Sullo "Speciale Palio" del 15 agosto 2004, il quotidiano La Nazione pubblicava questo articolo a firma di Giulia Maestrini, che riassume per brevi linee, la storia
della pittura dei drappelloni.
Al calar del sole
il caldo ribolle dai mattoni di
Piazza del Campo, mentre
centinaia di persone, sudate
ed ansiose, ondeggiano, si
spingono, accalcate l’una
sull’altra, in attesa: l’attesa di
vedere un pezzo di stoffa colorata
che da quel momento,
per sei lunghissimi giorni,
incarnerà l’oggetto supremo
del desiderio di dieci popoli,
il Palio.
Il momento in cui il Cencio
è presentato a Siena è, per
l’artista che lo ha dipinto e
per la città intera, forse quello
più intenso e più atteso:
dà inizio alle danze, apre finalmente
il sipario sulla Festa.
Ed il Palio entra in scena
nel modo più popolare, antico,
sincero ed immediato
che esista, scoperto sulla
pubblica piazza, dato in pasto
agli occhi della gente comune,
senza annunci, senza
preamboli, senza spiegazioni:
in quel momento, l’applauso caloroso
o i fischi di
sdegno che si levano dalla
folla sanciscono il verdetto,
dichiarano se quel drappellone
è entrato, o no, nel cuore
dei senesi.
Di certo entrerà,
bello o brutto che sia, in una
storia lunga ormai tre secoli.
Il più antico drappellone della
concezione moderna, conservato dalla Nobile Contrada
dell’Aquila, è, infatti, datato 1719
ed è il simbolo di
una svolta culturale che dona al
Cencio una nuova identità - drappo rettangolare di
seta dipinta - anche se Siena
dovrà aspettare molto tempo,
prima di arrivare al "palio-opera d’arte", passando
attraverso due secoli e mezzo di
drappelloni poco "nobili" e dall’iconografia molto
standardizzata, quelli che i
senesi stessi, non con meno
amore, chiamano Palii in
"stile panfortesco", più adatti
cioè ad incartare panforti
che a stare appesi al muro.
Solo nel 1949 il Regolamento del
Palio detta le rigide regole
iconografiche che governano
il Cencio ancora oggi, mentre lo stile è lasciato
libero, appannaggio della vocazione
artistica o dell’interpretazione
del pittore, chiamato dalla Giunta comunale
a ricoprire il prestigioso incarico.
Eppure, per alcuni, l’incarico
appare più problematico che prestigioso,
tanto che
negli anni, in molti hanno declinato l’offerta,
per la difficoltà di dipingere sulla seta -
materiale ostico - narrando
dall’alto verso il basso anziché
da sinistra verso destra
com’è abitudine e, soprattutto,
perché i senesi sono, come disse Dante Alighieri,
"gente vana". Quando si tratta
della loro Festa, non fanno sconti
e non guardano in
faccia nessuno, neanche nomi
di fama internazionale.
Lo hanno vissuto, sulla loro
pelle, artisti importanti e famosi che
si sono visti fischiare sonoramente
le loro creazioni: da Valerio Adami
contestato per il suo Palio
dell’agosto 1981, a Gerard
Fromanger che dipinse, nel
1989, una Madonna Assunta
con carrozzino, fino al più recente,
il criticatissimo "Joker" di Luigi Ontani,
il 2 luglio del 2002.
Del resto il Cencio o lo si
ama o lo si odia, da subito,
dal primo istante, come il
colpo di fulmine nella più
classica delle storie d’amore
ed è questa estremizzazione
dei sentimenti che spaventa i
pittori, oppure li esalta: è la
sfida di capire una tradizione
secolare e di farla propria,
mescolata alla gloria
eterna che Siena sa dare a
chi le dimostra amore.
L’ultima importante rivoluzione del drappellone risale
allo straordinario del 21 settembre 1969, dedicato alla
"conquista dello spazio" ed
affidato al senese Mario Bucci detto Marte.
Il suo Cencio, punto d’incontro tra la
tradizione di Siena e le moderne
esperienze artistiche
che si ispirano alla grafica
ed alla fotografia, segna una
svolta epocale, rompendo la
tradizione e lasciando spazio
ad una nuova, personalissima
interpretazione dell’artista.
D’ora in poi, per un ventennio,
tutti i Palii dell’Assunta
portano, per scelta della
Giunta comunale, la firma di
grandi Maestri di fama internazionale,
tra i quali Mino
Maccari, che nel 1970 celebra il centenario della presa
di Porta Pia, Renato Guttuso
l’anno seguente, poi Antonio
Bueno nel 1976, Renzo Vespignani
nel 1983,

Edoardo Arroyo nel 1991, Sandro
Chia nel 1994 ed Alberto Inglesi l’anno seguente.
Non
sempre, però, l’accostamento Carriera dell’Assunta-pittore
di "chiara fama" è rigida, per non eleggere uno dei
due Palii più importante
dell’altro. Ecco, dunque, il
Cencio del luglio 1971 creato
da Emilio Montagnani,
quello del luglio 1975 del primo
pittore straniero, il giapponese
Sho Chiba, quello
straordinario del 13 settembre
1986 di Salvatore Fiume,
fino ad arrivare al luglio
2000, quando il Palio è dipinto da Jim Dine, esponente
delle pop art newyorkese, e
ancora Ferdinando Botero,
nell’agosto 2002, un anno dopo
Andrea Rauch, Emanuele
Luzzati, lo scorso luglio (2004).
Opere d’arte di valore artistico
ed economico che sono
conservate, ovviamente, nei
musei di Contrada accanto
ai più brutti drappelloni
"panforteschi" con cui dividono
l’immutato amore dei contradaioli.
Perché è l’istinto che
decide se un Cencio entrerà
nel cuore dei senesi, e non di
rado l’istinto niente ha a che
vedere con la lucidità. Né
con la fama. A Siena i Cenci
sono tutti uguali, belli o brutti,
famosi o meno, e persino
quelli del panforte, sono tutti
uguali perché incarnano
qualcosa che è uguale per tutti,
il desiderio, la passione, il
trionfo. Solo così è possibile
comprendere i contradaioli
del Bruco che stracciarono il
"Palio della Pace", nel 1945,
perso da favoriti, oppure
quelli della Giraffa che portarono in trionfo
un drappo di
seta bianca con attaccato solo il bozzetto
dello straordinario di settembre 1967: il
Cencio vero, opera di Bruno
Marzi, era stato rubato nottetempo
da un gruppo di studenti universitari bolognesi e fu restituito solo dopo alcuni giorni.
Oggi, l’Imperiale Contrada
della Giraffa li conserva entrambi, uno di fianco
all’altro. Perché, alla fine, la "libidine" della vittoria è uguale
per tutti e al di là di tante
disquisizioni iconografiche di
elevata cultura, a Siena esiste
un vecchio detto, che accomuna,
per una volta, tutti i
diciassette popoli: "Il Palio?
Io lo prenderai anche bianco!"
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