Quercegrossa (Ricordi e memorie)

CAPITOLO XI - COSE D'ALTRI TEMPI

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Pallinai
Grande richiamo esercitava anche il gioco del pallinaio che il Brogi aveva organizzato in maniera superba fino ad averne tre: uno era riservato ai più bravi, uno per tutti e l'ultimo per i giovani e ragazzi. Erano posti in un grande spiazzo nel retro casa e i pomeriggi del sabato e i festivi, dopo pranzo, decine di giocatori e spettatori passando per la bottega e la cucina affollavano i pallinai e lì si sfidavano in interminabili ore di gioco oppure osservavano attenti seduti sulle panche di legno. Le palle erano di legno, molto più grandi di quelle usate nel gioco delle bocce e venivano tenute nell'acqua affinché non si crettassero. Si affrontavano due squadre composte da uno a tre giocatori con una palla ciascuno o due per il migliore e il traguardo erano i sei punti. Alla fine della serata chi ne aveva vinte e chi ne aveva perse nel continuo mischiarsi delle squadre stabilite dal tiro alla stecca. Ben livellato era il piano di gioco con le sue sponde a mo' di greppo e alla fine del piano c’era una stecca di legno che delimitava il fallo e la buca dove la palla era fuori gioco. Il tiro doveva avvicinarsi il più possibile al pallino oppure, quando giocavano senza, vinceva chi si avvicinava maggiormente alla bulletta piantata nella stecca di legno. Ogni giocatore pagava il "pallaro" all'incaricato o al bar. Il piano di gioco richiedeva una continua manutenzione e livellatura alla quale si dedicavano gli appassionati e gli incaricati di controllare e riscuotere le partite.
Un altro pallinaio era presente a Petroio, da molto tempo. Risistemato dopo guerra, accoglieva nei giorni festivi diversi giocatori. Si trovava a sinistra nella stradina che conduceva al cimitero tra querci e ginestre. Del pallinaio di Petroio si parla già in un promemoria del parroco di Basciano nel 1830, il quale si rammarica che in un giorno di festa in quell'annesso si sia giocato a palline mancando così di rispetto al parroco di Quercegrossa. Aggiunge poi che i parrocchiani avevano chiesto perdono.
Il documento ci dice quanto sia antico questo divertimento popolare. Già in uso in tante bettole di città fin dal Settecento, era visto da molti come luogo di perditempo e bestemmiatori. Un ulteriore ricordo su questo gioco ci viene da Lornano, dove il parroco registrò la morte del giovane Fortunato Brogi, colpito alla testa da una pallina il 31 maggio 1878 mentre guardava giocare. Nel 1951, con la cessione della bottega ai Landi finirono anche i pallinai del Brogi e prese il via quello costruito subito dopo in Società, cioè dal Circolo Enal. In questo impianto si giocò fino agli anni Sessanta e si concluse con la chiusura del Circolo. Per molti anni, nel periodo estivo quando la stagione consentiva di giocare all’aperto, rimaneva attivo fino a mezzanotte, illuminato da un paio di forti lampadine. Un altro pallinaio venne realizzato alla chiesa dai frequentatori del circolo ACLI nel giardino della canonica. Non ebbe grande fortuna e servì poi a noi ragazzi fino al 1960. Era usanza nei giorni festivi da parte dei più sfegatati giocatori spostarsi in bici da un pallinaio all'altro e partecipare al gioco secondo la squadra che vi trovavi: Fonterutoli, Castellina, Le Badesse e Vagliagli erano le mete preferite. Famosi giocatori avevano raggiunto la perfezione tecnica ed erano ammirati da tutti. Non mancavano intorno alle palline accanite discussioni e polemiche, specialmente quando c'era da misurare la distanza dal pallino.
Si vinceva, ma si perdeva anche qualche lira al pallinaio e spesso in momenti di scarsa disponibilità poteva scomodare. Si rammenta un caso in cui si esagerò. Marisa Candiani ricorda che una domenica sera il babbo Callisto dal Poderino andò all'osteria di Quercia e giocò a palline, fumando le sue sigarette fatte con le cartine Luce. Tornò a casa mogio, mogio e alla moglie Nella che gli chiedeva cosa aveva fatto rispose: “Ho perso cinque centesimi al pallinaio”. Una somma insignificante a quel tempo, ma non per Callisto.

Uno scorcio del pallinaio parrocchiale, separato da un muretto dalla strada statale, visto da una finestra della canonica.

