Quercegrossa (Ricordi e memorie)

CAPITOLO II - FAMIGLIE DEL '900


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Indice Famiglie del '900


ROSSI EGISTO (1910-1913) - (1931 - Residenti); mezzadri/salariati; (Gallozzole) - (Mulino/Quercegrossa); da Pomona di S. Leonino.
Uno dei tanti trasferimenti che contraddistinguono il cammino di questa mobilissima famiglia di contadini li porta ad approdare nel 1912 alle Gallozzole del nostro popolo provenienti dal Comune di Sovicille, forse da Ginestreto, dopo aver toccato pochi anni prima le vicine parrocchie di Lornano e S. Leonino. Da secoli residenti nel territorio di Castelnuovo e della Val d'Arbia i Rossi si spostarono nelle nostre zone nel 1875 andando ad abitare a Lornano dove il 25 aprile del 1875 nacque Egisto, meglio conosciuto come "Palle", vissuto a Quercegrossa dal 1930 con la sua numerosa prole. Per comprendere appieno quanto affermato sulla mobilità della famiglia dico soltanto che in tre secoli ben ventisette furono le abitazioni documentate dei Rossi del ramo diretto di Egisto, prima che questi si stabilisse definitivamente in Quercegrossa. Una cifra che ha dell'incredibile se confrontata con altre famiglie, mentre all’opposto troviamo i Carli che nello stesso periodo hanno dimorato in sei abitazioni soltanto. Non è stato facile, quindi, ma interessante, ripercorrere la loro storia che si svolge in diciotto diverse parrocchie.




