Quercegrossa (Ricordi e memorie)

CAPITOLO IX - Mezzadria
Conclusione

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Conclusione
Osservata in maniera esauriente la vicenda storica della Mezzadria nel senese, l'ambiente nel quale vivevano i contadini e le sue capacità produttive, ci sorge spontanea la domanda finale: in realtà come vivevano i contadini? Come si differenziavano dalle altre categorie di lavoratori? Una premessa indispensabile ci porta a tener presente che il fenomeno dell'abbandono della famiglia mezzadrile da parte di alcuni componenti si è sempre verificato, anche se in modo impercettibile per le statistiche, come si sono registrati cessazioni di piccole famiglie ormai alla fine. Abbandoni causati quasi sempre da difficili condizioni economiche che non garantivano il sostentamento a tutti i membri della famiglia. I fuoriusciti, cioè i “contadini smessi”, andavano a ingrossare le file dei braccianti o degli artigiani, e persino "a servizio" nelle famiglie cittadine.

..perchè Noi altri contadini hora qua, ed ora Là (da una testimonianza di matrimonio).

Certamente il contadino ha sempre accettato il suo lavoro, rinnegandolo solo quando costretto, e a parere di molti era ritenuto di grande soddisfazione. Di conseguenza si può affermare che il fenomeno dell'abbandono definitivo dei campi avvenne unicamente per migliorare le proprie condizioni di vita e per avere quelle comodità riservate ad altre categorie che stavano palesandosi in maniera evidente negli anni Sessanta del Novecento e che toccavano solo parzialmente i contadini. Molti certamente sarebbero rimasti, soprattutto gli anziani, accontentandosi dei progressi fatti, ma, come abbiamo visto, questo non avvenne e l'altra conseguente domanda "perché se ne andarono" trova pronta risposta nel confermare quanto detto in precedenza, e nell'aggiungere come motivo non trascurabile il fastidio dei giovani all'interno della famiglia patriarcale che generò una ribellione contro l'assolutismo del capoccio, il quale teneva la cassa chiusa costringendoli all'inferiorità nei confronti dei coetanei figli di artigiani e operai. Un altro motivo, forse trascurato nelle analisi delle cause, fu la posizione di alcuni padroni, i quali, presi dall’euforia di gestire in proprio le loro terre, licenziarono i contadini e si misero in mano ai salariati. Un altro motivo fu la forte richiesta di mano d'opera nelle industrie valdelsane, ai quali molti non seppero resistere. Tornando al nostro tema iniziale, dobbiamo dire che nel secondo dopoguerra il rapporto di qualità della vita rispetto a tutte le altre categorie operaie stava modificandosi velocemente a sfavore dei contadini. Le cause si ritrovano in tutte quelle sostanziali migliorie di benessere derivate da uno stipendio sicuro e in crescita costante. Il denaro in tasca dava la possibilità di accedere alla dilagante motorizzazione; vivere in abitazioni confortevoli, munite di servizi e dei primi elettrodomestici; possibilità nell'abbigliamento, nel divertimento ecc. Anche i servizi pubblici andavano progressivamente migliorando nei paesi, ma strade asfaltate, luce, acqua e trasporti spesso non arrivavano ai poderi. Si accentuavano così grosse differenze qualitative nel vivere che invece non apparivano nei tempi precedenti vivendo allora salariati e artigiani nello stesso semplice mondo di campagna, senza particolari diversità, e nelle città lottavano la loro magra esistenza tutte le categorie di lavoratori, dimoranti nelle anguste e fredde pigioni cittadine dove, ad esempio, la morte infantile colpiva con altrettanta vigoria le loro famiglie. Sul piano dell'alimentazione le categorie di lavoratori sono sempre state accomunate da una penuria sostanziale nell'apporto calorico, considerando specialmente il dispendio energetico, ma quello che ha sofferto di più non è stato certamente il mezzadro.

Esempio di abbigliamento contadino in una giornata di lavoro da questi parenti dei Finetti di Macialla.

