Secc. IX-X (dall' 800 al 1000)
Il sistema curtense
Sotto i carolingi il sistema curtense si impone ovunque come organizzazione produttiva di base poi, sul finire del X sec., comincia ad aprirsi sul territorio e verso la città; l'economia agricola riprende timidamente vigore e con essa i mercati.
Lo schema della corte è omogeneo in tutto il mondo carolingio sia nell'organizzazione sia per i personaggi che vi vivono o lavorano, inquadrati in ben definite classi sociali.
Intorno al castello fortificato, in molti casi una torre posta sopra un’altura rinforzata da terrapieni e palizzate con funzione difensiva e di protezione dei coloni, vive il signore feudale o l'affittuario. Il maniero è circondato da terre di proprietà del signore, la "pars dominica", coltivate dai coloni tenuti a rispettare le corvèe e le angarie anche per tre giorni alla settimana. Vicino sorge il villaggio dei coloni, detti anche rustici (liberi, ma vincolati alla proprietà per la quale pagano un affitto annuo al signore), che hanno i loro campi distribuiti a destra e manca in piccoli lotti detti mansi, la "pars massaricia", alcuni con abitazione, mentre tutt’intorno cresce il bosco per il ghiandio dei maiali e l'incolto per il pascolo di pecore o capre. Non molto lontano in un corso d'acqua macina un piccolo mulino. Nel borgo c'è una piccola chiesa e si trovano anche livellari e artigiani come l'immancabile fabbro. Dal borgo la strada conduce ad altre corti o alle pievi o ai centri cittadini. Tutti indistintamente, dagli eventuali affittuari ai coloni, al fabbro e ai liberi, sono sottomessi al potere giudiziario del "signore". Leggendo queste righe ci si rende conto di quanto la descrizione suddetta corrisponda in pieno alla tipologia della corte di Quercegrossa, dove non mancano il castello ossia la corte fortificata, il borgo, la chiesa, il corso d'acqua, il manso lavorato e i boschi.
Dazi e Gabelle
La spartizione del territorio in tanti feudi avrà come negativa conseguenza il diffondersi di numerosi balzelli, dazi e pedaggi vari che dovevano essere pagati sul luogo, o nei mercati, o alle porte delle città ai signorotti e alle comunità. Altrettanto negativo fu l'imposizione delle famigerate "angarie" e "corvèe", ossia di prestazioni gratuite che i coloni dovevano al signore o al monastero sotto forma di lavoro, di trasporti, di prodotti e altro. La condizione dei disprezzati coloni e dei servi si presenta piuttosto difficile, vittime di prepotenze e violenze. Corvèe e regalie saranno ereditate dal sistema mezzadrile e giungeranno fino ai nostri tempi.
Risveglio
Si ha nell'accennato risveglio economico tra il X e l'XI secolo l'allargarsi delle superfici coltivate intorno alle corti a scapito della boscaglia e delle zone paludose, con la creazione di nuovi mansi sulle cui terre sorgono case coloniche. La forte richiesta di legname da costruzione e per altri usi non fu estranea a questo fenomeno di disboscamento. A questo periodo di espansione economica e di relativa pace sociale si possono far risalire i nostri poderi di Quetole, Belvedere, Pietralta, Gaggiola, Gallozzole e anche nei boschi di Passeggeri potrebbero essere sorte le prime case abitate (Barberino). Ora il villaggio comincia ad acquistare una propria identità e si fa più evidente un’attività anche assembleare davanti alla chiesa del paese dove si decide tutto ciò che abbia un comune interesse e non mancano i primi scontri e liti col signore sia di natura economica sia giuridica.
L'attività culturale nelle Abbazie e in alcune scuole delle città non era mai cessata, ma in questi due secoli aumentano notevolmente gli scritti, sia pubblici sia privati, sotto forma di documenti riguardanti contratti agrari (libelli), contratti di compravendita e di possesso che consentono di impostare con maggiore certezza la storia minore e incominciare a fare nomi e date con più esattezza.
