CAPITOLO II - FAMIGLIE DEL '900

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SABBATINI (1925-1929); mezzadri; Quercegrossa.
Sabbatini Bernardo fu Angiolo con famiglia di tre persone venne radiato da Quercegrossa nel febbraio 1929. Abitavano il podere di Giotto in “Quercegrossa di Sotto” almeno dal 1925 perché in quell’anno, il 25 luglio, si registrò la morte di Angelo del fu Giuseppe Sabbatini e della fu Giulia Trapassi coniugato a Maria Benocci. Lasciarono il podere ai Palazzi e si diressero in tre verso Castellina in Chianti. Certamente furono i primi ad occupare le nuove case di Giotto.




SANCASCIANI (1911 - 1928/29); mezzadri; Belvederino;
dalla Casanuova della Torre. Nel 1911 Pasquale Sancasciani fu Niccolò e Carolina Lazzeri si spostava dalla Casanuova della Torre, del popolo di Vagliagli, a Belvederino. Dodici anni dopo sono sempre presenti se lo stesso Pasquale vi muore il 12 ottobre del 1923. Il figlio Niccolò, chiamato come il nonno, risultava capofamiglia al censimento del 1921. Appena tornati a Belvederino vi era deceduta la sorella di Pasquale, Luisa di 65 anni. Non ci sono altri dati. La loro partenza è ignota come il posto verso il quale si diressero. E’ difficile anche accertare una loro parentela con i Sancasciani che per tutto l’Ottocento avevano abitato alle Gallozzole.




SANI (1901-1903); salariati; Castellare.
La piccola famiglia di Pietro Sani dimorò per due anni esatti al Castellare al servizio della fattoria. Pietro aveva già 54 anni ed era nato a Sovicille ed entrò accompagnato dalla moglie Assunta Palliantini, due figlie, Rosa di 15 anni e Soccorsa di 7, e un fratello di 49 anni, Stefano. Partirono senza lasciare altri segni della loro presenza.




