Quercegrossa (Ricordi e memorie)

CAPITOLO VIII - STORIA RELIGIOSA

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Indice Storia religiosa


Gaetano Pratesi (1822-1867)
Chiusa l'epoca Bianciardi si svolse il concorso indetto per la parrocchia di libera collazione di Quercegrossa e vide la nomina del candidato Gaetano Pratesi che, come detto, era nipote dell'ex parroco. Don Regoli ebbe a dire nel 1875: “Tolto, in bella età, alla Cattedra di umane lettere nel Seminario-Collegio nostro allora in S. Giorgio ed a varie accademie della Città, don Gaetano Pratesi, fu ad intuito dello zio Bianciardi, fatto a lui succedere in questa parrocchia”.
Nella prova, dove aveva vinto facilmente la concorrenza di altri quattro candidati, dei quali uno aveva rinunziato non presentandosi all'esame, era stato approvato a pieni voti a scrutinio segreto, e anche per altri meriti fu giudicato dagli Esaminatori Prosinodali e dall'Arcivescovo "più abile e idoneo degli altri ad ottenere e ritenere la vacante parrocchia di Quercegrossa". Oltre a lui concorsero il pievano di Vagliagli don Luigi Papi (8 bene e 1 male), don Francesco Fazzuoli (6 bene 3 male) pievano a Pari e don Francesco Crespi (6 bene e 3 male) parroco di 28 anni nella parrocchia di S. Maria in Tressa. Don Gaetano fu quindi investito il 2 marzo 1822 in età di 32 anni e prese dimora a Quercegrossa accompagnato dai genitori Bernardino del fu Gaetano e Maria Bianciardi. Il babbo Bernardino morì quasi subito nel 1825 a 73 anni, mentre la mamma trapassò nel 1842 e fu sepolta a Siena.
Proveniente da umile famiglia senese già dimorante in S. Marco, dove nel 1767 il nonno Gaetano, maestro calzolaio, vive con la moglie Maria e i figli adolescenti Bernardino e Giuseppe, e poi nel Casato di Sotto, aveva trovato come protettore e finanziatore il nobile Angelo Della Ciaia che con atto notarile del 1812 gli assegnava una rendita annua di 36 scudi pari a franchi 211,68 come patrimonio ecclesiastico personale in conformità alla tassa sinodale necessaria ai chierici per esser promossi agli Ordini sacri. Il contratto entrava in vigore dal diaconato e sarebbe cessato totalmente o in parte, secondo le rendite, quando il Pratesi si fosse provveduto di benefici. La liquidazione del patrimonio avveniva mese per mese in contanti. Per far fronte alla spesa il Della Ciaia aveva ipotecato un suo podere di sette ettari con casa per il lavoratore denominato Peruzzo, posto nel Terzo di S. Martino nelle Masse di Siena. Il vicario Benedetto Periccioli presente al rogito ritenne valido per il Pratesi il patrimonio ricevuto.
E così don Gaetano ricevuta la tonsura quando era ascritto al servizio nella Collegiata di Provenzano che svolgeva fin dal 1800, l'ostiariato il 22 dicembre 1810, divenne suddiacono il 23 maggio 1812, e diacono il 19 settembre dello stesso anno, dispensato dagli interstizi con autorità dell'Ordinario, ossia dal rispetto del tempo previsto nel quale il promosso si doveva esercitare nell'ordine ricevuto. Fu dispensato anche dall'età, quando fu ordinato prete il 18 settembre 1813 a 23 anni. Appena consacrato, nella sua giovane età si prestò all'educazione della prole di casa Della Ciaia per circa due anni fino a quando venne chiamato dal cardinale arcivescovo Zondadari all'insegnamento nel seminario Arcivescovile S. Giorgio di Siena. Eletto "maestro d'Umanità" vi insegnò grammatica per circa otto anni assumendo in contemporanea incarichi di predicatore in diverse diocesi e coprendo per circa tre anni l'incarico di confessore e catechista del Conservatorio di S. Maria Maddalena "con il discapito di sua salute, atteso il gracile temperamento". E' di questi anni d'insegnamento e forse in conseguenza di questo che chiede, e gli viene concessa, la facoltà di celebrare la messa un'ora avanti l'aurora e un'ora dopo mezzogiorno, senza pretendere però "cera alcuna", ma soltanto le limosine della Messa. La cagionevole salute lo porta quindi ad adoperarsi per un incarico parrocchiale e da qui potrebbe esser scaturito l'accordo con lo zio per la parrocchia di Quercegrossa della quale venne nominato economo spirituale il 7 novembre 1821 subito dopo le dimissioni del predetto zio.
