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Serafino Rossi detto Serafinaccio, che aveva da tempo concluso con dieci presenze sul Campo la sua carriera di fantino e aveva subito una lunga serie di condanne per diversi reati, compreso un omicidio di cui riferiremo in seguito, fu sospettato di essere l’autore del ferimento di un tal Gilletta avvenuto il 3 agosto 1844.
“Sabato sera 3 corrente verso le ore 10 mentre il fabbricante di Birra Matteo Gilletta di Nizza dimorante in Siena, si recava alla propria casa in via dei Maestri, giunto in prossimità della medesima fu ferito da un incognito che tacitamente gli passava d’appresso, restando passivo di una incisione dell’estenzione di otto linee sopra del pube prodotta per quanto sembra da colpo di coltello, stata riscontrata in questo Regio Spedale della Scala appartenere alla classe delle gravi.
Benché il Gilletta non sia in grado di affacciare nessuna causa per agevolare la scoperta dell’autore di questo delitto, nonostante la Polizia ha per ora dei deserti sospetti sul famigerato. Serafino Rossi facchino di questa città, sospetti che nascerebbero da una nota rivalità di mestiere che passa fra il Gilletta medesimo, ed il fratello dell’asserto feritore Francesco Rossi proprietario del Caffè del Greco, cui verosimilmente potrebbe essersi servito del pregiudicato germano per esercitare una vendetta sulla persona che lo rivaleggia in specie sulla fabbrica della Birra”.



L’una di notte corrispondeva a un’ora dopo il tramonto. Fu questo l’orario in cui avvenne l’omicidio seguito a un tentativo di furto che portò in Tribunale Serafinaccio. Prima di raccontare il delitto, affinché il lettore si faccia un’idea della personalità del suo autore e del di lui senso di sobrietà nel modo di vestire, trascriviamo un suo profilo redatto in quell’occasione:
“Uomo di giusta statura, di complessione robusta, corporatura asciutta, carnagione bianca, viso lungo, occhi bianchi, naso profilato, bocca giusta, mento appunto, barba rossignola, capelli pure rossignoli tagliati e vestito con camicia di panno lino, sarga di agnello turchino, sottoveste di vellutino a righe nere e gialle, calzoni corti di pelle gialla legati al ginocchio con treccioli dell’istessa pelle, calze di refe bianco, scarpe di vitello nero legate con treccioli di filaticcio nero, e con cappello tondo di feltro nero in testa. Non sa leggere”.
Serafinaccio compariva davanti ai giudici per la sesta volta, come egli raccontò:
“Mi hanno messo in carcere tante volte... mi pare che fossero 5.
La prima volta perché dicevano che ero ad assaltare il Mugnaio Morandi, e che avevo dato un altro assalto a Staggia, ma dopo avermi tenuto per il 1° fatto 50 giorni e per il 2° 45 giorni, fui mandato a casa libero perché riconosciuto innocente.
La 3ª volta fui in carcere 24 giorni per avere litigato e dato una coltellata ad un certo Geppetti che mi aveva bastonato, ma ancora questa volta non ebbi condanna, perché ci avevo ragione. La 4ª volta per più di due mesi a Scansano per ragione di certo zucchero che trasportavo col mio barroccio, ed i Francesi volevano sapere da chi l’avessi avuto, giacché allora era contrabbando, ma poi seppero chi me l’aveva dato e mi mandarono a casa.
La 5ª volta per causa di certo sego che volevano l’avessi portato via io... e dopo avere passato, l’anno scorso, 4 mesi in carcere, fui posto in libertà senza avere alcuna condanna”.
Con questo poco edificante biglietto da visita, Serafinaccio affrontò il procedimento che lo vedeva imputato di omicidio.
Nelle carte processuali si legge che Serafino Rossi, 33 anni, ammogliato con figli, di professione barrocciaio, veniva accusato di aver commesso un omicidio “il 31 dicembre 1813 all’un’ora di notte, nel corso di un tentativo di furto ai danni della Famiglia Bartalini posta nel popolo di S.Fedele in Paterno Vicariato di Radda”.
Serafinaccio era indicato come “reo dell’omicidio in detta circostanza, commesso sulla persona di Stefano Bartalini uno della famiglia, che erasi opposto ai ladri, mediante tre colpi d’arme bianca ad uso di stiletto, non avendo consumato il fatto perché fu suonata la campana della Cura attese le grida della famiglia Bartalini per radunare il popolo”.
Non ci è dato sapere se Serafinaccio fu condannato ed eventualmente a quale pena. Rilevando tuttavia che egli mancò da Piazza del Campo fino al luglio 1821, è facile intuire il motivo della sua assenza.
Chiusi i conti con la Giustizia, il Rossi riprese la carriera di fantino che si concluse il 16 agosto 1830. Sicuramente dal Palio non guadagnò tanto da garantirsi una serena vecchiaia. Il 3 luglio 1856 alle ore 20,15 il “mendico” Serafino Rossi, abitante in Salicotto, dopo due mesi di malattia, morì nel letto 127 dell’Ospedale di Siena.
Il mese di luglio di quell’anno fu particolarmente infausto per la categoria dei fantini: oltre a Serafinaccio, in nove giorni morirono anche Pesce e Cilla, rispettivamente il giorno 6 e il giorno 12.



Tratto da FANTINI BRAVA GENTE di E.Giannelli, M.Picciafuochi, A.Ferrini e O.Papei - Betti Editore, Siena 2014