Quercegrossa (Ricordi e memorie)
CAPITOLO VII - STORIA CIVICA
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La Repubblica
Sono gli anni che vanno dal 1945 al 1960, e il racconto privilegia il confronto politico fra forze ideologicamente opposte che catalizzò l’attenzione di tutti, in un’Italia da ricostruire e da governare. Anni che produssero al loro chiudersi un favorevole boom economico che risollevò definitivamente il paese, e che coincidono con la fine di questa storia.
Pochi giorni dopo la liberazione di Quercegrossa da parte degli alleati, ebbe inizio la prima attività politica organizzata che diede il via a quella contrapposizione ideologica che già si manifestava in Italia, caratterizzando in modo radicale la lotta partitica. E fu subito divisione. Già si rammenta che il 25 aprile o l’8 settembre 1943 “una donna voleva attaccare tutti ai lampioni e noi s'era chiusi in casa... la maestra Bongini a spiegare a tutti che la guerra non era finita e di stare calmi”.
Tutto ciò significa che appena caduto il fascio, molti palesarono subito le loro idee socialcomuniste o comunque espressero volontà di lotta e ribellione al sistema, in contrapposizione alla parte moderata e cattolica del paese. Entrambe queste due anime trovarono una giusta collocazione nel Partito Comunista Italiano o nel Partito Socialista i primi, e gli altri nella Democrazia Cristiana sostenuta apertamente dalla Chiesa. La lotta si inasprì, inoltre, a causa delle difficili condizioni economiche ed occupazionali del dopoguerra particolarmente accentuate nelle campagne, queste divennero così facile presa della propaganda antigovernativa delle sinistre che ottennero in Toscana e a Quercegrossa una grande adesione popolare. Questa breve sintesi è la base portante di un racconto che si svilupperà per quindici anni senza apparenti novità poi, a Quercegrossa, con la scomparsa dei contadini e la chiusura delle miniere la lotta politica assumerà toni più blandi incanalandosi sul terreno del confronto dialettico che si svolgerà prevalentemente nelle istituzioni locali comunali dove nostri compaesani daranno per anni il loro contributo, anche se non mancheranno iniziative spontanee in paese per risolvere alcuni disservizi, ma siamo già negli anni Settanta.
Tornando alla forte contrapposizione partitica, c’è da sottolineare che a Quercegrossa anche nei momenti di maggior tensione politica o sociale non si verificarono violenze verso le persone. Ciò si spiega facilmente prima di tutto con un buona dose di buonsenso e di riconosciuta tranquillità delle popolazioni di questa zona del senese, e poi, può sembrare banale, la lotta si smorzava tra persone che da decenni vivevano insieme nel nostro piccolo popolo, avevano ballato nella stessa sala o bevuto alla stessa bottega, e tra di loro non potevano, per ovvii motivi d’amicizia o conoscenza, trascendere in atti di violenza gratuita, considerando che molti erano legati da vincoli di sincera amicizia o parenterali e soltanto alcuni dei nuovi contadini, entrati da poco nel popolo, manifestarono una certa aggressività. Diffuso fu il fenomeno della diversa scelta fatta nell’ambito di alcune famiglie, dove si ritrovavano alla stessa tavola democristiani e comunisti. Certamente si crearono in paese due poli d’attrazione individuati nel circolo detto “Società” e nell’altro dell’ACLI alla chiesa e ognuno portava avanti la sua politica e il frequentarli era segno di appartenenza, ma non si andò mai oltre la polemica verbale con qualche accidente a “quei comunistacci” e a “quei democristianacci” e “pretacci”.
E’ ora di fare la cronaca di quegli anni ripartendo dall’occupazione del Dopolavoro da parte di alcuni socialcomunisti guidati da un attivista di Livorno. Si tratta di un certo Lassi, parente dei Barucci del Poderino e presso di loro sfollato. Fu lui a promuovere l’occupazione del locale ed a cominciare la prima attività politica di propaganda. Aveva già iniziato ancor prima della liberazione, ma si dice che trovasse una certa resistenza nei contadini notoriamente cattolici che erano sotto l’influenza delle parrocchie di S. Leonino e Fonterutoli, e non ebbe seguito, poi: ”appena passati gli alleati, aprì il circolo e cominciò con le rivendicazioni comuniste... e dei contadini”.