SANLEOLINI (1935 - p. f.); mezzadri/minatori; Maciallina/Quercegrossa; da Canale di Lilliano.
Famiglia contadina di origini aretine, come testimonia la nascita dell’avo Antonio avvenuta a Presciano (AR) nell’anno 1874, giunse nel nostro popolo nel 1935. Il 31 gennaio di quell’anno battezzarono Ottorino, l’ultimo nato, a Rencine di Castellina in Chianti, e un mese dopo partivano per Maciallina, la loro unica e ultima residenza da mezzadri a Quercegrossa. Antonio, figlio di Giuseppe, aveva preso moglie a S. Marcellino in Chianti nel 1902 sposando Letizia Parigi. La famiglia Sanleolini si era probabilmente trasferita in epoca imprecisata nel territorio del Chianti senese. Infatti Letizia diede ad Antonio due figli, Settimio e Gino nati entrambi a S. Felice. Anche Gino, del 1904, si sposò e lo fece nella chiesa di S. Felice unendosi nel 1926 a Ernesta Mori da Gaiole. Pochi anni dopo, nel 1931 un fratello di Antonio, Luigi, fa la sua comparsa sul territorio di Monteriggioni andando ad abitare a Lornano con la nipote Luisa, provenienti dal Comune di Siena. Luigi si spegnerà a Lornano nel 1938 all’età di 68 anni vedovo di Serafina Veneri. La comparsa di Luigi si spiega col fatto che alla Casanova di S. Felice la famiglia si era divisa e Luigi aveva preso la sua via. Con il babbo Antonio erano rimasti Gino, Settimio e Rino. Quest’ultimo, nato nel 1910, a sua volta, al momento di tornare a Quercegrossa o poco prima, aveva abbandonato i campi per la miniera e si trovò un’abitazione propria nel palazzo di Giotto in Quercegrossa. Trovò anche moglie e si sposò a Lornano nel 1936 con Dina Leoncini di Castellina in Chianti e senz’altro in quell’anno era gia tornato alle Badesse. Ebbe un figlio che con gli anni divenne Guardia della fattoria di Lornano. Luigi poi si trasferì a Poggibonsi e lì fini la sua avventura umana. Divisa dunque la famiglia a S. felice, Gino con i genitori si sposta a S. Regolo. E’ camporaiolo del prete di quella parrocchia e, oltre a coltivare il podere, gli sistema la stalla e la cavalla. Ma il podere era piccolo e lasciano per portarsi alle Macie di Lecchi dove restano per tre/quattro anni per poi trasferirsi, con un bel salto, al podere Canale di Lilliano. In questi due posti si sposarono le sorelle di Gino: Rina alle Macie ed Elina a Canale. Entrambe tornarono con i mariti a S. Felice. Al podere Canale la vita era quella normale di una famiglia di contadini, ma accade un curioso fatto che contribuì ad una nuova partenza. La nonna Letizia era assidua alla messa domenicale e vi si recava a piedi superando il torrente Gena. Quella mattina la piena gli impedì il passaggio e Letizia rimase senza messa. Dispiaciuta di ciò, arrivata a casa gridò ai suoi: "Da qui vo via anche morta". Passavano a Canale i soliti treccoloni che vennero a conoscenza della volontà dei Sanleolini di andarsene. Parlando con uno di essi seppero che a Quercegrossa c’era un nuovo podere: "C’è un podere che ci campate d’aria, dissero, e ci si venne". Erano rimasti a Canale due anni. Trovarono a Maciallina il ragioniere Tredici che amministrava per conto del Vegni, che gli fa scegliere il podere. Scelsero quello dalla parte dei campi e non della strada. Tutta la costruzione era stata rinforzata e ingrandita per due famiglie e aggiunti nuovi ambienti: stalla, cucina e camera. Nell’anno 1935 dunque i Sanleolini fecero entratura a Maciallina II. Gino 30enne è il capoccio di una media famiglia formata da nove persone: vi sono i genitori Antonio e Letizia, lo zio Settimio soprannominato "Il Biondo", la zia Palmira, e il suo piccolo nucleo familiare già consolidato perché non vi saranno più nascite: Alda del 1926, Leda del 1931 e Ottorino del 1935 sono i suoi tre figli. Palmira era "la zi’ Palmira", vedova di un altro fratello di Antonio. Era stata a servizio e dopo la morte del marito fu presa in casa da Gino. Donna energica, lavorava come un uomo e sapeva fare il formaggio a marzolino o forma come nessun altro “Non fu mai un peso per noi”. Aveva anche dei risparmi che gli finirono a S. Gusmè, dove morì. Nel decennio successivo, quello della guerra e del cambiamento, alla crescita dei ragazzi si unirono le perdite del nonno Antonio nel 1942, di Palmira Burrini, e nel 1948 lasciò la casa Alda o Aldina sposata a Guistrigona con Alberto Nannicini. Da quella data i Sanleolini restarono in quattro fino alla fine. Anche Settimio se n’era andato: visse una vicenda personale un po’ intrigata e anche sofferta che merita di essere raccontata: semplice nelle sue linee ma di esempio per quegli anni. Della classe 1917, era di leva a Messina nel 1938/39. "Uomo boncitto e un po’ alla cogliona" faceva l’attendente ad un capitano e vi rimase anche con lo scoppio della guerra. Conobbe una famiglia dove la nuora era rimasta vedova di guerra e Settimio si era invaghito di lei. Ma la suocera "le fece di tutti i colori" per farlo desistere, anzi, in alternativa alla nuora lo convinse a sposare una ragazzina. E così fece Settimio che si sposò, si congedò e torno a casa con la moglie. Ma a casa non poteva stare, erano tempi di miseria. Decise di tornare dal suo capitano a Messina che gli trovò lavoro a fare il panaio. Da allora "fu tutta una trafila". veniva la suocera con la moglie, poi ritornavano giù e così via. Alla fine abbandonò Messina e prese dimora a Belvederino e successivamente a Poggibonsi fuggendo dalla campagna. Andò in pensione e morì verso il 1970 dopo aver messo al mondo diversi figlioli. Era un gran fumatore ed un ottimo bevitore: morì di cirrosi epatica. Chiusa la parentesi del fratello Settimio, troviamo Gino intento al suo podere. Per questo si avvale dell’aiuto di Geppino di Losi che aveva ingaggiato come garzone e di un certo Palle di Siena, del Montone. "Aveva fatto tutte le fosse delle viti e dava una mano. Continuò a venire da noi anche da vecchio e ci dormiva ... fra tutti si tirava avanti". Maciallina come podere finì negli anni 1962/63 quando il nuovo padrone Granelli chiuse la stagione della mezzadria per un’attività industriale. Gino e il Lorenzetti li tenne ancora per due anni circa come operai, poi li spostò, entrambi senza affitto, nella nuova costruzione a ridosso della strada statale. Messo mano alla costruzione poderale, la sventrò completamente per adeguarla alle nuove esigenze. Nel 1964, il 22 ottobre Leda sposava Adelmo Finetti di Macialla. Il fratello Ottorino detto ”il dottore” visse fino al 1978. Morì il 10 giugno a 47 anni e mise fine ad una vita tormentata a causa della sua costituzione minorata, ma alla quale reagì serenamente dando un senso di normalità alla sua esistenza. Fu uno dei personaggi più conosciuti e amati del dopoguerra. Nessuno gli fece mai pesare la sua condizione. Col passare degli anni anche i due anziani genitori terminarono il loro tempo: Gino nel 1991, nella casa di Maciallina, Ernesta nel 1995, presso la figlia Leda. Si chiuse così la pagina della storia dei Sanleolini, durata oltre mezzo secolo.




