- IL PALIO CON LE SPENNACCHIERE -
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Derivata dal termine “pennacchio”, la spennacchiera del barbero affonda la propria origine nella storia del Palio. Per noi ragazzi di Siena il palio con le spennacchiere, insieme a quello con i barberi o con i tappini (cfr. Barberi e tappini), è sempre stato uno strumento di gioco molto utilizzato. ![]() Le spennacchiere ce le costruivamo da soli grazie agli insegnamenti tramandati nel tempo dai più grandi. Dopo aver disegnato e ritagliato le sagome sul cartone, in genere quello delle scatole delle scarpe, si colorava la loro parte lucida con le matite Giotto, ma i colori non venivano mai troppo bene. Potendo spendere due soldi invece, vi si incollava sopra della carta colorata, che allora le cartolerie senesi vendevano in apposite piccole mazzette, ritagliandola per ricoprire i due quarti o tutta la sagoma, a seconda delle Contrade da fare. In ogni mazzetta c’erano due o tre strisce di carta per ogni colore in base alla sua “frequenza” nell’araldica e pertanto ce n’era una sola per il rosso amaranto della Torre che perciò non consentiva errori. La colla di solito veniva fatta con acqua tiepida e farina, ma anche qui chi poteva utilizzava la Coccoina, venduta nel suo barattolino d’alluminio e dal vago odore di mandorle (un ricordo olfattivo che ti resta tutta la vita). ![]() Al Palio si giocava, soprattutto d’estate, per le strade o nelle piazzette dei rioni percorrendole in tondo per i canonici tre giri. Uno di noi faceva il Mossiere e assegnava per sorte le spennacchiere ai “fantini”, che a loro volta si sceglievano i “cavalli”. C’era chi correva di più e chi di meno e una corda, passata a mo’ di briglia dietro al collo e sotto le ascelle, vincolava la coppia dei ragazzi per la corsa. Un'altra corda più grossa fungeva da canape per l’allineamento e la partenza stabilita arbitrariamente dal Mossiere con un perentorio “pronti-via”. Il ragazzo-cavallo era obbligato, pena l’eliminazione, a tenere la spennacchiera serrata fra l’indice e il medio con la parte rotonda rivolta verso il basso, mentre con l’altra mano si sarebbe nerbato in corsa sulle cosce nude, nella malcelata convinzione di aumentare la sua velocità, o avrebbe nerbato quanti cercavano di sorpassarlo. Al ragazzo-fantino il compito di rinserrare i rivali e di muovere le redini simulando la guida in un percorso in realtà quanto mai scontato. ![]() Non sempre s’era abbastanza numerosi da formare dieci coppie e un premio di solito non c’era, ma se si vinceva si esultava lo stesso, nonostante le sbucciature ai ginocchi per le cadute. Qualche volta i più dotati dipingevano un drappellone di carta o di cartone che veniva montato su di un’asta di legno insieme al coperchio di latta di un barattolo di pomodori pelati ed allora era proprio una festa. ![]() Di questo gioco antico resta oggi la memoria del “Palio dei cittini” che la Contrada del Valdimontone generosamente organizza fin dal 1981 in occasione della propria Festa Titolare, con tanto di zucchini e di giubbetti e con la gioiosa e attesa partecipazione dei bambini di tutte le nostre Contrade (cfr. Palio dei cittini). |