Giovanni Battista
La ricerca sui Rossi ci porta a Pieve a Pacina dove nel 1592 vive Giovanni Battista figlio di Giulio del fu Giovanni Battista. L’attribuzione delle date ci induce a situare la nascita dell’avo Giovanni Battista verso il 1540, del figlio Giulio verso il 1565 e dell’ultimo Giovanni Battista verso il 1590/95. Questa triade dovrebbero essere gli antenati dei Rossi anche se mancano le prove del collegamento del secondo Giovanni Battista con Lorenzo di Giovanni Battista l’antenato diretto dei Rossi proveniente dal territorio di Pacina. Comunque a Larniano della Pieve a Bozzone nel 1641 sposa una Caterina figlia di Giovanni Battista Rossi e di quest’ultimo conosciamo altri figli tutti maschi come Francesco, Giuseppe, Domenico, Paolo e Lorenzo, il detto capostipite, nato nel 1630 ca. e coniugato a Margherita Chiantini.
Casino della Malena - Caspreno - Boscarelli
Il battesimo del suo primogenito Pietro, nato il 12 novembre 1658, ci indica che la famiglia di Lorenzo Rossi vive ora al Casino della Malena, ma proprio alla fine di quell'anno si trasferiscono a Caspreno dove numerose saranno le nascite a Lorenzo e ai suoi fratelli tanto da arrivare forse a venti componenti in famiglia. Oltre al detto Pietro nascono a Lorenzo e Margherita, Andrea, Caterina, Giovanni Battista, chiamato come il nonno, Francesco e Giulio. Quest'ultimo, nato il 7 giugno 1676, sposa Maria Bonelli verso il 1698 ed è in quegli anni che la famiglia si divide con Giulio che torna ai Boscarelli, podere vicino Montaperti, sempre in diocesi di Arezzo, mentre alcuni componenti cessano di fare i contadini perché li ritroviamo pigionali in più posti: all'Acqua Borra della Sapienza di Siena, a Collanza, a Campo Sodo e alla Canonica a Cerreto.
Collanza - Giulio
Se figura stimata fu senz'altro Lorenzo, in quanto almeno cinque nipoti portano il suo nome, altrettanto importante fu Giulio perché oltre a metter al mondo una decina di figlioli conosciuti, sarà lui a portare la famiglia nella diocesi di Siena trasferendosi nel 1718 al podere Monselvoli, vicino alle Taverne d'Arbia nella cura di Collanza, raggiungendo il fratello Andrea e altri parenti che già dimoravano da tempo in quel popolo. Infatti, nel 1705 vive a Collanza, al podere della Chiesa, la famiglia di Giuseppe Rossi di Santi, composta dal capoccio di 35 anni, nato nel 1670, dalla moglie Caterina di 29 anni e dai figli Margherita di 4 anni, Andrea di 2 e Domenico di 4 mesi. Vista l'identità dei nomi con i Rossi dei Boscarelli si può, senza tema di sbagliare, considerare una stretta parentela tra le due famiglie. Tra i figli di Giulio sarà Giuseppe, il maggiore, nato il 9 settembre 1702 a succedergli come capoccio quando egli morirà a 44 anni al podere Monselvoli il 9 luglio 1721, tre anni dopo esservisi trasferito. Da ricordare le tre Margherite: le prime due morte in fasce chiamate entrambe Margherita nate nel 1699 e nel 1700 e la terza femmina ribattezzata ancora Margherita nel 1708. Tra i maschi figli di Giulio oltre a Giuseppe, soltanto di Andrea e delle sue due mogli, Elisabetta Gori e Orsola Boscagli, si conoscono discendenti. Giuseppe Rossi si sposò tardi, oltre i 30 anni, perché il suo primo figlio Antonio nacque il 17 novembre 1737 quando ne aveva 35, ma nello spazio di un ventennio mise al mondo otto figli con l'ultimo nato il 1 luglio 1754 battezzato Giovanni.
Casino di Presciano
Queste nascite avvennero in luoghi diversi perché Giuseppe intorno al 1730 si era trasferito al podere Casino del sig. Finetti nella cura di Presciano dove nel 1743 morì la nonna Maria Bonelli.
Vigniale di Lucignano - Cuna
Pochi anni dopo, a metà Settecento, sono al podere Vignale o Vigniale di Lucignano Val d’Arbia. I cinque eredi maschi di Giuseppe, cioè Antonio, Giulio, Bernardino, Giovanni e Angelo, rimasero tutti in famiglia con una numerosa discendenza. Giovanni, battezzato Giovanni Battista a Lucignano il 1 luglio del 1754 sposato con Niccola Fracassi è il diretto antenato e stranamente non figura in famiglia nel 1767 quando il padre da Vigniale si è trasferito a Cuna dove abita con la moglie Agnesa e i figli Giulio, Angelo e Maria. Mancano anche gli altri fratelli che evidentemente sono garzoni da qualche parte o siamo in presenza di un errore del parroco compilatore.
Guarda Strada di Monsindoli - Villa Canina
Da Cuna i Rossi si spostano dopo il 1773 a Guarda Strada di Monsindoli dove si hanno alcune nascite dei figli di Bernardino e Giulio, ma dal 1788 sono nuovamente emigrati e risultano presenti a Villa Canina, un podere dell'antica cura di S. Pietro all'Arbiola, vicino a Ponte a Tressa. Qui nascono gli otto figli di Giovanni e alcuni di loro li ritroveremo col padre al podere delle Volpaje di Lucignano, proprietà del sig. Bichi, loro successiva dimora dal 1815.
Volpaje di Lucignano
Nel 1820 abbiamo dallo stato delle anime di Lucignano il primo quadro completo della famiglia: il capoccio Giovanni di 69 anni conduce una discreta parentela di quattordici persone, più Violante indicata come serva. Oltre a lui vi sono cinque uomini tra i 20 e i 39 anni e quattro donne tra i 19 e i 32 anni che offrono garanzie per lavorare un podere assai grande: un podere di crete che declina verso la Sorra, dove si coltivava grano e si vangava e coltrava o meglio si raschiava la terra col coltro fisso e la resa del grano era a quel tempo del 3 o 4 quando rendeva bene e che buona parte andava per il seme. Soltanto tre piccoli da 3 mesi a 6 anni per ora, ma che costituiscono l'avanguardia di numerosa prole. Infatti quattro giovani nuclei familiari convivono sotto lo stesso tetto: Girolamo (1791) e Giuditta Fracassi, Carlo e Stella, Pietro e Maria Fracassi e Luigi (1784) con Agnesa presa nel 1818. Queste ultimi due, Pietro e Luigi sono i figli di un defunto fratello di Giovanni, Giulio, e alla morte di Giovanni diviene capofamiglia il detto Pietro, il maggiore tra tutti i cugini. Successivamente nel 1837, alla morte di Pietro il comando tornerà a Girolamo figlio di Giovanni. Nel lento scorrere degli anni e come in tutte le famiglie del tempo tante saranno le nascite e molte le morti, e quando la famiglia sarà cresciuta a dismisura inizieranno le migrazioni dei rami più piccoli verso altri lidi, come farà Carlo nel 1837 che darà il via al cammino che porterà i suoi discendenti a Quercegrossa. Nel 1834 ben venticinque sono i Rossi che vivono alle Volpaje, molti di più dei quindici del 1820, e tutto ciò spiega la partenza di Carlo e della sua famiglia nel 1837. Alle Volpaje resteranno in diciotto e da questo momento il nostro interesse si riversa su Carlo, nostro avo diretto, ma prima di lasciare le Volpaje è utile ricordare alcuni dati: Giovanni muore 80enne nel 1830 mentre i suindicati figli e nipoti in venti anni tra il 1814 e il 1834 metteranno al mondo, alle Volpaje, ben trentatre figlioli. Di questi, venti non raggiungeranno l'età adulta. Si va da decessi di 3 giorni alla morte di Giulio di Pietro all’età di 14 anni, stroncato una settimana prima del cugino Deodato di 11 anni nel 1843. Questi dati sono indicativi delle spaventose condizioni di vita in quegli anni e in quel podere: condizioni assolutamente insufficienti sia sul piano alimentare che igienico. Un’altro fatto di un certo interesse, da rammentare per la sua eccezionalità, è il doppio parto gemellare avuto da Giuditta Fracassi moglie di Girolamo nell’arco di quattro anni. Nel 1828 il primo, quando nascono Savina e Clementina, e nel 1832 il secondo con Giovanni e Deodato. Una rarità difficilmente riscontrabile.
Carlo
Tornando a quel documentato 1820, Carlo, battezzato Carlo Alberto il 7 gennaio 1796, è sposato con Stella Melani dal 7 febbraio 1819 e Savino loro figlio è dato di 5 mesi essendo nato il 9 dicembre 1819. Lui sarà l’unico maschio di Carlo perché le altre tre nascite porteranno altrettante femmine con Luigia nata e morta nel 1822 di 4 mesi, M. Angiola morta a 10 anni nel 1836 e M. Rosa del 1834. Carlo con la moglie Stella, per i motivi suddetti, lascia ai primi del 1837 l’antico ceppo dei Rossi e cerca fortuna altrove. Chissà se la sua dipartita è causata dalla morte del capofamiglia e cugino Pietro avvenuta il 31 marzo del 1837 e l’assunzione del "potere" da parte del fratello Girolamo? La cosa certa è che Savino chiamerà Pietro il primo figlio, proprio come lo zio, quasi a sottolineare un forte legame che certamente li univa.
