Francesco Bianciardi (1799-1821)
Tra i rettori della parrocchia che si distinsero per il loro energico operato vi è certamente don Francesco Bianciardi, prete senese e curato a Quercegrossa dal 1799 al 1821. Grazie a lui quella che era un'antica e cadente canonica costantemente necessaria di restauri, venne rimodernata e la semplice chiesa a capanna fu ristrutturata internamente ed esternamente tanto che i due edifici da sempre separati furono uniti per formare un solo corpo (vedi “Lavori Bianciardi”). A ciò si aggiungono i meriti per avere arricchito la chiesa di un’opera d'arte come la Pietà, dell'organo, dei confessionali
“due dè quali si mostrano considerabili per finissimo intaglio”, di nuove campane, dell'armadio della sacrestia. Tutto questo ebbe un prezzo, pagato con l'alienazione di parte di beni del beneficio per avere sicure rendite, ma l'opera rimase a dare maggior dignità alla chiesa e comodità dei futuri parroci ai quali tolse l’assillo di amministrare come fattori i poderi. Inoltre va a suo merito la razionale ridisegnazione dei confini parrocchiali attraverso scambi di poderi con le vicine parrocchie e il tentativo di far assegnare a Quercegrossa i poderi di Basciano vicini alla nostra chiesa.
Questo volitivo e determinato curato, ricordiamoci anche che venne definito “un matto”, era nato a Siena mercoledì 5 aprile 1758 da Giovanni Battista e Teresa Savoi dimoranti nella centrale cura di S. Desiderio. Intrapresi gli studi religiosi venne ordinato sacerdote il 21 dicembre 1782 dal vescovo Tiberio Borghesi, ed ottenne il beneficio di Quercegrossa dopo il concorso sostenuto e vinto nel 1799. Il decreto di nomina ci mette a conoscenza di una singolare esperienza per un prete diocesano fatta in un paese della provincia di Pistoia, a S. Angelo in Pievica dove, per il breve tempo di due anni, 1787/88, svolse funzioni di parroco ai circa mille abitanti (Forse che questo passo sia da collegarsi a quel movimento di stampo giansenista promosso dal vescovo pistoiese Scipione de' Ricci, con seguaci anche nella nostra diocesi? Forse che il Bianciardi sia stato uno di questi?). Rientrato in Siena si presentò al concorso per la parrocchia di Monteroni che si aggiungeva ai precedenti sostenuti per le varie chiese vacanti nelle quali in alcune rivesti la carica di economo spirituale come a S. Tommaso in Val di Pugna (1784), S. Cecilia a Crevole e nella stessa chiesa di Monteroni. Risulta che appena ordinato sacerdote don Bianciardi si era dato da fare in maniera quasi nevrotica partecipando a ben nove concorsi per altrettante parrocchie tra le quali quella di Lornano, ma ricevette soltanto una buona approvazione alla quale si aggiunse il titolo di confessore patentato per le sacramentali confessioni. La difficoltà di trovare un beneficio fisso lo deve avere convinto a recarsi a Pistoia.
Vinto dunque il concorso per la chiesa di Monteroni, che resse dal 20 febbraio 1789, undici anni più tardi mirò alla vacante parrocchia di Quercegrossa, probabilmente scontento di quell’incarico.
"I vostri ottimi costumi, la vostra scienza, il lungo e lodevole servizio che avete prestato alla Chiesa e sue anime con la predicazione e l'esercizio di parroco", sono le convenzionali parole di elogio con le quali viene a lui attribuito merito e onore dall’Arcivescovo nel suo decreto di assegnazione di Quercegrossa datato 13 dicembre 1799, vinto battendo altri tre concorrenti nelle risoluzione legate a un brano del Vangelo. La preminenza gli valse il conferimento della parrocchia di Quercegrossa della quale prese il possesso sabato 31 maggio del 1800 dalle mani dell'incaricato pievano di Lornano dopo avergli fatti visitare la chiesa, l'altare e gli olii sacri alla presenza dei testimoni Giovanni Ticci di Quercegrossa e Gaetano Sampieri di Petroio. Quando vi entra è dunque prete quarantenne ed esperto di cose di chiesa, e non un novellino qualsiasi, e si mette subito al lavoro e come un terremoto il suo passaggio segna in maniera duratura la parrocchia di Quercegrossa.
