Quercegrossa (Ricordi e memorie)

CAPITOLO XI - COSE D'ALTRI TEMPI

Torna all'Indice Cose d'altri tempi

Vai all'Indice dei Capitoli



Giochi di ragazzi
I grandi avevano i loro passatempi, ma il gioco vero e proprio, quello spontaneo e naturale apparteneva ai ragazzi che, in tempi nei quali era difficile procurarsi qualsiasi oggetto o giocattolo, s’ingegnavano con mille idee per vivere le loro spensierate giornate. Il divertimento doveva essere sempre organizzato o discusso: "Che si fa ora?"; "A che si ruzza?". Era tutto un "ruzzare" dalla mattina alla sera specialmente nella stagione delle vacanze, interrotto soltanto dal pranzo e dalla merenda. Le mamme si sgolavano per richiamare i ragazzi: "Ora quando ritorna a casa glielo dò io", brontolavano minacciose e spesso non mancavano gli scapaccioni. Ai miei tempi, se così posso dire, cioè nel decennio 1950-1960, l'area d'azione per i giochi infantili era il grande giardino di casa mia, la villa, preferibilmente quello di sotto, dove nessuno ti disturbava e saltavi e ti nascondevi senza i fastidiosi richiami dei grandi sempre pronti a proibire e vietare. Ci scappava ogni tanto l'escursione nel bosco, ai Cipressini e lungo la strada dei Sodi oppure alla Staggia con i più grandi, ma nel complesso il nostro raggio d'azione era piuttosto limitato. Eravamo un gruppo affiatato, tutti del paese, comprendente ragazzi nati tra il 1947 e il 1951 e ne facevano parte il sottoscritto, Giorgio Rossi, Mario Landi, Mario Ancilli, Enzo Stazzoni, Luciano Vettori, Pieraldo Riversi detto Robi, Roberto Mori, Fabio Francioni e qualche occasionale come Paolo Carletti del Leccino. Tra le citte comprese in quella fascia di età c'erano le mie cugine Lucia e Paola, Elina Volpini e Fiorella Guarducci che spesso facevano gruppo con le più grandi Anna, Lorenza, Mirella, Raffaella. Pur non mancando momenti in comune la distinzione era netta e le femmine giocavano per conto loro e noi per conto nostro, come del resto è sempre avvenuto. Il gioco del "Filone" ad esempio vedeva la partecipazione di tutti. Con una piccola piaccella, dopo aver disegnato in terra lo schema con le case numerate, si gettava e si saltava con la gamba zoppa per ore intere davanti al portone d'ingresso di casa Mori, in quello spazio libero davanti alle panchine. Sulle panchine si giocava a un altro "Filone", disegnando il quadrato e le linee interne incrociate con il gessetto o con una scheggia di mattone. Tra i due giocatori vinceva chi posizionava in fila per primo i tre sassi.
"Palla dorata" era un gioco d'abilità e consisteva nel lanciare una palla di gomma contro una parete e riprenderla eseguendo qualche difficoltà come toccarsi una tasca, toccare terra o fare un giro su se stessi, recitando la filastrocca: "Palla dorata - dove sei stata - dalla nonnina - cosa ti ha dato - una pallina - dove l'hai messa - nella taschina - falla vedere - eccola qua". Un originale gioco, forse esclusivo di Quercegrossa, si svolgeva nel giardino di sotto, in quegli arbusti dei quali non ho mai conosciuto il nome. Piantati come decorazione al tempo dell'Andreucci assumevano con una potatura ad arte la forma di una grande palla alta oltre due metri. Lì, sotto queste piante, si creavano le "case" e ognuno, ragazzi e citte, si adornava con le foglie staccate dalla pianta e collegate l'un l'altra con dei piccoli stecchi di fuscelli che diventavano cinture, sottane a strisce, corone in testa, cartucciere e altro secondo la fantasia del momento.
Emulando gl’indiani visti al cinema, si cavalcava una canna d'India a mo' di cavallo, con le briglie di corda per tenerla. Si scavallava correndo ore intere tra la polvere sollevata nella corsa, armati di spada, lancia e spesso di un arco di legno e frecce. L'arco, usato spesso con frecce fatte con le stecche d'ombrelli rotti, si rivelava pericoloso, ma nessuno rimase infilato se non un pollo di casa trafitto da parte a parte. Cercai poi di nascondere il misfatto alle donne di casa. Un rudimentale gioco era il "Pintapalle" costruito con una canna vuota di sambuco, stoppa e un manico che spinto con forza faceva partire un proiettile fatto di carta pressata.
