Quercegrossa (Ricordi e memorie)

CAPITOLO VII - STORIA CIVICA

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Il Quattrocento
Provvedimenti per le Podesterie
Il 20 ottobre 1410 la Repubblica di Siena attuava un nuovo provvedimento per l’amministrazione giuridica del territorio extraurbano, diviso a tale scopo in dieci podesterie sotto la direzione e comando di un podestà eletto con estrazione a sorte dal bossolo dei Consigli Generali o del Popolo di Siena. Egli avrebbe avuto giurisdizione sia nel civile come nel penale, con qualche limitazione, e avrebbe svolto anche funzioni di guardiano del territorio senza tuttavia interferire nel compito dell’ufficio del Capitano. Nel 1421 si chiariva che i podestà hanno giurisdizione nelle cause civili come i vicari. Nelle sue mansioni era assistito da due buoni notari, tre fanti e due cavalli con l’eccezione di quello di Castelnuovo con un solo notaro, tre fanti e un cavallo.
Quercegrossa rientrò nella podesteria di Castelnuovo e vi resterà per sempre o meglio una parte di essa, mentre la zona di ponente al di là della strada principale nell’Ottocento sarà assegnata al Comune di Monteriggioni.
Ogni comunità doveva pagare una tassa per il mantenimento della podesteria e a Castelnuovo spettava il maggior contributo di 80 lire, mentre Quercegrossa corrispondeva 40 lire. Confinava a ovest con la podesteria di Casole, mentre Monteriggioni non figura nell’elenco delle podesterie e sembra godere di uno statuto particolare.
Fra i fatti che meritano attenzione per Quercegrossa nel prosieguo del Quattrocento risaltano ancora, quasi con monotonia, carestie e guerre. Nel 1402 passano le numerose milizie amiche di Alberigo da Barbiano dirette a Firenze via Castellina e Panzano. Nel 1410 il Comune istituisce una presta (tassa) sul contado per affrontare le spese di guerra contro il conte Bertoldo. Nel 1416 il feroce Braccio di Montone con i suoi mercenari passa sotto le mura di Siena, e nel 1417 si ha una forte carestia con ripresa della peste che colpisce anche nel contado, soprattutto il bestiame. Un paio d’anni dopo, nel 1420, papa Martino V giunge a Siena, ma deve alloggiare a Cuna per la peste in città, e il Comune ratifica la sospensione della cattura dei debitori fino a tutto il 1420 sempre a causa della peste. Nel 1422 un altro provvedimento istituisce 9 commissari e provveditori per la grave crisi demografica del contado. Nel 1431 Siena si allea col Visconti, e il territorio senese è nuovamente devastato dai fiorentini.
A seguito di questi fatti si ha un nuovo documento sulla custodia della fortezza di Quercegrossa, la quale, proprio per la scarsità di notizie che la riguardano in questi decenni del Quattrocento, riveste certamente un ruolo secondario nel panorama politico-militare della Repubblica senese, avendo perso importanza come antemurale contro Firenze essendo altri i punti caldi dello stato, ed essendo anche cambiato il modo di far la guerra. L’11 ottobre 1431, senz’altro per l’emergenza del momento, furono nominati tre cittadini come castellani: Masso di Giovanni di Credi, ser Giovanni di Niccolò di Guido, forse un notaio o giudice, e Leonardo di Meo di Niccolò. Ad essi, in carica per tre mesi, vengono inviati quattro famuli, giovani con mansione di guardie e altro ruolo non ben determinato, che riceveranno in tutto 39 lire per i soliti tre mesi. I castellani gestivano denaro e guadagnavano, perciò dovevano avere dei fideiussori che garantissero sulla loro eventuale insolvenza.
Escludendo quei tre mesi dei castellani e altri brevi periodi in cui vennero nominati, di certo si sa che la vigilanza e custodia dei castelli minori era assegnata alla nobile famiglia senese che vi aveva dei beni, e come avvenne a Basciano è probabile che anche a Quercegrossa si seguisse lo stesso criterio operativo di impiegare gli abitanti nella difesa delle mura sotto la direzione dei Benvoglienti. Vediamo che il 1 dicembre 1433 Guido di Antonio di Biagio Piccolomini inviava una petizione al Governo di Siena nella quale informava che, avendo egli il possesso della fortezza di Basciano, se si intendeva tenervi dei contadini per la guardia non poteva fare a meno di avere dei costi per il loro necessario nutrimento e per il salario, con un costo di 15 fiorini o più al mese. Al tempo della crisi del 1478, egli reitera la richiesta aggiungendo che la spesa aumentava di parecchio nel tempo di guerra, e così nel 1481 lamenta una spesa insostenibile e il rischio di perdere il castello.