Fu il Lassi a lanciare i primi manifestini in paese, a portare la stampa comunista e questo suo proporsi da capopopolo “faceva una certa impressione...”. Fu lui il primo segretario della sezione comunista di Quercegrossa, che al pari di quella socialista si insediò nel Dopolavoro ribattezzato subito “Casa del Popolo”, chiamata da tutti “La Società”. In questa sede svolsero per anni la loro funzione politica insieme a quella ricreativa del ballo e del gioco celermente riprese. Già quell’azione definita “occupazione del Dopolavoro” fu vista in modo diverso, trattandosi per gli uni di “Fu fatta una regolare riunione più una chiacchierata e fu deciso di prendere possesso del circolo si stanno formando i partiti - le sezioni comunista e socialista furono formate successivamente”, mentre per gli altri si trattò di un atto di forza: “Il Lassi prese possesso del circolo e rivendicò l'apertura. Nessuno fece opposizione; erano i proprietari po' compromessi col vecchio regime...”.
Il 2 giugno 1946 si tenne la prima tornata di elezioni dopo il periodo fascista. Agli elettori uomini e donne, queste per la prima volta in assoluto al voto, vennero consegnate le schede per il referendum “Monarchia - Repubblica” e quelle per l’elezione dei 556 deputati all’Assemblea costituente che avrebbero avuto il compito di redigere la legge fondamentale per lo Stato, ossia la nuova carta costituzionale e approvarla come stabilito dal decreto della Luogotenenza il 25 giugno 1944. Per l’Assemblea raccolsero voti in tutta Italia oltre 40 liste, ma apparve subito evidente la spaccatura del paese in due tronconi: la DC ottenne otto milioni di voti col 35% e le sinistre, divise in PCI e PSIUP, con oltre nove milioni di voti. La popolazione di Quercegrossa votò in due sedi diverse: i cittadini del Comune di Monteriggioni alle Badesse e quelli di Castelnuovo a Vagliagli.
I due anni successivi avrebbero rivestito un’importanza decisiva per l’Italia e per la sua collocazione nei due fronti mondiali americano e russo che già avevano dato vita alla guerra fredda, anche se sembra, secondo gli accordi, che l’Italia doveva restare in orbita occidentale.
In un contesto locale come il nostro, dove si stava profilando una serrata lotta contadina fatta di scioperi e boicottaggi, caddero come macigni quattro importanti avvenimenti tra nazionali e locali, i quali concorsero ad acuire la divisione e cementare l’appartenenza politica. Il clima precedente questi fatti non denotava una grossa divisione nel paese, anche perchè altre tematiche avevano attirato l’attenzione di tutti: la collaborazione al governo Parri di tutte le forze politiche nel 1946, compresi i comunisti; il referendum per la Repubblica; la ricostruzione del paese; la carta costituzionale e tante altre novità nazionali e locali. Va detto che a Quercegrossa contribuì a quest’atmosfera di moderazione la presenza di un parroco conciliante e probabilmente rinunciatario per coscienza a schierarsi contro qualcuno: don Luigi Grandi. Si ricorda di lui l’opinione che aveva del comunismo: “Non crediate che se viene il comunismo sia come quello in Russia, ma sarà molto più democratico"; e la sua permissività: “Si prese un richiamo perchè fece una messa il 25 aprile per i caduti e vi parteciparono le organizzazioni comuniste e socialiste che portarono le bandiere rosse in chiesa. Fu avvertito il vescovo il quale richiamò don Luigi”. Costretto dalla situazione, l’anno successivo si rifiutò di benedire la bandiera rossa portata da una donna comunista sotto gli archi dove si trovava la pietra dei caduti e benedì soltanto quella dei Combattenti e reduci. Si arrivò al 1948 e alle elezioni politiche don Luigi non andò a votare perché: "Mondo birbone ... se lo do all'uno ci rimane male l'altro, se lo do all'altro ci rimane male l'uno". Ricorda Lorio, sagrestano nel dopoguerra: “Andavo da don Grandi per anticipare la funzione, perchè ballavano, e don Grandi lo bandiva all'altare "perchè hanno bisogno laggiù (cioè alla Casa del Popolo)".