Cerchio, cerbottana, mazzistrombola e laccini
Non poteva mancare il gioco del cerchio di una ruota di bicicletta, guidato con il “mandrillo”, che spingevi contento e con abilità nel farlo curvare soprattutto sull’asfalto a giornate intere secondo la moda del momento, come quando venne in uso la cerbottana con frecce preparate da fogli di quaderno tagliati in tre parti. Avvolgevi con arte il foglio e lo bagnavi con la saliva alla punta come collante, lo adattavi alla cerbottana, un semplice un tubo di ferro, e vi soffiavi lanciando la freccia a qualche decina di metri. In quei giorni ci vedevano girare con attaccati alla cintola un mazzetto di fogli come munizioni di scorta. Poi il gioco cominciava ad annoiare e ti dedicavi a qualcos'altro magari si riprendeva la "mazzistrombola", ossia la fionda, fatta con una piccola forca di legno e due lacci di gomma che da qualche parte riuscivi sempre a trovare. Un’altra arma usata per i nostri giochi guerreschi e per ammazzare le mosche era il fucile per i laccini di gomma, fatti da noi o acquistati a Siena. Un chiodino in cima alla canna, spesso una semplice tavoletta, e una forte molletta da bucato tenevano il laccino in tensione e bastava premere il dito sulla molletta perché partisse come un vero proiettile.
Figurine e tappini
Si giocava anche a figurine, per lo più alle panchine, e il gioco si svolgeva tra due o tre ragazzi che lanciavano alternativamente una figurina dall'alto della panchina e vinceva tutte le figurine in terra chi, con la sua, copriva una di queste. C'erano figurine della Ferrero, degli attori, dei calciatori ancor prima delle Panini.
Usava, quasi giornalmente, la gara con i tappini e le guerre con i soldatini di plastica trovati nelle confezioni della Ferrero. Sotto i giorni del palio, quando s’incominciava ad avvertirne il clima, erano d'obbligo i "barberi” con i colori delle contrade, con la pista disegnata in terra con le doppie mani che richiamava Piazza del Campo. C'erano in vendita allora delle bellissime confezioni di caramelle, e la carta di ogni caramella recava lo stemma di una contrada. Era un sogno possederle e lo stemma ritagliato veniva messo all'interno del tappino che così diventava una contrada nella polverosa pista. Altro gioco per i nostri diti erano le biglie trasparenti, con un colore all'interno, con le quali ci si sbizzarriva in numerosi modi.
Rocchetto
Uno dei giocattoli artigianali che piaceva ai più piccoli era formato da un rocchetto del filo da cucire, un laccino fatto con una vecchia camera d'aria, un pezzo di candela dello spessore di un centimetro, uno stecco di due centimetri e un manico sottile di legno. Il rocchetto, che assomigliava a un carrello, aveva un foro centrale nel quale passava il laccino tenuto tirato dalla cera e dallo stecco, da una parte, e da un manico di 15 cm dall'altra. Girando tante volte il manico, girava anche il laccino come una carica che poi svolgendosi dava il movimento al rocchetto. Da solo si muoveva avanzando lentamente facilitato anche dalla cera laterale che impediva l'attrito.
Gazzillori
Esistevano le presure, piante simili ai carciofi coltivate a grossi fasci, usate per fare il cacio, sulle quali volavano numerosi insetti e dove si catturavano i famosi "Gazzillori", ossia i coleotteri con il dorso verde. Legato un filo a una delle gambe e lanciato per aria il gazzilloro volava in cerchio trattenuto dal filo. Per noi era un divertimento, ma lasciava un puzzo orribile nelle mani.
Non dimentichiamo i fucili a scatto che sparavano tappi di sughero, o le pistole con i fulminanti di plastica, ottenuti con tanto sudore speso per convincere i genitori a comprarli, magari alla fiera. Se una Befana andava bene ricevevi una macchinina, oppure il trenino desiderato da tanto tempo, con le verghe che formavano un cerchio sul quale giravano all'infinito la locomotiva con la carica e due vagoni di latta.
Con questi "balocchi" trascorrevi le giornate intere e rimaneva poco spazio per altre occupazioni come fare i compiti o aiutare da qualche parte.