La sua missione a Quercegrossa, dove si presentò con la fama di erudito professore, si prolungò per ben 45 anni, dal 22 aprile 1822, giorno della sua presa di possesso al 17 dicembre 1867, giorno della sua morte, ed ebbe occasione di veder la fine del Granducato di Toscana e l'imporsi dell'Unità nazionale. Sacerdote di buoni costumi come richiesto in quegli anni dal rigoroso arcivescovo Mancini, non venne meno alla doverosa spirituale assistenza ai suoi parrocchiani e fu dedito allo studio da persona di cultura qual era pubblicando anche una Vita di S. Caterina. Il libro, intitolato "Vita di Santa Caterina da Siena", "nuovamente compilata sulle tracce del Beato Raimondo da Capua ed esposta in tre parti dal sacerdote Gaetano Pratesi", è una voluminosa opera di 495 pagine pubblicata a Siena dalla Calcografia Editrice a spese di una società di Pie Persone, nell'anno 1852. Oggi, se ne può trovare una copia nella Biblioteca dell'Osservanza.
Il pievano Merlotti ne traccia un breve profilo, ma lo biasima per le sue simpatie essendo su posizioni nettamente contrarie: “Egli fu uomo dotto particolarmente in belle lettere, liberale ed amico di liberali contro il Sommo Pontefice Re, parea ei Deus, et in pace requescat”.
Vissuto lungamente sotto un Arcivescovo rigido censore dei costumi e contrario ad ogni apertura, don Pratesi più volte si trovò in contrasto con la Curia a causa delle sue idee e forse di una forma di superbia intellettuale unite a un carattere non troppo accondiscendente come si evidenzia nei due documenti rimasti in archivio scritti con sottile ironia: “1829 - Mi faccio in dovere per sua quiete ... di dichiararmi notiziato da una sua della volontà dell’Ill.mo e Rev.mo mio superiore con la quale mi si richiama a rimettere a codesta Cancelleria la compilazione dello stato di consistenza di questa parrocchia di Quercegrossa. Ella sa benissimo che la medesima trovasi, a norma dei nuovi regolamenti del governo toscano nell’archivio della Cancelleria civile (a Castelnuovo) perciò la prego di far conoscere rispettosamente al prelodato monsignore che più presto mi sarà favorita la copia di esso inventario da quella parte tanto più presto potrò sollecitamente obbedirla”. “1833 - Ho stimato sempre mio dovere e insieme mi son recato ad onore rispettare la volontà dell’ottimo mio superiore verso il quale ho nutrito quella stima, ed alta venerazione che gli è ben dovuta, e mi sono fatto un pregio nelle occorrenze eseguirne i comandi. Quanto più mi sarà di consolazione adesso il potermi mettere in stato di ubbidirlo...”. Prete battagliero don Gaetano non esita a schierarsi apertamente a fianco di don Sancasciani, parroco a S. Petronilla, nella lotta contro il governo a causa dell’abolizione delle decime da parte dei proprietari che penalizzano le parrocchie diminuendo le rendite e per non aver provveduto ancora a corrisponderle adeguatamente. Insieme vennero ricevuti dal ministro degli Affari ecclesiastici Salvagnoli per chiedere provvedimenti a favore dei parroci, ma ottennero solo parole di solidarietà. In questa circostanza don Pratesi manifestò tutta la sua verve polemica: “Avete messo a licei con 1800 franchi certa gente che mi vergognerei nominare, e poi torrete ai poveri parroci porzione degli scarsi redditi necessari alla sussistenza”. Nel 1863 è tra i parroci che non hanno ritirato la congrua probabilmente per protesta.
Negli anni dell’unità d’Italia fu fervente patriota e per questo firmatario, deputato dal Prefetto, insieme al Sancasciani e a un medico senese, di una circolare a proprietari e agenti per sostenere la causa dell’Unità e di Vittorio Emanuele II (vedi “Storia civica”).
Sotto questo parroco entrò in vigore il nuovo codice civile del Regno d’Italia pubblicato con R. decreto il 25 giugno 1865 che dal 1 gennaio 1866 toglieva ai parroci ogni ingerenza nello stato civile per quanto riguardava la registrazione dei nati, matrimoni e morti, attribuendo questo compito ai nuovi uffici anagrafici dei comuni.
