CAPITOLO XI - COSE D’ALTRI TEMPI

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La Strada
La strada Statale 222, ora Regionale, che da Siena passando per Quercegrossa porta a Castellina in Chianti, è stata fin dal Medioevo tra le maggiori arterie di collegamento tra Siena e Firenze. Entrava nel contado fiorentino, che iniziava poco dopo il ponte di Quercia, e raggiungeva Castellina, Panzano e Greve, oppure S. Donato in Poggio, e da questi paesi portava a Firenze.
Certamente anche nei tempi antichi degli etruschi è servita per unire i piccoli centri di periferia come Castellina e Fonterutoli a Siena, e in quei lontani anni deve essersi formato l'attuale percorso che, in seguito a numerose varianti risalenti soprattutto agli ultimi due secoli, si presenta oggi abbastanza agile pur muovendosi in un ambito territoriale tormentato qual è quello delle nostre colline.
Già alla fine del XIII secolo nel 1291, è ricordata come fra le nove principali strade e vie pubbliche dello Stato senese: "Via et strata de Camollia qua itur Florentiam per Querciagrossa". Il termine romano di "strata", che nell'alto medioevo indicava le grandi vie pubbliche, si era esteso a tutte le minori vie di comunicazione come la nostra. Stava a significare nel linguaggio amministrativo dei Comuni che trattavasi di strada la cui manutenzione dipendeva dal Comune stesso che ne organizzava direttamente i lavori. Le strade di campagna, invece, erano lasciate di competenza alle comunità rurali. Attraverso i suoi uffici il Comune controllava il percorso viario intervenendo là dove necessario od obbligando privati e comunità a “curare e racconciare” le strade sotto la minaccia di salate multe. Già nel 1262 viene deliberato dalle autorità senesi un grosso intervento di manutenzione sulla strada che da Fontebecci porta a Quercegrossa consistente nella selciatura con pietre e nell’ampliamento della carreggiata a otto braccia (4,80 m.). A fine secolo un nuovo importante intervento: “Che la via la quale comincia a fonte Becci et distendesi fino a Querciagrossa si debia affossare et inghiaiare” ... overo strada per la quale si va alla città di Fiorenza sia utilissima a chi passa per essa et in essa strada sieno alcuni mali passi, si che li uomini passare commodamente non possano, et spetialmente nel tempo del verno, che la detta strada et via si debia acconciare e affossare et inghiaiare ... in qualunque luogo bisogno sarà, si che li uomini con bestie e senza bestie, a cavallo, a piè, possano expeditamente et liberamente andare et tornare”. La strada doveva avere anche un punto di rifornimento d’acqua verso il Castagno.
Nella sua lunga storia questa strada principale che passava da Quercegrossa ha subito numerosi perfezionamenti tendenti a renderne più agevole il percorso. Ad esempio, nei chilometri che interessano il nostro paese sono stati eliminati tratti in salita troppo ripidi o apportate deviazioni imposte dall'uso continuo di chi vi passava.
Ripercorrendo l'antica via vediamo che arrivati da Siena a Quercegrossa di fronte all'osteria la strada, ieri come oggi, svoltava a sinistra fra il palazzo Andreucci e le case Ticci per girare subito a destra e con tratto diritto s’infilava nei campi all'altezza della cabina della luce dalla quale prese il nome e fu detta dagli anni Trenta del Novecento "Strada della Cabina" (ma rimase anche l'altro di "Strada del Castello"). Così in buona discesa costeggiava campi e la Carpinaia rimaneva sempre sul fianco destro. Giunti a mezza costa, curvava a destra in quel punto detto "La croce" perché lì, per qualche decennio, vi era rimasta piantata una rugginosa croce da cimiteri, proprio dove si diceva fosse morto un soldato. Continuando a scendere, compiva ancora una curva a sinistra per immettersi nei piani del Mulino e passare il ponte sulla Staggia. Questo tratto di strada si presentava faticoso come salita e pericoloso nella discesa. Non a caso era detta ai primi dell'Ottocento "Mulattiera" e "Piaggia di Quercia Grossa". Nel passato occorreva spesso mettere il trapelo per le diligenze e i carichi pesanti, ai quali provvedeva il contadino del Mulino e della qual cosa c'è rimasta memoria. Certamente era un servizio svolto anche dai gestori dell'Osteria che avevano le stalle là dove oggi si trova la bottega, come ci rivelano i vecchi archi che sormontano le moderne porte della costruzione.
