Quercegrossa (Ricordi e memorie)

CAPITOLO VIII - STORIA RELIGIOSA

Indice dei Capitoli
Indice Storia religiosa


Adriano Rigatti (1888-1907)
Dal suo testamento sappiamo che don Adriano Rigatti era nato nel comune di Empoli il 20 gennaio 1854 da Francesco e Ottavia Poli, e nelle Ordinazioni della Curia senese si ha la prima registrazione del suo nome quando risulta accedere al suddiaconato il 22 dicembre 1877. Si suppone, quindi, abbia ricevuto i primi gradi in altra diocesi e per saperne di più si deve leggere il suo elogio funebre pubblicato dal Popolo di Siena il 16 febbraio 1907: “La morte di un parroco. - Riceviamo: Col più profondo dolore partecipiamo la irreparabile perdita del nostro amatissimo Parroco di Quercegrossa Sacerdote Adriano Rigatti nativo di Ponte a Elsa avvenuta dopo fiero morbo il 9 di febbraio 1907. Preso a benvolere da Monsignor Pierallini Vescovo di Colle, quivi fece i suoi studi. In età di 23 anni fu dal medesimo consacrato Sacerdote, e poco dopo per non lasciare suo padre, così lo chiamava per l'affetto che a Lui portava, si trasferì in questa nostra Archidiocesi dove Monsignor Pierallini per compensare la stima che aveva del povero Adriano volle dargli il regime della Parrocchia di Quercegrossa che per 28 anni e con vero zelo di Sacerdote e di Parroco ha saputo amministrare. Domenica alle ore 3 ebbe luogo il trasporto della salma al Cimitero della Parrocchia come era suo desiderio.

Don Rigatti commemorò in modo particolare la morte dell’arcivescovo Pierallini al quale era molto legato e al quale molto doveva.

Commoventissima fu la dimostrazione d'affetto fatta dal buon popolo di Quercegrossa per la perdita del caro e amato Pastore. Al trasporto presero pure parte con una rappresentanza i popolani della Pieve di Basciano, e i molto Reverendi Parroci del torno. Terminata l'associazione nella Chiesa Parrocchiale, il Sacerdote Ferruccio Calamati Pievano di Basciano, come il più viciniore e venerato amico, volle dare con poche sentite parole un ultimo addio al caro amico e collega estinto”.
In altro documento è dato proveniente dalla Bastia diocesi di S. Miniato al Tedesco. Ripercorrendo i passi del suo cammino verso il sacerdozio vediamo che è fatto poi diacono dall'arcivescovo Giovanni Pierallini la mattina di sabato 15 giugno 1878 nella cappella del palazzo arcivescovile di Siena e ordinato sacerdote il 21 settembre successivo in cattedrale. Al suo primo incarico fu economo della parrocchia di S. Eugenia. Quanto sia stato stimato e amato questo Curato emerge ancora da una lettera che il Vicario invia, subito dopo la morte di don Adriano, a don Ferruccio Calamati, parroco di Basciano, proponendogli di assumere la cura spirituale della parrocchia e di binare due messe domenicali, ma soprattutto rammaricandosi con pietà di quanto è successo: "Mons. Arcivescovo è dolentissimo della irreparabile perdita del povero Rigatti. Chi avrebbe prospettato che avremmo dovuto perderlo così presto?". Una stima profonda che si era guadagnata con l’amicizia sincera e una rispettosa ubbidienza all'Ordinario e alle norme, caratterizzata da una mitezza di carattere e pazienza dimostrata in molte circostanze tra le quali la vicenda della sua nomina a rettore di Quercegrossa. A queste virtù si accompagnava una forza d'animo eccezionale che esibì nel cercare di rimediare a situazioni di estrema necessità per la parrocchia. La sua diligente premura verso le cose di chiesa e del popolo traspare dal suo copialettere e dalla compilazione dei registri e in particolare da quello dei battesimi di Basciano trascrivendo con certosina pazienza tutti i battesimi dell'Ottocento nel suo elegante corsivo, un'impresa di riordino per la quale ha compilato anche gli