Si tennero intanto le prime elezioni amministrative col ricordo del primo comizio a Quercegrossa tenuto dal socialista Vitaliano Gianni, già sindaco e commissario al Comune di Monteriggioni. Fu un comizio un po’ arrangiato, e l’oratore, dalle panchine dell’ingresso del Mori, parlò a un numeroso pubblico che riempiva tutta la strada e la piazza, tra lo sventolare di bandiere rosse; le rare macchine non diedero noia. Fu il primo di una lunga serie di comizi tenuti in piazza, con l’oratore in posizione elevata sopra un piccolo palco o semplicemente davanti a un tavolino; l’ultimo fu tenuto dal PCI negli anni Sessanta, poi i comizi sparirono, vittime di un nuovo modo di fare politica.
All’appressarsi delle elezioni politiche del 18 aprile 1948, profilandosi uno scontro all’ultimo voto, crebbe il fermento in Italia e nella nostra frazione. Le sezioni socialcomuniste organizzarono una generale partecipazione al voto dei loro iscritti e simpatizzanti; gli attivisti girarono per le case istruendo al voto le donne e gli anziani, un po’ come avveniva, ma in misura molto minore, per i democristiani. Il giorno delle elezioni gli attivisti portavano con tutti i mezzi al seggio elettorale i compagni più disagiati, compresi gli infermi e i malati. Questo fare divenne negli anni mira di battute e barzellette della parte avversaria specialmente quando dentro il seggio vi moriva un vecchio portato di peso a votare, come avvenne più volte.
Si conoscono già coloro che per la loro assiduità nelle sezioni, o con gli amici, assurgono a un ruolo emergente a Quercegrossa e col tempo diventano figure di riferimento politico. Si ricordano tra coloro che si impegneranno pubblicamente come candidati e consiglieri comunali Silvio Cappelletti, Adelmo Finetti, il giovane Lorio Corbini per il Partito comunista; Giovanni Bandini e Vasco Volpini per i socialisti; Silvano Socci e Dino Castagnini tra i democristiani. Non mancarono in questi anni coloro che, dopo una prima istintiva scelta politica, ebbero un ripensamento e si schierarono con l’altra parte: alcune famiglie che sembravano bianche divennero rosse e, viceversa; persone mangiapreti ebbero una conversione come avvenne con la Cice divenuta un sostegno per don Ottorino e riconoscente offrì una tovaglia da altare alla Chiesa. Uno dei primi segretari del PCI di Quercegrossa rinunciò alla sua scelta e smise di fare politica. Adriano Socci socialista di vecchia data vide il figlio Silvano, allora ventenne, divenire democristiano. Lo stesso Silvano ci dice come avvenne: “La lettura di alcuni libri di dissidenti russi e il romanzo di una eroina russa che aveva lottato contro la dittatura comunista mi portò verso la convinzione di una mia adesione alla D.C.”
La lotta alla dittatura comunista fu il cavallo di battaglia della DC in quelle elezioni. I numerosi manifesti affissi nel paese mostravano cosacchi e mani minacciose pronte ad impossessarsi dell’Italia, e mettevano in guardia contro il PCI, servo di Mosca, che rappresentava un serio pericolo per la democrazia italiana e la stessa civiltà, richiamando ai valori tradizionali della famiglia e dello Stato. La Chiesa si era attivata con tutte le sue organizzazioni e nelle parrocchie si svolsero “missioni” di preghiera e “peregrinatio mariane”, e non si esitava da parte dei sacerdoti invitare al buon voto. I comunisti rispondevano inveendo contro i servi del Vaticano e coloro che avevano venduto l’Italia all’America, proclamando la nuova era della giustizia, dell’uguaglianza e della pace.