Egli aveva un rapporto di dipendenza dal padrone, così come il salariato e come l'artigiano che dipendeva da clienti e committenti. Inoltre, il fattore psicologico della pretesa inferiorità culturale del contadino rispetto al cittadino, ha sempre lasciato indifferenti i primi, e senz'altro ciò non ha mai pesato sugli abitanti delle campagne. In effetti i contadini hanno subito per secoli una reale inferiorità culturale, da essi stessi riconosciuta, manifestata nella loro parlata sgrammaticata e rozza, da un abbigliamento rustico, di ruvida, grezza filatura, e senz’altro da maniere villane e goffe per le quali il contadino è andato famoso in cento canti e stornelli. Una situazione, però, in evoluzione che vedeva il contadino, dalla fine Ottocento, guadagnare in civiltà e costume: mostrarsi nei giorni festivi con un pulito e decente vestito da festa; apprendere l’uso delle lettere; ottenere un rapporto paritario con tutti. Nel 1910 il parroco di Vagliagli don Pacini osservava in merito: “... i primi (gli operai) girano il mondo ... sono più evoluti in tutto; i coloni perchè più stazionari sono un po’ più addietro, ma fanno anch’essi progressi”. Purtroppo, ancora nel Novecento persisteva la piaga dell’analfabetismo, come nella fattoria di Vignaglia dove, nel 1934, su 18 capocci di altrettanti poderi ben 8 erano “illetterati”.
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Giulio Carli, del podere Paradiso, una domenica mattina in un momento di relax.

Un altro motivo da tener presente, e che da sempre ha originato forti differenze nella stessa categoria dei mezzadri, è stata la diversa realtà poderale e il diverso porsi in una società che bene o male ha sempre offerto una qualche possibilità di guadagno anche ai contadini. Un buon podere, infatti, offriva dei buoni raccolti, con possibilità di vendite, mentre il piccolo e magro, e ve n’erano, dava scarsi risultati al limite dalla sopravvivenza. La famiglia volitiva, determinata, sapeva come sfruttare le opportunità dei lavori extra, dati ai suoi componenti da impieghi stagionali: boscaiolo; lavori col carro; a opra presso una fornace; al servizio del padrone o presso altri; lavori di intreccio panieri e cesti; lavori di telaio ecc. Tante occasioni per raggranellare soldi e denari che debitamente risparmiati tornavano utili in molte evenienze. Al contrario, la famiglia pigra, che piangeva continuamente sulle sue disgrazie, restava perennemente senza un quattrino. Da quanto esposto avevano origine le marcate disuguaglianze fra le famiglie coloniche. Differenze ben evidenziate in ogni tempo dai documenti e dai conti.
Concludendo lascio la parola ai ricordi personali, sparsi frammenti del tempo lontano e impressioni diverse, ma che certamente ci aiutano meglio di qualsiasi analisi, per comprendere come “stavano a quei tempi".
Fabio Provvedi: Prima i contadini non avevano la pensione. I versamenti iniziano dal 1957".
Zia Maria: "Il grano si vendeva se avanzava, secondo l'annate".
- "C'era una famiglia che aspettava che figliasse la troia per vendere i maialini per mangiare".

Dai Carli di Petroio il capoccio era Gigi “che regalò la macchina da cucire alle nipoti spose. Regalò anche un motorino allo zio Giulio".
- "Quando tornarono i Nencioni a Quercegrossa nel 1940 Guido Buti andò col carro ad aiutarli per trasportare la roba".
- "Quando dividevano i contadini contavano anche le piante dei carciofi".

Rossi Gina: "Anche i Francioni non pativano, ma non avevano soldi. Mangiavano la roba del podere. La carne di bove, il lesso, una volta la settimana".
Ilio Nencioni: “I Nencioni a Quetole a fine Ottocento non avevano grano. Andarono alla fattoria e gli diedero uno staio di fave e uno d'orzo per fare il pane".
Anna Masti: “A fare i conti col padrone fra i pali delle viti a metà, fra i concimi a metà, ci rimaneva poco".
Maria Pistolesi: "Quando lasciano il podere della Valdarbia nel 1943 i Pistolesi hanno un buono gruzzolo di ca. 40.000 lire".
- "I soldi non venivano dati ai giovani. Qualcuno teneva una conigliola per comprarsi una camicia, altri vendevano una pelle di conigliolo per il bar".
- "Sotterfugi e astuzie per piccoli furti da entrambe le parti"
- "I contadini che compravano i poderi erano senza soldi e facevano debiti".
- “Quando divisero era al 58% la quota per il contadino”.