indici dei 2077 battezzati che deve essergli costata anni di lavoro effettivo così come per il completissimo stato delle anime di Quercegrossa iniziato nel 1890 di grande utilità per il movimento delle famiglie in quel fine secolo. E' noto il suo interessamento, con esito positivo, per l'unione a Quercegrossa dei poderi sotto Basciano, per il cimitero, per l'ufficio postale nonché verso le persone bisognose della parrocchia di Quercegrossa e Basciano per la quali si fa portavoce presso l'autorità comunali. Per sua comodità e anche del popolo iniziò a battezzare a Quercegrossa nel periodo in cui era economo spirituale di Basciano. Non trascura certamente il culto sia ordinario che straordinario facendosi promotore di giornate missionarie, prediche quaresimali e altro. Ma molto del suo tempo venne assorbito dall'esecuzione dei lavori di restauro e consolidamento della canonica, ormai impellenti per la minaccia di rovina, che gli causarono situazioni di estremo disagio fisico per le sofferte condizioni in cui fu costretto a vivere nella canonica, alle quali si aggiunse la noia di tutta una lunga serie di pratiche burocratiche, ipoteche, atti notarili, atti subeconomali, ricerca di finanziamenti ecc., delle quali sono rimaste numerose carte. Venne inoltre sfiorato dal fulmine che rovinò il campanile procurandogli grande spavento e un secondo fulmine nel 1905 che lo costrinse ancora una volta intraprendere nuove pratiche per la riedificazione del medesimo per il quale però gli mancherà il tempo e toccherà al suo successore realizzare il progetto. Un parroco, in definitiva, che si può tranquillamente iscrivere nella lista dei migliori.
Scendendo nei particolari della sua presenza a Quercegrossa vediamo che alla morte di don Luigi Regoli il novello sacerdote è nominato economo spirituale il 17 dicembre 1878, e di conseguenza prende dimora nella parrocchia dove risiederà fino alla sua morte. Però non s’immagina che occorreranno ancora dieci anni per ottenere la sua piena investitura a parroco. Appare strano come si sia tenuta in sospeso una situazione parrocchiale che per l’urgenza di certi interventi meritava maggiore considerazione e tempismo da parte delle autorità civili. Comunque don Adriano affrontò con responsabilità ogni emergenza e seppe far fronte alle necessità spirituali di due popoli a lui affidate: Quercegrossa e Basciano, quest’ultima parrocchia tenuta fino al 4 agosto 1890, quando fece le consegne a don Ferruccio Calamati.
Quanto don Rigatti fosse premuroso verso i suoi popolani si capisce dalla lettera dell’11 febbraio 1888 all’amico Silvio perchè lo iscriva al concorso per la parrocchia, un evento atteso dieci anni, avendo due malate gravi da confortare: una a Basciano e l’altra a Sornano, e in più deve preparare per la festa di Basciano.
Si presentò poi il 18 febbraio al Palazzo arcivescovile a sostenere la prova, unico concorrente. Forse gli altri preti rimasero lontani nel rispetto della volontà dell’Arcivescovo di assegnare la parrocchia di Quercegrossa al suo pupillo don Adriano. Anche per don Adriano Rigatti l’entratura e presa di possesso avvenne in due volte. Col decreto arcivescovile del 20 febbraio 1888 ottenne l’investitura, e il seguente 18 marzo il delegato don Marzio Pepi, proposto di S. Leonino, lo immetteva nella parrocchia davanti ai testimoni Desiderio Masti e Sabatino Carli. Fu una presa di possesso che si può definire privata, curiale, perchè quella legale, ufficiale, avvenne il 18 aprile 1889 dopo che il 13 febbraio era giunto il R. Placet in risposta alla bolla ecclesiastica del 27 gennaio precedente e finalmente don Adriano si potè considerare rettore a tutti gli effetti. Erano trascorsi 11 anni dalla sua nomina a Economo.