A Quercegrossa, il nuovo seggio per gli abitanti della parte di Castelnuovo venne insediato nella Società, con il fattore Alberto Tacconi presidente, Dino Castagnini segretario, e tra gli scrutatori Lea Oretti, la quale ricevette un compenso di 5.000, lire. Con lei, o rappresentanti di lista, formarono il seggio Silvio Cappelletti per il PCI, Giovanni Bandini per il PSI e Silvano Socci per la DC.
Aprendo una parentesi sulla collocazione del seggio elettorale a Quercegrossa, vediamo che nel 1953 rimane una situazione invariata, ma per la tornata successiva del 1958 il prefetto volle spostare il seggio, sempre per la popolazione di Castelnuovo, dalla Società, sede di sezioni politiche, ai più neutri locali della parrocchia. Poi, appena aperta la nuova scuola vi si tennero subito le elezioni del 1963, mentre i cittadini di Monteriggioni continuarono a votare alle Badesse fino al 1968 compreso, prima che venisse creata anche per loro una sezione nella scuola elementare di Quercegrossa, a fianco di quella di Castelnuovo.
I risultati del 1948 videro una schiacciante vittoria della DC col 48% dei voti che prese decisamente in mano il governo del paese con la collaborazione dei partiti laici moderati come il PLI il PRI ecc. I socialcomunisti presentatisi nel famoso “Fronte democratico popolare” pur sconfitti (appena il 31% alla Camera), registrarono un notevole successo in alcune regioni e anche la Toscana dimostrò un’ampia maggioranza rossa che raggiunse localmente punte del 70 e 80%. Ricorda Silvano che nello scrutinio del seggio di Quercia si contarono 670 votanti e soltanto 46 furono i voti democristiani. Nelle successive elezioni locali i voti DC si assesteranno intorno al 20% e quelli del PCI sempre oltre il 60%.
Già la vigilia elettorale di queste elezioni aveva creato una forte agitazione e preoccupazione fra la popolazione, ma il colpo di grazia venne dato dall’attentato a Togliatti del 14 luglio 1948, quando un giovane gli sparò a distanza ravvicinata tre colpi di pistola ferendolo. L’accaduto si diffuse in Italia con la velocità della luce e, insieme ad un’emozione profonda unita a rabbia, si ebbero scioperi sul lavoro ovunque. Le condizioni di Togliatti, segretario del Partito Comunista, fortunatamente andarono a migliorare dopo un’operazione, e fu lui stesso a raccomandare la calma ai suoi, ma per alcuni giorni violente manifestazioni di protesta, appena controllate dalla polizia, si tennero ovunque e non mancarono i morti come quelli di Abbadia S. Salvatore. Furono momenti di paura, con alcuni attivisti comunisti che intravidero la possibilità di una rivoluzione. Nelle città si crearono cortei spontanei tumultuanti, con atteggiamenti minacciosi e aggressivi: a Colle di Val d’Elsa tra canti e slogan antidemocristiani una massa di gente passò a Colle alta e devastò gli uffici della Curia nel palazzo vescovile; a Montalcino furono denunciate 37 persone per saccheggio della sede DC, delle Acli, per lesioni personale e blocco stradale, compreso il sindaco per aver permesso di suonare la campana del municipio a martello con lo scopo di radunare i dimostranti. Lo stesso avvenne a Buonconvento. Anche a Quercegrossa tutti scesero in piazza per organizzarsi e andare a Siena e molti partirono rientrando la notte tardi dopo aver manifestato e assistito a incidenti e arresti. Uno dei più facinorosi, si rammenta con un po’ d’ironia, invitava ad andare a Siena, quando aveva già nascosto i figlioli sotto il letto. Inoltre ancora una volta non mancò la donna fanatica che voleva attaccare tutti ai lampioni. Alcuni contadini con passo determinato si diressero verso la villa di Petroio per prendere il Pallini, ma desistettero. I democristiani e i cattolici, per non provocare reazioni, si tennero lontano, prudentemente chiusi in casa. Qualcuno era stato avvertito di non farsi vedere in giro perchè certi individui intendevano farla pagare a chi si era schierato con la DC.
