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Dopo aver scritto di molti fantini insubordinati nei confronti delle Guardie, merita di essere citato uno che invece era un loro collega, svolgendo alle dipendenze del Comune la mansione di accalappiacani. Costui era Fortunato Lorenzini detto Dannato.
Il contrasto fra il suo nome di battesimo e il suo soprannome è l’emblema di quanto beffarda sia stata con lui la sorte. Molte furono le disavventure della sua vita, sia di fantino che di accalappiacani.
Dannato, nel corso dei 16 anni in cui fu sulla breccia, corse otto Palii e un gran numero di prove con il giubbetto di diverse Contrade. Ben tredici volte dovette cedere la monta ad altri fantini per infortuni subiti durante le prove o per aver fornito prestazioni non confortanti. La sua carriera terminò alla tratta del Palio di settembre del 1902 quando, durante una batteria di selezione dei cavalli, si fratturò una gamba e fu ricoverato con prognosi di quaranta giorni. Colmo della sfortuna nella stessa data morì sua moglie. La coincidenza suggerì al cronista un proverbio scontato in simili circostanze: “È proprio vero che le disgrazie non giungono mai sole!”.
Come accalappiacani non gli andò meglio: oltre a essere inviso a gran parte della popolazione e a rimanere più di una volta azzannato, venne pure accusato di aver ucciso un cane a bastonate.
Il fatto risale al 18 novembre 1901 e fu così descritto da “La Vedetta Senese”:
“Certo Giuseppe Bianciardi vinaio con esercizio in via S.Vigilio n°9, consegnò a Fortunato Lorenzini un cane cucciolo (di circa due mesi), di razza pointer, di pelame rosso, perché l’uccidesse essendo ammalato.
Il Lorenzini, appena ricevuto il cane lo portò, dentro un paniere, nello stabulario, e provvedutosi del solito bolo venefico glielo mise in bocca, non senza qualche difficoltà: il povero animale morì dopo pochi minuti. Vi si trovò presente soltanto la Guardia daziaria Olinto Francini, che ha negato in modo assoluto, che il cane sia stato ucciso in altra maniera”.
Il cronista aggiunse però di aver saputo “che il Sig. Dott. Mannini, dimorante a Certosa, in quel medesimo giorno, si recò a visitare lo stabulario, e veduto quel cane morto, credé, non sò come, che fosse stato ucciso a colpi sul capo”.
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