Quercegrossa (Ricordi e memorie)
CAPITOLO VIII - STORIA RELIGIOSA
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Le opere d’arte
Cantoria
Nei primi dell'Ottocento don Bianciardi ottiene, o probabilmente acquista, la Cantoria barocca che si trovava nella chiesa di S. Petronilla a Siena, e non è da escludere che tutta la parte occidentale della chiesa e della canonica di Quercegrossa sia stata ristrutturata proprio per accogliere questa notevole e massiccia opera d'arte che rappresenterà per circa centocinquant'anni un importante punto di riferimento per la liturgia. Il suo organo accompagnerà solennemente le funzioni religiose fino agli anni Cinquanta del Novecento. Se vero quanto ipotizzato, risalta l'importanza che subito le venne data dal parroco Bianciardi che ampliò l'edificio chiesa con i cosiddetti archi, collocando l’organo nell'ambiente sovrastante affacciato sulla navata della chiesa. La luce illuminante del sole entrava da due finestre della facciata. Costruì il passaggio che collegava la canonica alla cantoria, alla quale si accedeva da una porticina: "Per salire alla cantoria non c'era passaggio dalla chiesa, ma dalla casa del prete da uno stretto e scomodo passaggio. Dalla porticina con uno scalino si scendeva direttamente sulla cantoria e con due, a sinistra, si saliva nell’ambiente dell’organo". Vi prendevano posto l'organista, l'eventuale coro, e due persone che azionavano il mantice, indispensabile per suonare. Queste persone, invisibili ai fedeli in chiesa, si trovavano dietro le canne dell'organo e con un movimento alza-abbassa davano forza al mantice che mandava aria a pressione all'organo. Nei mantici, alle attaccature c'era la mastice come incollante, ma veniva rosicchiata dai topi che creavano dei fori dai quali fuoriusciva, soffiando, l'aria, alterando il suono delle canne; allora si provvedeva a rimasticiare, e cosa fare per impedire che i topi rodessero i mantici? Semplice, don Grandi pensò bene di alimentarli a formaggio in modo da distoglierli dal rosicchiare tutto l'organo. Sembra sia vera.
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La cantoria come appariva nella chiesa di Quercegrossa e sotto dopo il restauro e la sua collocazione nella chiesa di S. Miniato a Siena
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Dopo qualche decennio dalla sua prima collocazione, questa pesante opera diede segni di instabilità rischiando di cadere, tanto che per molto tempo divenne inservibile e a fine Ottocento si prospettò la sua vendita per finanziare i lavori della parrocchia. Un esperto artigiano senese la valutò 1000 lire, ma nella vendita all’incanto dove parteciparono tre artigiani di Firenze e Siena le offerte non furono adeguate raggiungendo soltanto le 750 lire e quindi rimase a Quercegrossa. Da rammentare la perizia fatta dalle Belle arti inviando a Quercegrossa i famosi artisti senesi Tito Sarrocchi e Luigi Mussini della Commissione conservatori opere d’arte. Nel documento che attesta la presa di possesso del benificio parrocchiale da parte di don Luigi Grandi dell'anno 1907 è descritta l'orchestra: "Orchestra di legno intagliata e dorata di stile barocco, del 1600, con frontone dell'organo simile, già appartenente alla chiesa di S. Petronilla. Questa orchestra è mancante di diversi pezzi ed è bisognosa di riconsolidamento, perchè nello stato in cui si trova attualmente va deperendo di giorno in giorno. La Soprintendenza ai Monumenti s'incarica di toglierla e restaurarla". Successivamente, in un questionario dei beni parrocchiali, descrive più accuratamente l'opera: "L'altra opera d'arte è una cantoria che occupa tutto la parete di fondo della Chiesa. Lavoro mirabile di intaglio e traforo di stile barocco. Detta cantoria intieramente dorata e di bello effetto è quasi inservibile perché priva di tutte le canne e meccanismi necessari in un organo. Essa pure è inventariata". L'organo è privo di canne e manca di meccanismo e quindi non può funzionare. Sarà lui stesso a provvedere al consolidamento della cantoria molti anni dopo e sostituire l’organo. Infatti, nell'anno 1932 fu smontato l’organo da Lecceto e portato a Quercegrossa con una spesa di lire 1.000 pagate all’Arcivescovo il 4 aprile. Smontato e fatto riparare "con diverse prestazioni” dall’organario Paolo Zannoni di Siena per una spesa ulteriore di 1.100 lire. Il conto del muratore Castagnini Dino, del luglio 1932, importò 100 lire e altrettante le richiese il falegname Rossi Brunetto. All’elettricista Mori e Franceschini il 31 maggio 1932 vennero saldate lire 36. Altre 286 lire furono spese in legnami. La somma totale spesa di 2750 lire venne raccolta tra le famiglie (304 lire), offerta dalla Compagnia (500 lire) e prelevata da un libretto di risparmio della parrocchia. Un quadretto commemorativo dell'avvenimento fu attaccato alle pareti vicino all'organo.