Si rese necessario quindi, per stare al passo col progresso, rendere più facile il percorso e la soluzione attuata fu quella di abbandonare quello antico e costruirne uno nuovo nel versante che guardava l'Olmicino. La deviazione apportata, chiamata ai miei tempi la "Strada dei Colonnini o delle Curve”, eliminò l'antico tratto appena descritto e fu certamente progettata dagli ingegneri delle strade del Comune di Castelnuovo B.ga e poi realizzata tra il 1820 e il 1830. Infatti, nelle carte del Catasto Leopoldino del 1825 è riportato sempre il vecchio percorso della cabina detto allora "Strada Comunale della Castellina", ma vi si nota, tratteggiata, la variante delle curve, che è sinonimo di strada in costruzione. Questa variante rese il percorso più lungo, ma molto più facile nella salita. Le difficoltà incontrate da chiunque percorresse la "Piaggia di Quercegrossa" fecero sì che i possidenti del luogo inoltrassero richiesta al Comune per sistemare la strada: si conserva l'interessante lettera del 1825 indirizzata al gonfaloniere e ai priori di Castelnuovo. L'occasione venne dai lavori di riattamento compiuti dal Comune di Castellina sulla strada a partire dal ponte sullo Staggia fino a Castellina.
Si premetteva che detto tratto serviva egregiamente per il curato che andava ad assistere i poderi oltre la Staggia e per il trasporto delle derrate, come pure ai castellinesi per recarsi a Siena.
Continuava con un evidente accenno alla nuova strada: "Siccome detta Comunità della Castellina ha ordinato il riattamento del tratto di strada giacente nel suo territorio, diverrebbe questo inutile se non venisse egualmente riattato il tratto spettante alla Comunità di Castelnuovo. Che però desiderando i detti possidenti i quali contribuiscono al mantenimento delle altre strade Comunitative d'avere anche essi una strada su cui poter comodamente transitare per lo smercio delle loro derrate e per gli altri oggetti a loro necessari per l'agricoltura. Fanno reverente istanza alle SS. LL. Ill.me affinché vogliano nella seduta prossima del futuro settembre prendere in considerazione detto tratto di strada e qualora non sia accampionata ordinarne l'accampionamento ed il successivo restauro e dare la disposizione perché venga questo sollecitamente eseguito". Qual è il "detto tratto di strada su cui comodamente transitare" e da "accampionare" se non lo fosse? E' senza dubbio quella che oggi usiamo per scendere in auto verso il Mulino e che al tempo della suddetta lettera era ancora una via appena accennata, ma che ben presto avrebbe sostituito l'antica "mulattiera".
Firmarono don Gaetano Pratesi, Luigi Ticci, Valentino Rovai, Domenico Nencini, Salvatore Morelli, Eufrosino Sampieri come tutore dei minori Faleri e Ansano Pacchiani.
Esisteva inoltre, partendo dalla piazza di Quercia verso nord-est, una secolare scorciatoia che menava diritta al Mulino detta "la Stradaccia". Troppo erta per farvi passare carri e diligenze, ma comoda per collegare i poderi vicini al Mulino, essa divideva anche la proprietà Andreucci da quella dell'Osteria. Poi, passato il ponte del Mulino troviamo le testimonianze di un'altra modifica apportata alla strada per Castellina forse verso il 1825/30. Sono i resti sparsi della massicciata dell'antica strada che rimaneva a sinistra dell'attuale passando diritta per i campi e il bosco della Casanova per riprendere l'odierno percorso poco prima del bivio del Poderino.
Venendo in tempi più recenti, e precisamente nel 1927, fu realizzata la deviazione di Macialla certamente su sollecitudine dei proprietari Forti, che in quegli anni ingrandivano la fattoria. La carreggiata che passava a destra della villa, proprio davanti alla porta d'ingresso, venne deviata sulla strada già esistente a sinistra della fattoria che portava a Maciallina e Passeggeri ma, dopo 100 metri, fatta svoltare a destra in direzione S. Stefano, compiendo una secca curva. Questo nuovo percorso, già praticato da tempo come si vede dalle carte, divenne l'unico percorribile ed era quello oggi detto della "curva di Macialla".
Cose
Nell'immagine a fanco i tratti di strada modificati negli ultimi due secoli:
1. Strada di Carpinaia
2. Strada della Catena
3. Deviazione di Macialla
4. Strada della Ripa


In epoca ottocentesca era stata apportata anche l'importante modifica della Ripa. Infatti, la strada principale saliva alla Ripa, dove si trovava un'antica osteria, e discendeva completamente diritta verso Siena. Anche in questo caso la ricerca di un percorso più agevole rispetto alla salita della Ripa, verso Siena, aveva attivato chissà da quanto un viottolo tra i campi dopo il bivio di S. Stefano. Viottolo scorciatoia per Basciano o strada di campo che col tempo era diventata carrozzabile tanto da sostituire, dopo lavori di sistemazione effettuati forse a fine Ottocento, l'antico tratto. Oggi è la nostra strada che a S. Stefano devia dal vecchio percorso e transitando dal bivio per Basciano ritrova la strada vecchia dopo S. Lucia. Fino alla Seconda guerra mondiale la vecchia strada della Ripa era completamente alberata e le piante furono abbattute dai francesi al passaggio del fronte. Ricordiamo anche che il Ponte sulla Staggia, o di Quercia, fu fatto saltare dai tedeschi in ritirata e ricostruito dal genio militare con tavole e travi di legno. Una sera la piena del fiume lo fece franare completamente portando via tutto. Allora fu rifatto dall’impresario Petri Armando in muratura.