Dopo alcuni giorni, con il clima sociale allentato dalla famosa vittoria di Bartali a Tour de France che aveva in qualche modo rasserenato gli animi, ma soprattutto per ordine di Togliatti, finirono le agitazioni, ma da allora “inizia la divisione politica”. Infatti, gli ultimi avvenimenti, elezioni politiche e attentato avevano incattivito irrimediabilmente gli animi di tutti e nuove prospettive di tensione e rivalità si aprivano su un futuro pieno di incognite.
A peggiorare ulteriormente le cose, l’anno successivo ci si mise la Chiesa con l’aperta scomunica ai comunisti del 1 luglio 1949, generalmente intesa come diretta a tutti quanti votavano comunista. Il decreto emesso dalla Congregazione del Sant'Uffizio condannava l’ideologia comunista come materialista e anticristiana e aveva di mira coloro che la professavano, difendevano e propagavano mettendosi di fatto in una situazione di scomunica, ossia fuori dalla Chiesa. L’interpretazione data al documento fu diversa da vescovo a vescovo: dove si intese esser rivolta ai capi e dove a tutti gli iscritti, ma in generale fu applicata alla lettera creando sconcerto e disagi a molti, soprattutto alle donne che votavano comunista, e contribuì ad allontanare molte famiglie dalla pratica religiosa. La problematica era dibattuta da tempo in Italia e la circolare dei vescovi Toscani diffusa nel 1948, alla vigilia delle elezioni, non lasciava dubbi a proposito condannando esplicitamente il voto dato a quei partiti professanti dottrine contrarie alla Fede. Parlando di quei lontani avvenimenti un anziano parroco rifletteva: “La scomunica ai comunisti... chissà se fu un bene... direttive diverse da diocesi a diocesi... bastava scomunicare i caporioni... quelli che facevano propaganda contro la chiesa... che predicavano l'ateismo come in Russia... tanti prendevano la tessera per non essere esclusi, per convenienza, per gli scambi, per timore”. Altri problemi collaterali di difficile soluzione si presentarono ai parroci: in primo piano il matrimonio con o tra persone iscritte al Partito comunista, ma nei casi di chi aveva dato il voto senza accettarne le dottrine materialiste il problema non sussisteva.
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Il Presidente della Camera dei deputati On. Bucciarelli Ducci a Quercegrossa ospite della Sezione DC fa il suo ingresso nei locali parrocchiali.