La Chiesa in tutta Europa vive un tempo di crescita pastorale e spirituale cui corrispondono tentativi per una più marcata organizzazione territoriale di tipo vescovile sollecitata da Carlo Magno
“per tener sotto controllo la vita di quelle popolazioni”. L’Imperatore si prende a cuore l’organizzazione della chiesa locale e tra le tante generalizza e impone anche con la forza l’istituzione della “decima” che da allora e per un millennio rappresenterà un forte contributo al sostentamento del clero soprattutto rurale. Si cercava di eliminare attraverso un’azione di convincimento le ultime usanze pagane. L’imperatore Carlo crea e rende stabile l’istituto dei missi dominici nelle persone di un Conte e un di Vescovo: espressione del potere materiale e religioso imperiale. Essi sorvegliavano, amministravano la giustizia e si accertavano della buona moralità di vescovi e abati e tanto altro.
Proprietà feudale - Feudi
Si va formando, come detto, una proprietà feudale e un potere comitale nelle campagne. Nelle città il conte è un funzionario del re e i suoi beni sono generalmente nel contado. Egli esercita un controllo sul popolo e sull'assemblea. Col trascorrere del tempo perde autorità, mentre emerge quella del Vescovo a sovrastare lo stesso conte e i funzionari statali. Il Vescovo è da tempo, grazie alla sua sacralità e al suo potere anche economico, capo spirituale e guida politica per i cives, per i quali è stato unico punto di riferimento nelle difficili stagioni delle invasioni barbariche, e in molti casi è rimasto l'unico rappresentante politico; ora i cittadini lo identificano come massima autorità e lo stesso Imperatore lo riconosce come "misso imperiale": il Vescovo-conte.
Ma nelle stesse città, che vanno crescendo in popolazione ed economia, sul finire del periodo in esame gli interessi del Vescovo sempre più "signore" vanno a contrastare con quelli dei cittadini i quali non esitano a ribellarsi. Comunque si parla sempre più di autonomia e di delibere prese dai cives la cui forza decisionale va unendosi alla concessione di privilegi imperiali col risultato di un maggior peso politico ed economico cittadino che nel secolo seguente diventerà effettivo, pur restando ancora nella sfera del domino imperiale.
Feudo a Quercegrossa
In quegli anni nelle terre a Nord-Est di Siena va stabilendosi il potere della famiglia degli Ardengheschi discendenti di Winigi, di origini franche, documentato conte di Siena nell'868 e 887. Una signoria estesa dal Bozzone ad Ambra d'Arezzo e diramatasi nelle famiglie dei Berardenghi, della Scialenga ecc. Ma per l'attribuzione del possesso delle corti di Quercegrossa, Petroio e Larginano in quei tempi oscuri prevale l'incertezza e forse siamo di fronte a beni demaniali dei quali è amministratore il conte di Siena prima e poi il vicario imperiale. I documenti del tempo ci convincono a dare credito a questa ipotesi. Si ha di questi anni (943) la notizia di conferma del castello di Basciano ai conti di Siena,
"dai quali uscirono i Berardenghi", dice il Merlotti. Sempre nel IX sec. è fondata la pieve di Lornano, sembra sul territorio degli Ardengheschi.
Orso della Quercia (Urso de Covercia)
Nell'anno 998 il marchese Ugo di Brandeburgo divenuto marchese di Toscana (vicario dell'imperatore Ottone III) fonda l'abbazia di Poggio Marturi a Poggibonsi, dedicata a S. Michele Arcangelo, su una preesistente costruzione monastica longobarda. Per il sostentamento dei monaci e le necessità del monastero egli dona al primo abate Bononio molti beni di sua proprietà; tra essi due mansi posti tra la Val d'Elsa e il Chianti dei quali è fittuario un certo Orso della Covercia (Quercia). E' credibile che
"della Quercia", vista la localizzazione della zona geografica dei due poderi, si riferisse proprio al nostro paese e questo sarebbe il più antico richiamo del toponimo. Rientra nella stessa donazione anche il manso di Topina sulla quale nel 1135 risulta avere dei diritti il Vescovo di Siena. Ma oltre alla preziosa informazione che il marchese Ugo possedeva beni a Quercegrossa allivellati al detto Orso, sappiamo da una precedente fondazione, quella della Badia Fiorentina nel 978 da parte di Willa, madre di Ugo, che la famiglia li possedeva anche a Petroio, e questi beni furono donati alla nuova abbazia benedettina di Firenze, beni comprendenti anche la chiesa di S. Michele Arcangelo a Petroio il cui giuspatronato passò così alla detta Badia e alla quale vennero confermati ripetutamente da diplomi imperiali e bolle papali nei due secoli seguenti. Quanto detto assegnerebbe la signoria su Quercegrossa al marchese di Toscana escludendo in quegli anni del tutto gli Ardengheschi, i cui feudi si fermavano a Pievasciata.