Figura centrale in una cantoria è l'organista e questo incarico è stato tenuto per trent'anni da Alessandro Mori, il quale suonava con tecnica discreta, a orecchio, qualsiasi cosa. Dopo la demolizione della cantoria nel 1955, Alessandro Mori continuerà a suonare l'armonium posto dietro l'altare maggiore per molti anni ancora. Ma che fine ha fatto la cantoria ridotta a pezzi nel 1955 si chiederanno i meno informati? Da una lettera di S.E. l'Arcivescovo di Siena Mons. Castellano conosciamo la sua iniziale vicenda. Nel 1972 il 22 febbraio scrive al Soprintendente ai monumenti di Siena chiedendo il restauro dell'opera: "Ch. Soprintendente. La Cantoria lignea della Chiesa di Quercegrossa, che da alcuni anni è stata smontata, per poter riaprire la finestra sopra la porta d'ingresso, si trova depositata in una stanza della casa canonica. Purtroppo ho dovuto constatare che a causa dell'umidità dell'ambiente, si va rapidamente deteriorando. Sono, pertanto, a pregarLa di voler disporre che la cantoria
venga restaurata e, in attesa, di voler autorizzare la sua collocazione, in deposito, presso il Seminario Arcivescovile di Montearioso, il quale offre tutte le garanzie per una buona conservazione. Si studierà in seguito la migliore collocazione definitiva della stessa cantoria. Col più cordiale ossequio mi confermo dev.mo Mons. Mario Ismaele Castellano O.P. Arcivescovo di Siena". Il seguito accennato dall'Arcivescovo vide la cantoria trasportata al seminario di Montarioso dove rimase alcuni anni prima di essere restaurata dalla Soprintendenza e poi, avendo il parroco don Ugo Montagner rifiutato di riprenderla, ma si deve giustificare don Ugo al quale venne mostrato prima del restauro un ammasso di vecchi legni, venne collocata nella chiesa di S. Miniato di Siena dove ancor oggi si trova.
La Pietà
Fin da piccolo, seduto nelle vecchie panche, quando ancora non toccavo i piedi per terra, lo sguardo era attratto da quelle grandi statue che seminascoste dal tabernacolo, dai fiori, dalle candele, si intravedevano sopra l'altar maggiore, confuse dal disegno a motivo floreale che ricopriva le pareti dell'ambiente dietro la mensa dell'altare. La Pietà, attribuita allora al Cozzarelli, giaceva al piano della mensa messavi nei primi dell'Ottocento da don Bianciardi, il grande restauratore dell'antica chiesa. Con qualche dito rotto, alcune scortecciature e la base spezzettata in più posti, frutto delle magagne del tempo e dell'incuria degli uomini, mostrava tutti i suoi anni. Intuivo allora, pur nella parziale veduta e gli sbiaditi colori, un cromatismo equilibrato, delicato, e la naturale disposizione delle statue concentrate sul Cristo morto: una bellezza e un fascino misterioso. Oggi, dopo un ottimo lavoro di restauro e l'indovinata collocazione sotto il fornice, in piena veduta, ai piedi di una croce di legno, si presenta in tutto il suo splendore. Il restauro effettuato negli anni Ottanta dalla Soprintendenza alle Belle Arti di Siena le ha ridato colore e vigore ponendola all'attenzione e all'ammirazione dei fedeli ai quali si manifesta in tutto il suo simbolismo.
Interno chiesa di Quercegrossa.
Attuale collocazione della Pietà posta sotto il fornice nel presbiterio. Tolta dal vecchio altare e restaurata in occasione della mostra di Francesco di Giorgio Martini al quale è stata di recente attribuita.