Fu una giornata che si svolse secondo la prassi tradizionale con il regio subeconomo Giovan Francesco Pollini che si recò a Quercegrossa e davanti ai testimoni Luigi Ciorcolini di Siena ed Egidio Cerpi del Castello di Quercegrossa immise "nel corporale possesso" della parrocchia e di tutti i suoi beni e arredi il sacerdote don Adriano Rigatti. Nel relativo contratto firmato dal parroco vengono puntualizzate tutte le pendenze della parrocchia e i suoi doveri fra i quali gli incombe l'obbligo di un'assicurazione contro gli incendi presso una solida Società. Deve presentare entro 4 mesi alla Ricevitoria del Registro di Siena l'inventario dei beni e capitali e pagare la tassa di passaggio e usufrutto relativa. Gli viene accollato il debito contratto con il Subeconomato dei Benefici vacanti per i restauri della parrocchia da pagarsi annualmente al 1 dicembre con la somma di lire 250 fino all'estinzione del debito di 3488 lire e 60 centesimi dichiarando di dare al sacerdote la parrocchia senza obblighi di restauri e senza responsabilità dell'amministrazione sia per i lavori sia per la causa Montomoli per gli arredi mobili lasciati dal curato Bianciardi. Don Adriano, dopo aver controllato l'inventario, dichiara di prendere in formale consegna tutto ciò che riguarda la chiesa di Quercegrossa, ma chiede che siano resi pubblici in paese i restauri fatti a sue spese nella parrocchia e che restano da fare per lire 995, come dalla relazione del 2 aprile 1888 dell'ing. Ferri.
Si richiama nel documento la causa Montomoli e c’è da dire che fu una vicenda trascinatasi per diversi anni, dal 1888 al 1894, con avvocati e tribunale a causa della pretesa di Giuseppe Montomoli del fu Galgano e della Carolina Pratesi, il quale nella qualità di legittimo erede di don Pratesi dichiarava che don Bianciardi aveva donato a don Pratesi e non alla chiesa di Quercegrossa e richiedeva la restituzione delle statue di coccio (la pietà), l’organo, della cantoria e di altri arredi, oppure lire 6000. I diritti della parrocchia vennero tutelati dal R. Economato di Firenze che ebbe pieno riconoscimento, ma ugualmente furono concessi all’anziano Montomoli, ricoverato nell’Asilo dei vecchi impotenti, dei sussidi per la sua sussistenza con l’ultimo di 200 lire a patto che recedesse una volta per tutte dalle sue irragionevoli pretese. Anche don Adriano fu coinvolto in questa faccenda.
Soggetto per legge al pagamento di una garanzia o deposito cauzionale per gli eventuali danni da lui procurati alla canonica e chiesa di Quercegrossa al momento che lasciava il beneficio o per la sua morte, venne imposta a don Rigatti il 25 giugno 1889 la somma di lire 3.605,82, pari a quella del precedente parroco, da versarsi in rate di cui la prima di 600 lire e le rimanenti di 200 lire. Ma oberato dalle spese non riuscì ad effettuare il regolare pagamento annuale, interrotto per un decennio, versando soltanto sei rate per un totale di 1600 lire e di conseguenza si sprecarono avvisi, ingiunzioni e anche minacce “di sottoporlo alla mano regia”, da parte del R. Economato di Firenze.
Pur avendo la parrocchia entrate superiori alle mille lire, ma con una situazione debitoria da sanare, risulta iscritta nell’elenco delle chiese povere della diocesi e dalla Pia opera delle Chiese povere don Adriano riceve nel 1899 una pianeta violacea del valore di Lire 22,50 e un messale da vivi (valore lire 23,50) nel 1900. In seguito, consegnati a don Ferruccio Calamati nel 1907, un piviale nero, una borsa da viatico, un conopeo da pisside (copertura di stoffa) e negli anni seguenti altri pezzi al successore don Luigi Grandi.
Accennando ai notevoli lavori effettuati al tempo di don Rigatti al complesso parrocchiale, descritti ampiamente alla voce “Chiesa e canonica” in questo capitolo, ho evidenziato il disagio che subì il parroco e che lui stesso ci ricorda attraverso lettere al Pollini del Subeconomato di Siena. Appare realmente che tutto ciò fu di grande incomodo e di impiccio a don Rigatti il quale non sembra essere persona piagnucolosa.
