DAI LORENA AI NOSTRI GIORNI
testo ripreso da libro: "Siena, il Palio" di Giulio Pepi, edito dall'Azienda Autonoma del Turismo
Nel 1737 si spense la dinastia dei Medici, non troppo rimpianti dai
senesi anche se, pur essendo occupanti, avevano dato palesi dimostrazioni
di rispetto e di favori verso la città. Qualche Governatore aveva finito
con l'amarla davvero, come il Principe Mattias: alla sua morte volle
che i suoi visceri fossero sepolti in Provenzano mentre il corpo,
imbalsamato, fu trasportato in San Lorenzo a Firenze. Tuttavia, la
perdita della libertà era uno "sgarro" troppo grosso, perché non avesse
pesato nel ricordo e nella favorevole disponibilità della gente.
Subentrarono al trono del Granducato, gli Absburgo Lorena che governarono
saggiamente e con spirito illuministico di riforme e progresso, per
oltre un secolo, fino all'annessione della Toscana al regno di Vittorio
Emanuele II. Un particolare vincolo di simpatia legò sempre Siena ai
nuovi regnanti, particolarmente a Ferdinando III (che veniva
puntualmente al Palio quasi ogni anno, prendendovi dimora tre giorni
avanti in modo da assistere a tutte le operazioni preliminari) e a
Leopoldo II. Ma anche Pietro Leopoldo, "pur rilevando vari difetti dei
suoi sudditi senesi, riconobbe che il loro attaccamento alle vecchie
magistrature repubblicane e alle antiche tradizioni serviva "ad
animare l'unione tra la gente del paese e darli un certo amore per la
patria che non si trova che in Siena".
Nel 1761 la Civetta, vincendo il Palio di luglio e d'agosto, conquistò
il primo "cappotto" della storia. L'ultimo è stato quello del 2016 della Lupa (vedere qui la statistica di riferimento su tutti e 17 i Cappotti).
La dominazione dei Lorena comprese periodi di grandi mutamenti e
affanni. Nel 1799 Siena fu occupata dalle truppe francesi di Napoleone
nel marzo, e successivamente liberata dall'insurrezione legittimista,
nel giugno dello stesso anno.
I francesi tornarono creando, nel 1801, l'effimero Regno d'Etruria con
Lodovico I di Borbone, che Siena ricorda per aver approvato, il 21
luglio 1802, la deliberazione con la quale la Comunità Civica si
assumeva il coordinamento e le spese - stabilizzandolo - del Palio "alla
tonda" del 16 agosto. Lui morto nel 1803, salì al trono il figlio Carlo
Lodovico sotto la reggenza della madre Maria Luisa di Spagna.
Anch'essa fu tra gli ospiti di Siena e si appassionò talmente al Palio
che, appena terminato quello del 16 agosto 1804, ne chiese un
altro. Poiché il Gonfaloniere Bargagli opponeva alcune difficoltà
(come succederebbe anche oggi) la regina si rivestì della sua autorità
e ripetè con tono di perentorio comando: "Lo rivoglio!". Al Gonfaloniere
non rimase altro che chiedere: "E quando Vostra Maestà lo desidera?"
"Lunedì 20 agosto". E il 20 agosto venne corso lo "straordinario".
Aneddoto piuttosto significativo, che testimonia la facilità con la
quale "il mal del Palio" può contagiare al primo approccio. Certo è
che i senesi furono assai lusingati di questo attestato, come lo erano
stati nei secoli precedenti di fronte ai giudizi dei "grandi" di tutti
i tempi. Come lo furono per la presenza di Maria Teresa Imperatrice
d'Austria, di letterati, uomini d'armi e di scienza.
Vittorio Alfieri dedicò al Palio due sonetti il 16 agosto 1783 e Elisa
Baciocchi Bonaparte, creata Granduchessa di Toscana nel 1809 (dopo due
anni di annessione diretta all'Impero francese), si commosse assistendo
al Palio del 14 maggio 1809, svoltosi esclusivamente in suo onore.
Anche il secolo XIX fu importante per la vita delle Contrade e del
Palio. Gli avvenimenti politici non passavano troppo alti sopra le
teste.
Le Contrade, "communitas" popolari, riflettevano le tendenze dei loro
tempi, giuste o errate che fossero. Non solo, ma perfino i colori
finirono per essere considerati simbolo di fazione politica. La Pantera,
con il rosso-celeste-bianco, ebbe le simpatie dei francesi e dei
giacobini, contrariamente all'Aquila e alla Tartuca: la prima per lo
stemma degli Asburgo, la seconda per i colori di casa d'Austria
giallo-neri. Per disperazione li cambiarono: tre volte l'Aquila (anche
in occasione della prima guerra mondiale, quando prese, per breve tempo
fortunatamente per la storia, l'aquila romana), e la seconda per due
volte: nel 1847 (giallo-bianca) e nel 1858 (giallo-azzurra), colori che
anche oggi mantiene. L'Oca si vide costretta a mutare il rosso in rosa
accanto al bianco-verde, perché il simbolo dell'Italia unita era troppo
evidente e inquietante. Ma fu un cambiamento passeggero. Anche in tempi
recenti alcuni hanno voluto veder rispecchiare nell'Oca o nella Torre,
idee diverse e in qual modo contrastanti. Ma è stato solo un residuo del
"romanticismo" alla Byron, presto svanito.
Nel corteo, ai carri allegorici si sostituiscono "comparse" appiedate
e inquadrate militarmente, con costumi a "invenzione ", sempre
combacianti con i colori della rispettiva Contrada.
Non mancavano mai, in apertura, l'alfiere o gli alfieri con bandiera
(con i loro virtuosismi perfezionati e complicati) e il tamburo (qualche
volta il trombettiere ).
