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Ci concediamo uno strappo alla regola, riferendo eccezionalmente l’episodio di un omicidio commesso da un chierico e non da un fantino, anche se un fantino Ruglia, compare come testimone. Ci suggerisce questa licenza l’opportunità di far conoscere come certe usanze mai tramontate di festeggiare la vittoria fossero già radicate all’inizio del Settecento, quando erano trascorsi più o meno cinquant’anni dall’inizio del regolare svolgimento del Palio alla Tonda.
Il fatto risale all’11 settembre 1713. È noto che il Palio corso il 16 agosto di quell’anno non fu assegnato al termine della corsa, essendo sorta una controversia fra Onda e Tartuca riguardante l’esatto punto del traguardo. La decisione venne presa il 10 settembre e, caso assolutamente unico nella storia del Palio, fu quella di dividere il premio fra le due Contrade. Il giorno successivo un gruppo di tartuchini pensò bene di celebrare la vittoria invitando a cena il fantino vittorioso e facendo baldoria con ripetuti brindisi e suonando la campanina dell’Oratorio.
Purtroppo la festa finì in tragedia, come ci racconta Giuseppe Chiappini detto Lanzagnia, testimone al processo tenuto di fronte al Tribunale Ecclesiastico. “Io gli dirò domenica a sera finite le feste della Contrada, andiedemo io il Bissi legnaiolo, Domenico Laini, Rocco Conti, Francesco Sampieri ce ne andiedemo a chiamare un tal vetturino, chiamato Ruglia fantino stato della nostra Contrada nell’ultima corsa, e lo trovammo alla posta a ripulire un cavallo, qual doppo, che ebbe finito di ripulire ce ne andiedemo all’osteria del Re a cena, partendosi da noi Rocco Conti e Francesco Sampieri, quali vuolsero andare alle lor case, e doppo che ebbemo cenato ce ne andiedemo verso l’osteria della Lupa, dove trovammo Bartolomeo Giannelli, con molti altri tartuchini; e poi bevessimo solamente un mezzetto di uno, e ce ne andiedemo, onde perché uno di noi chiamansi Chicchio, e per vero nome Giovanni essendosi scordato la sua giubba in sagrestia della chiesa di S.Antonio, volse andare a pigliarla, e ci andiedemo tutti noi altri, onde entrati in chiesa Desiderio Giannelli che era Sagrestano di detta chiesa, con altri incominciarono a suonare un doppio, e finito che l’ebbero prese una granata in mano, avendone noi altra in mano accesa il Bissi legnaiolo, l’accese esso pure a quella, e il detto Desiderio con quella granata in mano se ne andiede verso la piazzetta, che conduce a Castelvecchino, di dove ritornando, cominciò a dire che tiravano dei sassi, e nel così dire tornò verso detta piazzetta correndo, con la granata in mano accesa, e poco doppo che si partì li da noi il detto Desiderio, si partì ancora il Bissi legnaiolo a quella volta, ed arrivato il detto Desiderio lassù dalla piazzetta, sentii che disse - che abitudini sono quelle di tirare i sassi a poveri galantuomini - e di poi veddi che Desiderio diede una granatata a gente, che io la vedevo ma non la distinguevo, ed io andiedi a dire all’altro compagno Chicchio, che era in sagrestia, queste parole - Sta’ a vedere, che i nostri compagni si danno, - e poco doppo sentii che nella strada in faccia a S.Antonio, questo Desiderio gridava - aiuto, aiuto, confessione - onde escito a questa voce, il detto Desiderio mi disse - Giuseppe aiutami, che mi muoio, conducemi alla Rosa e per la strada, dicendoli perdona a chi ti ha dato, e se non puoi, con altro almeno stringemi la mano, ed allora lui dicendo perdono, mi stringeva anco la mano, onde postolo a diacere nel murello della Rosa, gli dimandai, chi gli avesse dato, e lui mi rispose il Provedini, e gli perdono, e quando fu sceso il Sig. Curato, me ne andiedi a cercare il fratello e lo trovai all’Arco di S.Agostino, che era accompagnato, il detto Bartolomeo, fratello del detto Desiderio, con il Bissi e due fratelli de’ Provedini, e Chicchio, quale andiede subbito a chiamare il cerusico, al quale Bartolomeo gli dissi - Mejo è stato dato a tuo fratello ed è lassù nel murello della Rosa, che si confessa - ed allora lui cominciò a dire - chi gli ha dato? - ed io quantunque lo sapessi, per avermelo detto l’istesso Desiderio, che erano stati i Provedini, che erano con detto Mejo, per il meglio non glielo volsi dire, e quando si fù confessato, ce ne andiedemo tutti a trovarlo nel murello ed il fratello maggiore de’ Provedini, disse - ecco qui diranno che saremo stati noi - e di poi condotto in casa, nel letto, gli si trovò una ferita sopra il bellico da parte sinistra, di dove usciva qualche poca di robba; ed assistendolo io tutta la notte, sentii che più volte, mi disse di prima sera, cioè nelle cinque di notte, che tante erano quando lo condussemo a casa, che mandassi via i Provedini che gli perdonava, ma non li poteva vedere, ed essendomene andato alle dieci ore della mattina del lunedì, tornatoci a diciotto ore, trovai che doppo alcune parole che disse, se ne morì il detto Desiderio Giannelli”.
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