Questi citati sono gli interventi conosciuti compiuti sulla nostra strada che hanno mirato, a loro tempo, ad una migliore circolazione di carri e carrozze, ma il vero intervento che ha facilitato lo scorrimento del traffico automobilistico e dei servizi è stato senz'altro l'asfaltatura. Nel periodo anteguerra pochissime strade erano asfaltate in provincia di Siena e tra queste la Cassia, ma quasi tutte lo furono poi negli anni Cinquanta. Infatti, insieme a interventi di manutenzione per i danni causati dal conflitto specialmente per i ponti, si diede il via nello stesso tempo alla bitumatura delle maggiori strade provinciali e statali, come ormai richiedeva improrogabilmente il progresso della comunicazione su gomma. Non furono interventi immediati e ci vollero anni per realizzarli.
Tra i lavori da ricordare l'asfaltatura della strada Siena - Gaiole e Radda fatta nel 1957/1958 e, per quel che ci interessa, quella del tratto Castellina in Chianti - Siena negli anni 1955/56. Benito Bandini parte militare il 4 novembre 1954 e ricorda perfettamente che i lavori iniziarono ai primi del 1955 nel tratto Fontebecci - Quercegrossa. Rino Leri che viene all’Arginano, fidanzato di Rosanna Nencioni, è costretto a venirci in bicicletta a causa dell’alta massicciata che rende difficile viaggiarci in motorino: ha un Bianchi Tonale. Egidio Merlo ci rammenta che la strada era finanziata dalla legge Cantieri Fanfani rientrante nel piano Marshall. Se questi lavori da una parte facilitarono e stimolarono la crescita e lo sviluppo del paese negli anni Sessanta, dall’altro contribuirono anche a mettere fine a un sistema di vivere secolare nel muoversi o trasportare cose e persone. Non più, dunque, buche infangate, non più breccino, non più carri e barrocci, ma un piano perfetto sul quale scivolavano speditamente mezzi molto più veloci e potenti.
Non si trattò soltanto di stendere uno strato di asfalto sopra la vecchia strada, ma venne rifatta tutta la massicciata per l'intero percorso: prima da Castellina in Chianti verso il Mulino di Quercegrossa poi partendo da Fontebecci giunsero a Quercegrossa asfaltando il rimanente tratto. I lavori in prossimità di Quercegrossa iniziarono ai primi del 1955 e si protrassero per tutto l’anno, eseguiti dalla ditta Biagi.
Fu un’opera notevole a cui lavorarono squadre di operai e trasportatori locali e interessò anche alcuni contadini per realizzarvi qualche guadagno sia come manovali sia con la fornitura di pietre e sassi necessari per la massicciata. Fu uno strazio ambientale perché scomparvero i secolari terrazzamenti delle terre del Casalino, della Casanuova, di Gaggiola ecc. lasciando nude piagge al loro posto, ma di fronte a qualche lira in quei tempi di necessità non si guardò a niente.
Damino Pignattai di Monteriggioni, conosciuto anche come suonatore di cornetta e fisarmonica, con i suoi camion, aiutato anche da donne, faceva la spola tra i campi e il cantiere caricando e scaricando a più non posso, mentre altri camionisti fornivano breccia e materiali. Il detto Damino si chiamava Adamo Pignattai e aveva sposato Milena di Sornano. Squadre di manovali scassavano e allargavano la strada, come a Quercegrossa davanti alla scuola vecchia, dove altri posavano e incastravano le grosse pietre e altri ancora stendevano la breccia, calcata dal compressore sempre in movimento. Infine stendevano il bitume, pressato in più passaggi dallo stesso compressore o come era chiamato “lo schiacciasassi”, e a quei tempi mi pareva gigantesco. Era un mezzo dotato, al posto delle ruote, di due grossi rulli su cui si muoveva. Passava e ripassava con andare lento fino a rendere il piano stradale perfettamente levigato. Un folto e incantato pubblico assisteva alle manovre. Fecero un certo effetto i primi passi sull'asfalto e il lungo serpente nero si impose sul paesaggio acquistando maggior rilievo dopo la dipintura delle bianche strisce della segnaletica. La nuova strada portò anche alla modifica dell'organizzazione della manutenzione e di conseguenza il lavoro degli addetti cambiò totalmente.

Due foto scattate dopo i lavori di asfaltatura della strada: Armando Losi in Vespa saggia l'asfalto da poco steso. Si vedono alla chiesa i primi cartelli della segnaletica. In basso: Pierugo Buti in bicicletta e veduta della nuova sistemazione della strada all'altezza della scuola dopo la distruzione del marciapiede e dei muri di confine.