Quinciano (1837-1847 ca.)
Carlo ha 41 anni. Col figlio Savino di 17 anni e la figlia Rosa di 2 torna al podere Casello della parrocchia di S. Donato a Quinciano. E’ qui che il 20 marzo 1842 Savino, divenuto ormai uomo, sposa Luigia Benocci di Pasquale della cura dei SS. Innocenti a Piana. Nascono da questo matrimonio, al podere Casello, Pietro il 26 settembre 1843 e Girolamo il 13 dicembre 1845 e questi sono gli unici dati della famiglia in quel di Quinciano. I successivi figli di Savino e di Luigia, Sabatino del 1855, Angiolo del 1859, Adele 1861 e Quintilio del 1866 vedranno la luce nei poderi meta delle successive migrazione della famiglia.
Campitellino della cura di Piana a Buonconvento (1847 ca. - 1851)
Senza commettere grossi errori di datazione si può datare l’arrivo al Campitellino fra il 1847 e il 1848 dando alla famiglia la possibilità di ambientarsi alcuni anni prima di rimettersi in marcia per Terra Bianca di Sovignano.
Terra Bianca di Sovignano (1851-1865)
I Rossi si trasferiscono da Campitellino a Terra Bianca di Sovignano del Nob. Sig. Nerli dove giungono il 1 marzo 1851. La piccola famiglia, in questi quindici anni di permanenza cresce, se non in numero, in età. Arrivano in sette e ripartono in nove nel 1865, come annota a margine il parroco di Sovignano. Savino pagherà il suo contributo al destino lasciandovi due figlioli: Luigi (1851) e Angiola (1861) mentre Pietro, nel 1864 si arruolerà nella Milizia e non sarà presente al trasferimento a Mugnano.
Mugnano, podere il Pozzo (1865 - 1874 ca.)
La permanenza della piccola famigliola nelle terre vicino S. Rocco, ma sempre comunità di Monteroni, sarà di circa dieci anni, ma pochi sono i dati disponibili per avere un quadro soddisfacente della loro esistenza. I registri riportano la nascita di Quintilio nel 1866, la morte di Narciso di Pietro avvenuta il 1 marzo 1869 di 29 giorni e sepolto a Mugnano, l’altro lutto per Adele di Savino nel 1871 di 10 anni e il battesimo di Antonio di Pietro il 17 gennaio del 1870 a Fogliano. Vediamo che Pietro si è sposato intorno al 1868 con Maria Fineschi (1849) di Luigi e Amabile Belleschi di S. Rocco a Pilli e, oltre Antonio, ha anche una figlia, Cesira del 1873.
Collanza (1874-1875)
Ancora un trasferimento, l’ultimo prima di Lornano. I Rossi sono al podere Casa Nuova di Medane, parrocchia di Collanza, nel Comune di Asciano. Il quadro della famiglia, ancora in crescita con dodici elementi, si presenta con Savino capoccio di 52 anni e Luisa di 47. Solo un figlio sposato: Pietro di 29 anni. Accolgono in casa una vedova Rossi, Faustina. Degli altri figli Girolamo, Maria, Angelo e Quintilio sono presenti mentre Sabbatino di 21 anni è sotto le armi. Solo due anni a Medane poi fanno di nuovo fagotto per un percorso che sembra non avere requie.
Lornano (1875-1876)
Senza dubbio la migrazione a Lornano rappresenta una svolta epocale per la famiglia di Savino Rossi. Da secoli vissuta ai margini e nella Val d’Arbia ed ora, per la prima volta, cambia radicalmente e lascia per sempre la terra natia. Lascia i campi di creta per un suolo assai diverso. In questa breve permanenza a Lornano paese, dopo due giorni dal loro arrivo, nasce il 25 aprile del 1875, Egisto, figlio del 32enne Pietro. Inoltre, il 3 febbraio del 1876 Maria di Savino sposa a Lornano Fedele Franci di S. Maria a Dofana.
Tolena (S. Leonino) (1877-1887)
Appena il tempo di svezzare il nuovo nato e la famiglia ha l’occasione di trasferirsi in un buon podere il 25 marzo del 1877 a Tolena di S. Leonino, di proprietà del Sig. Courmes. Frattanto, a trenta anni esatti dalla partenza da Lucignano la famiglia ha avuto tutto il tempo di germogliare e adesso sono tredici le bocche da sfamare, dalle quattro che erano a Quinciano, e ancora una volta la necessità costringe alla ricerca di nuovi pascoli. A Tolena vi troviamo Savino 54enne con la moglie Luisa 50enne, i figli nubili Sabatino (23 anni), Angiolo (17) e Quintilio (10), e i due figli maritati: Pietro (33) e la consorte Maria Fineschi con Antonio di 7 anni, Cesira di 5 ed Egisto di 20 mesi; Girolamo (30) con la moglie Rosa Chiarugi di 26 anni e il figlio Fortunato di 8 mesi. Qui, nel 1882/83 muore la nonna Luigia Benocci ormai chiamata comunemente Luisa e poco dopo anche Savino lascerà questo mondo all’età di 65 anni circa. Frattanto, Girolamo e Rosa, con Annunziata appena nata, si separano dalla famiglia e li troviamo poco distanti, sempre a Tolena, ma a pigione. Il 30enne Sabatino piglia moglie al Poderino; si sposa con la 20enne Giuseppa Panciatici l’11 novembre 1882 e rimangono in casa Rossi dove metteranno al mondo Giulia ed Emilio; poi partono nel 1885 e se ne perdono le tracce. In quanto agli altri due figli di Savino, Angiolo e Quintilio ormai adulti, nel 1887 quando i Rossi lasciano Tolena per trasferirsi a Pievasciata, prendono altre strade e anche di loro non si hanno più notizie. Esaurita la fase Tolena durata poco più di dieci anni si cambia completamente zona per motivi forse relativi alle difficoltà a mantenere il podere.
Poggiarellino di Pievasciata (1887-1893)
I primi del 1887 la famiglia di Pietro, sfrondata dei rami secondari di Sabatino, Angiolo e Quintilio, emigra in quel di Pievasciata al podere Poggiarellino. Due adulti e tanti giovani e ragazzi per un piccolo podere come recita il nome. Il maggiore dei figli è Antonio di 17 anni, poi Cesira di 14, Egisto di 12, Ernesta (1877) di 10, Quirina di 6 e la piccola Giulia di 2. Nel 1889 vi nascerà il loro ultimo figlio, Giuseppe. Una giovane famiglia che sta crescendo e maturando le sue potenzialità. Cresce anche Cesira che 20enne si unirà in matrimonio a Pievasciata con Savino Tozzi di Pontignano il 18 febbraio 1892. Savino prese moglie a 28 anni.
S. Rocco a Pilli (1893-1910)
Trascorsi cinque anni a Pievasciata i Rossi si rimettono in marcia e ritornano verso S. Rocco nell’anno 1893, forse a Ginestreto nella parrocchia di S. Salvatore a Pilli e vi si sposano il 3 luglio 1899 Antonio con Amabile Mannucci di quel popolo, e il 4 novembre di quell’anno Ernesta con Agostino Bicci di S. Rocco. Egisto, ormai 30enne, si decide anche lui e l’11 maggio 1905 prende in moglie la 25enne Maria Civai residente a Uopini, dove nella chiesa parrocchiale si celebra il matrimonio. Una unione brevissima la loro perché alla nascita del primo figlio chiamato Mario, alle 11 e mezza del 23 gennaio 1907 Maria morì "istantaneamente per emergenza avuta dopo il parto". E così il neonato Mario fu affidato alle cure della cognata Amabile ed Egisto perse forse ogni speranza di avere famiglia, ma non immaginava cosa l’aspettava.
Gallozzole
Dopo diciassette anni passati a Ginestreto, Pietro Rossi con la famiglia compì il suo ennesimo trasferimento e quella fu la volta buona per entrare nel popolo di Quercegrossa. Infatti, nel marzo 1910 undici persone partirono da Ginestreto per le Gallozzole. Egisto ormai 35enne incomincia a guardarsi intorno alla ricerca di una nuova compagna. C’è a Tolena la famiglia di Giuseppe Rodani con due ragazze che stanno crescendo a vista d’occhio, Violante ed Ersilia. Egisto sceglie Ersilia ma è giovane, troppo giovane. Ha da poco compiuto i 18 anni che sono pochi a confronto dei suoi 35. Ma il babbo Giuseppe acconsente, e il matrimonio, ottenute le dispense e fatte le debite pubblicazioni, si celebrerà il 7 gennaio 1911 nella chiesa di S Leonino in Conio. Gli sposi novelli si trasferiscono nella pigione delle Gallozzole lasciando l’abitazione dei Rossi. L’anno successivo, sempre alle Gallozzole, nasce Guido il 16 febbraio del 1912 ed è la prima delle otto maternità per Ersilia.
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Pomona
Il lavoro conduce Egisto verso Pomona alle dipendenze del dr. Raspi e lì vi torna il 16 maggio 1912 con la moglie, Mario e Guido, quattro persone come annotano al Comune. Lascia per sempre genitori e fratelli, i quali nel marzo del 1913, un anno dopo, si spostano al Poggiolo al podere Pozzo di Sopra.