Le quattro statue, di dimensioni quasi reali, formano un semicerchio, come una lunetta, dove il corpo del Cristo abbandonato nella morte, quasi rilassato, privo di sofferta drammaticità, attorniato dalle pie donne, occupa con forte rilievo il centro della scena sacra. Sopra il corpo di Cristo spicca la figura della Madonna, dipinta a contrastanti e indovinate tinte, che appare come incredula, come se rifiutasse il fatto compiuto; solleva la mano inerte del figlio e sembra volergli parlare come per scuoterlo dal sonno; commovente e pietosa figura di madre. Le due figure in posizione laterale, San Giovanni e la Maddalena, di dimensioni non minori, nel loro leggero inclinarsi danno equilibrio e sostegno all'intero quadro e completano la Pietà nel suo significato evangelico. La lucidità del colore dei visi tendenti verso il naturale, il lento e morbido dispiegarsi del panneggio dà all'insieme brillantezza e luminosità. Un insieme che evoca pietà e compassione, opposta alle tormentate opere similiari.
La tradizionale attribuzione della Pietà a Giacomo Cozzarelli, è stata rivista al tempo della mostra su Francesco di Giorgio Martini che ha consentito uno studio delle sue opere e per quel ci interessa anche della Pietà di Quercegrossa ribattezzata "Lamentazione sul Cristo", e a questo artista attribuita e datata 1486-1488. L'opera fu esposta nella mostra tenuta a Siena nella Chiesa di S. Agostino dal 25 aprile a 3 giugno 1993. Già in passato l'attribuzione al Cozzarelli era stata osteggiata da un critico d'arte dei primi del Novecento, Giacomo de Nicola, il quale basandosi esclusivamente sul confronto con altre sue opere asseriva che la Pietà di Quercegrossa era da attribuire a un seguace del detto artista. La sua analisi-critica fu pubblicata nel 1910 dalla Rassegna d'Arte Senese e anche lui ritenne che il ritrovamento di qualche prova documentaria avrebbe confortato gli sfiduciati alla sua critica stilistica.
Riporto qui per intero l'introduzione dello scritto del critico che ci fornisce esaurientemente tutti i dati conosciuti: "Non nominata da alcuno, neppure da una guida, non compresa dell'inventario, per solito così accurato, del Brogi, la Pietà della Pieve di Quercegrossa (a pochi chilometri da Siena e su una via provinciale) è rimasta fino ad ora sconosciuta. Essa proviene dal soppresso monastero Olivetano di San Benedetto fuori porta Tufi dove si trovava sull'altare di una cappella sottostante alla chiesa".
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Pietà di Quercegrossa. L’opera venne acquisita alla Chiesa ai primi dell’Ottocento da don Bianciardi proveniente dal soppresso convento di S. Benedetto ai Tufi.
In basso: particolari di S. Giovanni (a sinistra) e della Maddalena. Nella foto che segue, particolare della Madonna.

Della provenienza fa fede Giuseppe Merlotti nella "Relazione storica di tutte le moderne ed antiche Parrocchie della Campagna comprese nella presente Diocesi di Siena ecc. " scritta nel 1881: "Sono in questa Chiesa (di Quercegrossa) tre altari: il maggiore alla romana che racchiude in sé il Gruppo esprimente al naturale S. Maria della Pietà con altre diverse figure formate di terra cotta, oggetto acquistato per questa parrocchia dal prelodato Signore Francesco Bianciardi dopo la prima soppressione degli ordini religiosi dell'anno 1810. Questo egregio lavoro forse è opera di Iacopo Cozzarelli ed appartenne ai RR Monaci Olivetani fuori di Porta a Tufi, della ubicazione il Cardinal Bossio nel resoconto della sua Visita Apostolica del 1575.
Sono tutte qui le notizie che mi è riuscito di rintracciare sul gruppo, mentre speravo di trarne altre più importanti dalle carte del soppresso convento, oggi all' Archivio di Stato e alla Biblioteca Comunale di Siena. Lo speravo specialmente per dare una conferma (che forse per i poco fiduciosi nella critica stilistica sarebbe stata la sola prova) al risultato del mio esame attorno a quest' opera d' arte, e cioè che essa fu eseguita nei primi decenni del Cinquecento da uno scolaro del Cozzarelli su un modello del maestro”.