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Pausa colazione al seggio elettorale di Quercegrossa posto nella vecchia scuola elementare di fronte alla chiesa. Siamo negli anni Settanta e il clima politico si è ormai stemperato. Nella foto Adelmo Finetti e il familiare poliziotto per molti anni in servizio elettorale a Quercegrossa
Il fatto locale, rammentato in precedenza, che contribuì ad alimentare lo scontro politico a Quercegrossa fu l’arrivo del nuovo parroco don Ottorino Bucalossi. Egli, al contrario del precedente, e in piana sintonia con la gerarchia senese, assunse subito un atteggiamento di chiusura verso i comunisti, costituendo, invece, per i poco organizzati democristiani, una guida e un riferimento; un po’ alla don Camillo per capirsi. Di lui i ricordi sono netti e non nascondono incertezze: “Don Ottorino non dava l’assoluzione a chi si professava comunista”. Al contrario di don Grandi, fece subito intendere qual era la sua posizione rifiutandosi di benedire lo stendardo dell’Associazione Combattenti e Reduci, considerata di sinistra e partigiana, conformemente a quanto aveva decretato la Suprema Congregazione del S. Uffizio il 20 marzo 1947 che al dubbio proposto della benedizione di bandiere, rispondeva negativamente proibendo quando si trattava di partiti politici o di associazioni che erano emanazione più o meno larvata dei partiti. Nel 1953, in occasione delle elezioni politiche, gli attivisti comunisti, ricorda Lorio, avevano riempito paese e poderi di manifesti, attaccati anche a Petroio dove si sarebbe svolta la tradizionale festa nell’imminente Ascensione. La presenza dei manifesti elettorali del PCI fu motivo di rifiuto di celebrarvi la messa e la processione da parte di don Ottorino. Il fatto fu stimmatizzato in un manifesto, scritto a mano, di condanna dell’accaduto e contro l’intransigenza del parroco. Tutto concorreva alla divisione persino la benedizione delle case divenne un problema: “Don Ottorino aveva minacciato di non benedire le case di alcuni comunisti riconosciuti”, ma don Ottorino non faceva altro che rispettare le direttive ricevute e lui minacciò soltanto, ma in certe parrocchie furono decine le famiglie che nel 1950/51 non videro il prete, anche perchè non ce lo volevano. Tutto ciò non portava certamente gli animi ad acquietarsi, e il parroco, accusato, tra le tante, di fare propaganda politica dall’altare, divenne bersaglio della speculazione comunista. Non va dimenticato che in quegli anni le lotte contadine e operaie tenevano alta la tensione sociale avendo raggiungendo punte notevoli di intensità nella conflittualità degli scioperi e delle manifestazioni.
“In quei giorni di sciopero una gran massa di contadini veniva a Quercia la sera nel dopocena e rimanevano fino a mezzanotte intorno a biliardo o con le carte in mano, a chiacchiera, discutendo sul da farsi”. In questo clima non mancarono le allegre goliardate come una sera per una festa a Quercia, quando le ragazze di Castagnoli e Monastero, tra le quali Marina Cennini e Anna Florindi che frequentava in parrocchia un corso di cucito, passeggiando per la strada videro don Ottorino sotto gli archi della chiesa e allora in tono di sfida gli cantarono Bandiera Rossa a squarciagola costringendo il curato a rientrare in chiesa. Quando don Ottorino obiettò bonariamente ad Anna sull’accaduto e sul perchè le frequentasse, lei rispose che non poteva impedirgli di cantare e che erano le sue amiche.
Sono anni in cui divampa il condizionamento ideologico e il cinema si rivela ancora una volta prezioso strumento di propaganda. Proiezioni si hanno sia alla Società sia nei locali parrocchiali e di solito vertono sul comunismo russo presentato nei suoi aspetti migliori o peggiori, secondo il punto di vista.
Nelle parrocchie non sono mai cessate le famose Missioni che, ripeto, vennero viste dai comunisti come propaganda democristiana. Durante la visita pastorale nel 1952, nel pomeriggio dopo la processione, l’arcivescovo Toccabelli tenne l’omelia e prese l’occasione citando le Missioni fatte in parrocchia e in altri popoli, per far constatare quante falsità erano state dette a proposito delle Sante Missioni: “Propaganda? Politica? Si è trattato della salvezza dell’anima, del Paradiso, dell’inferno, della morte, del peccato, della Misericordia di Dio, della Confessione, dei doveri degli sposi, dei genitori, dei figlioli. Dov’è la politica? Solamente nel cuore di mentitori!”