Venne meno la familiare figura dello "stradino", sostituito da operai motorizzati dell'ANAS con tanto di divisa e sorsero numerosi "casottini" lungo la statale per il deposito dei materiali e degli attrezzi.
Lo "stradino" o "cantoniere" aveva il compito della manutenzione delle strade e gli veniva affidato un certo pezzo di strada del quale era responsabile. Esso conosceva ogni metro della sua strada, la curava con amore come il proprio orticello e sapeva quali erano i suoi punti deboli per intervenire e rabbrecciare tempestivamente, magari dopo un violento acquazzone, e rinforzare quando cedeva.
Lo stradino di Quercegrossa fu per tanti anni Tono Maioli. Era responsabile del tratto che andava dal bivio di S. Leonino a Macialla per un totale di cinque chilometri. Poi dal bivio di S. Leonino fino a Castellina c'era il fratello Luigi e da Macialla a Siena un certo Ferruccio, a quanto si dice, un suo parente. Una famiglia di stradini dunque, se si considera anche l'opera prestata da Settimio, altro fratello di Tonio, che spesso aiutava quando era assoldato dal capo cantoniere, un certo Vanni di Poggibonsi, il quale passando da casa sua lo chiamava e gli diceva: "Senti domani ci sarebbe da spalare la breccia, sei libero?". E Settimio andava a spalare la breccia e spaccare pietre: per decenni rifornì la strada attingendo alle cave della Monsanese e nei campi a fianco della strada che va a San Leonino dal suddetto bivio. Dal 1910 abitava lì vicino, sopra Pomona; erano due sole stanze e la sera, tornando dallo spaccare, caricava la carretta di pietre, le portava a casa e con esse vi fece la giunta. Anche altri operai e minatori come Gino Rossi e Gino Travagli nelle ore libere venivano ingaggiati per quel lavoro.
Per lo spaccare le pietre fu impiegata a un certo punto una macchina chiamata "Concassé". Grande quanto un camion, con motore proprio e a ruote, tritava e spezzettava sassi che poi vagliava e divideva secondo grandezza; la breccia ottenuta veniva ammontinata a bordi della strada. Ma le macchine non riuscirono a sostituire in pieno l'opera degli spaccapietre che ancora nel 1957/58 venivano impiegati nella realizzazione delle massicciate come accadde a Piero Rossi, ingaggiato lungo la strada Siena - Gaiole. Erano in molti, armati di martello e mazza, e ad ognuno di loro un autotreno scaricava la mattina grosse pietre che a forza di colpi dovevano ridurre e frantumare. Otto ore curvo sul lavoro per tre o quattro mesi con regolare martellamento, Pierino picchiò e batté la dura pietra. Il segreto era di dare un colpo ben assestato al posto giusto. Allora la pietra si frantumava in tanti pezzi e lui era talmente abile che finiva sempre il suo monte di sassi per primo, come ricorda un collega: "Quando noi s'era a mezzo lui aveva già finito". E così si meritò il soprannome di "Compressore".
A Quercegrossa lo stradino titolare, Tonio, si spostava in bicicletta lungo il tragitto di sua competenza e interveniva abitualmente da solo quando il lavoro era minimo e di normale manutenzione. Allora appoggiava la bicicletta al greppo, infilava in terra la sua palina, l'asta metallica con in cima un disco di lamiera che portava i dati delle strada e dello stradino, e così segnalava l'inizio dei lavori. Armato di pala e piccone, spargeva breccia e ricopriva buche, puliva fossetti per le acque e tagliava rami e macchie. Tutto lavoro fatto con passione e metodo sì che la strada era sempre sgombra da pericoli. E ce n'era bisogno di lavoro perché il passaggio di camion, Sita, auto e specialmente carri tracciavano solchi; la pioggia faceva il resto, con l’acqua che ristagnava sulla sede stradale otturando fogne e riempiendo fossi di detriti. A quel punto entrava in azione lo stradino. La breccia, necessaria soprattutto nel periodo autunno - inverno, era scaricata lungo il percorso da camion e barrocci in tanti monticini che lui spalava e ammontinava continuamente perché non si disperdesse. Nonostante tutta la buona volontà era pur sempre un fondo stradale irregolare, come ben rammenta Gina Rossi: "La strada tutta breccino, sassi e buche. Lo stradino quante volte ci riparò le gomme bucate".
Cose Insieme a quella dello stradino scomparve la professione del "verniciatore". Operava sulla nostra strada prima della guerra Vittorio Bruni, uno zio dei Finetti di Macialla, "verniciatore della Provincia" la cui competenza si spingeva fin quasi a Volterra. La sua mansione consisteva nel verniciare di bianco e nero tutti i colonnini che proteggevano le curve, gli angoli delle case e tutte le cantonate sulla strada, nonché le pietre miliari che segnavano le distanze. Finito un ciclo di lavoro ripartiva da capo, mantenendo i colori sempre vivi per avvisare i conducenti.
