la pista disturbando i ballerini. Allora per ridare ordine si affidavano ad alcuni volontari tre grosse funi col compito di tenerle tese da un angolo all'altro della sala in modo da costringere il pubblico alle pareti:
"Certe serate non si entrava in sala dalla gente che c'era".
Pei i ragazzi era proibito l'ingresso in sala, come a Lea Oretti:
"Noi ragazzi non si poteva entrare e quando ce lo consentivano si restava zitti e quasi nascosti a osservare le reginette, il ballo ecc. e il bar spandeva un profumo".
Il momento clou dell'anno per i ballerini era il Carnevale. Atteso con ansia, praticamente si incominciava da S. Stefano per giungere all'ultima settimana col Martedì Grasso che ne segnava la fine per entrare nella penitenza delle Ceneri e i digiuni della Quaresima. In quei tempi anteguerra l'ultimo giorno dell'anno non veniva festeggiato, ma solo il festivo Primo dell'anno si ballava.
La settimana conclusiva del Carnevale vedeva il massimo della partecipazione. Tra il Giovedì Grasso, la domenica sera e il Martedì Grasso si pensava soltanto al divertimento e allo scherzo dimenticando per un momento la dura realtà. Coriandoli e stelle filanti riempivano l'aria per depositarsi sul pavimento dove formavano un alto strato e davano al locale l'atmosfera della gaia festa e il segno dell'allegria che vi regnava. Le maschere nascondevano il volto e il suono delle trombette risuonava come un grido di gioia. Proprio in quei giorni, la domenica precedente il Martedì Grasso si organizzava la più importante iniziativa che coinvolgeva i ballerini e in particolare le ragazze con l'elezione della "Reginetta". Momenti splendidi per tutti, per i giovanotti in gara a far eleggere la propria amata e per le ragazze una volta tanto al centro della scena. Dopo l'elezione tutti intorno all’eletta a chiederle un ballo. L'ambito titolo di Reginetta del Veglione, era stabilito dal numero di cartoline e buoni che venivano acquistati a nome di una signorina o signora che entrava così in concorso e in competizione con le altre votate e al termine della serata colei che otteneva il maggior punteggio era eletta Reginetta e premiata con un dono. Non sempre il criterio del concorso che pretendeva doti di bellezza ed eleganza era rispettato e si ebbero votazioni a sorpresa come ci ricordano le ballerine del tempo.
I risultati parziali venivano banditi a voce ad ogni importante acquisto di cartoline e di conseguenza era naturale entrare in una costosa sfida per far vincere la propria donna o la ragazza alla quale si voleva dimostrare il proprio interesse e sentimento. Si creavano vere e proprie coalizioni e a suon di lire si cercava di prevalere e la contesa diveniva questione di principio e affermazione personale.
Il concorso di reginetta venne tenuto per la prima volta intorno al 1935/36 e ripreso in tutte le stagioni del carnevale fino a quando la guerra impose le sue tristi leggi.
La prima Reginetta che si ricordi fu Ida Vannini, fatta eleggere da Berto del Mori che in quel tempo gli stava facendo una assidua corte. Ricevette come premio una catenina d'oro, il più bel dono che sia mai stato fatto. Era certamente il carnevale 1936.
Ma la serata più rievocata è quella in cui vinse il titolo una signora alla quale proprio nessuno avrebbe dato un voto, ma per le contese degli uomini, risultò vincente.