Frattanto, nel 1432, ricorda il Tommasi, che i fiorentini entrati in val di Strove vennero guastando e predando fino a Quercegrossa, “donde scorsero il Bozzone fino a Monteliscai”.
Da questo anno e fino alla metà del secolo gli avvenimenti politici, con i giochi delle alleanze tra grandi, riescono a dare un periodo di pace al confine nord, e si rammenta soltanto nel 1447 la presenza di Alfonso d’Aragona che si accampa al Bozzone con le sue truppe in cerca di alleati contro Firenze. Poi, il 9 febbraio 1451, l’imperatore Federico III insieme a 3000 cavalieri giunge in Siena dove pochi giorni dopo incontra la futura sposa Eleonora. Ma già nel 1452 i soldati del re di Napoli, in guerra contro Firenze, assediano per 44 giorni Castellina, poi se ne vanno. Certamente la presenza militare si è fatta sentire anche a Quercegrossa, e il Comune ha ritenuto prudente inviare alcune armi di rinforzo, potenziando la guarnigione con l’invio, il 29 agosto, di due balestre, cento dardi per le stesse, un mulinello e polvere da sparo come da desiderio del Camerario del Comune.
Nonostante i buoni propositi senesi di estraniarsi da ogni conflitto, essi devono fare i conti con le mire espansionistiche di Firenze. Infatti, il 1453 segna la ripresa dell’attacco di quest’ultima città contro Siena che si vede ancora una volta offesa e colpita nelle sue campagne. Allora Siena si allea con Alfonso d’Aragona il 7 marzo del 1453, e per un anno crebbero le ostilità con i fiorentini che giunsero fino a porta Camollia, subendo però una cocente sconfitta. Scaramucce, scontri e devastazioni si protrassero fino alla sospirata pace di Lodi dell’11 aprile 1454, e si rammenta l’impiccagione di Giovanni di Perino da Rencine, guida de’ fiorentini. A questa, si aggiungevano di norma impiccagioni di nemici catturati isolatamente, mentre offendevano in qualche modo beni e persone. Il 15 gennaio 1453 i fiorentini attaccarono Uopini dove depredarono e presero prigionieri. Il giorno dopo ci fu la messa al bando di tutti fiorentini dal territorio di Siena pena la cattura, ma da questo provvedimento rimasero esclusi i mezzaioli e i dottori.
In una escursione in territorio nemico, i senesi giunsero a Panzano, Greve e Mercatale facendo danni, e riportando un grosso bottino fatto di 50 prigionieri da taglia (coloro che potevano pagare un buon riscatto), più 120 bovi, 12 muli, 10 cavalli, 20 asini carichi di roba e 1200 bestie minute (maiali e pecore), che probabilmente condussero dalle più sicure strade di Quercegrossa e Vagliagli - Pievasciata; bottino stimato in 4000 fiorini. Da questi dati si comprende quanto rimanesse danneggiato un contado a seguito di una razzia: c’erano da riacquistare le bestie da lavoro, ricostruire, rifare attrezzi, ripiantare ecc.
Fra i fatti d’arme dimenticati di questo conflitto ve n’è uno che per noi riveste particolare importanza e possiamo ricostruirlo dal contenuto di alcuni documenti inconfutabili. Essi ci dicono che il castello di Quercegrossa venne preso e distrutto in quella guerra dai fiorentini, probabilmente con l’ausilio di qualche bombarda, arma da fuoco che si stava imponendo nell’uso di ogni esercito e con la quale era abbastanza facile danneggiare e sfondare porte e muraglie di semplice tecnica fabbricativa come dovevano essere quelle di Quercegrossa.
Già nel 1453, in piena guerra, Aldobrandino e Antonio di Berto Aldobrandini denunciano alla Lira il possesso alla Ripa di S. Stefano a Basciano di case tutte guaste, cioè danneggiate dal nemico, forse nella medesima occasione che hanno distrutto Quercegrossa.