Durante la guerra Vittorio, che abitava a Colle, fu colto di sorpresa dal primo bombardamento mentre si trovava ai giardini pubblici. Una bomba gli cadde vicino, si sentì mancare e sedette su una panchina. Quando lo chiamarono non rispose: era già morto.

Vittorio Bruni, verniciatore della Provincia, marito di Evelina Finetti.



Gli stradini dipendevano e riscuotevano dalla Provincia di Siena, accollataria di lavori anche a terzi, ma dai quali, a sentire Settimio, ci ricavava poco. E pensare che la figura dello stradino era importante e andava al di là dello spaccar pietre perché svolgeva compiti di pubblico ufficiale e di controllo della circolazione; a lui erano richiesti contegno e moralità come si desume da un interessante "Decalogo del Cantoniere Provinciale", diffuso nell'aprile 1926 dalla stessa Provincia in cui rammentava ai suoi dipendenti come comportarsi sul lavoro e i doveri che gli competevano.
Il Documento risente dell'allora imperante cultura, ma ci serve per inquadrare meglio e per capire questa figura. Diviso in dieci articoli inizia subito a richiamare fermamente il soggetto alle sue responsabilità: "Ricorda che hai solennemente giurato di operare per il bene inseparabile del Re e della Patria; guarda perciò che cure o pensieri estranei al sentimento... non ti distolgano dall'adempiere i tuoi doveri". Nel secondo e terzo articolo rammenta l'appartenenza a una emanazione del Governo fascista "che ogni suo pensiero e ogni cura volge a far ritornare l'Italia alla grandezza romana e alle sue strade che coloni e soldati costruirono in molte regioni d'Europa e Africa". Nel quarto si leggono due righe di sana modestia: "Ricorda che la provincia di Siena fu sempre distinta, lodata e premiata per la perfetta manutenzione delle sue strade", e nel successivo "che anche tu sei chiamato col tuo lavoro, anche se modesto... ecc.". Nel sesto e settimo si fa patetico: "Pensa che dipendono in gran parte dalle cure e dal lavoro del Cantoniere la conservazione e il buon mantenimento delle strade" e "Cerca quindi di curare con la massima diligenza e col più grande buon volere il tratto di strada che ti è stato affidato come se fosse cosa tua, un tuo possesso, la tua casa". Finalmente, nell'ottavo diventa più concreto: "Tu sai che l'agente stradale è anche un pubblico ufficiale e che, come tale, ha il dovere d'invigilare perché sulle strade il traffico si svolga nei modi e nei limiti segnati dalla legge: stai dunque bene attento, specialmente, a che ogni veicolo tenga sempre la sua destra, che i carichi non siano eccessivi o disposti in modo da impedire agli altri il libero transito, che i carri e i veicoli di qualsiasi specie non siano abbandonati dai conducenti e in genere che tutti si attengano alle veglianti disposizioni di polizia stradale". Gli ultimi due articoli contengono solo ammonimenti: "Pensa che l'opera tua è continuamente sorvegliata... Pensa che l'Amministrazione dalla quale dipendi è sempre pronta a punire coloro che mancano o trasgrediscono al proprio dovere, ecc. e a premiare ecc.".
Io non so se qualcuno dei nostri stradini abbia mai avuto fra le mani questo volantino, ma se lo ebbe ne fece certamente buon uso. Per gente che sentiva i propri doveri professionali come punto d'onore non c'era certamente bisogno di ricordarli con un foglio di carta. Al contrario, per il bighellone ne potevi stampare a migliaia.
Le strade comunali erano di competenza del Comune, con i propri stradini. Intorno al 1930 sulla strada da Quercegrossa a Vagliagli operava un certo Virgilio Bernardoni. Si rammenta anche uno stradino di nome Valente.
L'efficienza e la buona condizione delle strade è sempre stata una costante preoccupazione dei Governi per la sua primaria importanza nelle attività economiche soprattutto commerciali, ma si dovrà attendere il Settecento quando sovrani più illuminati di altri rivolgeranno la loro attenzione alle strade che nel complesso si trovavano in condizioni precarie e malagevoli per non dire disastrose, come lo era anche la Cassia. Trascurate e insufficienti, richiedevano ore per percorrere pochi chilometri, inoltre costituivano un rischio per i viaggiatori e impedivano di fatto lo sviluppo commerciale. L'illuminato granduca Pietro Leopoldo di Toscana aveva continuato nella seconda metà del Settecento la costruzione di importanti e numerose vie di comunicazione e di collegamento sia esterne sia interne al Granducato. Il Granduca non si limitò alla costruzione di strade, ma creò nelle Comunità gli uffici e le cariche destinate alla responsabilità viaria del territorio di competenza, come il Provveditore di strade e il Camarlengo. Cariche confermate anche nel Regolamento del 1814 che seguì al periodo dell'occupazione francese.