Nelle campagne senesi, specialmente nelle zone più arretrate, opera l’Onarmo, l’Opera Nazionale Assistenza Religiosa Morale Operai, una benefica associazione apportatrice di aiuti sia economici sia medici alle famiglie, distribuendo, sotto la guida dei parroci, pacchi alimentari e medicinali insieme alla stampa cattolica: previdenza e istruzione. Gli operatori laici o religiosi non erano visti di buon occhio dagli attivisti della parte avversa e spesso ricevevano velate minacce. Voglio ricordare la testimonianza di Ilva, la perpetua socialista di don Mino di Vagliagli, la quale mi rammentava il suo servizio prestato in questa associazione per far del bene: “...e facevano anche assistenza alimentare con fondi della POA. Andavano la notte dalle famiglie contadine per non farsi vedere, oppure si consegnavano i biglietti della SITA e loro venivano a Siena a ritirare gli alimenti”. Don Orlando Donati, dalla quale dipendeva, era di Torri e ricordava i grandi proprietari che si accordavano privatamente con i contadini per la vendita dei poderi, ma vendite proibite dal Partito attraverso il Sindacato. Ricordava anche i “compagni”, i quali, dopo una giornata di lavoro, salivano in bicicletta nella Montagnola per consegnare l'Unità ai poderi. Ilva rammenta che a Rosia in quegli anni c'erano molti malati di TBC bisognosi di assistenza. Nel 1958, alla vigilia delle elezioni, a lei e don Orlando, allora parroco di Rosia, che reggeva l'assistenza alle famiglie, gli venne detto, ma non so con quanta convinzione: "Se domani si vince Lei e don Orlando vi si attacca allo stollo del pagliaio”.
Dall’altra parte si va consolidando da anni una struttura politica comunista, un vero e proprio apparato amministrativo di primordine, diffuso capillarmente, col quale ad ogni tornata elettorale si chiamano all’appello tutte le forze, e detta, attraverso le strutture periferiche, le politiche locali da portare avanti e da attuare, si tratti di far la guerra agli agrari o di rompere l’egemonia dei ceti privilegiati, o sulla propaganda dei dirigenti clericali, o di far perdere consensi alla ferma opera dei parroci cercando di erodere la base cattolica della DC. Ma ormai gli schieramenti sono fatti e per trent’anni, salvo lievi variazioni, lo zoccolo duro dei partiti terrà. Un fatto positivo in questi anni è la formazione di tanti dirigenti politici e sindacali di origine contadina che daranno un grosso contributo alla battaglia di progresso sociale, soprattutto nelle file delle sinistre.
Alcune famiglie contadine di Quercegrossa non aderiscono al fronte antidemocristiano, e fin dagli inizi si schierano apertamente con i moderati restando fedeli a quei principi cattolici e democratici in cui credono, così come gli altri sono fermamente convinti della loro giusta causa per la giustizia sociale, per la terra a chi la lavora, per il lavoro per tutti ecc.; le discussioni si sprecavano.
Ma difficile era la vita nei popoli in quegli anni duri, dove la politica dominava la scena essendo pane di tutti i giorni. Dalle memorie di un parroco si entra nella psicologia di quegli uomini: “In una parrocchia di Campagna si sono fatte le prime comunioni con grande partecipazione di popolo. Alla processione, nota il parroco , sono interventi numerosi parrocchiani tra i quali vari comunisti, accesissimi. Fra questi uno che non era mai stato in chiesa negli ultimi 4 anni, non l'ho mai veduto partecipare a funzioni. Credo siano venuti soltanto a scopo propagandistico. Dicono infatti di aver vinto la lotta elettorale (1953) per il mancato raggiungimento del 50,01% necessario al conseguimento del premio di maggioranza (La legge truffa) . Si sentono padroni d'Italia e perciò tengono a voler dimostrare che essi non combattono la religione. Ciò lo ripetono frequentemente in questi giorni. Però ho saputo che elementi di Motrena volevano venire a cantare sotto le finestre della canonica la loro vittoria e il loro gentile democratico proposito di "tirare il collo al prete"... Del resto prima delle elezioni avevano affermato, altre persone, che la forza quantumque consumata era sempre sufficiente a infilare il prete. Così vedono il sacerdote: un nemico da eliminare”.