Premuroso per il bene del suo gregge organizza missioni e cura la liturgia: un libretto scritto a mano da lui stesso nel 1825, giacente nell'archivio parrocchiale ci svela quanto scrupolosa fosse la sua applicazione alla preghiera pubblica trascrivendo una “Guida per l'acquisto del S. Giubileo Conceduto a tutti i fedeli dal regnante Sommo Pontefice Leone XII ed opportunamente adattandola al popolo e cura di Quercegrossa". Il rito, da celebrarsi nelle chiese e cappelle di Quercegrossa partendo da Petroio poi Larginano e il Castellare ed infine la parrocchiale, viene guidato passo per passo dall'entrata in chiesa con recita di preghiere, adorazione, salmi, invocazioni e Santo Rosario.
In quegli anni di don Pratesi si manifestò la vocazione del primo sacerdote documentato a Quercegrossa, quella di Celso Ticci certamente guidato nei primi passi alla fede da don Gaetano.
Don Pratesi fu coerente alla sua missione e dimostrò un animo caritatevole ospitando presso di sé il nipote Montomoli, seminfermo, e l'anziano zio don Francesco Bianciardi, ritiratosi a Quercegrossa e tenuto in casa fino alla sua morte.
A questi due casi di parenti a lungo ospitati in canonica da don Pratesi se ne aggiungono altri: nel 1834 prese sotto la sua tutela, e accolse in casa a Quercegrossa il nipote Salvatore di cinque anni, orfano della defunta sorella Carolina e del fu Galgano Montomoli. Il giovane Salvatore presentava qualche forma di disagio fisico essendo descritto come "bambino di costituzione fisica non atta al lavoro per la cui imperfezione morì in età giovanile". Egli non esercitò mai nessuna attività, né mestiere e morì a Quercegrossa il 26 gennaio 1864 in età di 35 anni poco prima dello zio Gaetano al quale forse aveva dato una mano, per quel che poteva, in parrocchia. Inoltre si fa garante di un suo parente lontano certo Luigi di Carlo Pratesi probabilmente ospitato in casa perchè afferma essere “mio popolano” al quale si richiede lo stato libero per contrarre matrimonio, ma di difficile ottenimento essendo stato per anni sotto le armi “... privo affatto di mezzi di sussistenza ... necessitato per vivere a prendere il servizio militare”.
Vediamo che nel 1841 don Gaetano vive con l’anziana mamma Maria definita impotente e grava d’età, il ricordato nipote ora di 18 anni, e Agnese Fineschi, una serva di 45 anni. Nella casa della parrocchia abita in affitto il muratore Antonio Rovai con la moglie Annunziata e la figlia Faustina di 7 anni.
I documenti di carattere amministrativo rimasti ci presentano una persona che gestisce con un certo distacco il patrimonio parrocchiale, senza lanciarsi in voli pindarici come il precedente rettore, semmai cercando di liberarsi da ogni peso gestionale e comunque non gli mancarono le beghe. Tra le tante pratiche che dovette affrontare cito il lungo coinvolgimento dal 1825 al 1836 relativo ai poderi di Bellostento ed Erede, che ora fruttavano un buon reddito, ma a causa dei continui fallimenti dei proprietari era continuamente a rischio. Finalmente nel 1840 Ferdinando Manetti accollatario del debito liquidava alla parrocchia quanto dovuto da esso. Don Gaetano reinvestiva in terre presso Belforte di proprietà Ferri, dalle quali nel 1864 aveva una rendita di lire 825,11, pagate anche dal successivo proprietario Vanni. Questa rendita ipotecaria risultava ancora attiva nel 1907 al tempo di don Grandi. Nel 1842 vende la casa in Salicotto e il capitale investito di 818 lire frutta al 4% lire 32 annue. Nel 1860 i Bichi Borghesi ottengono l’affrancazione dell’ipoteca per i poderi di Strove e il Pratesi la concede. Nel 1842 vende agli Andreucci il podere della Magione ottenendo una rendita annua sul capitale.
Uno strascico della gestione Bianciardi portò alla parrocchia un introito di 11 scudi fiorentini che don Pratesi incassò dal Segretario del Regio Diritto l’8 marzo 1839 con l’ordine “che la suddetta somma serva per l'acquisto di arredi che abbisognassero alla parrocchia”. Con questo pagamento don Bianciardi venne definitivamente sciolto da ogni debito residuo verso l’ex parrocchia.
