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- STORIA DELLE PARROCCHIE DELLA CITTA' DI SIENA -
A CURA DEL PROF. FRANCO DANIELE NARDI

1. PARROCCHIA DI S. AGATA

La chiesa di S. Agata era nel XII secolo annessa alla pieve di Lucignano di Val d'Arbia. Il 2 aprile 1284 il pievano Cavalcante e il canonico Ugolino, alla presenza del vescovo di Siena, dimostrarono che essa, per la tenuità delle rendite e per la scarsa popolazione, non poteva essere provvista di sacerdote, pertanto ne chiesero l'unione in perpetuo alla vicina chiesa degli Agostiniani, con obbligo del servizio religioso. L'approvazione venne decretata il 10 aprile dello stesso anno dal vescovo Rinaldo Malavolti. Il territorio della parrocchia comprendeva la zona di S. Agostino fino alle porte dei Tufi e della Giustizia. Nel 1785, il parroco Niccolò Ricci rilevò che vi erano solo 103 anime (femmine 45, maschi 34, impuberi 24) "tutte povere e bisognose di guadagnarsi quotidianamente il pane"; ciò rendeva impossibile l'erezione di un'autonoma compagnia laicale di Carità a norma degli ordini sovrani. Si pensò allora di unirla alla vicina cura di S. Mustiola alla Rosa retta da un monaco camaldolese, costituendo una comunità di 570 anime, considerata sufficiente "a eseguire le giuste mire del R. Sovrano che più volte aveva richiesto la diminuzione delle cure perché il popolo più unito e con maggior fervore adempisse ai doveri di religione". Inclusa nel complesso di S. Agostino e sconsacrata, la cripta di S. Agata fu trasformata in palestra nella seconda metà dell'Ottocento. Accoglie oggi la mensa universitaria.

B. Spinelli, "Notizie storiche delle due parrocchie di S. Agata e di S. Salvatore in S. Agostino di Siena" in Archivio arcivescovile di Siena (=AAS), 76; A. Fiorini (=A. FIORINI), Siena. Immagini, testimonianze e miti nei toponimi della città, Siena 1991, p. 276; G. CATONI - S. FINESCHI, L'Archivio arcivescovile di Siena, Roma 1970 (=G. CATONI - S. FINESCHI), p. 50.

2. PARROCCHIA DI S. ANDREA APOSTOLO

Sorta come foranea, la chiesa è ricordata nel Costituto del Comune del 1262, anche se le fonti ne attestano l'esistenza già dal 1175. Spesso gli storici confondono la sede parrocchiale con l'ospedale annesso e con le istituzioni che le furono appresso, cioè gli oratori e Compagnie di S. Onofrio e di S. Lucia o S. Maria della Stella. I documenti attestano che il B. Alberto da Chiatina prese il governo della chiesa nel 1173 per rinunciarvi due anni dopo e che nel 1289, essendo prossima al crollo per le gravi lesioni, fu restaurata grazie all'interessamento di Rinaldo Malavolti vescovo. Il Gigli riporta che nel 1320 la famiglia Salimbeni fondò nei paraggi uno spedaletto col titolo di S. Andrea, scambiando quello che fu l'ospedale annesso alla cura, in seguito dedicato ai SS. Andrea e Onofrio, con l'istituto per gli illegittimi della nobile casata. A causa della sua particolare posizione, la chiesa esercitò in epoca medioevale un ruolo importante rispetto alla città perché era l'unica della zona con fonte battesimale. Nel 1554, in seguito alla demolizione del monastero di S. Chiara, sito nel distretto parrocchiale di S. Niccolò a Maggiano, accolse quelle religiose che vi dimorarono fino al 28 ottobre 1596, quando furono trasferite al convento dei SS. Giacomo e Filippo all' Abbadia Nuova presso porta Pispini. Dopo aver ospitato nella seconda metà del secolo XVII i Carmelitani scalzi, nel 1708-1709 fu concessa ai preti regolari dell'ordine di S. Filippo Neri e nuovamente conferita a un sacerdote secolare nel 1754. Nel 1718 il curato P. Bernardino Piccolomini così indicò i confini della parrocchia: "A mano sinistra arriva a tutto il palazzo del Sig. Ventura Guelfi e qui principia S. Donato; dalla parte di là a mano destra per la strada maestra che va alla porta di Camollia arriva il casamento dei Sigg. Grifoni e lì principia S. Stefano e dalla parte di là per venire in sua mano sinistra scende nella piazza di S. Petronilla, via delle monache di S. Lorenzo, S. Crespino e Compagnia di S. Sebastiano". Nel 1782 incluse parte delle anime della soppressa cura dei SS. Vincenzo e Anastasio e nel secolo XIX incorporò alcune case della confinante parrocchia di S. Stefano. Attualmente in funzione come parrocchia, risulta ente ecclesiastico civilmente riconosciuto con Decreto del Ministero dell'Interno del 25 ottobre 1986, ed è compresa nella forania di Siena centro. Facevano parte del territorio varie istituzioni ecclesiastiche e laicali attive in epoca medioevale di cui rimangono le memorie storiche tramandate dalle fonti. L'oratorio di S. Onofrio o dei Mendici fu costruito dall'omonima confraternita nell'edificio appartenuto a Neri dei Galli, presumibilmente acquisito intorno al 1348 per assistervi gli appestati. Nel XVII secolo Alessandro VII Chigi lo trasformò in ricovero per fanciulli mendicanti i quali, tutti vestiti di verde, andavano ad elemosinare per la città. L'istituto venne chiuso nel 1787, quando gli orfani ebbero il loro centro aggregazionale in S. Sebastiano in Vallepiatta, ma la cappella, venduta ad Angelo Brancadori ed incorporata nel palazzo Foschini, oggi Marri Martini, continuò ad essere uffiziata ed è tuttora aperta al culto. Un altro piccolo oratorio dedicato a S. Lucia in cui si riunivano i fabbri ferrai si trovava in fondo al vicoletto a destra di S. Andrea chiamato anche di S. Alò (S. Aloisio o Eligio); aveva annesso lo Spedale di S. Maria della Stella, fondato dai Salimbeni nel 1213 per ricovero degli illegittimi della nobile casata. L'arte dei fabbri vi rimase fino al 1777, anno in cui la cura della cappella passò alla Compagnia laicale di "S. Anna dei ciechi e degli stroppiati" che vi si trasferì dalla sede di via dei Baroncelli, cadente e bisognosa di restauri. Il sodalizio vi rimase fino alla soppressione del 1810, quando il titolo passò all'oratorio di S. Onofrio di cui sopra. Nei pressi della parrocchiale, dopo il tratto che dal vicolo dello Sportello giungeva ad uno slargo definito piazza degli Umiliati, esisteva il monastero di S. Tommaso degli omonimi frati, abbandonato nel 1571, in cui furono trasferite le suore di S. Petronilla dette Zoccolette o Romitelle provenienti dalla loro sede dell'Antiporto di Camollia. Dopo la soppressione del 1810 la chiesa venne sconsacrata e ridotta a fienile dal banchiere Giuseppe Montorselli che la cedette ad un postiere per il rimessaggio delle carrozze. Acquistata alcuni anni dopo da un tale Giorgio Mugnaini, la struttura conventuale accolse un'azienda di raffinazione del sale e un magazzino per i generi di monopolio. Inserita nella cinta muraria, in prossimità della porta di S. Lorenzo, si trovava l'omonima chiesa con convento annesso fondato alla metà del secolo XIII per le francescane provenienti dal primo insediamento di S. Maria a Ravacciano. Trasferitesi nel 1783 in S. Niccolò, l'edificio fu acquistato da un certo Pieri che lo trasformò in appartamenti mentre la chiesa, rovinata dal terremoto del 1798, venne abbattuta. Nella zona era attivo anche l'oratorio dei SS. Crispino e Crispiniano, già spedale di S. Orsola, e prima ancora, nella seconda metà del secolo XIII, casa di abitazione detta "Consuma" resa famosa dalla "brigata spendereccia" di Stricca Tolomei, Caccia Cacciaconti, Bartolomeo Folcacchieri. Uffiziato dall'arte dei calzolai, fu secolarizzato nella seconda metà del Settecento e ridotto ad uso di magazzino. Nei pressi di S. Andrea si trova tuttora la chiesa della Compagnia laicale di S. Sebastiano in Camollia.

L. MARRI MARTINI, La parrocchia di S. Andrea Apostolo nel Terziere di Camollia, Siena 1933; A. FIORINI cit., p. 52; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 51, 129, 151, 185, 193. A. LIBERATI, Chiese, monasteri, oratori e spedali senesi. Ricordi e notizie in "Bullettino senese di storia patria" (= A. LIBERATI), XLVII (1940);A. CANESTRELLI, S. Andrea, in "B.S.S.P." XV (1908), pp. 181-192.

