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- LA PESTE NERA -
Origine e diffusione
a cura del dott. Fabrizio Gabrielli



La peste nera arrivò dall'Asia. In Cina, si raccontava nei porti del Mediterraneo, morivano da qualche tempo molte persone, in un modo allarmante. Soprattutto in Italia si diffuse quindi una certa inquietudine. Nel 1346 scriveva il cronista fiorentino Matteo Villani:


"Cominciossi nelle parti d'Oriente, nel detto anno [1346], in verso il Cattai e l'India superiore, e nelle altre provincie circustanti a quelle marine dell'oceano, una pestilenzia tra gli uomini d'ogni condizione di ciascuna età e sesso, che cominciavano a sputare sangue, e morivano chi di subito, chi in due o in tre dì... Questa pestilenzia si venne di tempo in tempo, e di gente in gente apprendendo, comprese e uccise infra il termine d'uno anno la terza parte del mondo che si chiama Asia. E nell'ultimo di questo tempo s'aggiunse alle nazioni del Mare Maggiore, e alle ripe del Mare Tirreno, nella Soria e Turchia, e in verso lo Egitto e la riviera del Mar Rosso, e dalla parte settentrionale la Rossia e la Grecia, e l'Erminia e l'altre conseguenti provincie..."!.



La peste nera a Siena


L'autore non immaginava che molto presto, nel mezzo dell'Europa, egli stesso sarebbe stato vittima di quella malattia sconosciuta. Ma dove aveva avuto origine? Il medico arabo Ibn Hatimah supponeva che avesse avuto origine in "Hata, Cina in lingua persiana". Il suo connazionale Ibn Battuta credeva di averla già incontrata nel 1332 alle pendici meridionali dell'Himalaya. Il suo vero focolaio d'origine era presumibilmente situato nella regione del lago Bajkal in Asia centrale dove, durante gli scavi nelle catacombe cristiane gli archeologi hanno registrato, riferita agli anni trenta del XIV secolo, una mortalità eccezionalmente elevata. Nei territori della Transoxiana, allora sotto il dominio mongolo ma abitati da cristiani nestoriani, l'epidemia raggiunse Tabriz a Occidente, l'India settentrionale e la Cina ad Oriente. Alla fin fine sarebbe stata la via della seta ad essere fatale per l'Europa. A Occidente del lago d'Aral si possono seguire le tracce mortali della peste attraverso le pianure dell'Ustjurt intorno alla costa settentrionale del Mar Caspio fino ad Astrakhan, che fu colpita nel 1346. Procedendo verso sud-ovest raggiunse la regione del Don, il Mar d'Azov e infine la sponda settentrionale del Mar Nero. Le sue ultime tappe al di fuori dell'Europa furono descritte in modo dettagliato già da storiografi bizantini come Niceforo Gregora e Giovanni Cantacuzeno.

Data la scarsità delle fonti resta poco chiaro se le epidemie accertate per l'anno 1341 nella Russia occidentale e in Siria rappresentarono una prima ondata di peste. Appare interessante osservare come l'epidemia nel suo procedere dall'Asia verso Occidente abbia continuamente aumentato la sua velocità di diffusione. È anche certo che la fiorente attività commerciale sviluppatasi sotto il dominio mongolo favorì la mobilità di uomini e animali, comprese le pulci della peste.

La voce di una nuova, grave epidemia inquietava sempre più l'Europa. Nessuno sapeva di preciso dove si trovasse Catai, la regione dove in un primo tempo si pensava avesse avuto origine la peste. I racconti dei viaggiatori erano impressionanti e la verità, come spesso accadeva quando si raccontavano le storie che provenivano dal lontano Oriente, si mescolava alla fantasia. Fenomeni naturali insoliti vennero interpretati come prodigi e, successivamente, quando la peste fece il suo debutto in Europa (anzi, proprio in Italia), ciascuno ebbe la pretesa di aver riconosciuto segni funesti con cospicuo anticipo.