Il Provveditore di strade aveva l'incarico di stendere un elenco di tutte le strade comunitative relative al suo territorio che poi sarebbero state oggetto di accollo ai privati. A Castelnuovo B.ga il Provveditore Sestini introduceva il suo lavoro così:
"Campione dove sono descritte tutte le strade comunitative poste dentro il territorio di questa Comunità di Castelnuovo Berardenga da me Alessandro Sestini Provveditore principiato questo dì 26 ottobre 1778 secondo gli ordini di S: A: R:".
Vi si ritrovano le strade per Castellina, quella di Petroio e un tratto da Coschine a Passeggeri. Al n° 16 descrive: "La strada, che viene chiamata la Traversa, che porta alla città di Firenze, à il suo principio dal fontone detto di Beccaria, presso il Poggiarello, confine col 3° della Comunità di Città, passa per l'Osteria della Ripa, scende all'annesso di S. Stefano a Basciano dal podere di Larginano alla parrocchia di Querce Grossa, all'Osteria di detto luogo, scende nel fiume detto la Staggia, ove vi è il ponte e giunge al Termine che confina con la Comunità del 3° della Castellina". In una successiva e identica descrizione parte però dal Ponte di Quercia Grossa per giungere al confine di Siena.
Oltre a questa detta Traversa c'è quella di Petroio, ma aggiunta all'elenco un decennio dopo quando evidentemente si cercava di sottomettere ogni via alle nuove regole: "Strada che dalla Cura di Quercia Grossa porta all'annesso di Petroio, ha la sua origine dalla predetta chiesa, passa dal podere dell'Olmicino Faleri e giunge al detto Annesso". Infine, ma una sovrascrittura tra le righe rende il testo confuso come se si trattasse di un errore, parla di una strada che "dal Borro a Romiti e Vagliagli passa dalla Croce del Colombaione, dal podere del Sig. Nelli, alla Torre il poder di Passeggeri Sig. Perfetti il fiume Bozzone alla Ripa a Quercie grossa ed ha la sua fine con una imboccatura alla strada Maestra che porta alla Città di Siena dalla parte di mezzogiorno".
Il Regolamento e le Istruzioni degli accolli di strade approvato coll'Editto del 12 settembre 1814 confermavano che la manutenzione e la costruzione di strade e piazze della Comunità spettava a privati ai quali venivano date in appalto (o in accollo come si diceva) divise in diversi tronconi. Nasceva anche la figura del Perito Comunitativo seguita dopo il 1825 da quella dell'Ingegnere di Circondario poi Provinciale e Comunale.
Erano detti "accollatari" coloro che si assumevano l'onere dei lavori ed erano di solito i possidenti dei terreni prossimi alla strada. Essi, fin dall'applicazione dei primi regolamenti settecenteschi, si facevano carico della metà della spesa, mentre l'altra metà spettava alla Comunità. Poi, col tempo, si arrivò all'affidamento dell'accollo attraverso veri concorsi regolamentati seguendo un ben preciso iter burocratico, dove intervenivano vari uffici comunali e altri che in base alle domande fatte, alle offerte migliori di ribasso su una stima del Perito e all'affidabilità dimostrata del concorrente, assegnavano l'accollo. Il rimborso della quota comunale veniva liquidato a rate e partiva dalla fine dei lavori.
Si affermò poi nella pratica il contratto annuale: "Il pagamento dell'annua prestazione pel mantenimento non avrà luogo se non in quanto l'accollatario avrà giustificato del buono stato della strada per mezzo di un certificato del perito ingegnere della Comunità vidimato dai due Deputati del Magistrato".
Il sistema dell'accollo sopravvisse fino all'unità d'Italia, poi con la legge del 20 marzo 1865 avvenne la divisione in strade statali, provinciali e comunali gestite rispettivamente dallo Stato, dalle Province e dai Comuni.