Il Giacomo De Nicola basa la sua analisi sul confronto con un bozzetto di Pietà, opera certissima del Cozzarelli, esistente a Roma nell'allora Museo Artistico Industriale (oggi nella Galleria Nazionale d’Arte Antica e Moderna a Roma) e sulla rinomata Pietà dell'Osservanza di Siena dello stesso artista. Egli ha visitato l'opera di Quercegrossa in quanto descrive accuratamente la sua posizione nella chiesa "E' posto sull'altar maggiore dentro una specie di urna in muratura ( che un imbianchino ha dipinto nelle pareti con un paesaggio del Golgota, chiusa sul davanti da uno sportello a vetri. I guasti che presenta risalgono probabilmente al tempo del trasporto dalla chiesa degli Olivetani. E' rotto qua e là nella base, ha ridipinture, specialmente nel San Giovanni al quale, tra l'altro, furono sostituite in istucco le mani e parte delle braccia e anche girando il braccio destro in un senso irrazionale e contrario al bozzetto".
Richiama, nella sua analisi, la disposizione più decentrata della Maddalena, la posizione diversa delle mani della Madonna, "il meno curvarsi verso Cristo della Vergine stessa e di Giovanni, le gambe del Cristo appaiono ben tornite in evidente contrasto con lo spirito del Cozzarelli nelle cui opere anche l'abbandono cadaverico è particolarmente drammatico e sofferente e il tronco appare nell'opera di Quercegrossa troppo vigoroso e forte; anche il panneggio si presenta con linee poco spigolose, meno ruvide, per essere opera di Giacomo Cozzarelli”.

Per concludere la concezione stilistica e teologica dell'opera del Cozzarelli non trova nessun riscontro in quella di Quercegrossa secondo il Giacomo de Nicola che termina la sua critica così: "La Pietà di Quercegrossa, dunque, proviene da un bozzetto di Giacomo Cozzarelli, ma non è certo di lui, bensì, come vogliono ragioni estetiche e stilistiche, di artista molto inferiore e molto diverso". Il giudizio espresso dal critico d'arte è degno di rispetto perchè nella sua attenta valutazione confuta a ragione l'attribuzione dell'opera al Cozzarelli, ma sbaglia quando designa un artista minore come autore, non arrivando a intuire, come invece ha dimostrato la recente analisi tecnica e storica, che sia opera del più prestigioso artista Francesco di Giorgio Martini. Dopo l'analisi del De Nicola aumentarono le interpretazioni critiche sulla Pietà di Quercegrossa e su Francesco di Giorgio fino ad arrivare alla recente proposizione che l'opera sia stata ideata da lui, ma realizzata con la collaborazione degli aiuti, cioè di Giacomo Cozzarelli, e riconoscendo al modellino di Roma la funzione preparatoria all'opera maggiore e la stessa mano in una Deposizione di Venezia "... così strettamente legate fra loro per l'invenzione e per le intenzioni espressive, per i sostanziali caratteri stilistici, siano sul serio opera dello stesso scultore". Questa recente e prestigiosa attribuzione certamente ci gratifica, ma ciò non altera minimamente il nostro apprezzamento verso la Pietà mai venuto meno per la bellezza che essa esprime e l'emozione che ci dona con la sua presenza che ci ha accompagnato nei momenti più importanti del nostro cammino sacramentale e della partecipazione liturgica richiamandoci prepotentemente alla meditazione del mistero. E a me che continuo, dopo tanti e tanti anni, ad ammirarla, lasciatemi dire: "Bella! Bella!".
Chiudo con alcune notizie spicciole di antica cronaca e di leggenda miracolosa: "Si dice che la pietà fu rubata e trasportata con un barroccio trainato da un ciuco. Non riuscendo a superare la salita di Montearioso fu riportata alla chiesa". Al tempo di don Rigatti nel 1905 e di don Grandi si tentò di venderla ritenendola del tutto inutile come aveva scritto in un precedente inventario don Rigatti: “... chiusa da cinque cristalli ... e le figure suddette sono alquanto inutili”. Già don Regoli, loro predecessore, aveva comunicato per lettera di aver tolto la Pietà dall'altare e di avercela ricollocata non avendo concluso un non meglio specificato affare.
Acquasantiera
Sulla destra, entrando in chiesa, si trova l'acquasantiera di Quercegrossa. E’ un’opera settecentesca in marmo costituita da una doppia base con la parte inferiore appena sbozzata e la restante sagomata con volute laterali che racchiudono uno spazio occupato da una stella a otto punte. Le basi sostengono una colonnetta esagonale, con i lati appena accennati e di varia larghezza, sostenente una conca non molto profonda e larga circa 50 centimetri. Sul suo bordo è scolpita la data MDCCXX?
