Per farci un' idea su questo imbarazzante argomento, ci
siamo avvalsi della consultazione di un "Bullettino Senese
di Storia Patria", le cui rilevazioni statistiche ci hanno
illustrato quanto tale fenomeno fosse diffuso, fino a tutto
l'800, nella nostra città.
Tutti e tre furono poi riconosciuti il 10 febbraio
1902, giorno del matrimonio con Cesira Fusi. ![]() L'unione con Luisa Mariani avvenne nella chiesa di S.Pellegrino alla Sapienza il 20 aprile 1936. L'atto reca la firma di Armando Brecchi, tanto da far intendere che egli aveva definitivamente adottato tale cognome.
Dagli incartamenti ci risulta che Armando svolgesse la
professione di parrucchiere e che abitasse in via Roma al numero 15.
Pensavamo di
aver già concluso
questa breve
rassegna sui figli
illegittimi e sui
riflessi che hanno
avuto sulla conoscenza delle nostre
ascendenze familiari, quando abbiamo
scoperto, ancora una
volta fra le carte
della Curia Arcivescovile di Siena
(cause civili n°5215) questo documento: ![]() ![]()
Trattasi della
domanda di legittimazione di parte
della propria prole,
fatta nel 1912 da
Annunziata Savelli,
vedova di Giulio
Papei. ![]()
Negli
atti di nascita del Comune, appariva invece che Bianca e Giuseppe
Papei erano di Annunziata Savelli e Giulio Papei. Riflettendo su quanto sopra, siamo indotti a supporre che tutto questo sia potuto accadere per la rottura dei rapporti tra lo Stato del Vaticano e quello Italiano, che avvenne dopo la presa di Roma del 1870 e che si protrasse sino al 1929, anno in cui fu stipulato il famoso Concordato. Con ogni probabilità la povera gente (che agli inizi del '900 era purtroppo assai numerosa), approfittava di tale situazione amministrativa, per poter usufruire di sovvenzioni e di altri benefici, per cui a molte donne era conveniente presentarsi come "ragazze madri" e poi regolarizzare in seguito la loro posizione. Da non trascurare neppure il fenomeno dell’abbandono dei neonati, molto diffuso sia nelle campagne che nei centri urbani, dovuto alla povertà, all’alto numero della prole, alla morte di uno dei coniugi e alle gravidanze extraconiugali. Per tal motivo, nel 1278, Agnese di Orlando Malavolti, concepì a Siena una struttura destinata ad accogliere partorienti “vergognose”, occulte e ragazze madri. Quest’Opera Pia, gestita da una comunità di Oblate, restò in vigore per più di cinque secoli e quando il Santa Maria della Scala si fece carico direttamente dell’assistenza di queste partorienti bisognose, i locali vennero adibiti a Scuola Professionale Femminile con disparati nomi: Scuole Leopoldine (da Pietro Leopoldo di Lorena), Scuole Regina Elena (dai regnanti Savoia) ed infine, ritornando alla vecchia denominazione, Istituto Tecnico Femminile “Monna Agnese”. Pur nelle situazioni economiche precarie nelle quali versarono più o meno tutte le famiglie Papei, pare che nessuna donna, sia nubile che maritata, abbia mai usufruito di questa opportunità. Di dimensioni maggiori fu il fenomeno dei gettatelli, per i quali il Santa Maria della Scala, sin dalla metà del Trecento, dovette ovviare ponendo vicino al suo ingresso principale, una “pila”, specie di acquasantiera, dove i bimbi come in una culla, potevano essere deposti in alto, al sicuro da animali randagi. In seguito venne introdotta la “ruota”, nient’altro che una piccola porta girevole in legno, dove venivano adagiati i neonati per essere introdotti all’interno del complesso ospedaliero in maniera del tutto anonima. Tanto era diffuso il fenomeno, che si osserva che nel 1714 degli 843 battezzati della Pieve di S.Giovanni, ben 49 erano trovatelli (oltre il 10%). Ai “figli dello Spedale” veniva subito imposto un cognome. In antico si favoriva chiamarli “Scala”, in onore del Santa Maria, poi vennero preferiti quelli di fantasia, talvolta strani e assai curiosi. Fra coloro che erano preposti ad inventare i cognomi, c’era pure Bruno Papei, che svolse questa mansione intorno agli anni ’50 del Novecento. I bimbi venivano allattati e cresciuti, sia maschi che femmine, nella Casa delle Balie, all’interno dell’Ospedale stesso o affidati a donne che li portavano nelle loro case. Dovevano essere costantemente seguiti per evitare alcuni inconvenienti che pare fossero piuttosto comuni: i maltrattamenti e la mancata denunzia della loro morte che avrebbe comportato la fine del sussidio alle madri affidatarie. Ma si poneva attenzione pure a una più sottile truffa che consisteva nel fingere di abbandonare i propri figli, per poi riprenderli a balia a pagamento. All’età di otto anni i maschi venivano divisi dalle femmine: potevano esser dati in adozione o mandati a scuola o avviati a un mestiere, che almeno in linea teorica, secondo un concetto pedagogico molto moderno, doveva essere quello a cui erano più inclini. A venti anni venivano licenziati, ma potevano far richiesta di rimanere a lavorare all’interno della struttura come inservienti. Le femmine, se non erano state date in adozione, venivano preparate ai lavori femminili (praticamente nessuna poteva studiare), maritate, avviate al convento o tenute come serventi. Non sappiamo comunque se qualche infante Papei sia mai stato abbandonato nella “ruota”: l’anonimato che veniva garantito alle madri, ci impedisce di fornire una qualsiasi risposta. |