3. PARROCCHIA DI S. ANTONIO IN S. DOMENICO

Si trova ricordata in un atto di vendita del 2 maggio 1072 con il quale Pietro del fu Burgatello vendette a Pietro del fu Martino un appezzamento di terreno posto in località Pratella nelle vicinanze della chiesa. Nel secolo XIII il Comune "vi tenne costantemente i suoi banditori, i misuratori di farine, i custodi di notte e di giorno, gli accusatori affine di guardare che non venissero gettate sozzure ed acqua nelle vie, e i collettori dei dazi e delle preste speciali che la repubblica imponeva ai cittadini ogni qualvolta si trovasse in ristrettezze pecuniarie". Ad essa venne associata nella stessa epoca parte della popolazione dell'antica cura di S. Gregorio in Camporegio soppressa ed affidata ai Domenicani stabilitisi in Siena nei primi anni del Duecento. Nel secolo XV l'arte dei carnaioli usufruì della chiesa per tenervi le sue riunioni e nel 1526 accolse le monache di S. Prospero sfollate dal loro monastero per gli eventi della guerra di Siena. Il 29 dicembre 1784 l'arcivescovo Tiberio Borghesi a causa della precaria situazione economica in cui versava la parrocchiale di Ampugnano, la riunì ad essa con l'obbligo al rettore protempore di un'elemosina da assegnarsi al curato di Sovicille per il servizio religioso. Con decreto del 31 ottobre 1929 l'arcivescovo Prospero Scaccia trasferì l'uffiziatura di S. Antonio nella basilica di S. Domenico imponendo la chiusura della vecchia chiesa lasciata in decadenza per oltre un secolo. Il 15 settembre 1935 l'arcivescovo Mario Toccabelli rinnovò l'interdizione dell'edificio e ordinò di togliere le pietre sacre dagli altari in vista della sua demolizione per i progettati lavori di sistemazione del Santuario cateriniano. Il 25 ottobre 1938 venne sottoscritto dal medesimo presule, dal podestà e dal parroco titolare un atto di permuta tra la cura suddetta e la basilica domenicana appartenete al Comune di Siena con cui si accettava il passaggio della vecchia chiesa e del terreno con porzione del fabbricato della canonica all'ente locale, il quale si sarebbe impegnato a demolire la parrocchiale, concedendo in cambio le cappelle del Sacramento e delle Volte della basilica con l'uso della sacrestia e del campanile, fermo restando l'obbligo di procurare un idoneo edificio religioso equivalente in caso di affrancazione. Il 24 marzo 1940 una nota del settimanale "Il Popolo di Siena" annunciava l'inizio dei lavori con il titolo "Una chiesa senese che scompare" e il 30 aprile veniva riportata la cronaca della posa della prima pietra nel Portico votivo avvenuta alla presenza del duca di Bergamo. Per la sistemazione del santuario furono approntati tre progetti: uno del Viligiardi, uno del Bruni e un terzo a correzione e riduzione del secondo, che venne approvato. Il soprintendente ai monumenti Pelo Bacci permise di abbattere il chiostro dei Benedettini di Valli per trasferire il materiale delle colonne e del pozzo nel nuovo sito. Attualmente attiva come parrocchia, è compresa nella forania di Siena centro.

A. LIBERATI, La demolenda chiesa di S. Antonio in Fontebranda, in "Studi cateriniani" XIII (1938), pp. 3-5; A: FIORINI cit., pp. 107-112; A. LIBERATI cit., XLVI (1939), p. 63; ibid., LXVIII (1961), pp. 263-274); G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 51, 129, 185, 193; I. ANZIANI, Il convento di S. Domenico in Siena, in "B.S.S.P.", XVI (1909), pp. 1-41.

4. PARROCCHIA DI S. BARBARA IN FORTEZZA E ORATORIO OMONIMO ALLA LIZZA

Due erano in Siena gli edifici religiosi dedicati alla santa martire di Nicomedia (IV sec. a.c.) eletta patrona dei bombardieri e di tutte le opere militari: S. Barbara alla Lizza, posta nei pressi della parrocchiale di S. Stefano, fatta erigere dal duca Cosimo I dei Medici nel 1560, dopo aver assunto il dominio della città, e l'oratorio quasi coevo di S. Barbara di Dentro o in Forte sito all'interno della fortezza medicea. Il primo fungeva da chiesa dei bombardieri della guarnigione, mentre nel secondo, istituito come parrocchia, si riunivano ad assistere agli uffizi religiosi i militari. Contava nel 1721 146 anime, era di nomina regia e aveva un'entrata annua di scudi 75,3 elargiti quasi per intero dalla casa regnante. Davanti alla chiesetta della Lizza, sita esattamente nel luogo dove in seguito venne eretto il demolito teatro, si trovava un vasto sterrato in cui si esercitavano nell'equitazione i convittori del nobile Collegio Tolomei. Il primo granduca lorenese Francesco III nel 1740 vi fece fabbricare l' I. e R. Cavallerizza per custodirvi i cavalli per il maneggio e per le esercitazioni dei cavalieri senesi, destinando l'edificio sacro a magazzino delle biade. La cura della Fortezza,"posta nello spianato interno lungo la linea sinistra degli alloggiamenti", dopo la soppressione leopoldina cessò la propria funzione, ma durante il Regno dell'Etruria, per volontà dell'arcivescovo Anton Felice Zondadari, ricominciò ad essere uffiziata come cappellania e venne affidata nel tempo a vari religiosi che la ressero fino al 1870. A seguito dell'unificazione italiana la Fortezza perse il proprio carattere difensivo e fu adibita a luogo di passeggio; negli anni Trenta del Novecento, passata dal Demanio al Comune, furono demoliti gli alloggi dei militari e i bastioni presero l'aspetto attuale come appendice del giardino della Lizza con conseguente distruzione dell'edificio di culto, già ridotto a magazzino. Il luogo in cui si trova il Forte prende il nome dall'antica parrocchia di S. Prospero posta nelle vicinanze del monastero femminile della B. Vergine Maria che accoglieva le religiose trasferitevisi da Montecelso. Il borgo omonimo comunicava con la città attraverso una porta di cui rimane un lontano ricordo nella denominazione del vicolo che alla fine di via Montanini immette alla Lizza e che si chiama dello Sportello o Portello, cioè della piccola porta, con la quale si accedeva alla zona di S. Prospero. Quando nel 1526 vi si accamparono le soldatesche di Clemente VII e dei Fiorentini, nel timore che l'esercito nemico avesse potuto trovarvi riparo, il borgo venne abbandonato e distrutto insieme alla chiesa e al convento. Le monache furono temporaneamente alloggiate in S. Antonio in Fontebranda per essere in seguito unite a quelle di S. Agnese in via delle Sperandie, formando il convento che fu detto delle Trafisse del Cuore della Vergine M. Immacolata. Sempre sul medesimo colle, nel 1550 venne costruito il forte spagnolo poi distrutto due anni dopo a furor di popolo prima del famoso assedio che determinò la fine della repubblica senese.

A. FIORINI cit., pp. 59-64; G. CATONI . S. FINESCHI cit., p. 185.

5. PARROCCHIA DI S. CLEMENTE AI SERVI

L'antica parrocchia di S. Clemente, fondata dai nobili di Macereto, sorgeva sul poggio di Castel Montone e dava il nome alla zona o borgo che si estendeva dalla porta omonima sita presso la chiesa di S. Leonardo e la porta di S. Maurizio. Vicina ad essa, sul ciglio estremo dell'altipiano, si trovava un'altra chiesa dedicata a S. Michele Arcangelo, forse di origine longobarda. Alla metà del secolo XIII la Repubblica senese accondiscese alla domanda del rettore di S. Clemente, tal Ventura, per un intera ricostruzione dell'edificio, cadente per "nimia vetustate", ideata "opere sumptuoso" come nota il breve del papa Alessandro IV da cui era stata ottenuta un'indulgenza a pro dei fedeli che avessero sostenuto il pio lavoro. Il 24 luglio 1259 il medesimo sacerdote rinunciò la parrocchia nelle mani del vescovo Tommaso Balzetti che la raccomandò a frate Domenico di Bonaccolto priore dei Servi di Maria. Chiamati a Siena dal Vescovo Buonfiglio fin dal 1239, i Serviti si erano stabiliti nella zona esterna delle mura cittadine presso Castelmontorio, nel luogo dove fu poi eretto per volontà del cardinale Riccardo Petroni il monastero di S. Niccolò. Crescendo verso di essi il favore del governo, fu ritenuto opportuno inserirli all'interno della città affidando loro le pertinenze della cura di S. Clemente che si trovava vicino ai terreni donati dalla nobile consorteria dei Tolomei. I lavori della grande chiesa, grazie alle sostanziose sovvenzioni del governo e dei privati, cominciarono nel 1260 e continuarono nei secoli successivi fino alla consacrazione avvenuta il 18 maggio 1553, pur non essendo ancora completata. Importanti restauri vennero effettuati nei primi anni del Novecento grazie all'interessamento del rettore P. Sostegno Biagiotti e nel 1908 papa Pio X la elevò al rango di basilica. La parrocchia risulta soppressa dal 1992 e il territorio è stato annesso a S. Martino della forania di Siena centro.

V. LUSINI, La basilica di S. Maria dei Servi in Siena, Siena 1908; A. FIORINI cit., p. 381; A. LIBERATI cit., L(1943) pp. 47-54; 110-115; LXI(1954) p. 161; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 133, 186.