Il primo atto del nuovo parroco appena insediato si indirizzò verso l'indispensabile collaborazione dei parrocchiani che si concretizzò nel promuovere la ripristinazione della Compagnia di S. Antonio, concessa dall'Arcivescovo nel settembre 1800, della quale egli fu il correttore pro tempore. Con la sua premura, evidenziata dai registri dei verbali da lui redatti, la Compagnia, che sostituì quella di Carità voluta dalla Legge, riprese vigore e diede continuità al servizio liturgico e funebre nella parrocchia.
Preso atto di quell'annoso problema relativo ai poderi prossimi alla sua chiesa, ma sotto la cura di Basciano, in pieno accordo con alcuni popolani, tra i quali gli Andreucci, inoltrò all’arcivescovo Zondadari, nell'anno 1803, l'istanza di unificazione alla parrocchia di Quercegrossa. La pratica si protrasse per due anni ed ebbe esito negativo. Questa iniziativa andava ad aggiungersi a quella di acquisizione del podere della Magione nel 1801, e alla successiva del 1818 con la permuta di Passeggeri e Mocenni con la parrocchia di Vagliagli. Era infatti il 6 luglio del 1801 quando venne approvata dall'Arcivescovo la dismembrazione del podere della Magione dalla parrocchia di Lornano e passato a quella di Quercegrossa con parte delle terre del podere detto "Bertesca", e anche qui se ne fece promotore il Bianciardi che venne incontro alle istanze del colono e del pigionale con l'assenso del proprietario Manetti, del pievano di Lornano e del Vicario foraneo.
Un po' più eleborato fu lo scambio di Passeggeri, appartenente alla parrocchia di Vagliagli, con Mucenni di Quercegrossa nell'anno 1818. Don Bianciardi e don Luigi Papi, parroco di Vagliagli, motivarono la richiesta col fatto che
"i popolani non frequentano la loro chiesa di modo che ne accada che i fanciulli non sono istruiti nelle cose della nostra S. Religione e Dottrina Cristiana come pure sono troppo distanti per l'amministrazione dei SS. Sacramenti". Per rimediare a tale inconveniente convennero di barattare i due poderi prendendo Quercegrossa, Passeggeri e Vagliagli, Mucenni e Mucennino, con le rispettive decime. Domenica 11 ottobre 1818 veniva letto nelle due chiese e affisso sulle porte l'editto della progettata divisione concedendo quindici giorni ad eventuali contraddittori. Ma nessuno si fece avanti e così con decreto del 2 novembre 1818 l'Arcivescovo autorizzava lo scambio dei poderi inviando copia del decreto ai due curati
"perché la legghino ai respettivi popoli sopra la messa parrocchiale e la conservino ciascuno nel suo archivio".