I dati geografici di cui si disponeva nel XIV secolo erano alquanto vaghi. Sentendo parlare di Cina e Persia solo pochi europei erano in grado di immaginarsi qualcosa. Nel XIV secolo le nozioni sull'Asia, malgrado le cronache di viaggiatori come Marco Polo, erano quanto mai limitate. Quanto alle regioni interne dell'Asia, persino i planisferi del XV secolo presentavano gravi lacune. Nel 1347 la peste raggiunse già l'Italia. Ma notizie di orrori di questo tipo, alimentate dalla paura, dalla fede nei miracoli e dal desiderio di mettersi in mostra non erano tuttavia rare. Nell'aprile del 1348 un ecclesiastico che si trovava presso la curia di Avignone, scrisse in patria, alla propria diocesi fiamminga, che nel 1347 la peste si diceva fosse scoppiata in India. Dopo che vi si era verificata una pioggia di rane, serpenti, lucertole, scorpioni e quant'altri animali velenosi, il giorno successivo, durante un temporale inimmaginabile, una terribile grandinata avrebbe sterminato uomini e animali. Coloro che erano sopravvissuti sarebbero poi morti tre giorni dopo, bruciati da un fuoco caduto dal cielo che produsse un fumo impenetrabile. Per il puzzo dei cadaveri l'intera regione e i paesi vicini, fino alle coste del Mar Nero, sarebbero stati invasi da un soffio pestifero. Per quanto anche questo racconto sia impreciso nell'indicazione delle date e sia stato scritto quando la peste imperversava già in Europa, lascia tuttavia supporre quanto grande fosse in Europa la paura ancor prima dell'arrivo della peste nera.

Un altro autore europeo segnalava che nell'Oceano Indiano i vapori acquei sarebbero stati corrotti dalle esalazioni dei cadaveri sparsi ovunque. Spinti sulla terra provocavano la morte ovunque. La cronaca proveniente dalla corte estense di Ferrara confermava il racconto precedente:


"Tra il Catai e la Persia era comparsa una forte pioggia di fuoco. Come se si trattasse di fiocchi di neve, il fuoco cadeva sulla terra, bruciando montagne, pianure e tutte le restanti regioni, uomini e donne compresi. Poi si formò una enorme colonna di fumo. E chi la guardava moriva a distanza di una mezza giornata. E allo stesso modo morivano quegli uomini e quelle donne che videro qualcuno che era stato testimone oculare di questo avvenimento".



Già nel 1347 la peste aveva raggiunto Costantinopoli e quasi tutti i porti del Mediterraneo orientale. Non senza sgomento gli europei avevano preso atto che a favorire la diffusione delle epidemie non erano soltanto i contrasti bellici con le loro crudeltà e incalcolabili conseguenze, ma anche la fioritura del commercio, così come gli stretti rapporti politici e culturali. Ogni porto o centro di commercio che veniva contagiato funse da moltiplicatore della peste nera. Dal punto di vista della medicina preventiva, e ovviamente con le conoscenze che ne abbiamo oggi, il cammino trionfale della peste in Europa era già stato scritto nel momento in cui essa era giunta nelle città più orientali del continente.

Dalla già ricordata città di Caffa, in Crimea, con alcune navi i cui marinai erano ancora vivi, ma già contagiati dal morbo, l'epidemia raggiunse la Sicilia nell'ottobre 1347, in particolare a Messina, dove arrivarono dodici galee genovesi. Subito dopo furono contagiate Genova e Venezia, che furono le due prime città dell'Italia continentale ad essere colpite. L'Italia fu travolta dalla peste in modo drammatico. Le cronache del tempo riportano con giornalistica precisione la terrificante diffusione della malattia. Può sembrare incredibile, ma non appena i marinai misero piede in un porto cominciarono a morire le persone del luogo. Gli stessi marinai, di costituzione più forte e abituati a viaggiare anche in Oriente, continuarono magari a vivere per qualche giorno in più, ma nel frattempo avevano già contagiato centinaia di persone, provocando il disastro del secolo. A Genova e a Venezia si pensò subito che qualche ritorsione divina avesse condannato a morire la popolazione delle due città per i commerci, talvolta anche spregiudicati, operati dai suoi mercanti. Ben presto però ci si accorse che analoghe storie cominciarono a diffondersi anche in altre città, non necessariamente legate ad un "progetto divino" contro l'Uomo.

I giovani giuristi bolognesi del tempo furono sorpresi dal crollo della tradizionale scala dei valori, dal vacillamento delle secolari tradizioni della società cristiana. La sensazione di essere vittima di una vendetta divina, ma anche la battuta d'arresto subita dai commerci, l'impotenza dell'Uomo nei confronti dell'ambiente circostante, la lacerazione dei vincoli familiari e la paura quotidiana della morte cambiarono in brevissimo tempo gli uomini. Ogni giorno erano in molti a morire: vicini di casa, amici, conoscenti e soprattutto familiari. Dappertutto la peste nera causò dei cambiamenti nelle abitudini sociali delle città. Le persone, incontrandosi, provavano le une per le altre dei sentimenti di diffidenza e sfiducia istintiva. Ad essere in pericolo non erano solo i commerci e l'approvvigionamento dei viveri, ma anche le amicizie e i legami familiari. L'amore per il prossimo, la compassione ed il rispetto andarono con l'affievolirsi. Fu un'ecatombe sociale.