Il biliardo
Il gioco del biliardo nel Novecento aveva già raggiunto il massimo della diffusione, ma a Quercegrossa chi voleva giocare doveva recarsi a Siena. Infatti, da noi arrivò soltanto nel 1935, quando il Brogi acquistò un vecchio biliardo piuttosto scadente: "Un tavolaccio con quattro sponde coperte dal panno verde", ma apprezzatissimo per la novità. Fu collocato nella stanza di destra addossato alla parete; il primo giorno giocarono fino a tardi. La mattina dopo, quando Dante aprì bottega, c'erano già ad attenderlo per riprendere la partita il Michelangeli e il "Borluzzo" dei Lorenzetti di Gaggiola. Questi due giocatori presero le bocce in mano all'apertura e, senza interruzione, le tennero fino a notte alta. Non trascorsero pochi giorni che anche la Sora Emilia all'Appalto, non potendo rimanere indietro, acquistò un bel biliardo come si doveva. Lo sistemò nella stanza di sinistra e così da allora nei festivi e nei dopocena iniziò quella partecipazione intensa e appassionata di giocatori e pubblico che si mantenne elevata fino agli anni Settanta per poi ridimensionarsi, ma senza scomparire del tutto. Il tipo di gioco più diffuso era la normale partita a sedici o ventiquattro, ma si giocava anche a "Goriziana" e con le stecche in entrambi i biliardi. Speso la partita era per il caffè, ma non disdegnavano le poste in denaro.
Per vent'anni i biliardi rimasero nelle due botteghe: fino al 1955 quello della sora Emilia venduto dai Buti quando si trasferirono nella nuova abitazione, e verso il 1958/59 anche quello del Brogi fu tolto dai Landi quando realizzarono il banco del bar. Ma già da qualche anno il nuovo biliardo della Società attirava i giocatori e a questo si aggiunse quello del Circolo Acli alla chiesa nel 1958/59. I due nuovi impianti sostituirono i vecchi e rimasero in attività fino alla chiusura dei due Circoli a metà anni Sessanta. Al Circolo ACLI venne poi smontato da don Pierino nel 1974/75 e collocato nella Canonica, nella sala di sinistra, dove giocarono i ragazzi per tutta l'epoca di quel parroco. Negli anni 1956/57 la domenica mattina tornando dalla messa spesso si entrava in bottega da Picciola per veder giocare al biliardo. La grossa lampada illuminava a giorno il panno verde e il biliardo era circondato da sedie sempre occupate, tantoche spesso non trovavi posto, e a questi comodamente seduti si aggiungevano gli spettatori in piedi; appena si vedeva il biliardo.
Ricordo bene l'attenzione di tutti e quella pallina che tirata con forza mi colpì con violenza proprio sulla fronte.
Nella Società era Adriano Socci che gestiva i conti del "pallaro" al biliardo, e riscuoteva la tariffa o il "peggio", come si diceva, al pallinaio.

Carte
Non c’era famiglia che non possedesse un vecchio e unto mazzo di carte che veniva spolverato in occasione di veglie serali giocando a Omonero e per i ragazzi “a bugia e rubamazzo” e altri giochi. Anche l’attività ludica più importante dell'osteria Brogi era il gioco delle carte: "Giocavano in tutte le stanze, anche in un salottino di passo, di sopra, e poi c'era la stanza buia di sopra con una grande tavola. Il mi' babbo giocava nello stanzino con Bonello, Gosto e il vecchio Bianciardi, e bevevano, e giocavano sempre a tressette", ricorda la zia Sette, e nelle stanze aleggiava una densa nuvola del fumo di sigari e sigarette.
Decine e decine di giocatori si sfidavano dopocena a briscola. scopa, tressette e quadrigliati con le carte toscane o francesi che dir si voglia per una bevuta o per un pacchetto di biscotti o fru-fru da portare a casa ai nipotini. Del tutto assenti le carte da ramino entrate in uso soltanto nel dopoguerra. A Carlino Brogi piaceva giocare, ma Dante non voleva che si mettesse al tavolo con i clienti. Allora Carlino s’infilava le carte in tasca e quando arrivavano i primi giocatori Dante diceva: "Le carte ce l'ha il mi babbo", e finiva che giocava anche lui.
Sotto le feste di Natale era in auge la “primiera” e per premio c'era il panforte. Al tempo del Ciampoli ai primi anni Settanta, dopo la chiusura dei Circoli Acli ed Enal, si ebbero gli ultimo anni d'oro per le carte. La sala che conteneva sei/sette tavolini si presentava sempre piena e affollata e quando venne la moda del poker anche la cucina e il salotto vennero occupati. Nel periodo del caldo estivo, la sera, ci scappava anche la partita all'esterno di fronte al bar.
Ci sono sempre stati dei patiti del gioco e per questi giocatori abili e meno abili la partita serale e stato un appuntamento irrinunciabile. Appena consumata la cena, si lasciavano donne e ragazzi e via al bar. Ai miei tempi vi si trovavano vecchi giocatori incalliti come Gosto, il Moro, il Maresciallo, Feo con la sua partita di mezzanotte, il Titti, il Gatto e il Gattino, Foffo e il Piuma. Quest'ultimo era sempre circondato da spettatori divertiti dalle sue scenette comiche e del quale risuonano ancora i poderosi cazzotti sui tavolini come quando fece saltare per aria la birra di Foffo. Inoltre, intorno ai tavoli si riunivano attenti osservatori e critici che spesso si lasciavano sfuggire commenti non richiesti come era abitudine del Tognazzi detto Fulmine il più famoso tra questi, e se ti sedevi troppo vicino al Moro era inevitabile sentirsi dire: "Ma che mi vuoi venire in collo?".



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