I Paolini di Siena erano decisi a far vincere Albana Tacconi la fidanzata di Alfredo, il quale era spalleggiato dal fratello Aurelio, dal cugino e dalla squadra di Siena. Ma quella volta trovarono dei validi avversari negli uomini di Quercegrossa che, promotore il fattore Giubbi, miravano all'elezione di Bianca Sollazzi delle Quattro Vie. Il duello si faceva vivace e per motivi sconosciuti non piacque ai castellinesi che si ritrovarono estranei alla lotta. Decisero quindi di presentare una propria candidata e con lo spirito polemico che li animava scelsero la "vecchia Giachina" che abitava nel Palazzaccio di Quercegrossa e convogliarono su di lei numerosi voti tanto che tra i due litiganti il terzo vinse. Maria Carapelli vedova Giachini, non più in età da concorsi essendo vicina ai settanta, salì sul trono sorridente con la sua bocca sdentata e fra gli applausi generali le venne consegnato un significativo mazzo di rose rosse. Il bello venne quando un cavaliere doveva aprire le danze con la nuova reginetta, ma nessuno dei suoi sostenitori si faceva avanti; chi sgattaiolava di qui e che di là, e lei aspettava impaziente al centro della sala, decisa a non rinunciare al suo diritto. Era comprensibile la cosa essendo Maria poco appetibile per tutti a causa del suo aspetto generale piuttosto trasandato e avvezza a fumare la pipa e masticare tabacco. Finalmente qualcuno si mosse: il noleggiatore Attilio Mariani di Castellina si fece avanti, si inchinò alla bella e le concesse con garbo il meritato ballo. Fu una serata indimenticabile.
In altra occasione di contesa mancando l'accordo venne eletta una giovanissima Lara Brogi. La principessa della sala, Gina Rossi, non poteva mancare al riconoscimento ed ebbe il suo momento dopo guerra nel 1946 quando fu prescelta e vinse un astuccio da camera con oggetti vari, pettina, spazzola da capelli e da panni dal dorso d’argento.
"Anche il mi' babbo compro un monte di cartoline perché voleva farmi reginetta". Mutati i tempi e i personaggi che l'avevano animato, il concorso della Reginetta venne riproposto in occasione della Festa della Donna dell'Otto marzo detta anche Festa della Mimosa. Anche il metodo di elezione fu modificato e i giovanotti ricevevano un cartellino per votare la più bella pagando una modesta somma, mentre la Commissione vigilava e conteggiava i voti. La Reginetta eletta ballava da sola con uno dei giovanotti più belli della sala e riceveva un regalo. Una reginetta fu Marina Cennini e ci ballò Giulio Carli quando ancora non erano fidanzati. Ma, venuta meno la competizione che gli dava vitalità, il concorso perse gradualmente di importanza.
Dopoguerra
La storia del Dopolavoro di Quercegrossa come sede di organizzazioni e di spettacolo pubblico si divide in due periodi separati nettamente dalla seconda guerra e corrispondenti a diverse situazioni politiche. Nato per l'organizzazione fascista locale, fu attivo fino all'entrata in guerra dell'Italia, ma dopo il 1940/41 cessò ogni forma di divertimento pubblico e per alcuni anni ospitò solo il servizio del bar e del gioco delle carte. Nel luglio 1944, subito dopo il passaggio del fronte, ebbe inizio il secondo periodo con la gestione popolare che col passare dei mesi si consolidò nel pieno controllo dell'ambiente da parte delle forze politiche socialcomuniste che lo gestirono fino agli anni Sessanta. Il primo atto dopo la liberazione fu quello spontaneo di riaprire la sala da ballo che vide in quei mesi anche la partecipazione dei militari delle forze alleate, italiani compresi. Essi si riversarono in pista insieme alla gioventù di Quercegrossa che godeva dell'euforia instauratasi nel paese. Con la nuova gestione ripresero vigore i veglioni e divenne famoso quello del primo dell'anno detto "Il veglione dei profumi". Naturalmente anche il carnevale era festeggiato adeguatamente con le solite serate di ballo nelle quali si consumavano, secondo tradizione, grosse quantità di "cenci" preparati dai Buti dell'Arginano e portati in Società col carro.
Dopo il 1950 venne realizzata, di fronte all'ingresso, la pista esterna in cemento per il ballo all'aperto con tanto di pedana alta un metro per l'orchestra, e la musica si sentiva anche da lontano.
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Una coppia di ballerini nella Società. Lei è Maria Bardelli e, a sinistra, lo spettatore Giovanni Ferrozzi delle Redi.