Il 10 febbraio 1883 nel rimettere una nota dei lavori urgenti da fare afferma: ”Io non starò a specificare i grandi incomodi che ho sofferto e che tuttora soffro insieme colla mia famiglia in questo rigido inverno per non avere in questa canonica gli infissi in ordine”. La canonica e ridotta male e vivono nella paura che avvenga qualche tragedia: “1884 16 aprile ... ci vorrebbero lire 5000 per tutti i lavori chiesa e canonica ... per non trovarsi in gravi dispiaceri perchè il pericolo è imminente ... è franato lungo la strada il muro alto due metri”. A questa allarmante situazione si aggiunse un fatto naturale e veramente fu sfiorata la tragedia, evitata grazie all’intervento dei popolani, come riferisce don Adriano al Pollini il 30 agosto 1885 in una lettera nella quale ribadisce la necessità di un intervento urgente. Un fulmine cadde sul campanile e spaccò l’arco di mezzo della torre, poi per una catena entrò in una stanza dove teneva il fieno e l’incendiò e spaccò il paracielo. Da lì entrò in un’altra stanza spaccando la soffitta e incendiando un baule dove teneva la biancheria della chiesa riducendola in cenere. “...dopo l’ assiduità di 4/5 ore dei miei popolani riuscimmo a spengere ... Quando ripenso che io poteva esser vittima del fulmine passato alla distanza di un metro mentre chiudevo serravo la finestra del pozzo percorsa la doccia e trovato il canale che mette nel medesimo scese e sbranò il davanzale della cisterna che mi si aprì in faccia ... per la ... lo scuotimento del terreno e l’elettricismo mi ritrovai rovesciato all’indietro ... fremo tuttora di orrore e di spavento ... rimedi opportuni qui è come abiti in una piazza, qui sono senza usci e finestre e piovendo l’acqua mi può percorrere tutte le stanze”.
L’assegnazione dei lavori al muratore Rossi Remigio doveva essere un traguardo da festeggiare e invece fu portatrice di ulteriori preoccupazioni e angustie. Il 18 giugno 1887 il Rossi gli chiede la stanza della Compagnia per i lavori e lui al quale hanno scoperchiato tre stanze ha dovuto raccomandarsi ad altri per mettere la roba: “... gli cedetti una stanza per dormire ... il terreno per il materiale ... e ora divenire assolutamente padrone no. Se vogliono villeggiare si trovino altro quartiere ... quello che gli posso cedere è il cortile per i legnami ...”. L’8 novembre 1887 scrive e sembra si faccia sempre più acuta l’insofferenza verso il muratore che gli mente spudoratamente quando gli chiede del legnaiolo per sistemare una campana calata e gli dice che sta per arrivare, quando non è vero, e non può più suonare le campane, e sono morti tre pargoli e le famiglie si lamentano. Inoltre l’accollatario dei lavori ha predisposte tre zeppe per le campane che dovrebbero essere di abete e invece sono di quercia “dei tempi di Noè ed è l’accollatario abituato ad abborracciare come ha fatto per atri lavori e che nessuno (dice) lo può costringere a correre ... servendosi sempre di persone da spender poco causa ed effetto del suo egoismo mi fa meraviglia che il Sig. Ingegnere in tanti altri lavori serra e ha serrato non uno ma tutti e due gli occhi”.
Grande fu l’impegno nel ricercare fondi per i lavori di consolidamento e, oltre all’esposizione personale di don Rigatti nei primi anni, fu tentata invano anche la vendita della cantoria, ormai inservibile e cadente. Nel 1905 per le spese da sostenere nella riedificazione del campanile “... da vario tempo il parroco non può adoprare le campane ivi esistenti per non occasionare probabili infortuni”, ritenta la vendita della cantoria e anche della Pietà della quale tempo indietro aveva scritto nell’inventario “... chiusa da cinque cristalli ... e le figure suddette sono alquanto inutili”. Non poteva mancare la richiesta del contributo ai sindaci dei Comuni di Castelnuovo e Monteriggioni che per legge dovevano tutelare i beni delle parrocchie e infatti giunsero nella quantità rispettiva di lire 500 e lire 200.