Niente sappiamo del marmista che l’ha creata e della sua provenienza, ma dal 1788, quando appare inventariata per la prima volta: “Una pila grandetta di Pietra da acquabenedetta in buono stato" o "Una piletta da acquabenedetta di marmo”, al tempo di don Borselli, è sempre stata nella nostra chiesa e come rituale una moltitudine di fedeli vi hanno intinto le loro dita e si sono segnati col segno della croce come atto di purificazione per chi entra nella Casa del Signore. Oggi, negletta e ignorata da quasi tutti, è sempre lì al suo posto presso la porta d’ingresso pronta ancora a fare il suo servizio, peccato che sia utilizzata soltanto nelle giornate di pioggia come portaombrelli da numerosi fedeli poco educati e per niente rispettosi.
L'armadio della Sacrestia Dall'inventario delle aggiunte del 1818 appare per la prima volta l'armadio della sacrestia descritto dal Bianciardi come "armadio che circonda la nuova sacrestia impiallacciato di noce e n° 12 sportelli con serratura, chiave, maniglia nel piano superiore, e n° 17 sportelli parimenti con serrature e chiavi nel piani inferiore in buono stato". E’ ancora al suo posto dopo esser stato restaurato.
La Madonna del Buonconsiglio
Opera su tavola “di nessun pregio artistico” come ricorda il Brogi nella sua ricordata descrizione delle opere d’arte, la Madonna di Quercegrossa, secondo notizie posteriori venne donata alla chiesa come ex voto da un componente della famiglia Andreucci nel Settecento, probabilmente Giovanni Francesco, e posta sull’altare in antico detto del Crocifisso ossia quello in cornu evangeli, opposto a quello di S. Antonio.

L’altare fin dal Settecento non viene mai descritto essendo considerato di proprietà di quella famiglia facendoci così mancare notizie indicative sul dipinto: “Altro altare laterale a mano sinistra quale simile all'antedetto, che non si descrive per appartenere alla famiglia de' Sig.ri Andreucci con tutti i Sacri arredi che sono nel medesimo”. L'immagine della nostra Madonna ricalca quella tradizionale con la testa declinata verso il bambino che le pone una mano al petto e l’altra dietro il collo. Lo stile personalissimo del pittore mostra reminescenze bizantineggianti ben evidenti sia nell’insieme sia in certi particolari. La devozione a questa Madonna risale al Quattrocento ed ebbe subito larghissima diffusione in Italia e in Europa. Nel 1467 nella chiesa di Genazzano (Roma) apparve un’immagine su di una parete che secondo la tradizione proveniva da Scutari in Albania, allora sotto attacco turco. Il fatto ritenuto miracoloso diede il via alla devozione alla Madonna del Buonconsiglio. A Quercegrossa si ricordano i numerosi ex voto d’argento all’altare e attaccati nelle pareti laterali, offerti alla Madonna per le grazie ricevute. Il quadro si conserva all’interno di una grande cornice decorata in oro e dipinta in azzurro e sostenuta da una solida base lignea. La “Festa della Madonna” di settembre si celebra con l’immagine portata in processione alla venerazione di tutti. Intorno al 1966/67, il quadro venne sottratto furtivamente, ma ritrovato dopo quindici giorni verso Radda e rimesso nella sua cornice sopra all’altar maggiore dove era stato collocato da don Ottorino. Vi rimase alcuni anni poi spostato nuovamente sull’altare laterale, sua storica collocazione.
L’altare della Madonna chiamata del Buonconsiglio, un tempo dedicato al SS. Crocifisso. Oggi è sede del crocifisso ligneo commissionato da don Ottorino Bucalossi, e della tavola della Madonna nella sua artistica cornice che riproduce le linee neoclassiche dell’altare con le colonne e la trabeazione, come meglio si nota nella sottostante foto di una processine di settembre per la Festa della Madonna. Questo posticipa la cornice a epoca di poco posteriore all’altare restaurato nel 1802.
Giovanni Bandini (a destra), Raffaello Mori e Luigi Lazzeri (dietro) in processione portando l’immagine della Madonna vestiti con le cappe della Compagnia.
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