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Il 18 novembre 1831, per aver perso la pazienza in seguito a un dramma familiare in cui era coinvolta sua sorella, anche Bonino ebbe una lite con il cognato e alla fine fu quest’ultimo a subire minacce e percosse. Se fra i nostri lettori, presenti o futuri, ci sarà mai un drammaturgo o un aspirante tale, potrà trovare nell’episodio che segue il soggetto di una avvincente opera teatrale ambientata a Siena nella prima metà dell’Ottocento.
“Certo Giovanni Turillazzi abitante a San Giuseppe, si congiunse in matrimonio li 2 Maggio anno corrente colla fanciulla Luisa Boni, ed essendosi quest’ultima sgravata di un feto novimestre la sera di Domenica 6 stante, e così dopo sei mesi dalle Cerimonie Sacramentali, il di lei marito si protestò che il neonato non era suo figlio, giacché non aveva mai conosciuta carnalmente la suddetta Luisa prima dell’enunciato Matrimonio, minacciando di volerla uccidere, ma fu trattenuto, e per allora non accaddero disordini, ed il riferito neonato venne fatto associare a questo Regio Ospedale.
La sera dell’8 corrente il Turillazzi disse a Giovanni Boni di lui Cognato, ed al suo Patrigno N. Guardi ex militare abitante in via delle Lombarde, che non vuoleva in alcun modo pensare alle spese del puerperio della moglie, ed i nominati individui convennero di supplire a tutti i bisogni, ma insistendo il Turillazzi di volere conoscere l’autore della fecondità della propria moglie, tenuto da Essa sempre nel più scrupoloso segreto, nacque un diverbio tra il Turillazzi medesimo e i nominati Boni e Guardi, e passati alle vie di fatto, il primo fu percosso con pugni e scacciato di casa, ne vi ha fatto più ritorno, nel timore di essere nuovamente offeso”.


Nel 1821 venne sottoposto a giudizio “Giovanni del fù Pietro Boni in età di anni 19 scapolo di mestiere mugnaio e cavalcante, nativo del popolo di S.Reina fuori di Porta Pispini di questa città e da otto anni circa dimorante in Siena in via Lombardia perché, sebbene conoscesse la sfrenatezza del cavallo baio di pertinenza di Giovanni Tassinari Oste alla Lupa, si facesse lecito in occasione di averlo fuori della porta Tufi cavalcato nella sera del dì 21 luglio prossimo passato all’oggetto di esercitarlo alla corsa, di eccitare e colli sproni e colla briglia il detto cavallo in prossimità della suddetta porta, facendogli così prendere la corsa di tutta carriera nell’atto d’introdursi in città col pericolo di farsi togliere la mano, conforme questo cavallo gli tolse e di essere così di danno altrui, ed infatti avendo preso per S.Pietro alle Scale, alla piazza del Duomo, e di lì lungo la strada di S.Giovanni allorché fu dirimpetto alla Casa Bindi Sergardi investì col medesimo cavallo Paolo Salvini nell’atto che si voltava indietro per il rumore derivante dalla foga di questa bestia e da quest’urto avendolo sbalzato nella muraglia di detta casa, ne riportò una grave ripercussione nella testa con sfondamento dell’ossa del cranio, per il che cadde in terra privo di sensi ed in questo stato passò all’altra vita”.
Bonino venne riconosciuto colpevole di omicidio colposo e condannato a tre mesi di carcere, al pagamento delle spese processuali e al risarcimento del danno a favore degli eredi dell'ucciso per un totale di £ 89.
A seguito di questa condanna, Bonino non poté prendere parte al Palio di agosto, che l'anno precedente aveva vinto con il giubbetto dell'Oca.
Non a caso il Tribunale citò come circostanza aggravante la conoscenza da parte di Bonino della “sfrenatezza” del cavallo. Infatti il fantino, in groppa allo stesso barbero, durante le prove del 29 giugno di quell’anno in Piazza del Campo ne aveva perso il controllo e aveva urtato, per fortuna senza gravi conseguenze, Simone Ferrini e Alberto Michi. Il carattere irrequieto di Bonino si manifestò di nuovo durante la detenzione. Fu infatti condannato a tre giorni di isolamento nelle segrete per essersi preso più volte la libertà di percuotere il “noto ladro” Ottavio Mazzuoli, carcerato insieme a lui.