In parrocchia
Con la frequenza al catechismo s’incominciava a prendere contatto con i giochi messi a disposizione nella ricreazione da don Ottorino, e con i quali si trascorrevano momenti di vera letizia. Erano giochi che alcuni possedevano a casa, ma più eccitante era giocarci in tanti, cambiando continuamente. C’era un grossa trottola che girava veloce, ma anche annoiava altrettanto velocemente. C'erano poi le costruzioni fatte di pezzi di legno con i quali esercitavi la fantasia, il gioco dell'Oca con i dadi, lo Shangai con tante stecche colorate, le Pulci, da giocare su un panno verde, i Birilli con la regina colorata diversamente, la corda per saltare, le costruzioni in legno, forse le più usate, la dama dalla cornice metallica e le caselle sempre più stinte dall'uso. All'aperto, sotto gli archi della chiesa o nel giardino si giocava ai "Quattro cantoni" spostandosi velocemente da un albero all'altro cercando di non farsi prendere. Con la vecchia palla di gomma andava di moda la "palla avvelenata", e dovevi colpire i ragazzi in movimento. Altri momenti per giocare insieme erano il "Saltancenci", detto così perché saltavi una fila di ragazzi piegati a 90 gradi, e lo "Sbarbacipolle", dove si tentava di staccare una persona da una fila nella quale si tenevano a vicenda ben stretti. Andava bene anche il "Toccoferro" con il "cane" che cercava di chiapparti, mentre cercavi un ferro qualsiasi da toccare. Chi poi non ha giocato a “nascondino”, o a “Uno... Due... Tre... Stella”, muovendosi senza farsi vedere oppure a “Rubabandiera”, quello col fazzoletto e due squadre, molto diffuso tra i gruppi giovanili.
Lungo la strada principale era usanza fare il “gioco della corda” con una fune di tre quattro metri, dove si saltava anche tre o quattro per volta, mentre due la giravano.
Anche “Mosca cieca” aveva la sua parte: un ragazzo con gli occhi bendati doveva toccare gli altri che gli sfuggivano. Molti di questi giochi finivano con la “penitenza” fatta al malcapitato con grosse busse sulla schiena, mentre gli veniva chiesto di scegliere tra "Dire, fare, baciare, lettera o testamento?". Alcune di queste penitenze erano originali e spesso vertevano sulle prime simpatie affettive che nascevano tra di noi: "Vai a dare un bacio a...", "Vai a dire a tizia che..", oppure "Fai tre giri della chiesa", ecc.
Girotondo
C'erano poi gli immancabili "Girotondo" fatti dove capitava, dal curato, sulla strada, oppure in piazza quando nelle fresche serate d'estate un nugolo di ragazzi dai più grandi ai più piccini sciamavano dalle case e si ritrovavano insieme a fare il girotondo, festanti, mano nella mano: "Giro giro tondo, il pane è cotto in forno, un mazzo di viole, si danno a chi le vuole, le vuole la sora Sandrina, s'inginocchi la più piccina”. E tutti giù per terra. Altro famoso girotondo era quello cantato da ragazzi e citte che formavano un grande tondo, mentre uno girava intorno dicendo: "Oh quante belle figlie Madama Doré, oh quante belle figlie. Me ne daresti una Madama Dorè, me ne daresti una". Il tondo più grande rispondeva: "No, no che un te la diamo Madama Dorè, no, no che un te la diamo". Oppure: "Che cosa ne fareste madama Dorè, che cosa ne fareste". Si continuava con: "La vorrei maritare Madama Doré, la vorrei maritare". "A chi la maritereste Madama Doré, a chi la maritereste". E qui la fantasia si sbizzarriva: "La mariterei al principe di Spagna, madama Dore, la mariterei al principe di Spagna". Oppure al colonnello o qualsiasi altro fosse anche un postino o un generale tutto andava bene. A questo punto c'era una prescelta che andava a unirsi all'altro tondo che aveva fatto la richiesta, e si riprendeva da capo. L'altro, conosciuto universalmente, era "Maria Giulia". Sempre in circolo si accompagnava il canto con dei movimenti suggeriti dal testo: "Maria Giulia, da dove sei venuta, alza gli occhi al cielo, fai un salto, fanne un altro, fai la riverenza, levati il cappelletto, guarda in su, guarda in giù, dai un bacio a chi vuoi tu!".