Proprio in questi anni sta prendendo campo la proprietà allodiale, ossia una proprietà piena, senza vincoli feudali, che frantuma il territorio in tante castella in mano a signorotti sempre in conflitto tra loro. Così anche quei mansi di Quercegrossa, donati al monastero di Poggio Marturi, dovrebbero, dopo la morte del marchese Ugo nel 1001, essere ritornati in mano al cugino e successore Bonifacio, il quale si riprese i beni allodiali (da distinguere da quelli regi) donati al monastero. Infatti non c'è più traccia di proprietà di quel monastero a Quercegrossa ma, come vedremo in tempi posteriori, solo di privati cittadini ed enti religiosi.
Da ricordare che Bonifacio sposò Beatrice di Lorena nel 1037 e da loro nacque la rinomata contessa Matilde di Toscana i cui beni si estendevano dai comitati di Brescia fino a Siena, Arezzo e Corneto, dal Mar Tirreno a quello Adriatico. Morta nel 1115 senza figli, i beni personali della gran contessa passarono alla Chiesa e chissà che non ci siano stati anche quelli di Quercegrossa.
Secc. XI-XII (1001-1200)
In questo periodo nel governo di molte città tra le quali Siena è all'apogeo il potere del Vescovo-conte, ma parallelamente va crescendo e si consolida quello dei cives con le grandi casate. Nascono i primi uffici e magistrature precomunali che vedranno prima una collaborazione col Vescovo poi una sua esautorazione definitiva da ogni potere nel civile. Il tutto si svolgerà in una realtà complessa dove all'interno stesso della Chiesa si contenderanno poteri canonici, abati, pievani e monasteri, nello stesso tempo contrapposti o alleati ai potenti laici a loro volta occupati a ricercare un proprio spazio politico a scapito del Comune o del Vescovo. Quest’ultimo dunque, perdendo di peso politico, si trasformerà da Vescovo-conte a tutore, garante e protettore della città e continuerà quella mediazione tra la stessa e il potere signorile nel contado col risultato che nobili e conti, nonostante il riconoscimento imperiale del 1037 del loro pieno diritto, saranno costretti a sottomettersi, a inurbarsi e donare i loro territori alla città, perdendo l'autonomia, ma conservando la proprietà fondiaria. L'inurbamento farà sì che queste nobili famiglie parteciperanno al governo della città mantenendo nel contempo rocche e castelli e affiancheranno in questo compito la componente mercantile, la quale dal canto suo si rivolgerà alla campagna investendo e acquistando castella, case e appezzamenti di terra. Ciò si tradurrà in un forte sviluppo economico del contado con l’aumento dei villaggi e della popolazione, in continuità a quel ricordato risveglio già avviato nel secolo precedente.
E' del 1107 il primo documento che ci riguarda in merito al possesso di terre da parte di cittadini senesi. Quercegrossa dovrebbe essere una delle prime comunità del contado, al di fuori delle Masse (territorio della pieve cittadina di S. Giovanni), a cadere sotto il controllo politico di Siena, e per evidenziare questo importante passo storico dell’espansione territoriale della città, cito alcuni esempi: tra 1156 e il 1163 i Soarzi donano al Comune di Siena e per esso al vescovo Ranieri tutte le loro terre comprese tra Poggibonsi e Porta Camollia con i castelli di Staggia, Strove e altri. Pochi anni dopo, nel 1167, si assiste alla cacciata del vescovo Ranieri e all’inizio del governo cittadino e infatti, nel 1168, cambia il soggetto rappresentativo e si ha la donazione dell'intera contea ardenghesca ai consoli e al popolo senese.