Per alcuni anni rimase in vigore il ballo pomeridiano domenicale poi l'appuntamento fu ridotto alla notte con inizio intorno alle ventuno e limitato successivamente alle Feste, al Carnevale e a qualche serata estiva. Continuò discreta l'affluenza dai paesi vicini, poi presero il sopravvento le sale delle Badesse, di Sovicille e della Coroncina e Quercegrossa fu declassata. A questo si aggiunse, sempre nei primi anni Sessanta, la crisi di tutta la gestione della Società che chiuse i battenti e con essa terminarono anche le serate di danza e i veglioni.
Per entrare in Società ti attaccavano un fiocchino rosso al petto; una volta verde e l'altra rosso e ballavi. Vi era qualcuno che riusava il fiocchino precedente e Nando Mecacci che tartagliava:
"C’è c’è c’è qualcuno che vole fa fare il fu fu furbo”.
Idearono poi per prevenire i “portoghesi” dei cartellini con la scritta “Circolo di Quercegrossa” e la data, ma non mancarono quelli che tentarono ugualmente di entrare gratis a sbafo.
L'Orchestra
L'attività del ballo non può fare a meno della musica che dà il ritmo e scandisce i tempi della danza e per questo è sempre stata di grande importanza l'orchestra come veniva chiamato a Quercia l'insieme, il complesso di tre/quattro/cinque suonatori dilettanti.
Quando iniziarono i balli pubblici organizzati nel Dopolavoro, suonava l'orchestra di un certo Patacchini di Fonterutoli poi furono rimpiazzati da quella di Sandro Mori. Lui suonatore di fisarmonica era affiancato dai fratelli Mazzini di Fonterutoli con Beppe che suonava la cornetta e Gino il saxofono.
Il Tanzini Dario completava il quartetto con il violino. Non erano di moda a quei tempi i cantanti, uomo o donna che fosse, ma solo orchestra strumentale, fino al dopoguerra. Saltuariamente salivano in pedana col violoncello Dino ed Elio Mori. Sandro, suonatore di pianoforte e di fisarmonica era stato a scuola di musica e suonava anche il violoncello, mentre Dino aveva imparato col mandolino.

Si ricordano anche altri suonatori come Vittorio Papi e un Bernabei di Fonterutoli.
Vittorio Papi col suo mandolino
Questo insieme di suonatori finì per farsi conoscere e vennero richiesti in altre sale tra le quali Corsignano, Vagliagli ecc.
L'orchestra al Dopolavoro era posta nell'angolo in fondo a destra entrando ed era molto in alto. I suonatori quasi toccavano il capo al soffitto, e ci voleva una scaletta per salirvi passando dalla sala del bar e da quella detta poi del biliardo. Data la posizione ci morivano dal caldo, e allora fu realizzata una nuova pedana molto più bassa, con la contemporanea apertura di 3/4 spiragli sul soffitto per aerare l'ambiente.
Nella serata del Giovedì Grasso venne istituita la gara tra suonatori e per alcuni anni parteciparono Brunetto col mandolino, Sallustio Sestini con la fisarmonica e Rutilio Pulcini con la chitarra. Vinceva quasi sempre Rutilio proclamato dal Magnelli e il premio consisteva in un sigaro e bevuta per tutti mentre suonavano. Rutilio, dopo il passaggio del fronte, non trovando nuove corde della chitarra si arrangiò con i fili di acciaio delle linee telefoniche degli americani che sostituirono egregiamente gli originali. Dopoguerra, ai suonatori occasionali si impose la nuova banda composta da gente di Quercegrossa e dintorni con Ilio Taddei alla batteria che sostituì uno delle Badesse, Renato Carusi con la fisarmonica, Alfio Favilli col Clarino, Spartaco Carletti con il sax, un Bianciardi delle Badesse con la cornetta e Benito Giannini detto Rasciuga, con la tromba. Avevano, e questa era la novità, una cantante parente dei Losi e venivano ingaggiati per le serate danzanti, oltre a Quercegrossa, a Corsignano, a Vagliagli, al Bozzone, a Staggia, a Monteriggioni e verso Colle.
La cantante era Marina del Fantozzi del Castello soprannominata "Caramella": "Non aveva le scarpe adatte e gliele prestavo io e con quelle cantava nei locali. Lei era una ragazzina e quando andava sul palco gli garbava il tacco" ricorda Maria Bardelli.