Quanto sia stato intraprendente il Bianciardi nella sua vita lo dimostrano i benefici che ottenne quando era ancor diacono nel 1782. Infatti, con licenza del Tribunale del Regio Diritto, a dimostrazione del suo stato patrimoniale come richiesto ai futuri parroci a titolo di cauzione in seguito di una legge granducale del 2 marzo 1763, detiene un benefizio legato alla Cappellania sotto il titolo del SS. Crocifisso in Duomo e due altre uffiziature: una sotto il titolo di S. Antonio da Padova nella contrada della Tartuca e l'altra sotto il titolo di S. Croce nella villa di Falsina del nobile sig. Lorenzo Chigi. Egli chiede che questi benefici gli siano riconosciuti come patrimonio personale. Queste rendite assommano a scudi trentasei,
"bastanti per questa diocesi" e provengono da alcune stanze appigionate a Gastone Fonterossi, barbiere, sulla casa posta in Siena nel popolo di S. Pietro alle Scale in Castelvecchio in via delle Murella; da una casa posta nel popolo di S. Mustiola della Rosa contigua alla chiesa della contrada della Tartuca e altra casa nel detto popolo. I beni voltati a detto chierico spettanti all'uffiziatura sono un podere con suo orto nel comune di Fontebenedetta fuori porta s. Marco. Il detto podere si ritrova pochi anni dopo nel beneficio della cappella di S. Orsola in Duomo e a goderne sarà sempre il Bianciardi il quale si riscoprirà amministratore del contadino che vi lavora a mezzadria. Conservava il Bianciardi un beneficio dalla parrocchia di Pistoia che nel 1790 le fu permutato con il regio beneficio semplice di S. Orsola in Duomo che obbligava alla celebrazione di 6 messe al mese, 4 cori e le processioni per un beneficio di 74 lire. Da una supplica del 1829 sappiamo che il Bianciardi, ora parroco a S. Martino, detiene ancora il beneficio e fa celebrare le messe a don Placido Lisi parroco di Lornano e chiede, appunto, di continuare a farle celebrare. I Deputati stabilirono che nei seguenti due anni le messe feriali potevano essere celebrate anche fuori della Metropolitana, ma rimaneva l'obbligo delle 12 messe festive ogni prima domenica del mese, dei cori e delle processioni in Duomo, mandando inoltre il Bianciardi notificazione di quelle celebrate fuori.
Da un prete esperto come lui mai ci si sarebbe aspettati cadesse ingenua vittima, nell'ottobre del 1804, nella tresca della Marchesa Cennini, moglie di Alessandro Sansedoni, la quale tentò di abbandonare il tetto coniugale avvalendosi dell'ignaro aiuto di don Bianciardi. Il momentaneo arresto e la successiva liberazione misero il Bianciardi nella condizione di aprire gli occhi sull'accaduto e buon per lui che tutto finì senza danni. Un legittimo dubbio può sorgere sui motivi che spinsero il parroco allora quaranteseienne ad accompagnare la marchesa (vedi Cose d’altri tempi: “Un prete cortese”).
Da uomo pratico qual era considera negativa la lontananza del podere della Buca in quel di Pescaia e quando si presenta l’occasione offerta da Gio. Federigo Andreucci di acquistare la Magione, da poco entrata nelle ragioni della parrocchia di Quercegrossa, don Bianciardi non si fa sfuggire l'occasione. Alla fine del novembre 1807 vende il podere della Buca al sig. Ansano Bianciardi di Siena per la somma di scudi 1570 e contemporaneamente acquista dal detto Andreucci per il prezzo di scudi 1513.12.8 parte della Magione composta da alcune stanze per uso di casa colonica con capanna e piccolo pezzo di terra intorno, un appezzamento di terreno boschivo, altro a sterpaglia, altro lavorativo di staia sette (8750 mq.), altro pezzo sodo di staia 1 lungo il fosso Staggia detto il Selvolino, altro terreno prativo di staia 12 circa (un ettaro e mezzo). Si ritrova così con un podere dello stesso valore ma in vicinanza della parrocchia e in prossimità dell'altro podere di Bello Stento. Un situazione quindi molto più favorevole e con un utile di 57 scudi nello scambio.
Anni dopo, esattamente il 2 dicembre 1812, firma il contratto di acquisto di una casa posta in via Salicotto, e subito viene messa a pigione per una piccola rendita al beneficio parrocchiale anche se nel 1815:
"la casa che la parrocchia possiede in salicotto, una casa risarcita e migliorata dall'attuale parroco ma che non è affittata nè si affitta per essere in luogo poco vantaggioso". Ma nel 1821 risulta un'entrata di affitto di lire 84 annue.