Nel 1169 il Comune di Siena acquista Asciano e parte dei territori della Scialenga.
Si hanno anche le prime tensioni territoriali tra città e le rivalità portano alla prime guerre, come pure si diffonde la discordia tra gli schieramenti guelfi e ghibellini nel perdurare del tentativo imperiale di dominare l'Italia.
Si assiste al primo scontro militare tra senesi e fiorentini nel 1082 vicino a Lecceto, con i senesi prevalere in quella che fu più una scaramuccia che una battaglia.
Il maggior indizio di libertà nelle città è rappresentato dalla carica di console, sinonimo di indipendenza del Comune, con il quale l'Imperatore deve fare i conti. Il primo console a Siena è ricordato nel 1125.
In Siena il potere è tenuto saldamente dai nobili, i quali si costruiscono i propri castellari (Malavolti, Ugurgieri), e si scontrano (1147) con le esigenze e il desiderio di compartecipazione dei popolani dando così inizio a quelle insurrezioni e rivolte sanguinose nella città sempre più divisa in agguerrite fazioni.
Si vanno intanto assemblando le tre parti abitate della città e nel 1141 viene eretta la prima cinta muraria che le riunisce e le ingloba totalmente.
Pochi anni dopo, nel 1154 (o 1158), i fiorentini muovono ancora contro Siena alla conquista del castello di Strove e vicino ad Abbadia a Isola i due eserciti si fronteggiano. I fiorentini, ben armati, si dirigono poi contro Siena arrivando sotto le mura e facendo numerosi prigionieri. I senesi distruggeranno poi Staggia nella secolare lotta intorno a Poggibonsi, Vanno così prendendo consistenza le spedizioni delle truppe fiorentine nel contado senese, devastando e bruciando, e dando inizio alla secolare tribolazione di Quercegrossa.
Devastazione del contado
Un’azione ricorrente nelle guerre dell'epoca comunale sarà la devastazione delle campagne del territorio nemico e inevitabilmente le zone di confine erano le più soggette a scorribande di eserciti e bande armate. Quercegrossa, avamposto di Siena, si ritrova terra di frontiera e per quasi quattro secoli subirà costantemente a ogni accenno di guerra saccheggi, guasti e ruberie alle quali si accompagnarono senz'altro violenze e uccisioni degli abitanti e dei coloni; questo stato di pericolo maturerà un clima di paura che rese per alcuni periodi il nostro territorio simile a un deserto e frequenti furono le iniziative senesi per ripopolarlo. La strategia comune a tutte le milizie e soldataglie consisteva nell'incendiare case, poderi, capanne e raccolti, abbattere piante e viti, depredare il più possibile materiali e messi e portare via uomini e bestiame. Si trattava quindi di un atto di ostilità motivato tra il vantaggio del bottino (come per le compagnie di ventura e i banditi) e l’intento di danneggiare e impoverire il nemico.
Durante il tempo di guerra si approfittava pure localmente organizzando scorrerie a fini di bottino da parte delle comunità rurali che davano così il loro contributo alla guerra. Tra le scorribande di forze rurali se ne ricorda una del 1220 contro Cerna, vicino a Monteriggioni, ma in territorio fiorentino, depredata e incendiata dagli uomini di Quercegrossa e Monteriggioni coalizzati nella spedizione.