6. PARROCCHIA DI S. CRISTOFORO

Eretta nel borgo di S. Cristoforo, citato dai documenti fin dal 1087, la chiesa omonima è dedicata al patrono dei viandanti. Antichissima, conserva al disotto della navata trasversale due passaggi con volta a botte che immettevano nel retrostante cimitero in cui "si scorgono tombe ad arcosolio ricavate nei muri della navata principale, le quali presentano strette affinità con quelle delle catacombe romane". Ad essa era annesso uno spedaletto fondato dal chierico Guido di Domenico che le fonti menzionano dal 1090 al 1345 con la denominazione di Spedale di Giovannello. Nei sec. XII-XIII la chiesa accolse il Consiglio generale detto della Campana nonché la Curia vescovile per risolvere pubblici affari e la Curia del Placito, una specie di tribunale civile cui era affidato l'incarico di tutelare gli interessi delle vedove e dei pupilli, che cessò di esistere nel 1783. Anche le insegne del Comune vi si tenevano riposte e, quando in chiesa era adunato il Consiglio, si issavano sulla colonna della piazza. Dal 1262 risulta tra le parrocchie della città e, per circa sei secoli consecutivi, ne furono quasi ininterrottamente titolari membri della nobile famiglia dei Tolomei che detenevano il diritto di patronato, ufficialmente riconosciuto nel 1532 dal cardinale Giovanni Piccolomini arcivescovo. Le fonti ricordano in proposito che il popolo era solito chiamarla "chiesa lunata" dagli stemmi con tre mezze lune divise da una fascia, che la potente consorteria aveva fatto applicare in modo considerevole all'edificio. Fino all'anno della loro soppressione, decretata da Pietro Leopoldo nel 1772, tennero le loro adunanze in S. Cristoforo l'Università degli Speziali, il Magistrato della Seta, l'Arte dei Calzolai, mentre nella canonica erano soliti riunirsi i Tolomei per trattare gli affari loro spettanti. Più volte restaurata nel corso dei secoli, in seguito al terremoto del 26 maggio 1798 subì la demolizione della facciata e dell'ultima campata, rimanendo scorciata di circa otto braccia. I lavori avviati dal rettore Alfredo Vanni negli anni quaranta del Novecento hanno conferito al suo interno l'aspetto attuale. Soppressa come parrocchia, dal 1988 è compresa nel distretto della cura di S. Maria in Provenzano della forania di Siena centro.

P.E. BULLETTI, La Chiesa di S. Cristoforo in Siena, Siena 1940; A. FIORINI cit., pp. 166-169, 126-129; A. LIBERATI cit., LXIV(1957) pp. 186-191; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 68, 134, 186, 206.

7. PARROCCHIA DI S. DESIDERIO

Esisteva già nel secolo X, ma probabilmente era stata fondata in epoca anteriore. E' spesso citata nel Diplomatico dell'Archivio di Stato di Firenze (Passignano) e nei contratti dell'Archivio di Stato di Siena; il 13 marzo 1194 Rustico, arciprete della Metropolitana, stipulò nella chiesa un atto notarile con il rettore del S. Maria della Scala per definire alcune ragioni sul possesso dello Spedale. Nel 1216 papa Onorio III confermò all'Abbazia di S. Antimo la giurisdizione che esercitava già da tempo sul luogo, le cui memorie risultano assai frammentarie nei secoli successivi. Pure come cura d'anime, l'edificio accolse il Collegio dei dottori e filosofi e nel 1614 fu adibito con i suoi annessi ad uso di seminario per i chierici della diocesi, ivi spostati dalla prima sede dell'Abbadia di S. Michele Arcangelo istituita dal venerabile Matteo Guerra. Là rimase attiva la scuola per i novelli sacerdoti fino a quando nell'ottobre 1666, per deliberato di papa Alessandro VII, venne riorganizzata in S. Giorgio in Pantaneto. Nel 1783 subì la soppressione e il popolo fu unito alla cura della pieve di S. Giovanni, mentre la chiesa passò con decreto dell'arcivescovo Tiberio Borghesi alla contrada della Selva che ne usufruì fino al 1808, anche se per i danni del terremoto del 26 maggio 1798 fu resa inagibile. Con la soppressione delle compagnie laicali voluta dal granduca Pietro Leopoldo si cercò di istituire in S. Desiderio un'associazione di Carità che però non ebbe effetto; l'edificio fu quindi nell'Ottocento sconsacrato e venduto a privati che lo trasformarono in bottega e in abitazioni.

FIORINI cit., p. 197; A. LIBERATI cit., XLVI(1939), pp. 264-266; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 69, 152, 187, 195.

8. PARROCCHIA DI S. DONATO IN S. MICHELE ARCANGELO

L'antica chiesa, eretta tra il X e l'XI secolo presso la via Francigena sul poggio detto di Monte Ruozi, è ricordata dagli eruditi del Settecento come costruzione risalente al secolo VIII, cioè agli inizi della contesa tra il vescovo senese e quello aretino per il possesso delle pievi di confine. Formatosi intorno ad essa un consistente e popolato borgo, verso la metà del XII secolo se ne rese necessario l'inglobamento nella cinta muraria per motivi difensivi. Le fonti seicentesche la ricordano "bislunga e capace di contenere molta popolazione, ad una navata che guardava verso l'oriente, con il tetto tutto a travi armate e impianellata, la quale confinava davanti con una piazza di mattoni fino alla strada pubblica.... che serviva per cimitero, dal lato destro eravi la famiglia Serafini in casa di loro proprietà appoggiata alle pareti della chiesa fino al tetto, i quali facevano da cucina pubblicamente con molto inconveniente e strepito in disturbo della devozione de' fedeli e lo spazio occupato dalla detta casa e il tempio collegate insieme le fabbriche era stato un tempo una strada che scendeva in dogana fino all'Abbadia" (AAS, A. P., S. Donato 238 fasc. E). Le visite compiute dall'incaricato apostolico Francesco Bossi nel 1575 e dall'arcivescovo Francesco Maria Tarugi nel 1598-1599 rilevarono un pessimo stato generale della chiesa, per cui si imposero modifiche all'assetto interno e una maggiore cura nella gestione delle proprietà beneficiali. Fu proprio il Tarugi alla fine del secolo XVI ad accorpare alla cura una parte della popolazione della parrocchia di S. Egidio, soppressa per accogliere la nuova istituzione delle religiose cappuccine sorta sotto la guida di Passitea Crogi nel Poggio Malavolti. La tradizione vuole che, in occasione delle rogazioni, il primo giorno, i fedeli si fermassero in preghiera nella piazzetta antistante per ricordare il culto idolatrico di Saturno sul cui tempio sarebbe stata poi costruita la chiesa dedicata a S. Donato. Effettivamente nella zona non mancano testimonianze di antiche strutture come le due torri gemelle dei Montanini su cui si appoggiava nel Medioevo un possente arco detto dell'imperatore, forse di epoca romana. Due frammenti in pietra recanti parte di un'iscrizione latina sono tuttora incastonati nel muro a conferma della vetustà del luogo e probabilmente della verosimiglianza di certe usanze che la tradizione cristiana traeva dai culti pagani. Soppressa nel 1811, il titolo venne trasferito all'Abbazia di S. Michele Arcangelo; la vecchia chiesa, profanata, fu trasformata in deposito di carrozze e successivamente passò al Monte Pio. Nel 1925 il Monte dei Paschi commissionò allo scultore Fulvio Corsini una fontana per ricordare il terzo centenario della fondazione dell'istituto e coprì quello che era stato il portale dell'edificio la cui struttura superstite è attualmente sede museale. L'Abbazia di S. Michele Arcangelo, che le fonti ricordano fondata su un terreno appartenuto allo spedale di S. Vincenzo, ceduto da un tal prete Pietro di S. Donato, riveste un'importanza storica fondamentale nei rapporti tra la città e l'ordine vallombrosano. Una bolla del pontefice Pasquale II del 10 settembre 1099 aveva accordato ai seguaci di S. Giovanni Gualberto l'erezione di un monastero in Siena, che probabilmente poteva dirsi attivato nei primi decenni del XII secolo se nel 1119 l'abate di Passignano mandava a quei religiosi varie suppellettili e codici per corredo e se nel 1118 il vescovo concedeva loro libertà di amministrare i sacramenti e di seppellire nel cimitero. I possessi che i religiosi amministravano nel territorio erano numerosi - basti pensare al fortino di Monselvoli - e più volte questi dovettero ricorrere nel corso dei secoli alla giustizia per questioni insorte con i proprietari vicini. Nel 1565 i beni dell'Abbadia abbandonata dai Vallombrosani, vennero concessi da Cosimo I dei Medici all'ordine cavalleresco di S. Stefano come commenda goduta dalla famiglia Petrucci con l'obbligo dell'adempimento degli uffizi religiosi. Questi dovettero essere assai fastosi, tanto che al tempo del vescovo Alessandro Petrucci (1615- 1628) la chiesa era anche detta "il duomo piccino" perché nelle feste solenni vi si cantavano le messe con l'accompagnamento musicale o con "falso bordone" cioè una sorta di melodia latina con modulazione continuata di più voci sulla stessa corda. Passato ai Carmelitani scalzi nel 1682, l'edificio fu ridotto nel 1691 nella forma attuale. Nel 1815 un rescritto granducale sancì il definitivo trasferimento della parrocchia di S. Donato nell'Abbadia di S. Michele Arcangelo a cui già quattro anni prima il prefetto del Dipartimento dell'Ombrone l'aveva accorpata. Soppressa come parrocchia, dal 1988 fa parte del distretto della cura di S. Maria in Provenzano della forania di Siena centro.

