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Il 7 maggio 1818 Luigi Matucci detto Fainotto rubò un agnello facendolo sparire, non si sa come, dal carro che lo trasportava durante il tragitto da Porta Camollia a Via S.Martino.
“Michele del fu Pietro Bagnacci contadino al podere del Castagno del Sig. Giuseppe Bianciardi nella cura di S.Marcellino a Opini referse come nella scorsa mattina portò a Siena ad un tal Bernardino detto lo zoppo Macellaro in San Martino sette agnelli caricati in un carro da concime, che arrivato alla porta furono pesati i detti agnelli, e che arrivato alla bottega del compratore furono trovati 6 in vece di 7 e così si accorse che gliene era mancato uno, che sarà costato £ 5”.
Il giorno successivo “Santi di Matteo Becatti, d’anni 27 libero garzone all’Osteria del Cocchiere del Sig.Pieri” rese la seguente testimonianza: “ieri l’altro vidi scorticare un agnello piccoletto in una loggia che è per le scale del soppresso convento della SS. Concezione e lo gonfiava un certo Fainotto del quale non sò il nome, e che faceva il Postiglione, che è grande, grassotto, di capello castagno e che riconoscerei subito che lo rivedessi, mi pare che con lui vi fosse anche Giuseppe Biliotti, e Pietro Neri, dopo venne nella mia bottega, pesarono l’agnello alla stadera e Fainotto ne vendé mezzo a Gughino, e poi ne diede un quarto al Biliotti, e un quarto al manescalco Cellesi che i pare che glielo pagasse due Crazie la libbra. Dopo il Neri e Gaetano Masini portarono a cuocere una coratella all’Osteria, e mi dissero che l’avevano comprata da Fainotto e che l’avevano pagata sei Crazie. Io seppi poi dal contadino del Castagno che era stato rubato un’agnello e sospettai che potesse essere quello che aveva venduto Fainotto, perché non gode troppo buona reputazione...”.



È noto l’aforisma del compianto Senatore a vita Giulio Andreotti: “A pensar male si fa peccato, ma il più delle volte ci si azzecca”.
La norma che in tempi meno garantisti dei nostri puniva il vagabondaggio si fondava essenzialmente sulla tesi andreottiana. Chi non era in grado di giustificare la sua presenza in un luogo diverso da quello della sua residenza veniva per questo solo motivo addebitato di intenzioni criminose e perciò arrestato. L’applicazione della norma era tanto rigida da non riconoscere come valida giustificazione l’aspirazione del “vagabondo” a trovare un ingaggio per correre il Palio. Lo documentano tre episodi avvenuti all’inizio, alla metà e alla fine dell’Ottocento.
La sera del 15 giugno 1817 “fù arrestato vagante la città Luigi Matucci (Fainotto) di Tavernelle già relegato a Grosseto, perché invece di restituirsi alla di lui Patria, conforme li veniva ingiunto, si tratteneva senza ragione da qualche giorno in Siena. Fainotto dichiarò che “era venuto a Siena con suo padre che accompagnò il corriere, e che vi era stato per fissarsi fantino colla contrada della Tartuca pel palio de 2 di Luglio, che avendolo condotto a desinare lo avevano ubriacato o meglio il vino lo aveva preso e si era trovato a dormire in città sopra un muricciolo”.
La detenzione seguita all’arresto durò pochi giorni e Fainotto fece in tempo a correre il Palio del 2 luglio, ma nella Giraffa e non nella Tartuca che gli preferì il più esperto Caino con il quale conseguì la vittoria.



Tratto da FANTINI BRAVA GENTE di E.Giannelli, M.Picciafuochi, A.Ferrini e O.Papei - Betti Editore, Siena 2014