SARCHI (1935 - Residente); salariati/mezzadri/possidenti; Magione; dal Bozzone.
Particolarissima è la storia di questa piccola famiglia che nell’arco di trenta anni modificherà la sua condizione sociale in maniera del tutto insolita, trasformandosi da salariati a contadini, poi di nuovo salariati e infine a possidenti di quel podere, la Magione, dove erano stati ingaggiati dal Soldatini nel 1935. Si può affermare, senza nulla togliere ai meriti della famiglia Sarchi, che il Soldatini, come vedremo, sia stato un po’ l’artefice di questi cambiamenti. Infatti, un decennio prima della guerra, verso il Bozzone ha in affitto la villa Tavernacce con le sue terre e Ottavio, allora 30enne, gli fa da salariato, abitando al Bozzone. Cesare Soldatini comprò la Magione il 31 dicembre 1934 e volle portare subito i Sarchi come operai nel nuovo podere, avendone provato la laboriosità e l’onestà. Allora la Magione si presentava con strutture più ridotte per quanto riguardava la costruzione a Ovest, staccata dal massiccio corpo originale, e lì, in quelle che saranno più tardi le case del Sequi, si insediò la nuova famiglia di salariati: "e poi incominciò a darci le terre (si incomincio con poco più di un ettaro) poi si misero le bestie e si tornò nell’attuale abitazione", e avvenne la trasformazione in mezzadri. L’arrivo dei Sequi nel 1940 causò il cambio di abitazione ai Sarchi che si spostarono nell’antica costruzione principale. La famiglia Sarchi dimorava alla fine dell’Ottocento nel popolo di S. Marcellino in Chianti dove Vittorio, coniugato con Caterina Salvini, vide nascere i suoi figli a cominciare da Erminia nel 1891 alla quale seguì Rosa l’anno successivo, poi Erminia (1898), Pasquale (1900), Luisa (1903) e infine Ottavio. Il capoccio Ottavio prese in moglie Olga Bruni con matrimonio celebrato a Lucignano il 14 aprile 1929. Olga, nata a Villa a Sesta, gli partorirà tre figli: Mauro nel 1930, nato a Bossi, dove sono le miniere di lignite, e battezzato a S. Piero in Barca, Vittorio che nasce a Quercegrossa nel 1937, ma visse soltanto 25 giorni, e Luciano nel 1945. Nel dopoguerra trascorsero anni di lavoro e vissero la crisi del sistema mezzadrile che poteva allontanarli per sempre dalla Magione. Il proprietario Soldatini aveva dato in affitto il podere prima al Calonaci e poi al Tacconi e le nuove condizioni non prevedevano contadini ma solo operai salariati. Ottavio rimase con Luciano, mentre Mauro, che il 21 settembre del 1959 si era sposato a Quercegrossa con Novilia detta “Maria” dei Bardelli delle Gallozzole, tornò con la moglie a Siena nel 1960 dove divenne commerciante. Accadde poi che il Soldatini nel 1966 si riprese la conduzione della fattoria, e fu allora che Mauro rientrò in famiglia alla Magione con mansioni di operaio agricolo. Ma la grande novità di quell’anno fu la volontà manifestata dal Soldatini di vendere i poderi della Magione. Grato e riconoscente, ma anche obbligato dalla Legge, interpellò per primi i suoi vecchi contadini. Non si sa quanto sia stato sofferto questo passo che richiedeva un impegno economico non trascurabile. Sappiamo soltanto che trovato l’accordo, l’anno successivo firmarono il contratto e i Sarchi divennero proprietari di quelle terre che trenta anni prima Ottavio, da sottoposto, aveva guardato con altri occhi. Ottavio morì alla Magione a 77 anni, l’11 agosto del 1983. A Mauro e Maria erano nati negli anni Sessanta Marino e Gabriele e la vita continuò anche alla Magione, ma questa volta da padroni.

La famiglia Sarchi alla Magione. Da sinistra Maria e Lorena Bardelli con il cugino, Gabriele, Mauro, Marino (in basso), Luciano, Olga e Ottavio.







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