Egisto Rossi

Poggiolo
Al Poggiolo tornarono i nonni Pietro e Maria con Giulia, Giuseppe e Antonio con la moglie Amabile e i loro tre figli Emma di 13 anni, Annina di 11 e Gino di 9. Il nonno Pietro morì al Poggiolo quattro anni dopo, il 17 agosto del 1917, seguito dalla moglie Maria morta improvvisamente il 10 settembre 1917. I figli, dopo la morte dei genitori, uno alla volta avrebbero lasciato il podere. Incominciò Giulia che prese servizio a Siena: “La zia Giulia fu presa dal Conte a S. Apollinare verso Ruffolo col quale rimase tutta la vita, poi, da vecchia, fu messa alle vedove e infine in commenda dove morì”. Giuseppe parte nel 1920 e ultimo fu Antonio a lasciare il Poggiolo nel 1928 per tornare a Macialla.
S. Fedele
Tornando a Egisto, factotum di fattoria a Pomona dal maggio 1912, vediamo che vi rimase tre anni, fino al 2 settembre 1915 quando licenziato dal Raspi si trasferì a S. Fedele, assunto come camporaiolo dal pievano per il quale svolse funzioni di “casiere”, sacrestano e contadino, e il 26 luglio 1916 vi nacque la figlia Gina.
Palagio - Pomona
Ma il 3 marzo del 1917 eccolo ripartire per il Palagio dove si trattenne soltanto un anno, fino il 4 luglio 1918, per rientrare a Pomona nuovamente al servizio del Raspi. Nella seconda permanenza in quella fattoria nascono altri due fratellini: Gino nel 1919 e Maria nel 1922, là in quella ultima cameretta che si affaccia sulla strada statale verso Castellina. Egisto è in età di 43 anni e si trova a mantenere già cinque figlioli, e non è finita. Nel 1924 si cambia ancora residenza e ci si trasferisce al Mulino dove nasce Nello, seguito da Piero nel 1927 e Piera nel 1930.
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Mulino e Quercegrossa
Otto figlioli, da Mario ormai un uomo a Piera di pochi mesi e tutti parteciperanno al trasloco nel Palazzaccio di Quercegrossa avvenuto nel 1931, come testimoniano i registri comunali, o nel 1930, secondo la memoria di famiglia. Il decennio successivo trascorre nella serenità e nel lavoro, ma si chiude con una tragedia familiare. Infatti i giovani crescono, iniziano a lavorare e dare una mano e Mario nel febbraio 1940 si sposa con Maria Migliorini e rimane per qualche mese in famiglia, ma alla fine dell’anno si trasferisce in una pigione del palazzo di Giotto pochi giorni dopo la morte improvvisa di Ersilia avvenuta il 22 ottobre 1940 all’età di 48 anni. Egisto sopravvisse sette anni alla moglie e morì il 16 luglio 1947 quando la sua famiglia si stava ormai riducendo, e in un futuro prossimo ognuno avrebbe preso la sua strada per costituire un proprio nucleo familiare autonomo, come potremo leggere con dovizia di particolari nelle righe che seguono. Le tre sorelle Rossi si formarono ciascuna la propria famiglia iniziando da Maria che nel 1946 sposò Elio Mori di Quercegrossa, cui fece seguito Gina nel 1948 con Egisto Francioni di Poggio al Sale, e infine Piera che prese Renato Stracciati di Siena.

Ersilia Rodani, moglie di Egisto, con il piccolo Guido (foto del 1913).