La casa apparteneva al soppresso convento di S. Martino in Siena ed era entrata nell’Amministrazione del debito pubblico come previsto dalla legge imperiale del 1810 e venduta insieme ai 32 milioni di beni provenienti dalle soppressioni e destinati all’estinzione del debito pubblico. Il Bianciardi se l’aggiudicò il 16 giugno 1811 con vendita all’incanto e pagò il requisito bene 672 franchi (ca. 112 scudi) in azioni del tesoro pubblico: sei azioni di franchi 100 l'una. Dal 1810 aveva capitalizzato il frutto delle sue azioni. Sconosciuti però ci sono i motivi per i quali nell'anno 1813 don Bianciardi vende i due poderi di proprietà della parrocchia, ossia Le Redi e Bellostento. Probabilmente lo fece per levarsi un peso amministrativo e al tempo stesso garantire al beneficio parrocchiale una sicura rendita annua. Infatti i due poderi passarono a Marc'Antonio Fortini, con contratto rogato da Ser Pio Palagi il 4 dicembre 1813, in cambio di una rendita annua di lire 1091 da ascriversi al beneficio parrocchiale.
Alcuni anni prima, nel 1801, il parroco si era industriato per accrescere il podere di Bellostento di due stalle una per i bovi e l'altra per le pecore, fino allora mancanti, chiedendo un prestito della cassa diocesana di scudi 210 a paoli dieci e rivolgendosi, con intermediario, alla Sacra Congregazione dei Vescovi e dei Regolari in Vaticano che evidentemente era competente in autorizzazioni di casi speciali che riguardavano le Casse Diocesane come dice lo stesso don Bianciardi:
"siccome per eseguirsi tutto ciò c'è bisogno del placito della S. V.". Egli espone come la parrocchia di Quercegrossa ha in deposito nella cassa dell'Opera Metropolitana scudi 70, già destinati ad estinguere un residuo passivo con la Chiesa di Cellole, e in più ha un credito con Caterina Piccolomini residuo di un podere comprato dai di lei genitori e spettante al Beneficio della Canonica a Bozzone, ora unita alla parrocchiale di Quercegrossa. Chiede di destinare le somme alla costruzione delle due stalle, obbligando sé e i suoi successori al pagamento alla chiesa di Cellole delle rate di scudi 2 e soldi 10 annui come frutti di censo, e in più versare annualmente nella cassa della Metropolitana scudi 6 annui a integrazione del capitale di scudi 70, e altri 3 per ricostituire il capitale di scudi 150. Perora l'iniziativa con i grandi vantaggi che ne derivano alla parrocchia e al colono coltivatore. Rendita netta della parrocchia nel 1813, lire 734.
Il 26 agosto 1813 don Bianciardi si rivolge all'Arcivescovo per perorare la rinuncia al benefico di S. Michele Arcangelo della Canonica a Bozzone, in territorio di Cellole, che la parrocchia aveva fin dal 1668 e che obbligava alla celebrazione di una messa al mese in giorno feriale e di un'altra il giorno della festa del patrono. Questo beneficio veniva ora a pesare fortemente sull'attività del parroco che non vi trovava ormai più nessun interesse, ma solo disagi:
"Le dico inoltre che quando il medesimo si porta a celebrare in detta chiesa non vi trova chi gli serva la messa e alle volte neppure chi l'ascolti". Gli ricorda che il mantenimento dell'edificio e delle suppellettili è a carico della chiesa di Quercegrossa, pertanto ne propone la profanazione, cioè la sconsacrazione, e il trasferimento degli obblighi predetti nella cappella pubblica di Fagnano, dedicata a S. Antonio, che si trova sempre in cura di Cellole, nella fattoria dei sigg. Piccolomini
