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- IL PENSIERO DI CATERINA -
a cura del dott. Fabrizio Gabrielli



L'esperienza mistica di Santa Caterina si traduce in moti indimenticabili nelle sue Lettere (381, dettate ai suoi discepoli). In esse rivive in tutta la sua immensa forza, l'ardore della sua passione religiosa e insieme la sua azione di predicazione, espresse con un'eccelsa efficacia. Certo, nella sua prosa corposa e violenta, tenuta sempre su un registro altissimo fino a diventare puro grido d'amore per Cristo, sono rare le pause di serena contemplazione poetica, in cui la veemenza del suo linguaggio si riscatta dal peso delle intenzioni pratiche che la determinano. Sono i momenti di suprema ebbrezza, in cui la tensione dell'anima donata al Cristo si esprime in quelle immagini roventi di fiamma e di sangue in cui pare tradursi nel modo più caratteristico il ritmo della sua esperienza mistica, tutta permeata di una sete di sacrificio e tutta rivolta a rivivere continuamente in sé stessa la Passione del Cristo.


Nascono di qui isolate immagini d'una purissima immediatezza poetica o le pagine pervase dalla letizia appassionata del martirio, che compongono ad esempio la famosissima lettera a frate Raimondo da Capua sulla morte di Niccolò di Toldo sul patibolo: momenti rari, certamente, ma che bastano ad illuminare della loro luce altissima tutto il tessuto oratorio delle Lettere. E tuttavia l'allucinato svolgersi di questa eloquenza attraverso un abbagliante susseguirsi di visioni sorrette da una tensione metaforica estrema, l'irruenza, la violenza quasi fisica dei suoi ritmi, quella volontà d'azione che è sempre presente nell'evocazione rapìta e infiammata delle proprie esperienze, dei propri sentimenti, delle tentazioni e delle visioni, come nell'insistenza sui doveri da compiere, sulle opere che Dio esige attraverso la sua bocca (si vedano a questo proposito le parole indirizzate a Gregorio XI per esortarlo a ritornare da Avignone a Roma), tutta questa volontà "pragmatica" espressa attraverso la parola, ha una sua indimenticabile ed eloquente potenza, che si impone al lettore per l'accanimento mistico, la passione di fuoco e di sangue che la sorregge e le dà una sua eco, profonda e viva.

Al confronto delle Lettere, molto minore importanza ha il Dialogo della Divina Provvidenza dettato in estasi ai suoi discepoli nell'autunno del 1378, in cui la costruzione teologica si mantiene su un andamento piuttosto tradizionale, con un movimento oratorio meno originale, che non si accorda sempre con l'altezza e l'audacia del tema (Santa Caterina riceve direttamente da un colloquio con Dio l'insegnamento da impartire, secondo le necessità della Chiesa e dei fedeli).

Papa Giovanni Paolo II, nel febbraio del 1995, durante la recita dell'Angelus, definì Caterina "messaggera di pace". L'esordio in questo ruolo la Santa senese lo ebbe nella sua città, che come molte città dell'Italia del XIV secolo, viveva una situazione sociale alquanto difficile e travagliata; vi erano cruenti lotte fra fazioni rivali, facenti spesso capo a potenti famiglie che si contendevano il predominio sul governo della città. La sua fama di "donna di pace" presto si estese anche fuori le mura di Siena, a Volterra per esempio, dove per il bene della città riuscì a sedare gli odi fra due famiglie, una guelfa e una ghibellina.

Sempre Giovanni Paolo II ha definito Caterina "la mistica della politica". Infatti nelle lettere ai politici suoi contemporanei ricorda che il potere di governare la città è un "potere prestato" da Dio. La politica, per la Santa senese, è la buona amministrazione della cosa pubblica finalizzata ad ottenere il bene comune, non certo l'interesse personale. Per far questo il buon amministratore deve ispirarsi direttamente a Gesù Cristo che rappresenta l'esempio più alto di giustizia. La giustizia infatti nella dottrina politica di Santa Caterina assume un ruolo fondamentale; senza giustizia non c'è pace e se manca la pace viene meno il presupposto che sta alla base della crescita sociale e morale di uno stato. A Pietro del Monte, Podestà di Siena scrive: "Siate vero giudice e signore nello stato che Dio v'ha posto e direttamente rendiate il debito al povero ed al ricco, secondo che richiede la santa giustizia, la quale sia sempre condita con misericordia". E ancora ai Consoli e Gonfalonieri di Bologna scrive: "Se voi sarete uomini giusti che il reggimento vostro sia fatto... non passionati né per amor proprio e bene particolare, ma con bene universale fondato sulla pietra viva Cristo dolce Gesù".

Fece da scenario a Caterina infermiera volontaria l'ospedale senese di Santa Maria della Scala, luogo di accoglienza di viandanti, pellegrini e ammalati sorto lungo il percorso della via Francigena, oggi adibito a museo presso il quale è possibile visitare l'oratorio di Santa Caterina della Notte, dove appunto Caterina era solita riposarsi durante le lunghe notti trascorse al capezzale di malati, infermi e sofferenti.

Caterina interpretò la carità cristiana in modo operativo e concreto: infatti era solita frequentare giornalmente l'ospedale senese portando assistenza e conforto ai ricoverati. La mantellata di Fontebranda vedeva in ogni malato un'anima da salvare e dedicò le sue cure ai corpi "per conquistare l'anima". In queste opere Caterina incarnò il modello di infermiera volontaria per eccellenza, piena di carità, pazienza, energia e forza di volontà; non conobbe stanchezza, assistè i malati della sua famiglia e dell'ospedale, andò nelle case private perché a "nessun manchi l'assistenza ed il conforto". Durante l'epidemia di peste del 1374, munita di una boccetta di aromi, di un bastone per sorreggersi e di una lanterna, si recava all'ospedale e nelle case insieme ai suoi discepoli alleviando le sofferenze dei malati con i pochi mezzi allora a disposizione. Questo suo ruolo di assistente ai malati ha fatto sì che oggi, alle soglie del Terzo Millennio dell'era cristiana, sia stata paragonata ad una grande figura del nostro secolo, Madre Teresa di Calcutta.

Lo stesso cardinale Pio Laghi, che per il suo mandato di legato apostolico in India ha vissuto per molti anni accanto a Madre Teresa, ha trovato in queste due donne molte cose in comune. Proprio nel modo di porsi di fronte all'ammalato e al bisognoso, Caterina come Madre Teresa e Madre Teresa come Caterina, hanno curato le piaghe fisiche e morali dell'umanità. Caterina morì a Roma il 29 aprile del 1380. Fu canonizzata il 29 giugno 1461 dal Papa senese Pio II. Per Madre Teresa di Calcutta il processo è stato ancora più rapido, essendo stata canonizzata a due soli anni dalla scomparsa. Ma questo dipende forse dal fatto che sono cambiati i tempi e tutto scorre più veloce nella nostra epoca o forse dipende anche dalla grandezza del papa che ha rotto gli indugi e che ha avviato il processo; questo papa si chiamava Giovanni Paolo II.

- La vita di Caterina -