Guido
Guido, il primo figlio di Ersilia nato nel 1912, fu l'unico dei fratelli Rossi a lasciare per sempre Quercegrossa e non costituì quindi un nucleo familiare autonomo in paese. Inserisco la sua storia in questo capitolo come complementare a quella dei fratelli. Una opportunità di lavoro lo portò ad emigrare a Roma dove entrò a servizio presso una facoltosa famiglia. Probabilmente pensava ad una occupazione provvisoria ed a un futuro, sicuro, ritorno a casa, come accadde a molti, ma invece il suo trasferimento fu definitivo. Ciò non gli fece venir meno, anzi, crebbe col tempo l'affetto che nutriva per fratelli e sorelle e il suo legame con la famiglia rimase stretto specialmente dopo la morte dei genitori, e ricorrenti furono i suoi viaggi a Quercegrossa. Anche la sua casa di Roma divenne negli anni Cinquanta meta di sposi novelli in viaggio di nozze, parenti e amici, ai quali lo zio Guido dava tutta la sua piena disponibilità, e con modi affabili e cordiali apriva la porta a chiunque, provenendo da Quercegrossa, avesse avuto bisogno di aiuto. Ricordo anche un periodo di villeggiatura romana presso di lui con i miei genitori, con gite sulla spiaggia di Ostia, allora libera e decongestionata. Ricordo il suo appartamento in Via dei Quattro Cantoni, attiguo all'Ufficio dove prestava servizio, con la sua piccola pergola di uva galletta, e ricordo piacevolmente la Roma di allora, le gite in centro, il tram, i taxi neroverdi e quei colori e profumi indimenticabili. Col passare degli anni e il matrimonio, Guido raggiunse una stabilità economica che gli garantì una vita tranquilla tra lavoro e famiglia, accresciuta con la nascita delle due figlie Carla e Gabriella. Rossi_2


Guido con la moglie Bruna e la figlia Gabriella.

Quando tornava a Quercegrossa, lo zio Guido, con la sua signorile naturalezza, con i suoi modi educati, era salutato da tutti con una riverenza e rispetto e anche a noi nipoti incuteva una certa soggezione. L'infanzia e la giovinezza Guido li aveva vissute al seguito del babbo, a cui dava una mano nei diversi lavori tra i quali si ricordano quello alla fattoria di Montarioso e nei campi, ma, soprattutto, quello alla fornace di Giotto che procurò a Guido gravi problemi di salute sotto la forma di dolori reumatici acuti che appena gli consentivano di salire le scale di casa al Mulino e a Quercegrossa "saliva le scale con le mani e con i piedi, dal dolore". Per questo si recò più volte ai bagni di Petriolo mentre nel 1930, a diciotto anni, lavorava come manovale alla costruzione della Privativa di Quercegrossa. Impossibilitato però a continuare un lavoro manuale, Guido scelse la via del "servizio", tra le poche occasioni di lavoro del tempo, ed entrò a Mucenni in casa Casuccini, e di seguito da una signora di Belcaro "... una certa signora Bandini, e questa lo mandò a Roma, presso la sig.ra Olga del Gaizzo, una signorona del gran mondo; a casa sua si potevano incontrare tutti i personaggi del cinema e della politica tra i quali Amedeo Nazzari”. La signora Olga tiene Guido come un figlio; lo impiega poi al Ministero delle Finanze e abiterà presso gli uffici in Via dei Quattro Cantoni 50. La partenza per Roma avvenne dopo la morte di mamma Ersilia, a fine 1940, e Guido avrebbe voluto poi portarci anche Piera, per farla studiare in un istituto, ma la sorella Gina si oppose. Poi la conoscenza di Teresa Nibaldi, chiamata Bruna, che prestava servizio presso la famiglia Rodano-Cinciari, e il matrimonio tra il 1944 e il 1945 a Recanati, paese natale della zia Bruna. Nessuno dei parenti di Quercegrossa vi intervenne, viste le condizioni del Paese. Appena passato il fronte, Guido, all'oscuro della sorte di fratelli e sorelle e ansioso per loro, prese una vecchia bicicletta e la strada per Quercegrossa che raggiunse dopo quattro giorni e quattro notti, e poté cosi riabbracciare la sua famiglia. Per il suo compito di portiere negli uffici del Ministero gli venne data inizialmente una stanza con un piccolo servizio, e lì portò la moglie prima di trasferirsi nel nuovo alloggio preparato per lui. Passarono decenni di una serena esistenza, poi le figlie si sistemarono e lo zio Guido ci lasciò dopo una sofferta agonia, nel 1975. Era alle soglie della pensione, e raggiunse la sua Bruna morta da due anni.




ROSSI MARIO (1940 - Residenti); salariati; Quercegrossa.
Mario, detto “Tacco”, nato nel 1907, il maggiore dei figli di Egisto, l’unico avuto dalla prima moglie Maria Civai, lascia, come detto, casa Rossi nel 1940 e si trasferisce nell’appartamento all’ultimo piano del palazzo di Giotto formato da due stanze e un ingresso. Sarà una permanenza trentennale che vedrà la nascita di Giorgina, nata all’Ospedale di Siena nel 1942, e la morte della moglie Maria Migliorini nel 1963. Nel 1969 cambia residenza e si trasferisce con la figlia, il genero Luciano Schiatti e due nipoti nella casa d’affitto di Vittorio Papi dove Mario si spenge nel 1986 all’età di 79 anni. Rossi_2