Corte e castello di Quercegrossa
Nella corte di Quercegrossa esiste nel 1186 già un castello fortificato, non la formidabile opera difensiva che il Comune di Siena costruirà trent’anni dopo, ma una corte ben difesa tanto da indicarla come castello e già sotto il dominio senese come si evidenzia da un documento proveniente dal monastero di Montecellese che parla di
"due consoli di quel castello", ossia di Quercegrossa:
"Data intus e recitata in ecclesia sancti Iohannis Evangeliste de Quercia Grossa, anno Domini M° C° LXXXVI, XIII Kalendas martii, indictione V, coram/consolibus eiusdem castri videlicet Mannuccio et Seraphyno ... ". Astuldo, giudice e notaro. I due consoli, Mannuccio e Serafino, rivestono il ruolo di arbitri in una causa fra monasteri per questioni di patronato, e il lodo (sentenza) avviene nella chiesa di S. Giovanni Evangelista di Quercia Grossa. I Consoli sono incaricati dal Comune di Siena per quanto riguarda il militare (carica documentata in quegli anni) e non il civile, e da questa carta ricaviamo facilmente che il territorio a Nord di Siena, da Camollia fino alla Staggia, era già saldamente in mano senese e predisposto per tenere a bada l’agguerrito nemico fiorentino. Si può anche ricordare che la corte di Quercegrossa, ossia il castello citato, era situata là sul poggio di Quercegrossa, dove si avrà la continuità con la fortezza senese del 1220/32, e non lungo la strada dove certamente esisteva già un borgo, una chiesa e forse anche l'osteria come punto di sosta, cambio e traino su per la dura salita. E' anche probabile, negli anni del più stretto feudalesimo, vi si sia riscossa qualche forma di gabella, magari il pontiatico per il passaggio sulla Staggia. Più difficile rimane collocare la chiesa di S. Giovanni, anche se la logica ci impone di posizionarla nel borgo e non nella corte fortificata.
Le chiese di Quercegrossa nei due secoli
In questi due secoli dove nel settore civile si vanno chiaramente delineando e affermando strutture istituzionali, economiche e sociali che saranno alla base della società futura come ad esempio le banche cittadine, le corporazioni delle arti, ecc., sul piano religioso si va completando l'espansione del potere vescovile e dei canonici del Capitolo nel territorio di competenza continuando la fondazione di canoniche, ossia chiese rurali dove convivevano più religiosi per l'evangelizzazione e l'assistenza spirituale alla popolazione. In un secondo tempo il territorio viene organizzato in enti più piccoli, ossia delle parrocchie dipendenti dalle antiche pievi per i battesimi, con il beneficio, cioè la rendita, assegnato a un canonico o a un rettore di nomina vescovile quando non sia patronato di monasteri e abbazie.
In quelle che dovevano essere tre corti a Quercegrossa e dintorni, risulta esservi in ognuna di esse un luogo di culto; le memorie scritte ci parlano infatti di tre chiese, che secondo l’evoluzione generale si sarebbero dovute trasformare in parrocchie adibite alla cura dei fedeli:
La Chiesa di S. Michele Arcangelo a Petroio;
La Chiesa di S. Giovanni Evangelista a Quercegrossa;
La Chiesa dei SS. Fabiano e Sebastiano a Larginano.
Chiesa di S. Michele Arcangelo a Petroio
Soggetta al patronato della Badia fiorentina come abbiamo visto, a seguito di una donazione comprendente l'intera corte di Petroio, la chiesa di S. Michele rimase per circa due secoli in mano ai monaci della Badia, i quali si videro riconfermare il possesso e il beneficio nel 1074 dall'imperatore Enrico IV, da una bolla di papa Pasquale II il 24 settembre 1108 e da papa Alessandro III il 30 aprile 1176 con bolla spedita da Anagni.
Ma come conseguenza della fissazione dei confini nel 1203 tra Siena e Firenze, l'attribuzione di Petroio allo stato senese deve aver convinto i monaci fiorentini a lasciare prudentemente il nostro territorio e disfarsi di proprietà e di un lontano patronato ormai non più sostenibili a causa del continuo belligerare tra le città.