Naturalmente anche le strade di Quercegrossa furono soggette alle normative granducali e rientrarono nelle competenze della Comunità di Castelnuovo B.ga della quale si conservano documenti di alcuni concorsi a partire dal secondo decennio dell'Ottocento. Fin dal 1814 deve essere stato reso operante il controllo annuale delle condizioni del fondo stradale con tanto di relazione da parte del tecnico incaricato. Nel 1819 egli compì la sua ispezione insieme a un deputato e al Provveditore di Strade, e impiegarono dodici giorni ad ispezionare l'intero Comune. Fece il suo rapporto con tanto di misure da adottare e chiese la liquidazione delle spese ammontanti a lire 10 giornaliere come stabilito dal tariffario del 23 dicembre 1814. In quell'anno erano accollanti per le nostre strade sopradescritte il Sig. Giuseppe Rossi per il tratto Cura di Quercegrossa - Petroio che dice: "Va ricolmata la maggior parte e accomodar le panchine, e votar le fosse", e il rev. Sig. Francesco Bianciardi dalla Ripa Tolomei fino al confine della Castellina che dice: "Va ricolmata la maggior parte e rifar le panchine". Sì, era proprio il curato di Quercegrossa l’accollante della strada maestra e del quale è rimasta un'interessante lettera sulle condizioni della salita del Mulino e di lavori da eseguirsi:
"Ill. mo Sig. Gonfaloniere e Priori ... della Comunità di Castelnuovo B.ga
6 dicembre 1819
Francesco Bianciardi curato a Quercia Grossa Cottimante della Strada detta Mulattiera cha dal confino della Comunità della Castellina nel Chianti porta al podere detto Larginano, riverentemente espone come fino all'anno scorso il medesimo fece istanza a Codesto Magistrato perché fosse stato preso in considerazione l'andamento della piaggia di Quercegrossa di cui esso è cottimante per la manutenzione della strada a motivo delli stillicidi che vi nascono nei tempi d'inverno, si congelano e rendono impraticabile per i viandanti questa piaggia proponendo che fossero stati fatti diversi chiavoni poiché restasse libera dai diacciati cagionati da detti stillicidi e oferendosi il medesimo di pigliare a cottimo la costruzione e manutenzione dei medesimi chiavoni per quella Perizia che venisse fatta dal Perito della Comunità medesima; ma non avendo havuto riscontro alcuno di detta istanza ... dato più per inteso.
Essendo in seguito lo stesso cottimante stato assicurato che detto lavoro si eseguisca a Conto della Comunità e avendo osservato che fin da quindici giorni a questa parte sono state portate Staia due Calcina e numero tre Lastre per fabbricare detti chiavoni che perciò per provvedere all'interessi della Comunità non solo, quanto al proprio, il medesimo si offerisce di nuovo di prendere a cottimo la costruzione di detti chiavoni, e ... manutenzione per quella perizia che n'è stata fatta dal Perito della Comunità, essendo ciò coerente con gli ordini veglianti; dichiarandosi che facendosi da altri esso non intende di stare al danno, che si potrà fare alla detta strada nella costruzione di detti chiavoni, come neppure di essere obbligato alla manutenzione dei medesimi, ma di protestarsi a suo luogo e tempo contro ogni arbitrarietà, giacché nel suo contratto di cottimo dal dì 9 ottobre 1816 non fu assunto dal medesimo un tale incarico.
Ed intanto si pregia di dichiararsi delle SS. Ill.me
Querce Grossa questo dì 27 novembre 1819
Francesco Bianciardi".

Vediamo che il cottimante (così evidentemente venivano chiamati gli accollanti) don Francesco sta per subire un sopruso dall'Amministrazione Comunale, in quanto spetterebbero a lui l'esecuzione dei lavori e la manutenzione dei medesimi, ma evidentemente a Castelnuovo la pensavano diversamente.
Nel 1824 è sempre don Bianciardi accollatario del tratto Ripa Tolomei - confine con la Castellina. La strada abbisogna di importanti interventi perché "Va la maggior parte ricolmata, ricalzare parte delle panchine e restaurare le spallette del ponte Staggia, e levare i monti presso la strada".
Nella stessa relazione figura anche il tratto, oggi sconosciuto, che va dal Madonnino di Macialla fino alla Staggia fiume, accollato al Sig. Alessandro Sansedoni con la nota: "In mediocre stato, da sopprimersi". Cita inoltre quello Quercia Grossa - Petroio affidato al sig. Giuseppe Rossi: "In buon grado". Per l'anno 1825 si ebbe la grossa novità rappresentata da un privato certo sig. Francesco Fineschi, il quale si offrì di prendere in accollo tutte le strade del Comune di Castelnuovo. La sua richiesta non fu respinta, ma si emanò un editto per saggiare disponibilità dei cosiddetti "frontisti", cioè i possidenti le cui terre confinavano con i tratti di strada da accollare. Un editto affisso alla porta di ogni chiesa parrocchiale invitava a presentare entro quindici giorni una dichiarazione nella quale si obbligavano, alla fine di ogni cottimo, a farsi carico dell'accollo tutte le strade loro rispettivamente adiacenti con quota diminuita del 6% sul prezzo fissato nella relazione del tecnico. Nel caso in cui, trascorso il termine stabilito, non fossero state presentate le domande, i lavori sarebbero stati offerti al Sig. Fineschi. Altri casi prevedevano l'assegnazione al sig. Fineschi e molti privati provvidero celermente a presentare le proprie domande, come fecero a Quercegrossa, dove in quattro si affrettarono ad inviare le loro offerte al ribasso per il tratto Ripa - confine di Castellina in Chianti e la strada di Petroio. Il parroco don Gaetano Pratesi si propose per l'annuo mantenimento con una diminuzione del 38% sulla somma di Lire 319 e soldi 9 “presagita” dal Perito comunale. Giuseppe Buti della Ripa si offrì con uno sconto ulteriore del 3% su qualsiasi altra offerta come pure su qualsiasi altro tronco contiguo.