Mario e Maria nel giorno del loro matrimonio

Mario e Maria si erano sposati nel 1940 nella chiesa di Pieve a Pacina abitando lei a Porghino di quel popolo. Da quando si erano conosciuti, pochi anni prima, lo zio Mario partiva ogni sabato e andava “a fare l'amore” a Porghino in casa Migliorini dove alloggiava, per rientrare a casa il lunedì mattina e recarsi al lavoro. Poi decisero di sposarsi, essendo entrambi in età matura con Maria più vecchia di cinque anni. Era nata, infatti, nel 1902 da Giuseppe e Angela Fucini e aveva già 38 anni. Fu una giornata indimenticabile quella del matrimonio e poco mancò che non se ne facesse più niente. Mario con i familiari ossia il babbo Egisto, Gino, Gina e Guido partirono di buon’ora da Quercegrossa con il Fanciullini, noleggiato per l’occasione, e presero la strada per Pianella e Castelnuovo Berardenga. Accadde che un guasto meccanico, “si ruppero le ruote”, ritardò di alcune ore l’arrivo, e giunsero a casa della sposa intorno alle dodici. Maria, donna di poche chiacchiere e arrabbiata dall’attesa aveva decise di non sposarsi più, e accusava Mario: “Sei un uomo che non mantiene la parola, e poi l'hai fatto apposta di fare tardi”. L’opera di convinzione dei suoi fratelli riuscì a smuoverla e finalmente gli sposi entrarono in chiesa. Alla cerimonia segui un rinfresco a Porgo e quindi partenza per Quercegrossa dove gli sposini entrarono in casa Rossi nella camera che dava sulla strada principale. Ma i guai non erano finiti e a causa dell’insofferenza di Maria che non si ambienta in casa Rossi, così Mario decide di trasferirsi. Mario era un uomo di una mitezza estrema. Aveva lavorato alle fornaci di Giotto e poi dal 1930, quando si erano trasferiti a Quercegrossa, alla fattoria di Passeggeri fino agli anni Sessanta. Poi andò a Mucenni, a Maciallina, al Castellare e dove trovava. Lavorò fino agli ultimi giorni, e negli anni Ottanta lo si vedeva rientrare spingendo la sua bicicletta per tutta la salita di Quercia con quella calma antica che solo lui possedeva. Nel periodo prebellico aveva preso in gestione il bar del Dopolavoro.

Mario presso la fattoria di Passeggeri con una sconosciuta signora e, alla nostra destra, Settimia dei Viperai sorella di Ida, che in quel tempo "sembrava" fidanzata con Mario.







Festa in casa Rossi con fratelli, sorelle, cognati e cognate. Anno 1964. In alto da sinistra: Gino, Egisto, Mario, Renato, Guido, Nello e Piero. Sotto, da sinistra: Piera, Bruna, Gina, Maria Pistolesi, Maria Rossi, Vera, Ilda e Maria Migliorini.








ROSSI GINO (1947 - Residenti);
salariati; Quercegrossa/Arginano/Castellare/Maciallina.

Nato a Pomona nel 1919 e battezzato a S. Leonino il 25 maggio, tre giorni dopo la nascita, col nome di Igino, Gino Rossi detto “il Moro”si adattò nella sua vita di operaio a fare un po’ di tutto. Cominciò fin da piccolo come garzone alla Sugarella e appena giovanetto andò a schiacciare i sassi lungo le strade. A diciotto anni lavora in miniera, poi è chiamato alle armi e nel 1940 parte per il fronte africano. Tornerà dopo una sofferta prigionia nel settembre 1946 e si sposa quasi subito il 14 aprile 1947. La sposa è la 20enne Ilda dei Nencioni dell’Arginano e i testimoni sono Egisto Francioni ed Elio Mori. Alle 9,30 cerimonia in chiesa quindi colazione in casa Nencioni e poi a pranzo in casa Rossi con fratelli e sorelle di entrambi i coniugi e i parenti Rodani. La sera partenza per Roma insieme al fratello Guido per un viaggio di nozze di una settimana. Dopo il successivo matrimonio di Gina Rossi nel gennaio 1948, Ilda rimane per alcuni anni l’unica donna in casa Rossi e deve accudire ai tre fratelli Gino, Nello e Piero fino al loro matrimonio. Reduce dalla prigionia Gino rientra in miniera, ma dopo la morte del babbo Egisto e i problemi occupazionali della miniera va a lavorare al Castellare come operaio agricolo, “anche per i vantaggi che c’erano per reperire prodotti agricoli necessari alla famiglia”. Intanto nel 1948 gli nasce il figlio Giorgio e nel 1952 Enza. Le condizioni economiche rimangono ancora modeste e nel 1955 circa si fa assumere dalla ditta che asfalta la strada Siena-Firenze e vi rimane per circa un anno. Poi rientra dal Bindi e alterna al lavoro agricolo e di trattorista a periodi di occupazione in miniera con la nuova Cooperativa minatori e presso varie ditte come la Toscana Strade. In quegli anni, ultimo dei fratelli Rossi, abbandona l’abitazione del Palazzaccio dove la famiglia abitava da oltre trent’anni e nel 1964, chiamato dal Bindi, torna all’Arginano nella casa lasciata dai Nencioni. Qui rimane circa quattro anni poi, dopo il matrimonio di Giorgio con Lara Cappelletti, si trasferisce in Quercegrossa paese, nelle case Calagna di Casagrande. Intorno al 1970 sono ospitati dal fratello Piero nella sua nuova abitazione, per 6/7 mesi, e da lì tornano al Castellare per un paio d’anni come casieri. Ma nel 1972 rifanno i bagagli e vanno a stare a Maciallina dove Gino lavora ancora come operaio agricolo per un decennio, e dove Enza si sposa con Cesare Bartoli. Infine, verso il 1982, Gino e Ilda ritornano in paese, in affitto dal Vannoni. Qui, Gino finirà i suoi giorni il 9 gennaio 1989 in età di 70 anni e Ilda vi trascorre ancor oggi la sua solitaria vecchiaia.




ROSSI NELLO (1957 - Residenti); salariati; Quercegrossa.
Nello Rossi detto “il Gatto” nasce nel 1924 al Mulino di Quercegrossa e nel 1930 torna a Quercegrossa dove ancor oggi vive nell’appartamento in affitto nella Casa Vannoni. Come tutti i fratelli ha cominciato a lavorare da piccolo, prima garzone, poi all’età di 12 anni inizia il suo apprendistato dal fabbro della Ripa, il Manganelli. Entrato in miniera nel 1940/41, è successivamente arruolato nel 1943 e partecipa alle vicende belliche che prosegue con servizio militare negli anni 1945/46. Congedato definitivamente Nello riottiene il suo posto in miniera e lì lavorerà per vent’anni fino alla cessazione dell’attività estrattiva. Passa così all’industria del mobile nel 1967, alla MT, divenuta poi Mobilificio del Chianti, dove guadagnerà la pensione e un assegno di invalidità per una gamba rotta da una pressa.
All’età di 28 anni aveva preso moglie sposando la coetanea Vera Franci, una ragazza che abitava a Lascarello presso la Bottega Nuova. “L'avevo conosciuta a ballare a Siena, ai Tigli, un locale alla Lizza, poi veniva a Quercia perché il fratello Eriberto Franci aveva sposato Ines Losi. Allora si ballava allo Stanzone, sotto la parata, e qui la rividi nel 1950/51. Dopo un anno di fidanzamento ci si sposò; era il 1952”.