"ove almeno si avrebbero persone da servire e assistere alla messa". Il sig. Flavio Bandini e il curato di Cellole approvano questa traslazione. La parrocchia di Quercegrossa, conclude la lettera,
"resterebbe sgravata dalla manutenzione e potrebbe guadagnare qualche piccola somma dalla fabbrica medesima". La valutazione che fece il deputato preposto alla revisione dei benefici della città si pone in netto contrasto con la richiesta rammentando la rendita netta annua di cento scudi che portavano i beni del beneficio. Ma il deputato si supera quando dice che il parroco vuole profanarla perché non ha chi gli serva e assista alla messa allora, dice
"converrebbe che l'E.V. R. V. E. estendesse il decreto a tutte le cure di campagna e loro annessi, perché i parrochi che non hanno garzone o servitore si trovano nella stessa circostanza molte volte l'anno". Conclude che ritiene di continuare secondo la volonta dell'antico fondatore e mantenere gli usi attuali. A fine anno però l'Arcivescovo autorizzava la celebrazione delle messe nella cappella di Fagnano e qualche anno dopo concedeva a don Pratesi di celebrare e soddisfare l’obbligo nella chiesa di Quercegrossa. A seguito di questa decisione vescovile il 10 ottobre 1817 don Bianciardi dichiarava di aver restituito tutti i beni della chiesa di S. Michele Arcangelo alla Canonica al Bozzone all'Ill.mo Sig. Cav. Flavio Bandini Piccolomini Naldi. Alcuni mesi prima il cancelliere Palagi scriveva al Bianciardi ricordandogli la promessa fatta di restituire la vera campana della chiesa della Canonica e gli altri utensili. Ciò avrebbe riavvicinato gli animi che evidentemente si erano riscaldati nei confronti del Bianciardi e della Curia in generale.
All'improvviso, dopo tutti quegli anni passati a Quercegrossa, lui che era stato il superbo restauratore della parrocchia, decise di andarsene e divenire parroco di S. Martino in Siena. E' già in età di 63 anni e anche questo contribuisce ad aumentare il mistero della sua partenza. Ma tutto si spiega forse con la sua irrequietezza manifestata in tutti i suoi anni di sacerdozio e a Quercegrossa non c'era altro da fare e cercò altrove nuovi stimoli oppure tutto questo affaccendarsi nascoscondeva un interesse familiare?
Il suo successore a Quercegrossa divenne infatti don Gaetano Pratesi, nipote del nostro riferito don Bianciardi essendo figlio di Bernardino e di Maria Bianciardi, sorella appunto di don Francesco Bianciardi. Inoltre, la chiesa di S. Martino, già parrocchia sotto il patronato dei soppressi padri Agostiniani, era passata di patronato regio il 22 gennaio 1821, e di conseguenza la nomina spettava al Granduca. Non ci vuole molto per capire che con una buona raccomandazione e altro sarebbe stato possibile ottenerne l'investitura a rettore. Infatti, il nome presentato dal Sig. Cav. Prov. Celso Bargagli Soprintendente ai Benefici di Regio Patronato fu quello di Francesco Bianciardi e la prova sostenuta in Curia fu solo una formalità:
"e nulla avendo che ridire su la vostra persona, ed essendo stato approvato nel concorso, riprodottaci la regia nomina come sopra a vostro favore fatta, ci faceste istanza per l'investitura". In conseguenza di questi fatti, il 27 aprile 1821 fu emanato il decreto di assegnazione.