A. LIBERATI cit., LXVI(1959) pp. 178-182; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 69, 134, 187; A. FIORINI, pp. 56- 57, 132-133; P. NARDI, I borghi di S. Donato e di S. Pietro a Ovile. Popoli, contrade e compagnie d'armi nella società senese dei secc. XI-XIII, Siena 1972; G. VENEROSI PESCIOLINI, Di alcune istituzioni vallombrosane in Siena nei secoli XI-XIV in "La Diana"IV (1932).

9. PARROCCHIA DI S. GIORGIO

Citata in un documento del 1081, era allora retta da un canonico che svolgeva le funzioni di curato. La sua storia è legata alla famosa battaglia di Montaperti del 4 settembre 1260: rientrando l'esercito senese vincitore con le spoglie dei Fiorintini proprio dalla porta di S. Giorgio, si volle, come segno tangibile di riconoscenza nei confronti del santo della Cappadocia fervidamente invocato, erigere un nuovo tempio su quello esistente eun campanile le cui trentotto aperture - secondo la tradizione - dovevano indicare il numero delle compagnie militari partecipanti allo scontro sull'Arbia. Officiata come parrocchia, nei secoli successivi entrò nelle competenze dell'Abbadia Ardenga e fu sotto il patronato della famiglia Tuti. Un rappresentante della medesima, Giulio, rettore della chiesa, vi ospitò la Congregazione dei Sacri Chiodi fondata dal venerabile Matteo Guerra nella cappella omonima dello spedale di S. Maria della Scala fin dal 1579. Ottenuta non senza fieri contrasti l'approvazione pontificia, il sodalizio poté nel 1584 prendere possesso dell'edificio dove rimase fino al 1666, anno in cui papa Alessandro VII sciolse il collegio dei sacerdoti detti "padri del Ristretto o preti Giorgini" e la congrega si ridusse a compagnia laicale. Passata ad uffiziare un piccolo oratorio al lato della chiesa, poi inglobato nella vasta fabbrica del palazzo Biringucci-Bruchi, fu accolta nei locali della Compagnia di S. Michele Arcangelo di Dentro, presso piazza dell'Abbadia, prendendo il nome di Compagnia dei Penitenti dei Sacri Chiodi in S.Michele Arcangelo". In S. Giorgio il medesimo papa Alessandro VII volle trasferire il Seminario arcivescovile, operante già dalla fine del Cinquecento sotto la guida di Matteo Guerra nei locali della Abbadia di S. Michele abbandonata dai Vallombrosani e formalmente istituito nel 1612 dal cardinale Metello Bichi nell'antica canonica di S. Desiderio. La nuova destinazione portò ad un radicale riassetto dell'edificio per volontà dell'arcivescovo Alessandro Chigi Zondadari che nel 1731 lo consacrò pur senza facciata, ultimata sette anni dopo . Nel 1818 la chiesa, che mai aveva cessato la sua funzione di cura d'anime, fu unita alla parrocchia di S. Maurizio in S. Spirito nel cui convento era stata accolta una famiglia di carmelitani scalzi. Trasferitosi il seminario diocesano nel Convento dei frati minori di S. Francesco, allora assegnato ai padri domenicani Gavotti, nel novembre 1856, S. Giorgio fu chiusa fino a che il vicario diocesano Giuseppe Focacci la destinò come oratorio della Contrada del Leocorno, allontanata dalla chiesa di S. Pietro in S. Giovannino in Pantaneto dal rettore Alessandro Toti. Nel 1893 anche la Congregazione degli Artisti trovò ospitalità nella stessa sede. Attualmente l'edificio è compreso nel distretto parrocchiale di S. Maurizio in S. Spirito. I registri e l'archivio di S. Giorgio sono attualmente conservati nel Seminario arcivescovile di Siena, non essendo stati consegnati in curia come la prassi prevedeva.

V. GRASSI, La chiesa di S. Giorgio in "La Balzana" VI (1928), pp. 55-70; F. D. NARDI Aspetti della religiosità senese nell'età della controriforma. Matteo Guerra e la Congregazione dei Sacri Chiodi in "Bullettino senese di storia patria" XCI (1984) pp. 12-148; A. FIORINI cit., pp. 328-329; A. LIBERATI cit., LX(1953) pp. 245-250; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 69, 152, 187, 195.

10. PIEVE DI S. GIOVANNI BATTISTA SOTTO LA METROPOLITANA

Dell'antica pieve di S. Giovanni Battista sita in piazza del Duomo non rimangono tracce visibili. Viene menzionata nei documenti del XIII secolo per quanto riguarda il suo popolo. Abbattuta probabilmente nei primi anni del Trecento per dare luogo alla costruzione del palazzo vescovile, la titolarità venne trasferita nella cripta del Duomo in cui furono svolte le funzioni parrocchiali fino ai nostri giorni. Se la storia della cura in epoca medioevale è ancora tutta da scrivere - anche alla luce delle numerose scoperte legate alle vicende costruttive della Cattedrale - ben chiaro risulta il ruolo di chiesa battesimale avuto nel corso dei secoli e di istituzione preposta al seppellimento dei forestieri deceduti in città. La vertenza avviata alla fine del Seicento dal pievano Pietro Viticchi contro i parroci delle altre parrocchie che si sentivano scavalcati nelle loro competenze in merito agli uffizi funerari fu chiamata a ragione "lite magna" per la durata di oltre un ventennio e per la cospicua spesa di 1.500 scudi. La decisione del tribunale della Sacra Rota cui era stata rimessa la causa sancì il diritto dei curati di S. Giovanni di esigere la corresponsione dello "ius funerandi" che venne soppresso alla fine del secolo XVIII dall'arcivescovo Tiberio Borghesi in occasione della unione della cura alla chiesa di S. Desiderio. Attualmente la pieve risulta accorpata alla Cattedrale, eretta a parrocchiale dal 1993.

A. FIORINI cit., p. 227; A. LIBERATI cit., XLVI(1939) pp. 266-267; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 41, 73, 135, 186, 187, 207, 209, 213.

11. PARROCCHIA DI S. MARCO

Chiesa parrocchiale di antichissima origine, sorgeva all'angolo di piazza del Carmine, con il fianco sinistro rivolto alla salita di S. Quirico e alla porta del castello. Dava nome al borgo che si estendeva lungo l'omonimo Fondaco così detto dal magazzino della consorteria Incontri la quale nel Duecento possedeva nei pressi della strada terreni e fabbricati. Incorporata nella città nella seconda metà del XIII secolo, la zona prese nome di "burgo nuovo de Sancto Marco". La chiesa era uffiziata dai frati Armeni che vi rimasero fino al 1298, quando furono accolti nello spedaletto di S. Croce in Jerusalem eretto nel 1294 da ser Torello di Baccelliere nel prato di Doccia fuori porta Camollia, dove in seguito (1308), ebbero la loro sede definitiva nel monastero di S. Antonio detto di Vienna. Nel 1443 l'arcivescovo Francesco Piccolomini concesse la chiesa di S. Marco in patronato ai monaci benedettini di S. Eugenio al Monastero con l'obbligo di svolgervi le funzioni parrocchiali. Nel 1781 le anime del distretto ammontavano a 345 unità ed erano affidate ad un curato ivi residente nominato dal vescovo su indicazione del priore dei Cassinesi di S. Eugenio. Nel 1783, a seguito della ristrutturazione delle parrocchie determinata dalle riforme leopoldine, la chiesa venne sconsacrata e chiusa al culto. Di essa resta la facciata romanica in laterizio con portale sormontato da lunetta.

A. FIORINI cit., p. 264; A. LIBERATI cit., XLVII(1940) pp. 248-251; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 83, 153, 188.

12. PARROCCHIA DI S. MARTINO

Sorge sulla destra delle Logge del Papa e fu uno dei primi edifici religiosi innalzati iuxta burgum Senensis Civitatis. Se ne ha memoria fin dall'VIII secolo e la tradizione vuole che sia stato fondato dai Franchi diffusori del culto di S. Martino di Tours in Italia. Fu uffiziato dal 1168 dai Canonici Regolari di S. Frediano di Lucca, che vi tennero anche uno spedaletto; agli inizi del secolo XVI passò ai frati eremitani di S.Agostino della Congregazione leccetana, i quali ristrutturarono e ampliarono l'intero complesso. In seguito alle soppressioni degli ordini religiosi, lo stabile rientrò nel piano promosso dall'arcivescovo Giuseppe Mancini di fondare un convento di Francescani, anch'esso naufragato (1841). La chiesa fu comunque sempre sede di parrocchia come lo è ai giorni nostri. Dello stesso distretto faceva parte la chiesa di S. Giusto al Rialto, demolita negli anni trenta del secolo scorso come previsto dal piano di risanamento della zona di Salicotto. Fondata nel 1188 e istituita come parrocchia alla dipendenza dei canonici Regolari di S. Frediano di Lucca, dette nome all'omonima contrada che si estendeva nelle vie adiacenti dette delle Scalelle e dell'Oro. Soppressa nel 1458, il suo popolo fu unito a quello di S. Martino e il tempio ceduto come sede all'Arte dei Battilani che comprendeva gli "scardassieri" (operai addetti ad affinare e ripulire la lana) e i "battilana" (operai che provvedevano a preparare la lana). Con la cessazione delle Arti decretata dal granduca Pietro Leopoldo di Lorena, gli Esecutori di Giustizia si avvicendarono alla direzione dell'edificio di culto, lasciando i locali precedentemente uffiziati posti fuori porta S. Marco, in località S. Carlo appartenuti all'Opera del Duomo. Con l'abolizione definitiva della pena di morte e la fine della Confraternita dei SS. Giusto e Carlo degli addetti alle esecuzioni capitali, la chiesa di S. Giusto tornò come annesso alla parrocchia di S. Martino senza alcuna speciale destinazione fino a che, ristrutturata per volontà dell'arcivescovo Giuseppe Mancini (1824-1855), venne da questi riservata alle funzioni religiose dei chierici esterni, ossia dei giovani non residenti in seminario. Costoro vi celebravano la festa del patrono S. Luigi Gonzaga, tradizione che rimase anche quando il gruppo fu riunito al collegio arcivescovile. In seguito alla demolizione nel sito in cui si trovava la chiesa venne eretta una cappellina titolata al santo da cui aveva preso nome il rione.

