Al tempo di don Pratesi, precisamente il 12 febbraio 1833 durante le missioni organizzate nella parrocchia di Quercegrossa, avvenne all’interno della chiesa una improvvisa manifestazione di isterismo di una donna ossessionata, la quale cominciò a gridare e ripetere una frase penitenziale portando sconcerto tra i presenti. L’intervento del parroco e di altri sacerdoti calmò l’agitata, e don Gaetano ce ne lasciò un breve e preoccupato ricordo nella lettera inviata in Curia:
. Scrive perché la mattina successiva non può andare a Siena dovendo fare le confessioni con altri parrochi a causa del fatto avvenuto.
Ingegno
Don Grandi,
“ingegnoso com'era”, escogitò per la lampada a olio del Santissimo un semplice quanto efficace congegno a forma di stella a tre punte con infilati tre sugheri alle estremità. All'ingresso della canonica, sul giardino, aveva piantato nella parte sinistra lungo il muro, tra le piante di canne, alcune pianticelle di un fiore che aveva stelo e corona vellutati, simili a uno stoppino da candele, e come tale li usava. Riempito il vaso allungato del Santissimo con molta acqua e 2/3 centimetri di olio, vi poneva sopra il piccolo congegno che rimaneva a galla, con sopra il fiore capovolto impregnato d'olio, al quale dava fuoco. La combustione creava la fiamma e l'olio ardeva per mezzo della pianta-stoppino. Dal foro centrale l'olio veniva risucchiato e si consumava in circa una settimana. Quando finiva l'olio il tutto si spengeva senza tanti rischi. E' inverosimile pensare che lo stelo di una pianticella bruciasse per una settimana senza consumarsi, e funzionava... davvero!
Nella foto la riproduzione del congegno per la lampada del Santissimo realizzato da don Grandi.
La visita delle sette chiese
Pratica religiosa del Giovedì santo. La sera, all'adorazione al sepolcro, si abbinava questo rito risalente al 1552 e a S. Filippo Neri che lo aveva ripreso da antiche cerimonie paganeggianti. Proposto dal Santo in carnevale, in occasione del Giovedì grasso per controbatterne stravizi ed eccessi, col tempo era stato spostato alla Settimana santa. Nelle città era tradizione visitare sette chiese diverse, e pregare in ognuna, mentre nelle campagne ci si accontentava della chiesa parrocchiale come avveniva a Quercegrossa al tempo di don Ottorino. I fedeli, per conto proprio, uscivano ed entravano in chiesa per sette volte recitando in ognuna di esse sette Pater, Ave e Gloria. Simulavano così l'entrata in sette chiese diverse. Nell'ora, diciamo di punta, non mancava un po' di confusione per lo sviaggio. Inutile aggiungere che tutto questo finì col progresso degli anni Sessanta.
Rogazioni
Rito penitenziale che aveva il fine di attirare la benedizione di Dio su terre e popoli e di allontanare i castighi per i nostri peccati per mezzo di preghiere e canti fatto dai fedeli in una processione pubblica. Era una invocazione sincera alla Divinità scaturita dalla consapevolezza di essere in balia dell’onde:
“per raccomandarsi”, come mi disse un anziano contadino. Anche questo rito processionale aveva la sua origine da pratiche romane che ebbero continuità nell’era cristiana. Nel corso dei secoli si affermò il canto delle litanie, la messa delle rogazioni con il colore viola dei paramenti, il digiuno dei penitenti, le stazioni di preghiera e i tre giorni di durata. Le rogazioni ricordate a Quercia consistevano nella recita delle litanie, nella benedizione dei campi e nelle preghiere del rituale con la famosa invocazione:
“A folgore et tempestate, a peste, fame et bello”, cui il popolo rispondeva:
“Libera nos domine”. Al rientro in chiesa seguiva la messa. Le rogazioni si svolsero con continuità fino agli anni Sessanta del Novecento. Si tenevano in tre giorni dal mercoledì al venerdì precedenti il giorno dell'Ascensione e si cercava con la processione di coprire tutto il territorio parrocchiale, fermandosi presso punti di riferimento come madonnini o croci. Un folto gruppo di fedeli, quasi tutte donne, partiva dalla chiesa parrocchiale
“alle sette si partiva da chiesa una cinquantina di donne e alcuni uomini” e compiva i soliti itinerari andando al Madonnino di Macialla il primo giorno, all’Olmicino il secondo giorno e infine alla croce della vecchia strada del Mulino. Per la festa di Petroio, il giorno dell’Ascensione, era tradizione ripetere le rogazioni intorno alla fattoria.