Per una stima cronologica dell’avvenimento dovrebbe farci luce un documento di Montecellese del febbraio 1205 che riporta come testimone un Pietro, rettore della chiesa di S. Michele Arcangelo di Petroio:
"Presbiter Petrus sancti Angeli de Petroio". Questo prete in altri documenti appare rettore di chiese della diocesi senese e quindi non ci sono dubbi che non appartenga ai religiosi benedettini dell'Abbadia fiorentina i quali certamente amministravano in proprio le cose spirituali di quel popolo e forse in contesa con la canonica di Quercegrossa dipendente dal Vescovo di Siena. Col rettore Pietro, che dovrebbe essere il primo, la chiesa di Petroio si confermò come ente parrocchiale.
Chiesa di S. Giovanni a Quercegrossa
La questione sorta dalla lettura dei documenti sulla dedicazione della chiesa di Quercegrossa a S. Giovanni Evangelista vede il Merlotti propendere decisamente per un errore dello scrivano, appellandosi alle memorie più antiche risalenti al Duecento che attribuiscono la chiesa di Quercegrossa a S. Maria. La controversia è data dal citato documento di Montecellese del 1187, sul quale si ricordano i due consoli e il lodo stabilito nella chiesa di S. Giovanni a Quercegrossa.
Il Repetti riporta il documento senza batter ciglio, ma il Merlotti contesta la notizia e precisa trattarsi di una chiesa sempre della corte di Quercegrossa, forse quella della Capannetta. Ora la teoria del Merlotti potrebbe essere valida, ma non è documentata, come potrebbe essere autentico o errato il riferimento a S. Giovanni nel testo. Tutto ciò però viene superato da un altro documento, trascurato evidentemente da Merlotti, che ci illumina e ci fa capire dove è la verità. Si rammenta nella Storia e genealogia della famiglia Ugurgieri, del Grottanelli, che un certo Ildebrandino di Montaperto di quella famiglia era stato incaricato dal Comune di Siena della costruzione di una fortezza a Quercegrossa verso il 1214 e che questi nell'avanzamento dei lavori fosse stato costretto a demolire una chiesa. Quest'azione sacrilega gli costò la scomunica e una forte multa, saldata al Comune dopo tanti anni, nel 1236. L'evidenza degli atti toglie ogni dubbio al quesito e si può quindi confermare la dedicazione a S. Giovanni Evangelista della prima chiesa della corte di Quercegrossa, mentre la nuova chiesa edificata all'interno della fortezza fu dedicata alla Madonna con identica procedura seguita per il castello di Monteriggioni, dove all'interno vi trovò spazio la chiesa di S. Maria Assunta (1219). Certamente i senesi, la cui devozione alla Madonna (in quei tempi) è risaputa, la preferirono a quella di S. Giovanni che ricordava il patrono fiorentino, anche se quello era il Battista. Rimane il dubbio se l'antico tempio titolato a S. Giovanni si trovasse nel borgo di Quercegrossa, come presumibile, o nella corte fortificata sul Poggio.
Antichissima doveva essere la chiesa di Quercegrossa e forse risalire al X secolo e come quella di Lornano, potrebbe essere stata fondata dai Canonici senesi che tra l’altro possedevano terre in Quercegrossa vendute al Comune per la costruzione del castello nel 1214. Il primo riferimento alla chiesa di Quercegrossa si ha nel 1153 in un documento che riguarda una disputa tra Canonici della Cattedrale e i monaci Benedettini dell'Abbazia della Berardenga a motivo di un mulino sull'Arbia e tra i testimoni della controversia si trova un ser Giovanni priore di Quercegrossa. Questa carica di priore fa intendere che egli sia a capo di una piccola comunità di 2/3 sacerdoti che agiscono sul territorio circostante, ma, vista la contemporanea presenza delle chiese di Petroio e Larginano, rimane difficile stabilire le competenze di tipo parrocchiale delle dette chiese. La realtà dovrebbe essere questa: la canonica di Quercegrossa col suo priore ha il mandato del Vescovo di occuparsi di tutto il circondario, mentre le chiese-oratorio di Petroio (Badia Fiorentina) e Larginano (Monache di Montecellesi) sono riservate soltanto al servizio delle rispettive comunità religiose e solo più tardi abbiano acquisito una giurisdizione sul territorio assumendo funzioni parrocchiali come dimostra la successiva presenza di rettori.
