Dopo tanti avvenimenti funesti, affinché non si pensi che ogni trasgressione finisse in tragedia, raccontiamo la galoppata abusiva che il 21 luglio 1832 costò 7 lire al Gobbo Saragiolo, anche se per fortuna non provocò né morti, né feriti.
“Il ben noto Gobbo Francesco Santini che in contravvenzione agl’ordini del 6 del dì corrente, si permise di correre di tutto galoppo su di un cavallo stornello nella Piazza del campo, e nella via del Casato, sarà punito con la condanna nelle spese degli atti e a quietare il querelante con £ 7”.
Per un presunto eccesso di velocità il Gobbo Saragiolo nel gennaio 1846 subì un nuovo processo, che però si concluse con la sua assoluzione, sebbene fosse stato appurato che egli era “recidivo in simili contravvenzioni e frequentemente si permette di correre per la città”.
Il 10 gennaio 1846, intorno alle 2 del pomeriggio, un tilbury con due passeggeri, guidato da Francesco Santini, proveniente da S.Agostino e diretto in Piazza del Campo, urtò con una ruota un cavallo da soma legato a un muro di via del Casato, nei pressi del Palazzo Ottieri della Ciaia. Nello scontro l’animale cadde con tutto il suo carico e rimase ferito.
Il proprietario pretendeva un indennizzo, sostenendo che la causa dell’incidente fosse stata l'eccessiva velocità del calesse. Questa tesi venne respinta per la testimonianza di una fanciulla di appena 15 anni, tale Maria Papei, la quale affermò che il cavallo in sosta occupava metà della carreggiata e che, nonostante la modesta velocità del calesse che era condotto al “trotto e non di carriera”, l'urto non avrebbe potuto essere evitato perché dal lato opposto stava sopraggiungendo un carro trainato da due bovi diretti verso S.Agostino.

Il mitico Gobbo Saragiolo fu chiamato in Tribunale a rispondere del reato di ingiurie e turpiloquio per aver offeso l’onorabilità di una certa Carlotta Bartaletti, sua vicina di casa. Nel pomeriggio del 14 ottobre 1833 il Santini stava tornando a casa, quando sentì un acceso e colorito scambio di improperi fra la propria moglie Settimia e la Carlotta Bartaletti. Il litigio aveva avuto origine da maldicenze rispetto a un paio di orecchini indossati dalla giovane figlia del Gobbo Saragiolo, il quale così riferisce alla Corte:”Lunedì di questa settimana ossia il 14 del corrente, circa le cinque pomeridiane, passando io a cavallo per la spiaggia del Frosini dove ho la stalla, e quando fui nella piazzetta che porta lo stesso nome, e dove ho la casa, sentendo litigare la mia moglie Settimia con una donna del vicinato che la chiamano la moglie del Grinse, ma che ignoro il nome, e il casato, gli dissi quando l’ha da far finita, se un’altra volta mi ci intoppo io va a finir male, e lei allora ricominciò a farmi le corregge colla bocca, e mi soggiunse: vallo a pigliare in culo, io gli risposi: te ci andrai sudiciona che ci sei avvezza, e per due volte dissi per Dio si ha da far finita, e non vi seguì altro perché io rimontai a cavallo, e me ne andai. Non è vero niente che in quella circostanza trattassi la moglie di Grinse di Troja, di buggerona rotta in culo, e che gli andassi colle mani sul viso in atto di darli, e che essa si liberò serrandosi in casa, come non è vero che io bestemmiassi malamente il nome di Dio mettendolo sotto i piedi, e la prendessi perfino colla Madonna...”.
Il Gobbo Saragiolo però non fu creduto e venne condannato con una sentenza che così recitava:
“Il Tribunale Criminale di Siena, veduti gli atti stati compilati in seguito di doglianza presentata sotto lì 15 del corrente mese dai coniugi Giovan Battista e Carlotta Bartaletti di questa città, condanna i mensionati coniugi Francesco e Settimia Santini in sei ore di sequestro nel Pretorio per ciascheduno per le ingiurie in danno di Carlotta Bartaletti, e per il turpiloquio di cui sono stati imputati, a pagare solidamente a queste guardie di Palazzo Lire una, soldi tre, denari quattro per diritto di citazione loro dovuto e nelle spese degli Atti che tassa in lire tre”.
La “moglie del Grinse” non era stata la prima, né sarebbe stata l’ultima a subire gli insulti del Gobbo Saragiolo che ce ne aveva per tutti e non solo per i comuni mortali.
Apprendiamo infatti dalla sua fedina penale che il 2 luglio 1828 era stato condannato “per arbitrio e insolenza verso Giovanni Batazzi capitano della contrada del Drago”, per motivi che non conosciamo, ma in ogni caso deplorevoli.
Una nuova condanna lo colpì l’8 marzo 1836, quando fu sanzionato per “rissa clamorosa e turpiloquio, e più particolarmente per le espressioni da esso proferite verso Maria Vergine nella circostanza di detta rissa; in due giorni di carcere con uno dei quali in segreta a solo pane, ed acqua”.