I rapporti tra persone andarono imbarbarendosi. I padri, di fronte ai figli ammalati, si rifiutavano di restar loro accanto. Chi aveva il coraggio di avvicinarsi ai parenti ammalati, cadeva colpito dal morbo egli stesso ed era votato alla morte che sopraggiungeva dopo tre giorni. Morivano perfino i gatti e gli animali domestici, polli, conigli e uccellini. Che il padre non volesse più vedere i propri figli e la moglie il proprio marito, se colpiti dalla peste, diventò addirittura un motivo celebre della letteratura sulla peste, come ad esempio nell'Introduzione alla Prima Giornata del Decamerone di Boccaccio:


"E lasciamo stare che l'uno cittadino l'altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell'altro cura e i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano: era con sì fatto spavento questa tribulazione entrata né petti degli uomini e delle donne, che l'un fratello l'altro abbandonava e il zio il nipote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito; e (che maggior cosa è e quasi non credibile), li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano."



Anche i giuristi, già citati in precedenza, e i sacerdoti non furono esenti da questa paura generale, peraltro a ragione. Le raccomandazioni fatte loro da alcuni tutori della deontologia professionale (ad esempio Tommaso del Garbo) andavano perse nel nulla. Se i malati volevano fare testamento o ricevere l'estrema unzione, queste due categorie dettero adito a molti dubbi sull'efficacia dei legami sociali e politico-religiosi del tempo.

A Siena la peste arrivò proveniente da Pisa e in entrambe le città il morbo imperversò da aprile a ottobre del 1348. Agnolo di Tura, uno dei grandi cronisti italiani del XIV secolo, senese di nascita, descrisse la "grande mortalità, la maggiore e la più oscura, la più horribile" che la città abbia mai visto.


"E non sonavano Campane, e non si piangeva persona, fusse di che danno si volesse, che quasi ogni persona aspettava la morte; e per sì fatto modo andava la cosa, che la gente non credeva, che nissuno ne rimanesse, e molti huomini credevano, e dicevano: questo è fine Mondo".



Il numero dei morti resta incalcolabile a Siena, ma il cronista lo quantificò in circa ottantamila persone. A causa della peste Agnolo di Tura perse cinque figli che dovette seppellire egli stesso. Colpi del destino che in tempi normali avrebbero portato alla pazzia e alla disperazione qualsiasi persona furono improvvisamente superati dalla situazione di bisogno estremo. E il dramma di Agnolo di Tura non fu un caso isolato. Nel 1348 Siena lamentò anche la scomparsa di due dei suoi artisti più famosi, i fratelli Pietro e Ambrogio Lorenzetti, entrambi pittori.

Anche a Siena, come a Firenze o a Venezia, i poteri dello stato non poterono più essere esercitati né controllati, mancando il quorum necessario per la validità delle votazioni nei consigli. Il che portò ad una situazione di anarchia, come lo stesso Boccaccio descrisse sempre nell'Introduzione alla Prima Giornata del Decamerone:


"E in tanta afflizione e miseria della nostra città era la reverenda autorità delle leggi, così divine come umane, quasi caduta e dissoluta tutta per li ministri e esecutori di quelle, li quali, sì come gli altri uomini, erano tutti o morti o infermi o sì di famigli rimasi stremi, che uficio alcuno non potean fare".



Qualcuno dei consigli cittadini rimasti in vita tentò di legiferare in materia cercando di arginare la potenza della peste e tentando di isolare i malati mettendoli in quarantena. Encomiabile, ma senza risultati significativi, fu lo sforzo della città di Pistoia, che nonostante l'impegno patì perdite simili alle altre città toscane. Solo Milano riuscì a controbattere il morbo con misure efficaci che fecero di questa città praticamente l'unica isola felice di tutto il nostro paese, che fu il primo colpito in Europa e quello che subì le maggiori perdite di tutto il continente.

- Introduzione -

- Trasmissione dell'infezione e quadro clinico -

- Teorie sulla peste nel tardo medioevo -

- Conclusioni -