Pochi anni dopo, nel 1462, Bartolomeo e Giovanni Benvoglienti fanno presente all’Arcivescovo di Siena, cardinale Francesco Piccolomini, che i beni di Quercegrossa nella passata guerra hanno subito gravi danni, e di conseguenza non possono pagare il notevole affitto stabilito. L’Arcivescovo di propria autorità riduce detto affitto da 30 a sole 8 lire. Ma il dato palese di questa distruzione si ha nella Lira del 1466, con Lonardo di Bartolomeo di Niccolò Benvoglienti che denuncia tra i suoi beni il possesso del poggio di Quercegrossa con la fortezza “arsa e disfatta”.
Non ci sono dubbi, e ancora una volta ci possiamo immaginare un territorio abbandonato dai coloni con le terre incolte per alcuni anni, piante, olivi e viti abbattute, capanne incendiate e case rovinate da ricostruire, cosi come dovevano apparire quelle della fortezza e il ricordato palazzo in Quercegrossa.
Inoltre non vi sono in seguito notizie sul castello di Quercegrossa, e tantomeno al tempo della guerra di Siena del 1554/55, quando la località è totalmente ignorata dagli storici, essendo quindi senza nessuna importanza strategica e dove nessun fatto d’arme vi è ricordato; anche questa assenza di informazioni conferma che il castello di Quercegrossa era ormai da quasi un secolo ridotto a una rovina, dove vi era stata ricostruita una modesta torre fortificata per uso agricolo, e all’occorrenza d’osservazione, similmente come la vediamo oggi nella sua parte più antica. Il sito divenne una cava e le sue pietre vennero usate per la ricostruzione del detto edificio, probabilmente anche per rialzare o restaurare il palazzo e tutte le case danneggiate di Quercegrossa e dintorni; ricordo che il Pecci nel Settecento trovò l’area del castello completamente ripulita, con la sola casa colonica e muraglie interrate, e rammenta di scoperte fatte nei sotterranei di scheletri umani interi o frantumati, con stracci di vesti militari e altri contrassegni “che ben si comprende”, dice il Pecci, non appartenere ad epoche molto antiche, ma del tempo in cui i senesi tenevano la fortezza. Probabilmente sono i resti degli ultimi difensori di quel 1453.
Avendo il Pecci, come detto, scritto erroneamente sulla fine del castello di Quercegrossa, riporto testualmente questo grande abbaglio da lui preso: “Questo fortilizio dunque, dopo che fu resarcito, per antemurale de’ senesi di quella parte fino all’ultima guerra del 1554-1555, ma allora, distrutto dalle milizie imperiali comandate dal marchese di Marignano all’assedio di Siena, come in utile non è stato più resarcito”. Il pievano Merlotti nella sua storia della parrocchia di Quercegrossa riporta con lievi modifiche e modeste aggiunte il testo inequivocabilmente ripreso dal Pecci: “Questo Castello dopo essere stato risarcito dai danni in antico sofferti, fu sempre considerato dalla Repubblica con somma gelosia e ben presidiato; ma negli anni 1554 fu espugnato e finito di distruggere dalle truppe austro-spagnole e da Cosimo dei Medici Duca di Firenze nel tempo dell'assedio di Siena. Di poi come inutile e niun profitto sotto il governo del Principato, senza mai più che sia stato risarcito, è rimasto nel sì misero stato in cui al presente si vede; cioè non poche mura troncate al pari del terreno, ed altre in grossi brocchi precipitate negli adiacenti baratri e burroni”.
Con la fine del castello finisce anche la storia importante di Quercegrossa. Ciò però non salverà il paese dalle violenze della guerra e i soldati dei vari contendenti continueranno a scorrere e predare sulle terre di confine fino alla caduta di Siena nel 1555.
Già nel 1478 riprende feroce la guerra a seguito della congiura dei Pazzi in Firenze del 24 aprile, con l’esercito napoletano-aragonese alleato di Siena che entra in territorio senese e si dirige contro le fortezze nemiche. Ma prima, il 27 giugno, una scorreria fiorentina verso Siena causa gravi guasti alla campagna sul confine, con distruzione di case e mulini. Nel luglio l’esercito aragonese risale l’Arbia e il Bozzone avanzando su Quercegrossa e attraversata la Staggia muove verso Poggibonsi assediando il 19 luglio il fortilizio di Rencine, caduto quattro giorni dopo. I nomi familiari di questo passaggio ci dicono che l’esercito è passato da Quercegrossa e, anche se è alleato, ha razziato come riportano i cronisti: “Predando e ardendo il paese in ogni sorta di crudeltà ... la guerra parea molto crudele e rabbiosa”. Da Rencine gli aragonesi si spostano verso Castellina e il 26 luglio pongono l’assedio al paese fortificato da Giuliano da Sangallo. Il giorno successivo i fiorentini compiono un’escursione verso Siena depredando e distruggendo “mulini e casali”, e Quercegrossa si trovò al centro di questa scorreria. Ma ciò non salvò Castellina che, senza ricevere rinforzi, si arrese dopo 24 giorni di bombardamento guidato da Francesco di Giorgio e venne consegnata ai senesi. Stessa sorte subiranno Radda e il castello di Brolio, assediato dal 26 agosto al 13 settembre e quindi distrutto.