A. FIORINI cit., p. 360-363; A. LIBERATI cit., LXI(1954) pp. 143-151; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 83, 140, 153, 188.

13. PARROCCHIA DI S. MAURIZIO IN S. SPIRITO

L'antica parrocchiale di S. Maurizio al Ponte di Romana sorgeva sulla sinistra della strada maestra in cima ad una piaggia su cui era stato approntato il sagrato. Dal 1931 la salita porta la targa con il popolare nome di Samoreci corruzione del termine S. Maurizio (S. Moreggi, S. Morogi, Samorogi, S. Moresi, S. Morezzi, ecc.) o addirittura, secondo l'erudito senese Girolamo Macchi, derivato dai "Mori spagnoli" che vi avevano un altare con sepoltuario (da qui Santo dei Mori ovvero Samoreci). La chiesa, i resti della cui facciata si resero visibili in occasione della trasformazione dei locali in cinematografo, avvenuta nel secolo scorso, esisteva fin dal 1197. Nel 1317 era uffiziata dai frati di S. Spirito e nelle epoche successive ebbe regolarmente i suoi rettori nominati dall'ordinario. Soppressa nel 1793, la cura fu trasferita in S. Spirito per essere in seguito, nel 1818, trasportata in S. Giorgio e da qui di nuovo alla sede precedente in cui attualmente è in funzione come ente ecclesiastico civilmente riconosciuto. Le fonti ricordano la località in cui fu costruita la chiesa di S. Spirito con il toponimo "Chiaravalle" o "Poggio Farolfi". Nei primi decenni del secolo XIV accolse i monaci Silvestrini da Montefano che usufruirono più volte delle sovvenzioni del Comune, dello Spedale di S. Maria della Scala e di privati per ingrandire la loro fabbrica; ai Vallombrosani, cui era stata ceduta nel 1430, si succedettero sette anni dopo i Frati Neri della Congregazione di S. Giustina, che vi dimorarono fino al 1448. Passata ai Domenicani per disposizione apostolica, si inizio all'ampliamento del convento e al risanamento della zona usata come scarico di immondizia dagli abitanti delle contrade adiacenti. Nel 1497, "in esecuzione del breve papale della separazione della religione domenicana", i frati informarono il Concistoro della loro partenza, nonostante il fermo divieto del governo della Repubblica di dare corso ad avvicendamenti o cambiamenti nella direzione del luogo sacro senza il parere di un'apposita commissione all'uopo deputata. Lo stesso anno i Domenicani riformati dal Savonarola vennero accolti in S. Spirito e vi rimasero fino al 1504, quando un'ordinanza impose la loro espulsione. I primi decenni del XVI secolo, assai complessi per l'ordine suddetto, videro più volte manifestarsi attriti tra la Repubblica e i religiosi considerati dalla cittàdinanza nemici della libertà per le relazioni che avevano con Firenze, al punto da "costringere" alla partenza dal convento tutti i frati di nazionalità senese. Come se non bastasse, nel 1531 i medesimi si mostrarono avversi alla celebrazione della festa della Concezione della Vergine istituita dopo la vittoria nella battaglia di Camollia (1526) che i Senesi ritenevano di aver riportata per intercessione della Madonna. Le ragioni del rifiuto, da ricercarsi forse nella contrarietà al dogma manifestata a suo tempo dal generale dei Domenicani Giovanni da Montenegro durante il Concilio di Basilea (1438-1439), dovette ben presto essere superata se l'anno seguente il superiore Giovanni de Fenario ordinò ai sottoposti di soddisfare le richieste del governo "per la quiete e il bene di tutti". Nonostante i conflitti con l'autorità, gli anni relativi alla prima metà del Cinquecento furono fondamentali per il generale riassetto architettonico della chiesa che venne portato a termine anche se con l'istituzione della guardia spagnola il convento fu requisito dalle soldatesche imperiali che costrinsero i religiosi ad abbandonarlo. Per volontà del granduca Pietro Leopoldo di Lorena, nel 1783 fu attivato nello stabile un Collegio ecclesiatico di perfezionamento teologico diretto da Mons. Fabio De' Vecchi, esponente di spicco del clero senese, professore dell'Università nonché vicario arcivescovile dal 1775 al 1780. Di notevole prestigio culturale e di rigida dirittura morale, rivelò aperte simpatie per le tesi gianseniste delle quali era strenuo difensore il vescovo di Pistoia Scipione de' Ricci, ma caduto in disgrazia in seguito al fallimento dell'esperienza ricciana, il De' Vecchi venne esonerato dalla cattedra di teologia e vide nel 1791 soppressa l'Accademia in cui aveva profuso le sue forze. Il convento di S. Spirito, dopo essere stato assegnato ai Carmelitani Scalzi, tornò alla metà dell'Ottocento ai Domenicani Gavotti, ivi trasferiti dal locale di S. Francesco adibito a seminario diocesano, che vi rimasero fino al 1930, anno in cui passarono a S. Domenico. La struttura abitativa poté allora essere interamente trasformata in Casa circondariale, funzionando in parte come prigione fin dal 1899, dopo la disattivazione delle carceri ospitate nel Palazzo pubblico.

A. FIORINI cit., p. 337-338; 330-331; A. LIBERATI cit., LX(1953) pp. 242-245; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 84, 140, 188.

14. PARROCCHIA DI S. MUSTIOLA DELLA ROSA

La chiesa di S. Mustiola, sita nella zona prossima alle Castellacce di S. Agata, accolse nel secolo XII i Camaldolesi provenienti dall'eremo di Vivo d'Orcia, ai quali il vescovo Gunterano aveva concesso licenza di poter erigere un monastero con l'obbligo di tenervi un cappellano posto sotto le proprie dipendenze. Nel 1219, una contesa sorta tra il vescovo Buonfiglio e il priore dell'Ordine fu rimessa all'arbitrio di Rolando vescovo di Faenza. Alcuni anni dopo, nel 1228, nuove vertenze portarono alla definizione dei confini dei territori di pertinenza della vicina cura di di S. Agata per questioni relative ai diritti parrocchiali non rispettati. L'edificio fu detto anche Abbazia all'Arco per la vicinanza dell'omonima porta e di S. Maria della Rosa per aver accolto nel secolo XVI i monaci di Poggio Rosaio al Laterino, appartenenti alla stessa famiglia religiosa, ai quali dal 1324 si erano uniti alcuni eremiti vissuti fino ad allora nella collina degli Agostoli, non molto distante da Costafabbri in prossimità dello spedaletto fondato da Vannuccio di Andreolo. I Camaldolesi restarono nel loro monastero fino alle soppressioni napoleoniche del 1810; nel 1815 la struttura accolse l'Accademia senese di scienze detta dei Fisiocritici fondata nel 1691 da Pirro Maria Gabrielli. La chiesa, invece, continuò ad essere sede parrocchiale: già nel 1785 aveva occupato la cura di S. Agata, estendendo la propria giurisdizione nella zona di Fontanella e dei Tufi. Rimase attiva fino al secondo decennio dell'Ottocento, quando passò all'Arte dei Calzolai tramite la Confraternita dei SS. Crispino e Crispiniano che ne curava l'uffiziatura. Nel 1980 l'edificio venne sconsacrato per essere adibito a sala di studio dell'Università degli Studi.

A. FIORINI cit., p. 277-279; L. MARRI MARTINI, Bellezze del territorio senese: Vivo d'Amiata in "La Diana" IV(1929); A. LIBERATI cit., XLVIII(1941) pp. 69-73; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 94, 188.