Trovandosi in difficoltà, nel 1900 fa domanda di condono al R. Economato di Firenze di lire 2538,65, parte rimanente delle 3999,65 ottenute dai fondi economali per i lavori parrocchiali, ma viene respinta e ottiene soltanto di sospendere per cinque anni la rata di lire 250 a condizione che continui a versare sul suo deposito di garanzia che, come abbiamo visto, era in arretrato.
Tante altre cose ci sarebbero da rammentare su don Rigatti e sull’amministrazione della parrocchia in quegli anni, ma cito velocemente tra i fatti più significativi i restauri fatti alla cappellina di Petroio con il suo impegno personale e quello delle famiglie nel 1883 con richiesta di benedizione all’Arcivescovo; l’autorizzazione del 24 marzo 1889 a celebrare una seconda messa domenicale su domanda dei parrocchiani che si sottoscrivono in numero di quarantacinque e accennano alla mancanza di sacerdoti e alla impossibilità di udire altrove la messa; che, come economo, il 16 febbraio 1880 aveva preso in affitto la terra la casa della chiesa con annuo canone di lire 150 e che successivamente alla richiesta di un contributo “... ha incontrastabilmente migliorato quei fondi mediante nuove coltivazioni a viti eseguite a tutte sue spese” e riceve un rimborso di 30 lire per 500 pali occorsi per una nuova piantagione.
Don Adriano visse a lungo con la mamma vedova, persa il 7 giugno 1900, e due donne: Marietta Baroncini di Firenze, amica della mamma che nel 1897, rimasta sola, venne accolta in casa Rigatti e considerata di famiglia, e Teresina Turci, una figlia dell’ospedale di Siena. Ad entrambe don Rigatti lasciò i suoi pochi beni personali ricordandole nel testamento olografo del 9 novembre 1902. In quelle poche righe c’è tutta l’umiltà del sacerdote e anche la schiettezza dell’uomo: “Prima di tutto raccomando a Iddio e alla Sacra famiglia della quale ne ho una speciale devozione l’anima mia nella dolce speranza che col perdono dei miei falli la conducano all’eterna gloria del paradiso. Quando il mio corpo sarà cadavere voglio sia deposto in una semplice cassa di legno come si pratica in campagna e sepolto nel cemeterio a fila degli altri cadaveri ... in quanto al trasporto voglio che sia fatto modestissimo cioè accompagnato da un solo sacerdote ... o col medesimo corteo simile a quello che si può fare per un povero pezzente ... La domenica susseguente alla mia morte, se è possibile, sia fatta nella parrocchia di Quercegrossa una Esposizione col SS. Sacramento come soleva farsi da me ai miei popolani defunti ... Voglio che sulla mia tomba non venga fatto alcun ricordo di lapide, fiori, perchè sono state per me sempre avverse ... ambedue si trovano da vari anni in casa mia ed io le ho considerate e rispettate come mia famiglia, alle quali ho voluto sempre bene e loro pure mi hanno dimostrato una certa affezione e notai che con amorevolezza assistettero alla morte della mia adorata genitrice. Dunque per gratitudine non avendo ricevuto da me alcun salario ... le ho chiamate eredi giacchè per mia sventura non ho parenti necessari cioè nè fratelli, nè sorelle nè nipoti ma solo cugini e parenti inferiori ... dei quali non me ne faccio alcun conto ... giacchè non sono stato avaro con la mia sposa, la Chiesa con fabbricare, restaurare, coltivare i fondi della medesima, tutti fatti a mie spese che in complesso ascendono ad una cifra favolosa per cui senza scrupoli di coscienza voglio che gli arredi ... di mia proprietà passino alle mie eredi. Nomino come mio esecutore testamentario il mio amico don Ferruccio Calamati economo di Basciano ... al quale sarà data la mia tabacchiera d’argento che si trova nel secreto del mio Banco”.



Paragrafo successivo Don Luigi Grandi

Inizio pagina

Vai all'Indice dei Capitoli