Lo sposalizio di Nello e Vera. Si riconoscono i piccoli Lorenza e Giorgio. Accanto agli sposi Maria Pistolesi (a destra), Elio Mori e Maria Rossi alla sinistra dello sposo.


La sposa torna in casa Rossi nel Palazzaccio e continua la sua attivita di sarta. Ma alcuni anni dopo, nel 1957 circa, anche Nello lascia il fratello Gino e torna nelle case del Barucci in piazza a Quercia e ci rimane fino al 1970 per trasferirsi poi nelle ricordate case Vannoni. La serena e laboriosa esistenza di Nello e Vera non subisce variazioni, anche per la mancata nascita di figli, e si giunge al 2001 quando Vera dopo una lunga malattia muore in ospedale a Siena. A distanza di anni Nello, ultra 80enne, parzialmente invalido, vive da solo e nel buonumore che lo ha sempre contraddistinto ci lascia in prosa, alla sua maniera, la sua recente storia:

Nel 1940 mi morì la mamma
e si rimase un po' sotto le stelle
si rimase io, mio padre e tre sorelle.
Un fratello più giovane di me, che io avevo solo sedici anni.
Appena ebbi compiuto diciott’anni
non sapendo cosa fare
a guadagnar dieci lire alla miniera mi tocco andare.
Ventitre anni passati sotto terra
si lavorava tutti amici e contenti
nel 1965 chiusero i battenti.
Andiamo fuori ci salutiamo tutti quanti
andai a chiedere lavoro al mobilificio del Chianti.
Andando in ufficio trovai il padrone
che si chiamava Giuseppe e gli dissi se gli mancava un operaio.
Mi domandò che lavori avevo fatto
io gli dissi ho fatto il fabbro e il minatore.
Lui mi guardò e disse
Codesta per me è una cosa nuova
se vole fare il falegname
bisogna venga una settimana in prova.
A fine settimana venne a trovarmi e mi disse
caro Nello vedo che lavorate con precisione e molta attenzione
se non si litica con me ci andate in pensione.
Ora quel fanciullo ha più di ottanta anni
e si ritrova solo, cieco e sordo
e non sa cosa si fare,
o trovà una donna per farsi accompagnare
o doversi ricoverare.