C'era Quercegrossa, ma c'erano numerose tante altre sale nei dintorni e non era insolito incontrare a notte alta squadre di donne e uomini che rientravano dai diversi”veglioni” come quelli di Fonterutoli del sabato sera, oppure da quel famoso “Veglione della Befana”, del 6 gennaio. Ballerini e ballerine di Petroio partivano a piedi, in gruppo, e attraversavano il borro a Cavasonno per giungere a Fonterutoli. Un altro gruppo partiva spesso il sabato sera da Quercegrossa per andare a ballare a Fonterutoli, alle Badesse o allo Stellino di Fontebecci, dove la sala si trovava sopra il Dazio.
Negli anni 38/39 era Luigi Mariani con la macchina che spesso riportava a casa da Fonterutoli le ragazze di Quercegrossa. Gina e Maria Rossi erano accompagnate qualche volta dalla mamma Ersilia negli anni 1936 e seguenti, alle quali facevano compagnia Isolina del Losi con le sue figliole, e durante il viaggio a piedi
"si parlava e si scherzava. Non era di sacrificio fare tanti chilometri". Si partiva dopo cena e si tornava a notte alta. Alcune ragazze portavano le scarpe buone in spalla per risparmiarle e presentarle linde al ballo.
Alle sale conosciute si aggiungeva quelle provvisorie come a Vagliagli nel Poggio verso la Stella: ballavano in uno spiazzo in mezzo al bosco.
Si formavano grosse squadre di ciclisti tra cui quella di Nello Rossi e amici, che durante la notte giravano instancabili tutte le sale compresi i Tigli di Siena. Erano frequenti però le forature e ci si arrangiava così, rammenta Nello:
"Quando uno bucava veniva portato in canna dall'altro e io pedalavo guidando due biciclette".
Ma la passione del ballo e per le ragazze ebbe la sua massima espressione quella notte, quando Giulio Carli partendo a piedi da Petroio raggiunse la sala di Vagliagli e si soffermò per alcuni balli. Non contento ripartì e raggiunse Pievasciata per vedere chi c'era. Ma, scontento, tornò indietro e camminò verso Corsignano per gli ultimi giri di liscio. Era notte alta quando intraprese il viaggio di ritorno per Petroio.
In tutte le serate di ballo organizzate dalle varie Società si pagava il biglietto che poi veniva strappato, dagli addetti a quel servizio, all'ingresso in sala.
E' il valzer della povera gente...
Larga diffusione fino agli anni Sessanta trovarono i balli casalinghi dove al suono di una fisarmonica vecchi e giovani di famiglie intere si ritrovavano a trascorrere un pomeriggio o una serata di festa. La zia Gina ricorda di essere stata al Castellare a ballare ai tempi di Masiero, con una fisarmonica. Uno dei centri improvvisati per il ballo era la Casanova di Passeggeri dove ballavano in cucina al suono di un violino e della fisarmonica uomini e donne provenienti da tutti i poderi di Passeggeri, da Gaggiola, Viareggio Petroio ecc. Giorgino ricorda gli allegri pomeriggi a Passeggeri con il ballo nell'aia negli anni 1957/58.
Tutti i posti erano buoni e là dove era uno spazio libero c'erano i ballerini. Anche in paese certe serate intorno al 1950 si ballava allo Stanzone sotto la parata.
Altra occasione di ballo casalingo per gli amici si ebbe quando Giuliana del Mencherini comprò uno dei primi giradischi moderni verso il 1960 e la domenica sera i giovani di Quercia si affollavano da lei per ascoltare musica e muovere qualche passo.
Entrando in una sala da ballo, immersa nella penombra, l'occhio era attratto da questa massa in movimento di persone vestite a festa, ma osservando attentamente lungo le pareti, sedute sulle panche vedevi una fila di signore di mezza età in conversazione oppure attente alle proprie figliole e alcune erano sommerse dai cappotti che reggevano quando non consegnavano al guardaroba: erano le mamme che spesso e volentieri accompagnavano le proprie figliole al ballo. La loro vigile presenza garantiva l'onestà nel comportamento della figlie, ma non sempre ci riuscivano.
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