A distanza di molti anni, Bonino, a cui evidentemente non era servita di lezione la condanna per omicidio colposo, non esitò a compiere un’altra bravata, spingendo un cavallo a gran carriera per le vie affollate del rione di S.Marco e, questa volta, senza nemmeno l’attenuante di aver perso il controllo dell’animale suo malgrado. In quella occasione per fortuna non vi furono vittime e la pena si limitò a una semplice ammenda di dieci lire.
Correva l’anno 1845 quando nel “dì Tre Settembre stante frà le ore quattro, e le cinque pomeridiane Giovanni Buoni soprannominato il Bonino, montando un cavallo, e partendo dalla via dei Ferri di San Marco si fece lecito percorrere di tutta carriera quella Contrada, per cui combinate in prossimità di detti ferri due creature piccolissime delle quali sempre abonda quella via, corsero il pericolo di essere gettate per terra, e calpestate dal corridore, sventura che a gran fatica venne eliminata da varie persone, che esponendo loro medesime sottrassero i fanciulli in atto che erano per restar vittime del destriero, per cui si elevarono fortissime strida e clamori dei circostanti osservatori di tal periglio, ma non per tanto il Buoni desisté dalla carriera, ma continuandola impavidamente giunse al Pozzo di San Marco, senza che possa dirsi che il cavallo gli avesse preso la mano, ma invece maneggiandolo espertamente, e avendo docilmente l’animale al freno che lo guidava, girando al Pozzo preaccenato, s’introdusse pella via del Fondaco e tutta parimente percorse a briglia sciolta di gran carriera, coll’altro pericolo di rinvenire ed offendere i vecchi cadenti che ivi sovente transitano, o vi stanziano, né arrestò il suo corso se non che nell’attigua Piazza del Carmine”.
Dobbiamo però avvertire che probabilmente la pericolosità della sconsiderata impresa di Bonino era enfatizzata dall’autore del racconto che precede, animato dal rancore che i chiocciolini nutrivano nei confronti di Bonino.
Un testimone infatti dichiarò che “gli abitanti della Contrada predetta odiano il Boni per essersi esso gettato da cavallo spettante alla contrada stata nell’occasione del palio del prossimo passato Agosto”.
In effetti tutte le cronache riferiscono che nel Palio d’agosto del 1845 Bonino, fantino della Chiocciola, simulò una caduta per favorire la vittoria del figlio Giuseppe che correva nel Drago. Quel gesto di amore paterno peraltro gli costò caro perché segnò la fine della sua carriera di fantino.


Particolarmente insolente fu la risposta che dette a un Vigile, Santi Sprugnoli detto Boggione. “L’anno Millenovecentootto e questo di Otto del mese di Settembre in Siena.
Il sottoscritto Agente Municipale circa le ore 16,30 trovandosi in servizio in Via Camollia si rivolgeva al vetturino pubblico Sprugnoli Santi, che stazionava con la propria vettura n°4 in Piazza Paparoni domandandogli che avesse attesa.
Questi con modi poco urbani rispondeva: - aspetto dei forestieri eppoi ci stò quanto mi pare accidenti a te e chi ti paga la paga -.
In conformità del disposto dell’art. 194 del codice penale, si rimette il presente processo alla competente Autorità per gli effetti di legge.
Fatto, letto, ratificato, e sottoscritto
L’agente Municipale
Toniazzi Celso”



Tratto da FANTINI BRAVA GENTE di E.Giannelli, M.Picciafuochi, A.Ferrini e O.Papei - Betti Editore, Siena 2014