Luigi Pacchiani, proprietario del Castellare e Larginanino, si propose con uno sconto del 10% e alle stesse condizioni avrebbe preso anche il tratto Fontone di Beccheria - Osteria della Ripa.
Infine Galgano Diddi, padrone di Larginano, domandò l'accollo di detta strada per nove anni al prezzo di 410 lire annue e si candidò per il tratto Chiesa di Quercegrossa - Petroio con uno sconto del 6% con effetto dal 24 novembre 1826, data di scadenza dell'accollo al Sig. Giuseppe Rossi. La sostenuta partecipazione alla gara d'accollo dimostra che certamente c'era un ritorno per chi la vinceva, sia di prestigio sia pecuniario, ma per quell'anno non sappiamo chi risultò vincitore. Molto tempo dopo, nel 1840, il sig. Galgano Diddi assunse ancora l'accollo annuale della strada di Petroio al prezzo di lire 90 annue da pagarsi in rate semestrali stabilite dal contratto. Esso prevedeva tante e diverse situazioni, con penali a carico in caso di inadempienze. Allegato al contratto la descrizione particolare della strada divisa in ben 11 settori, misurati da uno sciacquo all'altro. Dal contratto sappiamo che dopo il podere Erede fino al Madonnino aveva una lunghezza di 640 braccia pianeggianti e dal detto punto fino all'”Annesso” di Petroio, ancora pianeggiante, di 180 braccia. Dalla strada principale, detta anche "Maestra", si diramavano altre minori come quella ricordata di Petroio che collegava a Vagliagli. C'era l'altra detta dei "Selvolini" nome originato da selva, bosco, che portava in antico dal Mulino di Quercegrossa a Topina con le deviazioni delle Gallozzole, della Magione e S. Leonino alle Quattro Vie. Questa strada terminava a Topina e per Lornano praticamente non c'era strada se non un impraticabile sentiero di campo, mentre per questa località esisteva una via, appena passabile, che portava alle Badesse toccando la Magione e Gardina. A questa grossa carenza viaria mise fine nel 1929/30 il Comune di Monteriggioni, promotore Giuseppe Vienni, finanziando i lavori per la costruzione di sana pianta di tutto il tratto dal Mulino di Quercegrossa fino a Lornano. Anche questa strada fu realizzata con il concorso dei contadini che fornirono mano d'opera e sassi per la massicciata. Da rammentare per la loro utilità le strade interne di collegamento tra poderi e fattorie. Si presentavano ben tratteggiate attraversando boschi e campi, e il secolare uso e la costante manutenzione le avevano rese stabili e consistenti nel fondo: carri e trattori vi transitavano con sicurezza. I possidenti si avvalevano dell'opera di contadini e salariati i quali nella stagione morta fungevano da stradini per restaurale; spesso il loro impegno faceva parte degli obblighi verso la fattoria come avveniva a Passeggeri dove il senatore Sarrocchi impiegava mezzi in abbondanza per avere le strade in perfetto stato ed ancor oggi nel degrado generale di quel territorio si può notare la solidità della massicciata. Un'altra via interna di servizio era quella che partendo dall'Arginano conduceva a Gaggiola e Viareggio, poderi che da secoli erano sotto la stessa proprietà. Da Viareggio poi proseguiva portando a Petroio. Si incrociava dopo Viareggio con un'altra antica strada che iniziava cento metri dopo l'Olmicino in direzione Petroio. Sulla destra, la carreggiata si addentrava nei campi e attraversava boschi per giungere alla Torre di Passeggeri. Nell'anno 1905, sulle mappe essa appariva come strada importante e ben evidenziata. Fu vietata al passaggio di mezzi dal proprietario Pallini che la chiuse con una catena. La strada fu detta appunto della "Catena" ed ancor oggi il termine è sempre in uso. Questa iniziativa unilaterale del possidente ebbe come conseguenza di fargli perdere d'importanza, e degradò in breve tempo, specialmente nel tratto intermedio prima della Casanova di Passeggeri. Di alcune delle strade interne oggi non rimangono che pochi resti con i percorsi difficilmente leggibili. Ad esse si associavano una miriade di scorciatoie necessarie ad una popolazione che si spostava prevalentemente a piedi, acquistando col tempo una loro fisionomia e divenendo l'abituale percorso a tutte le ore del giorno e della notte. Il mondo della "strada" popolato un tempo da stradini, verniciatori, scalpellini, muratori, manovali, contadini, vetturali, barrocciai, carrettieri e fabbri, tutti alla ricerca di occupazione e guadagno, svanì come per incanto subito dopo l'asfaltatura e la contemporanea fine della mezzadria.



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