Mario Nocciarelli: “Niccodemo Nocciarelli era un orfano dell'ospedale e fu preso da una famiglia di contadini a Pornano di S. Fedele. Gli lasciarono il podere ed ebbe l'occasione di acquistarlo, ma vi rinunciò".
- "Il Bindi versò i contributi agricoli a Carla".

Giulio Carli: "S'andò via da Petroio perchè seccò tutti gli ulivi e c'erano rimasti dieci barili di vino. Ma il Pallini era contrario". Rolando Pistolesi: "Nel 1967 il rapporto col padrone è del 60% al contadino".
"Deve essere di quel periodo (1936) le disdette coloniche vengono anticipate di un mese dal 31 agosto al 31 luglio".

Ilda Nencioni: "A Cerna s’aveva tanta miseria e poi il male. La mia nipote Marisa da piccina gli prese una "paralisi infantile" e costava in medicine: "Come fo' a farvi le scarpe, c'è da pagare lo speziale", diceva il mi' babbo".
"Ma che dirà il padrone"
, era una frase ricorrente in bocca al contadino.
Anna Masti: "I Masti di Petroio erano in buone condizioni economiche; si accontentavano: Agnelli di due uno s'ammazzava; il formaggio si mangiava tutto; il vino si beveva e ammazzavano un maiale. Si teneva una conigliola. Giovanbatta ha zappato fino all'ultimo, andava a zappare con un pezzo di pane.
- “La zona di Monteriggioni era zona depressa e c'erano delle facilitazioni sul dazio e sulle tasse”.

Cucina in casa Pistolesi alla Casanuova alla fine degli anni Sessanta. La madia è già stata sostituita con il moderno mobile che si intravede dietro Pasquina, la nonna seduta a capotavola.