La già rammentata demolizione chiude la storia della prima chiesa di Quercegrossa.
Chiesa dei SS. Fabiano e Sebastiano a Larginano
La diffusa pratica di lasciare a monasteri e abbazie i propri beni per la salvezza dell'anima fu alla base della fondazione della chiesa nella corte di Larginano.
Risale infatti al 1107 la donazione fatta dal chierico Azzo del fu Teuzzo di beni allodiali e livellari posti nelle corti di Basciano e Larginano:
"… me ipsum et omnes res meas in integrum mobiles et inmobiles seseque moventes, allodum et libellaris sicuti ego eas abeo et teneo per me et per alium …". Nel territorio a nord di Siena presso Monte Cellese, oggi Montecelso sopra Fontebecci, vi era stato fondato quarant'anni prima tra il 1063 e il 1064, probabilmente dal Vescovo di Siena Giovanni, un monastero titolato a S. Ambrogio. Il monastero, vita di una comunità monastica benedettina femminile, venne dotato certamente di beni e fatto oggetto successivamente di numerose donazioni, molte delle quali si riferirono a terre poste vicino a Quercegrossa come quella del chierico Azzo, che cedette i suoi beni alla badessa Berta. Tre anni dopo, nel febbraio 1110, anche Domenico del fu Berrando prete (
qui fuit presbiter), per rimedio dell'anima sua e di quella dei genitori, dette la metà di tutti i suoi averi posti a Quercegrossa, Campo Maggio (
Canpo Magio et a Quercia Grosa) e nella pieve di Lornano al detto monastero. Inoltre promise di dare anche il resto.
Ancora nel marzo 1120 il monastero ricevette beni posti a Basciano, alla Ripa, a Gardina e a Cedda. A seguito di queste donazioni le monache estesero le loro proprietà intorno a Larginano e Quercegrossa, ampliate successivamente nel 1146, quando la badessa Ermellina, insieme al suo castaldo (fattore) Rodolfo, converso del monastero, acquistò da Rufo del fu Rudolfino, un pezzo di terra posto al Poggio al prezzo di 22 soldi. Il Poggio, anche se non ben specificato, è senza dubbio il luogo della corte di Quercegrossa. E' una compravendita che mira a riunire una proprietà perchè dal documento vediamo il terreno acquistato confinare da tre parti con la detta chiesa e di sotto la strada.
Si consolida così la presenza del monastero di Montecellese a Larginano e certamente il primo atto delle monache fu di aprirvi un luogo di culto titolato ai SS. Fabiano e Sebastiano del quale ottennero il patronato e della cui storicità ci è data conferma da papa Eugenio II nell'anno 1148 con bolla in Siena. Il possesso al monastero è reiterato nel 1175 da papa Alessandro II, il quale assegnò alle monache anche alcuni diritti sulla chiesa di S. Stefano a Basciano e di molte altre. Fanno seguito le conferme degli imperatori Federico I nel 1185 e Ottone IV con suo Placito spedito da Poggibonsi il 24 ottobre 1210.
La chiesa dei SS. Fabiano e Sebastiano divenne di fatto un centro di culto popolare. Estendeva il suo raggio di influenza sui luoghi vicini fino ad avere lo status di parrocchia e si pose certamente in antagonismo con quelle prossime di Petroio e Quercegrossa per la supremazia sul territorio. La demolizione della chiesa di S. Maria di Quercegrossa a causa della guerra e ridotta poi a semplice oratorio di competenza del rettore di Lornano fece sì che la chiesa di Larginano si estendesse fino al paese lasciando in eredità un secolare disagio alle popolazioni locali rimaste escluse dalla nuova parrocchia di Quercegrossa sorta nel 1653. Infatti molti poderi resteranno sotto la giurisdizione religiosa di Basciano e si dovrà attendere il 1884 per rivederli unificati giustamente a Quercegrossa.
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