15. PARROCCHIA DI S. NICCOLO' AL MANICOMIO

Fu istituita nel 1838 dall'arcivescovo Giuseppe mancini nei locali della chiesa appartenente al monastero femminile di S. Niccolò fondato nel Trecento da Francesco di Niccolaccio di Caterino Petroni e soppresso nel 1810. Donato dal Municipio alla Compagnia della Madonna sotto lo Spedale (Società di Esecutori di pie disposizioni), il fabbricato venne utilizzato come "Asilo dei dementi, delle incinte occulte e dei tignosi". Il grande ospedale psichiatrico cominciò a sorgere nel 1818 ed ebbe un rapido sviluppo: fra il 1870 e il 1890, sotto la direzione dell'architetto Francesco Azzurri, fu portato a termine il corpo principale e nel corso dei primi anni del Novecento, seguendo il progetto dell'architetto Vittorio Mariani, si ampliarono altri settori fino ad occupare tutta la zona attorno alla porta Romana. Demolita nel 1887 l'antica chiesa del monastero, fino ad allora lasciata per il servizio religioso, venne eretta una nuova cappella interna conservando alcune testimonianze del passato come il grande portale in pietra recante al centro lo stemma della Compagnia dei Disciplinati e ai lati quello della casata Petroni. Attualmente non è attiva come parrocchia.

A. FIORINI cit., p. 385-386; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 142, 191

16. PARROCCHIA DI S. PELLEGRINO ALLA SAPIENZA

L'antica parrocchiale di S. Pellegrino, nell'attuale piazza Indipendenza, era posteriormente addossata al palazzo dei Gallerani. Posta al centro della città nei pressi del punto di incontro dei terzi, accolse fin dal 1050 una piccola comunità di eremiti. Nei primi tempi della Repubblica fu sede di diverse magistrature e nel secolo XIII il Comune pagava per questo un canone perpetuo al rettore. Nel 1296 si eresse di fronte all'edificio una colonna per innalzarvi l'insegna del governo quando erano in corso le riunioni. Nel Quattrocento si ebbe il rifacimento totale della chiesa che venne ad occupare longitudinalmente quasi tutto il sito della piazza sulla quale si allungava con il sagrato rialzato di tre scalini e con un proprio spazio antistante delimitato da un muro costruito dall'Arte della Lana la cui cappella dedicata al SS. Corpo di Cristo si trovava addossata all'edificio sacro. Soppressa nel 1783, la parrocchia venne trasferita nella chiesa di S. Maria della Misericordia della Sapienza. L'antica costruzione, demolita nel 1812 per fare posto ad una piazza per il mercato del grano, seguì la sorte delle altre vestigia della zona distrutte, nel corso del secolo precedente: nel 1767 erano stati abbattuti i murelli dei lanaioli e la colonna su cui si trovava la lupa, simbolo di Siena, scolpita da Iacopo della Quercia, mentre dieci anni dopo si atterrò la cappella della stessa Arte, per non dire degli affreschi fatti eseguire secondo le fonti dai migliori maestri del Duecento dal Comune nei locali in cui si riunivano le proprie magistrature, andati perduti nelle diverse trasformazioni dell'edificio. Nel 1879 l'area venne prescelta per accogliere il monumento ai martiri dell'Indipendenza italiana, i cui lavori, affidati all'architetto Archimede Vestri, si protrassero durante il decennio successivo. L'attuale chiesa di S. Pellegrino alla Sapienza fu fondata nel 1240 con l'annesso ospedale di S. Maria della Misericordia dal Beato Andrea Gallerani che vi erogò tutti i suoi beni per il sostentamento dei poveri e degli infermi. La potente istituzione ebbe vita fiorente fino allo scadere del secolo XIV, quando, costretta a chiudere per gli ingenti debiti, i suoi locali furono adattati a pubblico Studio nel Quattrocento. Nella seconda metà del Settecento, per volontà del rettore della Sapienza Antonio Bargagli, la chiesa dedicata alla Natività della Vergine e utilizzata come oratorio dell'Università senese, subì un radicale rifacimento ad opera dell'architetto Pietro Marchetti e nel 1783 accolse la titolazione, come sopra detto, della soppressa S. Pellegrino. Nel secolo XIX cambiò destinazione anche il fabbricato della Sapienza: nel 1816 lo Studio senese si trasferì nell'ex convento di S. Vigilio e gli edifici ospitarono l'Accademia delle Belle Arti istituita ad opera del governatore Giulio Bianchi e dell'abate Luigi De Angelis, con annessa una galleria o pinacoteca voluta dal granduca Pietro Leopoldo di Lorena, che vi rimase fino al 1930, allorché ebbe nuova sede nel palazzo Buonsignori. Nel locale fu sistemato nel 1956 il museo archeologico, ai nostri giorni riaperto presso il Santa Maria della Scala, mentre i piani superiori furono destinati all'Istituto d'Arte. La parrocchia aveva come titolare il proposto della Metropolitana che vi teneva un cappellano curato, il quale abitava in un quartiere dell'ultimo piano ritenuto "scomodo, indecente e privo di libertà" nella relazione della visita pastorale del 1875. Dissapori e vertenze tra i rettori e l'Istituto di Belle Arti si susseguirono per tutto il periodo compreso tra l'Ottocento e il Novecento fino alla definitiva soppressione avvenuta negli anni ottanta del secolo scorso. Attualmente il territorio è compreso nel distretto della cura di S. Antonio in S. Domenico della forania di Siena centro (Ringrazio il sig. Alessandro Ferrini che ha reso possibile il recupero dell'archivio parrocchiale).

A. FIORINI cit., p. 102-105, pp. 83-85; A. LIBERATI cit., XLVIII(1941) pp. 307-311; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 98, 143, 189, 191, 196.

17. PARROCCHIA DI S. PIETRO A OVILE

Le fonti tramandano che la parrocchia di Ovile fosse originariamente ubicata sul colle dove i frati Francescani edificarono il loro convento e che per volontà del papa Gregorio IX, nel 1236, per dare agio ai suddetti di sistemare la propria fabbrica, si spostasse nel luogo attuale in cui i medesimi avevano un ospizio. La chiesa, anticamente isolata dalla parte destra del suo ingresso, nel corso del Settecento servì da appoggio a varie costruzioni (Fabbiani - Morelli, Opera di Provenzano) e subì anche al suo interno vari rimaneggiamenti, resi improcrastinabili dalle precarie condizioni statiche, che ne alterarono la struttura primitiva. Nel 1810, in seguito alle soppressioni degli ordini religiosi, la parrocchia fu traslata nella chiesa di S. Francesco e l'edificio di S. Pietro a Ovile venne concesso alla Contrada della Giraffa che se ne serviva già dal 1732; il curato, tuttavia, continuò ad abitare nella canonica di propria pertinenza limitandosi a fare uso dell'attuale basilica solo per gli uffizi religiosi. Il 27 agosto 1819 il padre Domenico M. Papalini dell'ordine domenicano della Congregazione fiorentina di S. Marco prese possesso del convento dei Francescani e la parrocchia venne di nuovo riportata nella chiesa originaria che continuò ad accogliere anche la Giraffa fino al 1823, anno in cui le venne concesso l'oratorio della Congregazione del Suffragio sotto le volte di Provenzano.Rimasto attivo come ente parrocchiale fino al 1986, lo stabile è attualmente compreso del distretto di Provenzano della forania di Siena centro. Nel 1566 a S,. Pietro Ovile fu unita in perpetuo la pieve di S. Michele Arcangelo di Tressa d'Arbia (oggi Ponte a Tressa) la quale, precedentemente accorpata a S. Bartolomeo in Camollia, dal 1443 rientrava nelle pertinenze di S. Andrea a Montanini. Il patronato cessò nel 1940. Facevano parte della giurisdizione di Ovile anche le zone foranee di Ravacciano e Capraia prima di essere assorbite dalla cura di S. Francesco d'Assisi all'Alberino, istituita nel secolo XIX, e da S. Eugenia ai Pispini.

A. FIORINI cit., p. 156-157; A. LIBERATI cit., LXIV(1957) pp. 197-201 LXV(1958), pp. 142-150; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 102, 144, 189, 197, 207.