La festa dell’acqua
C’è memoria nei documenti parrocchiali di Quercegrossa di una cerimonia detta “Festa dell’acqua”, anch’essa antichissima e anch’essa processionale all’aperto nei campi, che aveva lo scopo di propiziarsi le necessarie precipitazioni nel periodo estivo e scongiurare siccità e temporali
“ad repellendas tempestates”, e per questo si celebrava nei mesi primaverili o secondo alcuni il 20 maggio per S. Bernardino. Simile alle rogazioni, e prevista nel rituale, questa liturgia venne però avversata dal clero:
“Si sopprimano tutte le processioni ad repellendas tempestates nelle chiese della Campagna e chiamate Feste dell’Acqua ove si cantano otto, dieci o dodici evangeli e benedizioni della Campagna e solamente si conservi l'uso di S. Madre Chiesa di fare ne' giorni propri le Rogazioni ... in questa guisa si allontaneranno i contadini da avere quel culto materiale del quale la massima parte de' contadini va a raggirarsi”.
Finì per scomparire in molte parrocchie, mentre in poche altre rimase fino alla metà del Novecento. A Quercegrossa si fuse nelle rogazioni della festa dell’Ascensione a Petroio nei primi decenni dell’Ottocento, ma c’è una unica, scarna memoria più tarda, forse iniziativa di don Pietricciani che ne conservava una personale tradizione:
“A dì 8 maggio 1871
Festa popolare detta dell'acqua celebrata nell'annesso di Petroio.
A dì detto Io Giuseppe Falassi ho celebrato
Io Vincenzo Staderini ho celebrato
Io Ferdinando Taddei ho celebrato
Io Petricciani Giovanni celebrai”.
Dieci giorni dopo, il 18 maggio, era l’Ascensione con la festa a Petroio.
La benedizione dei bruchi
Un’altra consuetudine, diciamo figlia delle rogazioni, era la benedizione detta “dei bruchi”, eseguita annualmente a Passeggeri benedicendo gli alberi di quercia minacciati da questo parassita nella utilissima produzione della ghianda per i maiali. Il popolo di quella fattoria si riuniva alla cappellina e da lì, con una processione tipo rogazioni, in un breve tragitto guidato dal cappuccino celebrante, invitato annualmente, arrivava alla fattoria. Si racconta che un anno, saputo che i contadini di Passeggeri erano tutti comunisti e volendo dar loro una lezione, questo cappuccino partì con la processione la mattina presto per un giro che non finiva più: passarono dalla Torre, poi Monastero per Poggiobenichi, e tornarono a Passeggeri che erano le undici passate.
Presepio
Dal secondo dopoguerra si diffuse anche a Quercegrossa l’usanza di
“fare il presepio” in casa. Non più arrangiate composizioni ma statuine di gesso colorate immerse nel verde della borraccina dei nostri boschi: tante pecorine con i pastori e i lavoranti più noti facevano da contorno al bambino Gesù, Giuseppe e Maria nella capanna col bue e l’asinello. Un gioco per noi ragazzi, ma anche un po’ di devozione davanti al bambinello. In casa Mori si preparava nel salottino al primo piano nello spazio del caminetto.
Don Ottorino Bucalossi promosse il presepio nelle famiglie e organizzò più volte un concorso per il migliore, con tanto di premio. In quel Natale del 1960/61 visitò personalmente i presepi entrando nelle famiglie e grande fu l’emozione che provò in casa di Piero Rossi all’ultimo piano del Palazzaccio. Una famiglia operaia con poche possibilità in quei tempi. Novello “Mangiafoco” il curato si commosse alla vista del presepio fatto da Riccardo in un angolo della casa. Non vide belle statuine nè casine decorate, ma tanti personaggi ritagliati dai giornali e tenuti in piedi o appoggiati alla meglio, compreso il Gesù bambino. Apprezzò la sensibilità di Riccardo e ne decretò la vittoria consegnandogli per premio diverse statuine da presepio.
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