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Se la saggezza popolare insegna che l’occasione fa l’uomo ladro, l’esperienza storica documenta che nessuna occasione è tanto propizia ai ladri e ai malfattori quanto lo stato di anarchia che subentra quando il popolo insorge contro l’ordine costituito.
Il 1799 fu per Siena e per la Toscana un anno infausto. Alla fine di marzo l’esercito napoleonico, spodestato il Granduca Ferdinando III, si impossessò della Toscana. Le truppe francesi giunsero a Siena il giorno 29, accolte festosamente dalla popolazione, fiduciosa che portassero una ventata di libertà. Particolarmente entusiasta fu la comunità ebraica che confidava di riacquistare sotto le insegne della Eguaglianza e della Fraternità la dignità e la parità di diritti che il disprezzo del governo asburgico le aveva sempre negato.
Con il trascorrere dei giorni e delle settimane ogni speranza di libertà e di giustizia svanì di fronte ai soprusi e alle vessazioni dei francesi che imposero il loro dominio sulla Città arrogandosi il diritto di compiere atti di violenza, estorsioni e spoliazioni. Da Siena furono trafugate opere d’arte e preziosi manoscritti antichi.
Lo sdegno della popolazione, assolutamente giustificato, fu l’innesco della miccia che fece esplodere la rabbia e la ribellione. Il 6 maggio un folto gruppo di antigiacobini si radunò ad Arezzo e al grido “Viva Maria, questa è roba mia” dette il via alla controrivoluzione. I promotori, facendo leva sul fanatismo, non si fecero scrupolo di radunare sotto gli stendardi recanti l’effigie della Madonna del Conforto, venerata ad Arezzo, un’accozzaglia di facinorosi il cui obbiettivo non era tanto la restaurazione del governo lorenese quanto quello di profittare dei disordini per rubare e saccheggiare.
Il 28 giugno 1799 verso le ore 3 pomeridiane venti cavalleggeri aretini con un centinaio di contadini delle province di Arezzo e di Siena entrarono in città da Porta Romana.
Le truppe napoleoniche si rifugiarono nella Fortezza dove vennero inseguiti dagli aretini a cavallo mentre in Piazza del Campo veniva abbattuto l'Albero della Libertà eretto dai francesi. Quasi in contemporanea la plebaglia senese, unitasi agli aretini, diede l'assalto al Ghetto, sfondando porte di abitazioni e negozi, depredando e uccidendo. Secondo alcuni storici gli ebrei uccisi furono tredici. Per tutto il giorno proseguirono atti di rappresaglia contro coloro che avevano parteggiato per i francesi e in un clima di totale anarchia furono consumate molte vendette personali.
Con i seguaci del Viva Maria si schierò Giovanni Morandi detto Scricciolo, che dieci anni dopo avrebbe esordito nella Torre.
Scricciolo per proclamare la sua fede politica non trovò di meglio che saccheggiare insieme ad altri facinorosi un negozio in Piazza Tolomei.
“Istanza contro:
1° - Giovanni di Francesco Morandi detto Scricciolo
2° - Gaetano di Giovanni Grassi Chirurgo, ambedue di Siena
3° - Leonigi del fù Gio Antonio Cosciera di Castelmuzio
4° - Luigi del fù Francesco Rubetti di S.Giovanni Valdarno
5° - Luigi del fù Giuseppe Mariotti d’Asciano
6° - Un militare incognito di Cavalleria della così detta Truppa Aretina,
tutti processati a doglianza di Carlo Tognoni di questa città, perché il 1°, unito cogl’altri in occasione dell’ingresso fatto in questa città dalla così detta truppa Aretina nel dì 28 del Mese di Giugno 1799, perché il dolente veniva reputato dal Pubblico per un soggetto del partito opposto a detta truppa, si facesse lecito assieme con gli altri soprannominati e con molti soggetti ancora non manifesti, di scassare, ed atterrare la porta della bottega del Dolente posta in Banchi presso piazza Tolomei, e di permettere, che venisse saccheggiata, e derubata dal popolo, e dalla gente armata, di tutte le masserizie, e mercanzie consistenti in penne, pennacchi, cappelli ed altri generi...”.
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