Ragazzi in piazza a Quercia. Da destra Luciano Vettori,x, Donatella Barucci, Lara Cappelletti ed Elina Volpini.

Esistevano alcune varianti ai girotondi che venivano svolte ugualmente in circolo, in piedi, ma senza contatto con le mani, come quello in cui uno girando all'esterno, a passo svelto, lasciava cadere un fazzoletto o un oggetto, possibilmente senza farsi notare, dietro a un qualsiasi altro componente il circolo. I due dovevano subito partire a corsa, in direzioni contrarie per occupare quel posto segnato dal fazzoletto caduto. Chi arrivava secondo riprendeva a girare per lasciare cadere di nuovo il fazzoletto. E così via. Variante più semplice era che mentre giravi svelto intorno al cerchio toccavi uno, ed era con lui che ti dovevi guadagnare il posto correndo come sopra. "Chiudi, chiudi, a cento chiavi", si giocava con uno di noi che passando dietro a tutti quelli che formavano il circolo, con un buffo movimento della mano vicino a sedere diceva: "Chiudi chiudi, a cento chiavi", poi... non ricordo. Il gioco della mano consisteva nel mettersi in circolo con le mani giunte avanti e uno, con un piccolo oggetto tenuto nelle proprie mani, passava da tutti e lo lasciava cadere, senza farsi vedere, nelle mani di qualcuno e... via a corsa. Si fa a "Pugnino più in su", suggeriva uno, e allora in due o tre, per qualche minuto s’impiegava il tempo a mettere ognuno il pugno sopra quello l'altro, sempre più in alto. Era un infantile gioco insegnato ai più piccoli dalle mamme per strappare un sorriso. A questa categoria apparteneva "Puntino". Si giocava in due prendendosi con le mani incrociate e camminando entrambi in avanti con passo svelto, si recitava la filastrocca: "Zigolinetta, Zigolinetta, l'uomo di fori, la donna in cassetta. Quando Beppino faceva le scarpe, ogni puntino faceva così". Allora con un deciso tirare di braccia si cambiava direzione e si riprendeva da capo la filastrocca in grande allegrezza. Negli anni dopoguerra vennero di moda le corse coi carretti nel boschetto dell’Arginano in una pista tracciata fra cespugli e ginepri I carretti, preparati dai ragazzi, si sfidavano tra un numeroso pubblico di giovani e meno giovani e tutto finiva in una merenda. Fra le molteplici iniziative nel circolo parrocchiale spicca quella del "Musichiere", scopiazzando lo spettacolo nazionale allora di gran moda. Vide in gara alcuni ragazzi e citte i quali, due alla volta, si sfidarono a eliminazione. Era il 1958, l'anno di "Fragole col cappellino" cantato da Claudio Villa. Cambiata posizione alle seggioline del cinema per dare spazio e due sedie per i concorrenti i ragazzi si cimentarono pronti a correre e suonare per primi la campanella e dare la loro risposta. La sala era piena, e partecipai anch'io, ma venni eliminato dal mio cugino Fabio. Seppi il giorno dopo che aveva aiutato don Ottorino a preparare le canzoni. Aveva indovinato una sconosciutissima canzone chiamata "Caravan Petrol".
Per concludere rifletto con malinconia su quei lontani e spensierati anni, quando tutto il nostro agire era spontaneo, senza animatori, senza tanti vincoli organizzativi, ma solo propositori a turno che instancabilmente ruzzavano fino a tardi. Soltanto i berci a squarciagola delle mamme, affacciate alle finestre o alla porta del giardino, ricordavano loro l’ora di cena o almeno di rientrare in casa.
Cose

Biciancole


Nel piazzale adiacente al circolo ACLI don Ottorino fece mettere l'altalena formata da due solide colonne tonde e una robusta trave, dove i ragazzi passavano lunghe ore serene. Naturalmente l'altalena, o secondo il nostro dire: "le biciancole", era un passatempo molto diffuso e non c'era bambino che non ne avesse una vicino casa fatta con una semplice corda, non sempre affidabile, e una tavoletta mobile. Nel giardino di sotto dei Mori ne esisteva una altissima con una robusta fune attaccata al ramo di un’alta pianta che permetteva voli spericolati. In piedi, forzando sulla tavoletta ti davi la spinta e arrivavi a 3/4 metri da terra, fino a rischiare di capovolgerti, ma il pericolo non era avvertito dalla nostra giovanile incoscienza.

L'altalena per i ragazzi della parrocchia intorno al 1953. Da destra: Pierino, Pierugo, Giulio sull'altalena, Lorenzo, Franco Domenico Marcello e Bernardo. Sopra, la mi’ cugina Gabriella Rossi si diverte con Carla e Lorenza.



Inizio pagina

Capitolo successivo Carnevale

Indice Cose d'altri tempi

Vai all'Indice dei Capitoli