18. PARROCCHIA DI S. PIETRO ALLA MAGIONE

Si hanno notizie della chiesa fin dal X secolo, anche se il primo documento effettivo rimanda al 1148, anno in cui Rinaldo Passalacqua e Bacculo vendettero allo spedale di S. Basilio un pezzo di terra, stipulando l'atto "extra portam de Camollia prope domum Templi". Apprendiamo così che alla metà del secolo XII i Templari, istituiti nel 1118, si erano già stabiliti in Siena. Altra documentata notizia, di poco posteriore, data al 1157 una donazione effettuata nella stessa zona presso la "Casa del Tempio" che da allora cominciò ad essere costantemente menzionata come "Magione", il termine tipico con cui si indicano i luoghi di sosta per i pellegrini che nel Medioevo percorrevano la Francigena, della cui assistenza quei religiosi avevano fatto un cardine portante del loro apostolato. Dal 1207 si può procedere ad una quasi continua elencazione della famiglia templare incaricata dell'amministrazione dello spedale annesso di S. Niccolò il quale, grazie ai cospicui lasciti testamentari e alla posizione nevralgica occupata - l'espansione verso nord aveva fatto della zona un importante rione - consolidò la propria potenza economica. Soppressa l'istituzione da Clemente V nel 1312, dopo un lungo processo inquisitorio avviato dal 1307, la chiesa della Magione passò in commenda all'ordine dei cavalieri Gerosolimitani, detti più tardi di Rodi e successivamente di Malta, che ne affidarono la cura e l'amministrazione ad un parroco secolare amovibile, il primo dei quali fu frate Lorenzo di Giovanni da Firenze. Le fonti storiche del secolo XVI ricordano il rettore Luzio di Alberto Aringhieri, decapitato per aver tentato di favorire l'ingresso in città dei fuoriusciti fedeli ai Petrucci e alleati dei Fiorentini nella famosa battaglia di Camollia. A ricordo dello scampato pericolo, la Balia deliberò che si continuasse a proprie spese la costruzione della cappella contigua alla chiesa, iniziata nel 1532 e dedicata alla Presentazione al tempio della B. V. M. , poi chiamata di S. Donnino, protettore degli infettati dal morso dei cani rabbiosi. Nel 1794 il commendatore dell'ordine di Malta De Requesens, secondando i desideri della Curia arcivescovile, venne nella determinazione di rendere la Magione cura stabile e permanente, elevando la congrua e assegnando al parroco la parte del casamento vicina alla chiesa. Soppressi i Cavalieri dal governo francese, i possessi si incorporarono ai beni del Demanio cui fu demandato il mantenimento del sacerdote. Restaurato il governo granducale, venne concessa alla parrocchia la proprietà dello stabile appartenuto al commendatore, in cambio degli oneri che questi si era assunto a suo tempo relativi alla completa responsabilità della fabbrica e degli arredi, motivo che indusse più volte i parroci nel corso dell'Ottocento a lamentare lo stato di indigenza derivante dalla tenuità delle rendite non compensate dalle eccessive spese. Attualmente S. Pietro alla Magione risulta ente ecclesiastico civilmente riconosciuto ed è attivo come parrocchia compresa nella forania di Siena centro.

A. FIORINI cit., p. 29-30; S. DE COLLI, Notizie storiche della Magione del Tempio, in "La Magione del Tempio" Bollettino della Società Senese degli Amici dei Monumenti, II(1957), pp. 3-6; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 102, 144, 189; AA. VV., La Chiesa di S. Pietro alla Magione nel Terzo di Camollia a Siena: il monumento, l'arte, la storia, Siena 2001.

19. PARROCCHIA DI S. PIETRO APOSTOLO (ALLE SCALE) IN CASTELVECCHIO

Secondo la tradizione sarebbe stata edificata su un tempio di epoca romana e avrebbe accolto in epoca longobarda i primi canonici. Di essa si ha notizia sin dal secolo XI; nel 1186, sotto la rettoria di messer Guido, furono definitivamente stabiliti i confini della parrocchia. Nel 1255 il vescovo Tommaso Balzetti la riconsacrò dotandola di numerose reliquie. A seguito della pestilenza del 1348 venne istituita in S. Pietro una cappellania sotto l'invocazione di S. Sebastiano e fu appunto per aumentare il culto del santo che il rettore fece istanza, il 29 dicembre 1350, ed ottenne dal governo una perpetua di Quattro doppi di cera. Nel secolo XVIII numerosi furono i lavori eseguiti per il miglioramento dell'edificio: nel 1706 fu innalzato il portico, nel 1708 venne restaurata la loggia del cimitero, per la cui caduta l'anno precedente, erano crollati due forni ed era deceduta una donna. Nel 1716-17 il prete Michelangelo Lenzi restaurò la facciata e dette avvio alla costruzione della scalinata antistante. Gravi danni ebbe a soffrire la chiesa per il disastroso terremoto del 26 maggio 1798, ma grazie alla solerzia del sacerdote Pietro Bartali due anni dopo poté essere riaperta al culto. Attualmente è attiva come parrocchia facente parte della forania di Siena centro.

A. FIORINI cit., p. 242-243; A. LIBERATI cit., XLVIII(1941) pp. 66-69; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 100, 144, 190.

20. PARROCCHIA DEI SS. PIETRO E PAOLO IN BANCHI (S. PIETRO BUIO O ALLE SCALE) POI IN S. GIOVANNINO IN PANTANETO

Detta chiesa era situata in fondo a via Calzoleria "lungo la via Banchi di Sotto, con la porta piccola in detta strada e con altra maggiore in facciata". Secondo la tradizione sarebbe stata costruita nel V secolo d. C. sulle fondazioni del tempio di Giove, posto "alle tre vie da Rocca Bruna"; vi si accedeva salendo alcuni scalini che dettero origine alla denominazione ufficiale di "S. Pietro alle Scale", cui si aggiunsero "Buio" per la scarsa luminosità del suo interno e "in Banchi" per distinguerla dall'altra omonima posta in Castelvecchio. La sua memoria più antica è un documento dell'11 gennaio 1181 nel quale il rettore Orlando risulta testimone dell'atto con cui il vecovo Gunteramo concesse al priore dell'eremo del Vivo d'Amiata di erigere un monastero camaldolese presso la chiesa di S. Cristina della Rosa, nella vigna di Zanni di Salimanno. Nel medioevo la chiesa fu sede della compagnia militare che aveva per arme uno scudo azzurro con una scala e due chiavi pontificie incrociate. Ospitò anche l'arte degli orefici e, dal 1692 al 1786, la Contrada della Civetta. Fu chiusa al culto in seguito alla ristrutturazione delle parrocchie senesi voluta da Pietro Leopoldo e il titolo venne traslato nel 1786 all'Oratorio di S. Giovannino nella piazzetta della Staffa. L'antico stabile fu subito venduto per essere trasformato in civile abitazione. La chiesa di S. Giovannino secondo A. Liberati, sarebbe stata edificata verso la metà del secolo XIII dai frati Silvestrini di S. Giovanni che fino ad allora avevano uffiziato la cura dei SS. Giacomo e Filippo presso la porta di Busseto; passata alla Compagnia laicale di S. Giovanni Battista, sorta verso la fine del XV secolo, furono iniziati i lavori che avrebbero portato l'edificio alla forma attuale. Nella seconda metà del secolo XVII la Compagnia offrì alla Contrada del Leocorno, priva di sede, la possibilità di riunirsi nel cappellone dedicato alla Madonna della Pace dove rimase fino al 1762; nel 1778 la medesima ottenne la possibilità di usufruire per le assemblee dell'atrio del tempio dedicato a S. Giuseppe, dove rimase nell'epoca successiva, salvo una breve interruzione di due anni al momento in cui si ebbe la traslazione della cura di S. Pietro Buio nell'edificio della soppressa Compagnia di S. Giovannino. Nel 1868 il rettore Alessandro Toti ottenne dalla Curia arcivescovile l'allontanamento della Contrada, revocando anche l'antica concessione della cappelletta d'ingresso. Solo nel 1966, dopo che il titolo parrocchiale venne trasferito in S. Martino, i Lecaioli poterono tornare in S. Giovannino contando sull'uso perpetuo dei locali che vennero benedetti dall'arcivescovo Mario Ismaele Castellano il 28 giugno 1970.

A. FIORINI cit., p. 311-312; V. GRASSI, L'antica sede della Contrada del leocorno in "Ricordo in occasione dell'inaugurazione della sede della contrada", 1970;A. LIBERATI cit., LX(1953) pp. 254-260; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 101, 144, 190; (ringrazio il sig. Paolo Lombardi per le informazioni fornitemi).

21. PARROCCHIA DEI SS. QUIRICO E GIULITTA

Le fonti della tradizione attestano la costruzione della chiesa sugli avanzi di un tempio dedicato a Quirino. Fu parrocchia in epoca alto-medioevale e canonica dal 1270. Vi si riunivano gli uomini della compagnia d'arme di S. Quirico, la quale ben presto dovette assurgere a tale importanza da meritare che il Comune fin dal 1236 vi delegasse i suoi misuratori di farine, i custodi di giorno e di notte, i banditori ed altri ufficiali. Nel 1598 il rettore Ottavio Preziani ristrutturò l'edificio facendogli perdere l'assetto originario: "fu ampliata di portico et abbellita dentro di cinque altari con spesa di scudi tremila, che per l'addietro l'altar maggiore era dove hoggi è la sua porta principale e, dove hoggi è detto altar maggiore c'era la porta principale di detta chiesa". Nel 1783, in seguito alla soppressione della cura di S. Marco, estese la propria giurisdizione a tutto il rione. Nel 1956 la titolarità della parrocchia passò alla chiesa della Compagnia dei SS. Niccolò e Lucia e negli anni seguenti si avviarono, pur senza esito, trattative per destinare l'antica sede a oratorio della della Pantera, benché ubicata nel territorio della Contrada della Chiocciola. La compagnia dei SS. Niccolò e Lucia ebbe origine alla fine del sec. XIII nella chiesa di S. Niccolò al Carmine con la denominazione riportata dal Benvoglienti di "Compagnia delle Laudi della B.V.M. nella chiesa di S. Nicola dei Frati dell'ordine del Monte Carmelo"; alla fine del Trecento gli ascritti presero possesso dei locali annessi alla chiesetta di S. Lucia del Piano dei Mantellini, che servivano da spedaletto per i pellegrini e che gestirono fino al 1574. I bisognosi, accolti come ospiti per tre giorni, potevano essere sia senesi che forestieri, purché di costumi onesti. Avevano il sabato l'obbligo di pulire l'oratorio e quotidianamente il dovere di tenere in ordine le camere. Soppressa l'istituzione da Pietro Leopoldo, lo stabile venne acquistato da un tal Pampaloni che lo trasformò in mulino fino a che passò ad Ettore Romagnoli, maestro di cappella della Collegiata di Provenzano e biografo degli artisti senesi. La chiesa invece continuò ad essere uffiziata dai monaci di S. Mustiola al cui distretto parrocchiale apparteneva. Di origine trecentesca, il tempio era stato ricostruito agli inizi del Seicento dalla Compagnia e consacrato nel 1606 da Alessandro Petrucci, vescovo di Massa Marittima. La medesima aggregazione laicale aveva curato nel corso dei secoli l'abbellimento interno, affidando ai maggiori artisti senesi l'esecuzione degli affreschi, dei quadri e dei decori. Con il ripristino delle Congregazioni la chiesa accolse il nuovo sodalizio che durante le epoche successive continuò a riunirvisi come tuttora, pur essendo sede dalla metà del secolo scorso della parrocchia dei SS. Quirico e Giulitta.