A Quercegrossa, mentre socialisti e comunisti disponevano di una sede di lavoro nella Società che gli permetteva un efficace e proficuo lavoro organizzativo e di propaganda, i democristiani per diversi anni si arrangiarono con una ridotta attività personale al limite della sopravvivenza e dove il solo Silvano Socci si proponeva come coordinatore delle esigue forze; si deve attendere l’arrivo di don Ottorino e la costruzione dei locali parrocchiali nel 1951 per avere una base e un riferimento sicuro.
Per ovviare a questa carente situazione, già verso il 1947 il democristiano Lucenti di Lornano proponeva a Silvano Socci l’apertura di una sezione DC nella zona. Silvano contatta alcune persone, ma riceve soltanto dinieghi e scusanti. Sollecitato poi nel 1950 dalla sezione DC di Castelnuovo Berardenga, si decise finalmente ad aprire una sezione a Quercegrossa, e con l’aiuto del Mugnai di S. Gusmè procedette alla pratica presso la direzione di Siena e al tesseramento. Furono sei le adesioni e presero la tessera Silvano che ricoprì anche la carica di segretario della sezione, Lea Oretti, Umberto Mori, Livio Bucalossi, il babbo di don Ottorino, Dino Castagnini e forse Elio Mori. Tutte le successive pratiche amministrative e di tesseramento si svolsero in casa Socci fino al 1974, quando la DC di Quercegrossa ebbe la sua prima sede intitolata al partigiano Luciano Panti. Aprì nell’ex ufficio postale, nel palazzo detto di Picciola. Le altre due sezioni politiche rammentate del PCI e del PSI, rimasero nella Società fino alla metà degli anni Sessanta. Successivamente, dal 1 gennaio 1975, quella comunista riaprì nei locali dell’ex cooperativa nel palazzo del Barucci, per trasferirsi circa un decennio dopo al Poggio. La sezione socialista è invece ricordata attiva per alcuni anni nell’edificio di Casagrande, in quella stanza già macelleria del Ciampoli. Fra le curiosità da rammentare, in questo confronto politico, merita attenzione la contrastata vicenda per l’installazione del telefono a Quercia nel 1950, descritta nel capitolo “Cose d’altri tempi”. Una storia nata in un clima di sospetto con i comunisti che lo volevano installare nella cooperativa e i democristiani nella bottega della sor Ada.
Ho accennato all’impegno personale di alcuni nostri compaesani nei consigli comunali sia di Castelnuovo che di Monteriggioni, e aggiungo che il loro fu un notevole sacrificio.
Cito alcuni esempi di questo onere: alle elezioni amministrative del 10 giugno 1951 per il Comune di Castelnuovo si presentarono:
Lista n° 1 (PCI): Cappelletti Silvio;
Lista n° 2 (PSI): Sestini Bruno, Landi Serafino e Volpini Vasco;
Lista n° 3 (DC): Socci Silvano e Castagnini Dino.
Nel 1958 Silvano Socci viene eletto consigliere comunale a Castelnuovo per la DC, insieme al Cappelletti per il PCI poi sostituito da Adelmo Finetti. Silvano è stato in consiglio comunale per 25 anni: “ ...si partiva alle cinque del pomeriggio e si ritornava alle tre di notte, quando andava bene. Lo Zoppino di Vagliagli faceva il giro e raccattava tutti i consiglieri, io ero il primo a salire e l'ultimo ad essere riportato a casa”.
Tanti altri dati, valutazioni e analisi si potrebbero aggiungere a questi storici e decisivi anni, ma credo basti così. Oggi, che quei personaggi artefici e interpreti della politica del dopoguerra sono quasi tutti scomparsi, così come le sezioni politiche teatro di mille discussioni e di tante nottate perse al fumo di sigarette “Nazionali”, c’è tanta nostalgia. Anche i mitici politici nazionali di allora, da De Gasperi a Togliatti, da Nenni a Malagodi, veri signori della politica, non hanno avuto eredi e spesso vengono rimpianti.
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