Don Pratesi effettuò dei lavori in chiesa e sistemò la stalla sotto il campanile realizzandovi un quartierino. Nel 1833 giunge notizia di un beneficio che il Pratesi gode nella cattedrale di Chiusi.
Sul piano dei legati, dal 1823, si ritrovò nella chiesa parrocchiale la cappellania di S. Domenico, beneficio costituito della famiglia Nencini, riconfermato nel 1841 da un lascito perpetuo di Antonio Nencini, per celebrazioni di messe e funzioni del quale erano stati titolari don Luigi Gabbrielli, canonico poi della Metropolitana, don Antonio Rappi, agostiniano, Vincenzo Canali, sacerdote senese, e ultimo don Celso Ticci di Quercegrossa, il quale spesso dava una mano al parroco.
Trovandosi a causa della sua salute cagionevole a non eseguire i gravi incomodi della parrocchia il 30 settembre 1859 don Gaetano si decise a richiedere ufficialmente agli Uffici del Governo un aiuto a soccorrerlo “specialmente colla destinazione di un cappellano” che se avesse potuto avrebbe coi suoi mezzi provveduto all’onorario per il mantenimento di un cappellano. Il cancelliere Palagi inviava cinque giorni dopo al Regio Ministero degli affari ecclesiastici una relazione evidenziando “le condizioni infelici nelle quali si trova l'attual parroco di Quercegrossa ... dipende dagli infermità in cui il supplicante va soggetto … disastri sofferti della sua persona … e poi di tutta la sua famiglia di parenti poveri ai quali ha dovuto soccorrere".Aggiungeva che: “la rendita approssimativa della parrocchia ammonta a lire 1768,15 da quanto risulta dai Campioni dell'Amministrazione dei beni vacanti e di lire 940,15 per i campioni di questa cancelleria. Conviene peraltro osservare che questo nostro campione (di Siena) è computato all'oggetto di conservare il diritto alle decima alla parrocchia. Il parroco Pratesi non gode di altro provvedimento. Per quanto ho mie notizie il Pratesi ha esposto il vero nella domanda ma mi permetto osservare che nella chiesa vi è eretta una offiziatura con l'obbligo al rettore di celebrarvi la messa alle ore 11 in tutti i giorni d'intero e dimidiato precetto e che attualmente il Sac. Celso Ticci disimpegna questo uffizio ed essendo comodo possidente presso la rammentata parrocchia e disoccupato potrebbe con una piccola gratificazione coadiuvare il parroco”. La domanda percorse l’iter burocratico previsto, ma rimase “senza sfogo”.
Don Gaetano Pratesi assistito da don Celso Ticci morì nella villa dell’Arginano il 17 dicembre del 1867 alle ore 3 pomeridiane dopo che 19 giorni prima, il 29 novembre, si era sentito male “preso da una sincope” mentre celebrava messa nell’annesso oratorio. Rimase in quel letto della villa per le gravi condizioni poi: “Oggi alle ore tre pomeridiane ricevuti tutti i Sacramenti e munito della mia spirituale assistenza fino all'ultimo suo respiro è passato agli eterni riposi. La malattia che lo ha tolto a noi è stato un ripetuto tocco apoplettico".
Che don Gaetano Pratesi sia stato uomo di cultura e di lettere e attento più allo "spirituale" e poco al "materiale" lo dimostrano le mancanze, carenze e danni riscontrati in maniera rilevante alla sua morte nella chiesa e canonica di Quercegrossa. Esse, elencate in 120 voci molto particolareggiate in un apposito registro del 17 dicembre 1867, denunciano una totale mancanza di manutenzione e interesse verso le cose, con un preventivo finale di 1467 lire di risarcimenti da addebitare ai suoi eredi. Ci sono in effetti delle forzature che tendono ad attribuire al defunto parroco deterioramenti che sarebbero tutti da provare, ma nell'insieme siamo di fronte ad una colpevole trascuratezza che ha ridotto la canonica e la chiesa in "meschine condizioni" come avrebbero detto qualche decennio prima, presentando anche gravi problemi di stabilità dell'edificio. La rilevante somma richiesta come risarcimento tirò in ballo quelli che erano stati i mallevadori ossia i garanti del capitale di don Pratesi, gli eredi Della Ciaia, e si accese una controversia che durò alcuni anni.


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