Già era iniziata tuttavia una certa propensione al richiamo
rinascimentale: al periodo nel quale le "nuove" Contrade si erano
mostrate con i nomi e gli stemmi attuali (i colori mutarono, a volte
nettamente).
Il passaggio, come avviene per le antiche tradizioni, fu graduale. Ci
fu perfino un addentellato con la foggia militare piemontese alla metà
del secolo (e solo per il Palio di luglio, ritenuto un capello meno
importante di quello d'agosto per la Festa dell'Assunta).
Fu la Contrada del Bruco a presentarsi per prima, nel 1871, con i
costumi della comparsa che potevano porsi fra il XIV e il XVI secolo.
Nel 1879 tutte le Contrade seguirono questa iniziativa valendosi, per
i disegni, di valenti artisti (il Drago e l'Onda di Alessandro Franchi,
la Tartuca di Luigi Mussini, la Lupa di Egisto Paladini ecc.).
Nuovi ritocchi vennero fatti sia all'armamentario tecnico del Palio
(prima uno e poi due canapi alla partenza, i materassi alla curva di
San Martino, la regolamentazione delle prove, l'obbligatorietà del
fantino di intervenire al corteo su un cavallo diverso da quello con il
quale avrebbe effettuato la corsa, la precisa ripartizione dei colori
sulle vesti del fantino ecc.) sia alla normativa, che si arricchiva
delle esperienze.
Le stesse Contrade si rafforzarono istituzionalmente, spingendosi
anche a commissionare opere di alto artigianato per gli arredi della
Chiesa o delle sale delle adunanze dove si vollero esporre tutti i
cimeli, i drappelloni, il materiale di archivio.
Anche la loro opera in campo sociale fu attenta e all'avanguardia, con
la fondazione di "società di mutuo soccorso", capaci di intervenire per
l'assistenza e la previdenza ai contradaioli, specialmente operai o
artigiani, ancora lasciati in balìa della sorte e, qualche volta, delle
altrui prepotenze e rapacità.
Particolarmente sensibili - come appare scontato essendo parti del
tutto - alle vicende cittadine e nazionali, non mancarono mai di
esprimere l'orgoglioso ma anche il generoso spirito di solidarietà
nelle sventure e nelle guerre (nel 1848 il Palio venne sospeso, e così
nel 1859 e nel 1866, anni nei quali le Contrade raccolsero e versarono
denari e provviste per i soldati), l'esultanza in occasioni di comune
letizia, la sollecitazione o la protesta in circostanze critiche, come
la paventata e rientrata soppressione dell'Università degli Studi
nel 1893.
Si formarono o si consolidarono le "aggregazioni", si approfondirono,
purtroppo, anche le rivalità come quelle, molto forti, fra Oca e Torre,
Onda e Torre, Selva e Pantera (tutte costellate di gravissimi incidenti
e di qualche omicidio), Chiocciola e Tartuca (che in diverse occasioni
tentarono di "far pace" senza riuscire nell'intento).
La lista degli ospiti si arricchiva dei nomi di Carlo Alberto (ancora
Principe), di Vittorio Emanuele II, di Giuseppe Garibaldi che volle
simpaticamente donare al fantino vittorioso una sua fotografia con
dedica, di Umberto I e Margherita.
La visita della coppia reale, che si protrasse dal 16 al 18 luglio 1887
(per l'occasione, il Palio del 2 luglio venne rinviato di quattordici
giorni) ebbe un notevole rilievo dal punto di vista storico-araldico.
L'interesse dei sovrani fu enorme. Essi visitarono diverse Chiese e
sedi di Contrade (lapidi marmoree ricordano tale avvenimento) e
assisterono al Palio con schietta ammirazione. Verso la marchesa di
Villamarina, che era seduta accanto, la Regina esclamò: "Pare di
svegliarsi da un sogno e di aver vissuto un giorno in un'altra età".
Francesco Crispi, che era al seguito quale Presidente del Consiglio dei
Ministri, nel congedarsi dai rappresentanti cittadini ebbe a confessare:
"A Siena ho fatto due cose che da lungo tempo non avevo fatto: sono
stato alla Messa e ho pianto".
Il Re, quale attestato del suo compiacimento, emanò diciassette decreti,
regolarmente registrati dalla Consulta Araldica, con i quali concedeva
ad ogni Contrada di apporre, sul proprio stemma, un simbolo della Casa
Savoia.
Profondamente affezionato al Palio, fu il figlio Vittorio Emanuele III,
costantemente presente - in forma privata - da una finestra del Palazzo
Comunale fino al 2 luglio 1939, penultimo Palio corso prima della
seconda guerra mondiale.
Era così profonda la sua conoscenza della storia e della vita senese,
erano così complete e aggiornate le informazioni sulle Contrade, i
cavalli, i fantini, che facilmente attecchì la favola che lo voleva
nato a Siena e scambiato nella culla con la femmina che avrebbe
partorito la Regina (una leggenda ricorrente nella storia delle
monarchie governate dalla legge salica).
Dopo lui saranno i Presidenti della Repubblica a presenziare al Palio:
Einaudi, Gronchi, Leone, Pertini. L'elenco, sintetico ovviamente, è
destinato a prolungarsi finché i senesi saranno a Siena e Siena resterà
la città dei senesi. Cioè di coloro che vivono di intelletto e di cuore,
privilegiando certi valori di universale armonia e sentimento
(indipendentemente dal certificato di nascita o di residenza) e
rifiutando l'involuzione collettiva di un progresso tecnologico senza
civiltà e di una piatta concezione elettronica e cristallizzante
dell'esistenza.
|
TUTTI I CAPITOLI DEL LIBRO
|
|