Trascorsero ancora alcuni mesi prima delle sue dimissioni da rettore di Quercegrossa, presentate il 7 novembre successivo, e nel frattempo don Bianciardi, coerente al suo spirito calcolatore, inviava all'Arcivescovo un' istanza per essere esonerato lui e i parroci successori dal pagamento della congrua sinodale a grano e vino decretata dall’arcivescovo Marsili nell Sinodo diocesano nel lontano 1689. Tale decreto, per essere più precisi, ordinava che il parroco uscente o i suoi eredi in caso di morte garantissero all'entrante rettore o economo spirituale una quantità di prodotti pari alle decime di un anno. Ora,
"per aver ridotte le rendite a contanti", e perché le decime a seguito degli ordini veglianti potevano soddisfarsi non in generi, ma a denari effettivi, chiedeva l’abolizione di questa cosiddetta “decima sinodale”. L’Ill.mo Fabio Sergardi, Vicario della diocesi di Siena, preso atto delle rendite della parrocchia e
“sentito anche l’oracolo di S. E. Cardinale Arcivescovo di Siena”, disse e decretò che da ora in avanti
"dai parochi rinunzianti", o dagli eredi di quelli defunti, non doversi pagare che soltanto stara nove di grano e stara sei di vino rosso in qualunque tempo accada la vacanza. Così in data 20 ottobre venne accolta soltanto parzialmente la richiesta del Bianciardi e fu comunicata ai candidati al concorso tenuto il 6 dicembre seguente.
D'altronde ne aveva tutti i diritti il rettore di essere pretenzioso perché la relazione allegata ci mostra una situazione economica assai florida e la parrocchia gode di sicure e abbondanti rendite che verranno mantenute per anni tanto che nel 1859 un anonimo di Curia dichiara
"che le rendite di quella chiesa oltrepassano molto le mille lire e così può riguardarsi come una delle migliori della diocesi".
In quel fine anno 1821 si riscuotevano dal Sig. Giuseppe Fondi come
moderno acquirente dei beni venduti al Sig. Fortini nel 1813 ....... lire 1091.15.4
dallo stesso sig. Fondi per fitto delle terre spolte della Magione ... lire 420
dal Sig. Conte Luigi Borghesi per annuo canone ........................ lire 13
dal Sig. Pietro Alessandro Ferri per annuo canone ..................... lire 5
dal Nob. Sig. Filippo Sergardi per affitto annuo delle terre
e casa della Magione come da contratto del 25 marzo 1821......... lire 126;
dalla Cura di Bibbiano per prestito di scudi 50 ........................... lire 17,10;
per pigione dalla casa di Siena posta in Salicotto ........................ lire 84
entrate delle decime e per i prodotti dell'orto valutati scudi 20 ..... lire 488,15.
Totale entrate: lire 2246 e denari 4
Le spese ammontavano alla somma di lire 1044 comprese anche lire 710.10.4 per
“Gratificazione e indegnizzazione dimandata dal curato Bianciardi” e sarebbe una restituzione di quanto investito nella cura di Quercegrossa.
Il 7 novembre 1821, dopo aver avuto l'assegnazione della nuova parrocchia il 27 aprile precedente, rassegnò le dimissioni da Quercegrossa e prese la residenza in S. Martino. Resse quella Chiesa fino alla venerabile età di 80 anni, quando rinunciò il 24 agosto 1838. I suoi rapporti col nipote parroco a Quercegrossa erano stati continui e risale a quel periodo l’incidente con la carrozza avuto dal Manganelli di Vagliagli, servo di don Pratesi, che alla ripartenza da S. Martino, dopo aver riportato da Quercegrossa don Francesco, nel girare al Chiasso Largo urtò un anziano signore che rimase ucciso sul colpo.
Con il pensionamento don Bianciardi ritornò ad abitare a Quercegrossa dove trascorse serenamente gli ultimi due anni della sua vita ospite del nipote nella casa parrocchiale. Qui mori il dì 21 marzo 1840, alle ore 4 e mezza mattutine, in età di 82 anni circa (era nato nel 1758) assistito da Luigi Pavolini pievano di Basciano
“munito dei Sacramenti Confessione, Comunione e Olio Santo”. Dopo
“decorose esequie” venne sepolto nel cimitero di Petroio.
Una nota di merito dalla vista del 1807:
“L’arcivescovo ... interrogò i fanciulli che vi erano concorsi col popolo in gran numero su la dottrina cristiana, nella quale li ritrovò bene istruiti”.
Nel 1815 il Bianciardi viveva con la serva Francini Lucia di 54 anni e il servitore Pacini Giuseppe di 28 anni.
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