A. FIORINI cit., p. 245; A. LIBERATI cit., XLVII(1940) pp. 332-334; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 102, 108, 146, 153, 190, 167; Cenni storico artistici sulla chiesa di S. Lucia e sulla sua compagnia laicale, Siena 1939.

22. PARROCCHIA DI S. SALVATORE IN S. AGOSTINO

L'antica chiesa di S. Salvatore, retta dai frati dell'ordine degli Umiliati, è ricordata spesso nei registri del Magistrato dei Quattro Provveditori di Biccherna per le ricevute rilasciate ai banditori e misuratori di farine di quella contrada. Con la soppressione della religione suddetta, nel 1571, la parrocchiale diventò commenda di S. Stefano sotto il patronato della famiglia fiorentina dei Sangalletti. Nel 1589 il popolo di Malborghetto ottenne il permesso di chiudere il porticato dell'edificio e ne ricavò un "chiesino" intitolato a S. Bernardino, che nel 1602 fu concesso in uso alla Contrada dell'Onda. Con reale rescritto del 14 maggio 1789 la chiesa di S. Salvatore fu secolarizzata e ridotta ad uso profano, preservando solo l'oratorio che tuttavia già dal 1787 era stato abbandonato per le precarie condizioni dalla Contrada, trasferitasi nel tempio dell'arte dei falegnami dedicato a S. Giuseppe. Con decreto ecclesiastico del 3 settembre 1789 la parrocchia fu traslata in S. Agostino il cui complesso apparteneva ai monaci dello stesso ordine dal secolo XIII. Essi si erano insediati nelle castellaccia di S. Agata dopo aver abbandonato l'eremo del Laterino dedicato alla SS. Trinità, ottenuto in enfiteusi dall'abbazia di S. Galgano. Avevano cominciato la costruzione del loro santuario nel 1258 sulla parte superiore del poggio davanti alla sottostante vallata di Montone, protraendo i lavori fin verso la fine del secolo XV. A metà del Settecento, anche per riparare ai danni del disastroso incendio del 1747, l'architetto Luigi Vanvitelli dette una nuova veste all'interno della chiesa, rifece la copertura e il campanile ed ampliò la struttura conventuale. Dopo la soppressione degli ordini religiosi attuata dal governo francese, gli Agostiniani lasciarono l'edificio che nel 1818, per volontà del Granduca Ferdinando III, accolse il Collegio Tolomei retto dagli Scolopi fino al 1876, anno in cui l'istituto venne trasformato in Convitto Nazionale. Il tempio ha continuato la sua funzione di parrocchia fino all'ultimo decennio del Novecento, quando è stata unita a S. Pietro in Castelvecchio.

A. FIORINI cit., p. 289, 274-276; A. LIBERATI cit., XLVIII(1941) pp. 301-303; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 112, 146, 154, 191.

23. PARROCCHIA DELLA SS. ANNUNZIATA NELLO SPEDALE DI S. MARIA DELLA SCALA

Facente parte del complesso ospedaliero di S. Maria della Scala, serviva per il conforto spirituale dei degenti e dei lavoranti. L'ampliamento del primitivo oratorio in chiesa vera e propria è attestato dai documenti nel 1354, anche se il definitivo accrescimento che avrebbe portato alla dimensione dell'attuale edificio data al secolo successivo. La chiesa nuova non solo assorbì l'ultima parte della casa delle balie, "ma si protese a coprire la rampa di discesa nei fondi e il percorso in piano per la loggia senza tuttavia occluderli, grazie all'ingegnosa soluzione del presbiterio sopraelevato di oltre due metri". Le pie volontà di numerosi testatori che legarono cospicui lasciti all'istituzione con obblighi di messe e di uffizi sacri, nonché l'assistenza religiosa ai morenti e agli esposti, fecero sì che i rapporti tra l'amministrazione e la Curia rimanessero stretti nel corso dei secoli. Nell'Ottocento la rettoria fu affidata ai frati Cappuccini che vi rimasero fino all'ultimo decennio del secolo scorso. Risulta attualmente compresa nel distretto della Cattedrale.

D. GALLAVOTTI CAVALLERO - A. BROGI, Lo Spedale Grande di Siena, Firenze 1987; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 116, 147, 191, 363.

24. PARROCCHIA DI S. STEFANO PROTOMARTIRE

Esisteva nel 1197 ed era sotto il giuspatronato della potente famiglia medioevale dei Gazzani che nella zona ebbe il proprio castellare con palazzo e portico, quale segno di nobiltà e distinzione. Fin dal Trecento vi si radunò l'omonima compagnia militare che dall'antica prosapia aveva tratto l'insegna: uno scudo bianco traversato da una lista nera. La chiesa fu totalmente ricostruita fra il 1671 e il 1676 per volontà del rettore Carlo Sozzini che le conferì l'aspetto attuale. Benedetto Spinelli, attuario della Curia, scrisse nella seconda metà dell'Ottocento che confinava "a latere epistolae [con] la piazza mattonata della casa della residenza e la detta casa con la chiesa che poco serviva in luogo dell'antica demolita dagli Spagnoli, oggi ridotta per sagrestia posta dietro il vicolo situato fra casa Mari e casa Borghesi e da latere evengelii confinava la piazza di detta chiesa che arrivava fino ad alcune case de' Sigg. Pecci, già della Congregazione di S. Giorgio, per essere detta piazza il luogo ove era anticamente situata la bella e antica chiesa di S. Stefano demolita dagli Spagnoli per farci la cittadella; ma oggi per il mezzo di detta piazza vi passa la strada. Nel davanti alla porta d'ingresso confina la strada e quindi allora il campo e cimitero di detta chiesa. La casa per abitazione del rettore contigua ed attaccata alla chiesa aveva avanti di essa una piazza di casa e la via pubblica, da un lato una casa di un tale detto il Corpia già del Mattioli passato poi alle Religiose Abbandonate ed altra casa delle Monache Convertite. Dall'altro lato erano casa ed orto già di casa Gonzaga, di poi delle Monache della Madonna dette le Trafisse ed il pezzo che esiste dalla parte di sotto in luogo detto lo stanzone era in comune con le Convertite; da dove era riescita dietro la chiesa, fra le altre stanze vi si comprendeva anche la sagrestia vecchia ed un vicolino della casa fra il muro dell'orto delle Monache della Madonna ed il muro della casa canonica". Per la soppressione generale dei conventi di epoca napoleonica, la cura passò nel 1811 alla chiesa del monastero di Campansi per ritornare cinque anni dopo al luogo originario. Risulta annessa al distretto parrocchiale di S. Andrea dal 1986.

A. FIORINI cit., p. 35; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 117, 148, 191, 198.

25. PARROCCHIA DEI SS. VINCENZO E ANASTASIO

Posta in cima al vicolo di Malizia, che da essa prendeva nome, la chiesa fu per molti secoli cura d'anime fino alla soppressione del 1782. Sei anni dopo venne data in uso perpetuo alla Contrada dell'Istrice di cui attualmente è oratorio e sede museale. La costruzione è fatta risalire al 1144 e pare che il giuspatronato spettasse ai monaci romani dell'Acqua Salvia. Gli eruditi del Settecento riportano anche la notizia secondo la quale alla fine del secolo XIII la parrocchia era retta da chierici alle dipendenze dell'abbazia romana di S. Anastasio alle Tre Fontane cui la città di Siena era obbligata a pagare ogni tre anni un calice d'argento con patena dorata come censo per l'affitto del lago di Maremma. La chiesetta aveva una semplice facciata a due spioventi con un piccolo portale. Si accedeva al camposanto sul lato destro, attraverso una porticina laterale aperta di fianco all'altar maggiore. Dal 1272 risiedette nello stabile l'omonima compagnia militare che aveva come arma un'insegna rossa con lastra bianca pendente sormontata da quattro dentelli rossi. Il fianco che la chiesa prospetta sulla via maestra mostra il paramento in pietra, avendo perduto tutto l'intonaco in gran parte affrescato. Un antico dipinto con Cristo benedicente è stato staccato recentemente da una lunetta del muro esterno ed è conservato nel museo della Contrada.

A. FIORINI cit., p. 34; G. CATONI - S. FINESCHI cit., pp. 127, 187; G. VENEROSI PESCIOLINI, Di alcune istruzioni vallombrosane in Siena nei secoli XI - XIV, in "BSSP,", XXXIX(1932) p. 396.