I fiorentini sembrano inerti davanti a tanta avanzata e si muovono da Poggibonsi soltanto nel settembre. Vanno ad accerchiare Castelnuovo Berardenga, dove ci sono vittime della peste che da qualche tempo infuria in Toscana.
Nuovamente un anno disperato con le martoriate popolazioni alla mercè dei soldati e della peste, e tutto senza nessun utile perchè le vittorie e le conquiste saranno vanificate dalla pace che obbligherà i senesi a restituire terre e castelli dei quali si erano impossessati.
Nei decenni seguenti non cessano certamente le guerre, e la complicata politica internazionale del tempo fa il suo corso, ma per almeno quaranta anni nessun soldato nemico dovrebbe aver visto Quercegrossa. Questi pacifici anni permettono una rinascita economica apportatrice di una continuità di raccolti, di rendite sicure e conseguenti investimenti con la nascita di alcuni poderi e del mulino sul passaggio della Staggia. La mezzadria si è già imposta da tempo come unico sistema di conduzione agricola e le terre di Quercegrossa sono in mano alle Monache della Madonna (Larginano e Gaggiola) e a poche famiglie senesi tra i quali i ricordati Benvoglienti.

Tasse e gravezze
A fine Quattrocento, esattamente nel 1485, Quercegrossa e i Comunelli associati pagavano come tutte le comunità le loro tasse registrate alla Dogana “Tasse e gravezze - Terzo di Camollia”. E’ inteso che ogni comunità pagava in base alla sua importanza produttiva:
Ghardina per tasse e gravezze lire 7, 12 soldi e 4 denari;
Petrojo di Quercegrossa per tasse e gravezze lire 6.6.4;
Quetole e Mucenni lire 9;
Quercegrossa lire 19.17.4 e lire 14 per la gabella di pane, vino e carne;
Basciano lire 40 per tasse e gravezze e lire 9.4.6 per pane ecc.
Per fare un confronto aggiungo:
Vagliagli lire 10 per tasse e lire 4 per pane ecc.;
Castelnuovo lire 119.18 e lire 50 per pane ecc.
“Le quali tasse e graveze furno fatte per li spectabili cittadini eletti dal consiglio del popolo ... così noi frati sopradetti abbiamo scritto”.
I frati sono gli incaricati di verificare la produzione agricola dei Comunelli per i fini fiscali rammentati: accertavano quanto dovevano, basandosi su precedenti stime o muovendosi di persona per le campagne avendo il sindico locale come riferimento.
Per completare il quadro delle tasse comunitarie imposte al comunello di Quercegrossa nel Quattrocento, e per un utile raffronto, aggiungo i dati relativi a qualche decennio precedente, dati riferiti a Quercegrossa e Petroio che si ritrovano nel 1436 ad avere un debito verso il Comune rispettivamente di ben 615 e 142 lire. Un censo dovuto forse per lavori al castello o spese militari, oppure forniture alimentari. Non sappiamo se riuscirono a soddisfarlo ma è probabile che il Comune si sia accollato certe spese. Le cifre delle tasse dimostrano quanto fossero fluttuanti gli importi da pagare.
Dall’ Elenco tasse e censi - Terzo di Camollia (Valori espressi in Lire, Soldi e Denari)
LuogoAnno 1436Anno 1444Anno 1455/6
Quercegrossa10.12.313.0.012.0.0
Quercegrossa (debito)615.2.40.0.00.0.0
Quercegrossa (pane e vino)28.12.351.13.434.13.4
Quercegrossa (parte)3.10.00.0.03.10.0
Petroio4.16.86.0.06.13.4
Petroio (debito)142.13.40.0.00.0.0
Petroio (parte)2.1.00.0.02.10.0

Una delibera del 1413 stabiliva che le tasse del contado venissero riscosse esclusivamente dai castellani, dai vicari e dai sindaci dei Comunelli, ed escludeva categoricamente i messi del Comune e le guardie del bargello.


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