All'interno di questo capitolo sulla Mezzadria, si nota una carenza descrittiva degli utensili, del guardaroba e attrezzi che possedeva il colono di sua proprietà. Un insieme di attrezzi, utensili e capi d’abbigliamento rimasti immutati per secoli. Li possiamo trovare presenti in qualsiasi epoca e contribuiscono a dare o toglier qualità alla vita del colono. Di questi oggetti d’uso ne fa testimonianza un raro inventario delle cose di una famiglia contadina del podere del Mulinuzzo, della fattoria del Castellare, fatto nel 1810. Il motivo della redazione dell’inventario è la morte di entrambi i coniugi Losi: Donato di 37 anni e la moglie Caterina Marrocchi di 36 anni. Lasciano due figli.
“Inventario della Robba trovata nella casa detta Il Mulinuzzo del Sig. Clemente Vannini abitata da Donato Losi e per ora da' suoi figli pupilli Maddalena d'anni 18 e di Lorenzo d'anni 5 sotto il dì 10 settembre 1810”.
L'inventario ben ci illustra gli oggetti del vivere quotidiano di un nucleo familiare comprendente due adulti e due figli dei quali solo la femmina poteva aiutare nei campi o come guardiana. Gli attrezzi da lavoro, infatti, sono per due persone e tutto il resto si trova in quantità proporzionata alla famiglia, ma nel complesso le cose appaiono insufficienti e usurate. Anche se i Losi hanno il loro piccolo tesoro, frutto forse del loro matrimonio o ricordi di famiglia, non manca nemmeno il caratteristico vezzo per un valore complessivo di 60 lire, pari al costo di un paio di vitelli, la loro condizione si presenta di grande semplicità e modestia. C'è l'essenziale, tipico delle famiglie contadine, compreso un solo paio di scarpe rovinate da uomo e un paio da donna inservibili. Qualche capo d'abbigliamento in più per la moglie che però è descritto lacero o uso assai. Sembra proprio che la piccola famiglia abbia conosciuto in passato tempi migliori e si sia poi immiserita.
Ma basta scorrere il lungo elenco per farsi un'idea più precisa. Da premettere che per facilitare una migliore lettura ho raggruppato le voci, scritte in modo sparso nell’originale:
Cucina
Una madia a credenza di legname bianco assai cattiva con staccio cattivo
Tavolo da pane in stato mediocre e spianatoia, e mescola in stato mediocre
Una stagnolina per l'olio
Una cassetta per il sale
2 Brocche di rame in buono stato del peso di 8 libbre
1 terriccio di rame in buono stato del peso di 2 l.
1 Piccola catinella di rame del peso di 1 e 6 libbre
Un paiolo grande di rame con orecchie e manico di ferro del peso di 10 libbre (3,4 kg)
Una padella rotta di poca valuta
Una teglia di rame piccola vasetta del peso 1 e 6
Un calderotto di rame in poco buono stato del peso di 3 e 6
Una catena di ferro piccola
Un trepiede
Una paletta da fuoco
Sei tondini rozzi bianchi (piattini)
3 piatti di terra di diversa grandezza
4 pignatti di terra di diversa grandezza
4 tegami di diversa grandezza
Mescolini 8 con ramaiolo di legno cattivo
3 canovacci di panno grosso lacero
Un telo da pane di panno di stoppa uso assai
Una tovaglia di panno a ... usa assai
Un ombrello in stato cattivo
3 sedie in cattivo stato
Una banca piccola in cattivo stato
Un tavolino con cassetto di legname bianco in poco buono stato
Attrezzi da lavoro
Due ubbidienti rotti
Due vanghe una buona l'altra cattiva
Uno zappone in stato mediocre
Due zappe
Un accetta
Un paro di stadere antiche con romano di ferro della portata di libbre 15
Camera e guardaroba
Sette piccoli lenzuoli di stoppa di canapa che parte usi e parte laceri
Un letto con saccone cattivo e coltrice in pessimo stato, capezzale di legname cattivo inservibile
Altro letto grande con saccone mediocre, coltrice poco buone e legname cattivo
Una cassa di legname in buono stato con sua serratura
Un ferraiolo (cappotto) di peluzzo turchino in poco buono stato
Altra giubba c. s. color caffè
Un corpetto c. s. color caffè
Un paio calze di stoppa di boccio di color caffè
Un paio di scarpe inservibili
Due Camicie di stoppa cattive
1 cappello di feltro in pessimo stato
2 gonnelle che una di voghetta giallo e l'altra di camellotto verde pisello use assai
2 pezzuole intere che una di panno ed una di seta lacere
2 camicie da donna lacere
Un armadino piccolo per riporvi la roba, di legname bianco assai uso con dentro una scatola ciarpe di poca considerazione.
Uno scaldino d'ottone in buono stato.
Una cassa di legname bianco senza chiave ma con toppa in stato mediocre.
Un paro d'orecchini d'oro della valuta di Lire 4.
Un Vezzo di perle di sette fila piccolo assai della valuta di lire 42.
Due anelli d'oro della valuta di lire 12.
1 crocetta d'argento della valuta di lire 2
Un vezzo di granato
6 cucchiari d'ottone e sei forcine di ferro con tre coltelli ... da serrare
Un paro di scarpe da donna cattive
Un cappello di paglia bianco in cattivo stato
Due camicie da donna in cattivo stato di panno di stoppa
La fanciulla ha quel che ha indosso
Il ragazzo è quasi nudo per non aver altro che un gonnellino tutto strappato e la sola camicia cattiva ed un cappello di paglia e senza scarpe
Il busto che aveva la madre le fu messo sotto terra con anche le calze e così al padre Altro paro di calzoni, calze e camicia
Due rocche di canna per filare
Libbre 8 di lana da filare
Cantina
Due botti cerchiate di legno che una in buono stato e l'altra cattiva inservibile.
Una pala di ferro da stalla
Un bigonso vecchio
Uno ziro da olio piccolo nuovo
Un ...
Un paro d'asticelle (?)
Sette fiaschi di diversa tenuta
Magazzino
Libbre 12 Filatura di canapino
Tre coperte da letto lacere di lana
Tre sacchi di farina che uno uso di st. 4 l'uno e l'altri rattoppati
Una fusaia con dodici fusi
Una conca
Un vaglietto piccolo di pelle rattoppato
Tre falcini
Una pennata cattiva
Il presente inventario venne redatto a causa della morte dei genitori.
Sarà necessario che si prenda sollecita premura per poter in qualche maniera riparare a questi miserabili orfani e specialmente al ragazzo quale per ora per mera liberalità e carità vengano alimentati per la sussistenza del Sig. Clemente Vannini di loro padrone.
Nel 1811 al Castellare presso la famiglia Cornamusini vi sta a custodia Lorenzo del fu Donato Losi di anni 6. Un anno dopo questa famiglia parte, ma Lorenzo aveva già lasciato il Castellare, affidato a un istituto o probabilmente a garzone in altra famiglia.




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