ROSSI PIERO (1952 - Residenti); salariati; Quercegrossa.
Nato nel 1927 al Mulino di Quercegrossa, Piero Rossi detto “il Gattino” ha, come tutti i fratelli, percorso la strada dell’operaio sia di miniera che all’agricola, ma successivamente si è rivelato il più intraprendente trasformandosi in fornaio commerciante e riuscendo a realizzare il sogno di una propria casa acquistata a Quercegrossa con i suoi sudati risparmi. Le attività sopra citate però non sono che una minima parte delle professioni svolte da Pierino, che si è sempre rivelato versatile e capace in tutte le occupazioni. Una figura vecchio stampo, insomma, che si è adattato a tutto per vivere e a volte anche sopravvivere avendo passato duri momenti di ristrettezze economiche: nel suo “curriculum” si possono trovare lavori tra i più massacranti praticati dei nostri nonni. Da bambino, a sette anni, è dato a garzone ai Muzzi della Sugarella, la stessa famiglia di Nello e Maria, dove trascorre tre anni a guardare pecore e maiali, nella spensieratezza dell’età, come ben ricorda. Rientrato a casa va per un paio d’anni a dare una mano al babbo, che lavora alla fornace di Giotto a Riccieri, ma a dodici anni, nel 1939, entra in miniera: ”Ogni tanto mi licenziavano, quando c'era un po' di crisi perché c'era già un fratello e io ero il minore”. Dopo il primo licenziamento Piero va a Passeggeri “più che altro a fare la fossa col mio fratello Mario”, quindi rientra in miniera. Nuovamente licenziato dopo una breve stagione, è assunto al Castellare per i lavori agricoli, e di seguito rientra in miniera. Un altro licenziamento e trova soltanto saltuarie e provvisorie occupazioni come boscaiolo o col Castagnini come manovale nella costruzione della casa del Brogi. Come boscaiolo aveva lavorato nel bosco del Casello poi era stato ingaggiato da Gosto Torzoli e insieme a Gino Travagli era andato nelle propaggini dell’Amiata ai Bagni di S. Filippo: “Si partì col pullman, le asce avvolte in una balla e si rimase un’invernata a tagliar alberi e accatastarli. A casa tornai una volta sola. Di questo lavoro non riscossi una lira da Gosto perché falli come “impresario” e non si fu boni di avere niente”. Chi vede ancor oggi lo zio Piero al bar o passare lungo la strada, noterà che 8 volte su 10 ha la sigaretta in bocca. Incominciò a fumare garzone alla Sugarella e nella sua vita rammenta un solo tentativo per perdere il vizio, e ciò avvenne proprio nei boschi dell’Amiata: “Senti Gino, stamani non si porta da fumare, si guarda di smettere. Ci si avviò alla mezza costa e si attaccò il lavoro d’ascia, ma alle dodici i pezzi di legno volavano come schegge ... Senti Gino, vai a comprare le sigarette. E Gino parti”. Da quando entra nel mondo del lavoro Piero vive tutte le difficoltà del periodo post bellico che si rivelano in pieno nella precaria occupazione e nella difficoltà a reperire un lavoro. Ma nonostante ciò all’età di 25 anni, senza grosse prospettive, prende moglie e insieme a Maria si prepara ad affrontare un futuro incerto. Piero conobbe Maria Pistolesi, di un anno più giovane, quando questa tornò al Castello nel 1944. Da qui Maria ebbe occasione di osservare questo vigoroso fidanzato che stava facendo le fosse per le viti, insieme al fratello Gino, sulle terre dei Mori confinanti con la strada del Castello. Dopo alcuni anni di fidanzamento si sposarono il 24 settembre 1951 quando la sposa abitava con la famiglia da alcuni mesi al Casalino e lì, dopo la cerimonia celebrata da don Piero Sampieri alle 8,30, avendo come testimoni Santi De Gaetano di Siena e Fosco Bravi, consumarono il pranzo di nozze con tutti i parenti e nel pomeriggio partirono per Roma insieme al fratello Guido dove presso di lui si intrattennero una settimana. Un viaggio ancora ricordato per il disagio avuto: “Un treno affollato e noi a sedere sulle valigie. Fermi a Chiusi per lungo tempo, si arrivò dopo mezzanotte. Gabriella piccina che si lamentava: “Ho sete, ho sete”, e non avevano niente per il viaggio”. Nel giorno del matrimonio: “Nemmeno una foto per il matrimonio, nemmeno dopo tornati dal viaggio di nozze a Roma”. L’anno successivo nasce Riccardo all’ospedale, e nel giugno 1952 si sposa anche Nello in casa Rossi cosicchè la famiglia comincia a diventare numerosa con otto componenti e Piero decide di partire. In quell’anno nella stagione della tribbiatura viene ingaggiato per 3/4 mesi dai Mori come imboccatore e quelle sere che torna a casa “sembrava un mucchio di polvere”. Era stato in quel periodo anche dipendente per 3/4 mesi della ditta che asfaltava la strada dal Bozzone a Brolio e Piero andava a schiacciare i sassi con la mazza a Pianella: “Mi chiamavano "il compressore", non ce la facevano a starmi dietro”. Lascia dunque l’avita casa, e nell’ottobre 1952 torna alla Cappannetta ingaggiato dal Parigini. I soldi non ci sono e la vita è grama: “Il primo dell'anno del 1953 avevo in tasca 50 lire, ma il più delle volte non s'aveva niente. In quei tempi di difficoltà mi salvò il Corsi delle Badesse, un amico di miniera che mi faceva credito alla sua bottega, perché escluso quei pochi polli che teneva la zia Maria non avevano altro”. Ricorda la zia Maria: “Un bossolo di latte Mellin per Riccardo lo pagavo 600 lire; lo facevo durare e alternavo al latte la farina cruscata che veniva data ai ragazzi. Gli faceva bene. Il pane si comprava, mentre i Minghi, la famiglia di contadini della Cappannetta, lo facevano perché erano in quindici”. Una domenica dalla Cappannetta i Rossi vanno alla festa alle Badesse. “S'aveva mille lire in tasca. Lo zio Piero, grande giocatore, gioca a palline e le perde tutte: siamo senza una lira. Il giorno dopo passò il treccolone, il Consumi, gli vendiedi una conigliola e misi in tasca qualche lira”. Lo stipendio è appena sufficiente e i primi tempi Piero guadagna 14.000 lire portate poi a 22.000. Negli ultimi tempi, e a rate, acquista un motorino Mival dal Vanni di Camollia. Il lavoro col Parigini comporta una totale disponibilità: “D’inverno a buttà giù il bosco coll'accetta e il segone, e la domenica mattina si andava, autorizzati, a raccattare le "scoppiole" per casa.; d’estate, dopo tribbiatura, col grano ammassato nel granaio di villa Parigini si imballava in balle da un quintale e quando arrivava un autotreno si caricava il grano venduto. I granai erano a destra della villa e da lì le balle piene si caricavano sul camion percorrendo una tavola di 4/5 metri che appoggiata al cassone del camion formava un piano inclinato dove io e il Fanciullini Marino si saliva ciascuno portando una balla (ripeto da un quintale) sulle spalle, poi ci si aiutava per accatastarle: prendendole in due si faceva la stiva”. Inoltre: “A Massina c'erano due poderi e nel mezzo si costruì una grande villa, fatta a sassi. Quella l'ho costruita io come manovale. Ho portato tutti i sassi ad Amerigo di Fonterutoli. Beppone portava col gippone i sassi e io con un "corbellino" li portavo al muratore facendo su e giù per le scale. Quando erano sassi grossi me li caricavo sulle spalle. Poi facevo da solo la calcina, tutta impastata a mano. La calce proveniva dalla fornace La Balzana a Mucenni di proprietà Pometti. I pianerottoli delle scale, di marmo, alti 20 cm furono tirati su col gippone”. Si presenta poi la possibilità di lavorare nella nuova Cooperativa minatori di Lilliano e Campalli e Piero vi aderisce e rientra in Quercegrossa prendendo alloggio all’ultimo piano del Palazzaccio nel 1957, dove due anni dopo nasce Maura. L’esperienza perdura per un paio d’anni e cessa intorno al 1960 quando è assunto dall’Impresa Manfredini e lavora per un anno come manovale a Poggibonsi e successivamente a fare i pozzi dove capita. Ma nel 1963, in tempi di fermento occupazionale e nel tentativo di elevarsi dalla sua condizione di “miserabile cronico”, dopo una breve apprendistato nel forno del Pucci a Quercegrossa, si trasferisce alle Taverne d’Arbia e impara il mestiere di fornaio, al quale punta come possibile e redditizia occupazione. Infatti, sei/sette mesi dopo rileva il forno del Palazzo dei Diavoli e si mette in proprio panificando la notte e portando il pane col furgone ai clienti nella mattinata, che col tempo diventano sempre più numerosi. Sono anni di tremendi sacrifici dove il dormire diventa davvero un sogno. Però sono anni nei quali i sacrifici compensano la famiglia e la liberano per la prima volta da preoccupazioni economiche. L’attività si conclude nel 1967 a seguito di un drammatico e incredibile incidente stradale accaduto a Piero che travolge col furgone una donna gettatasi dalla fortezza di Siena, poco prima del Ponte della Vecchia. Sembrava un investimento in piena regola, ma in realtà era stato il corpo della donna in caduta a investire il furgone sul davanti e solo grazie alla testimonianza di alcuni presenti Piero viene scagionato immediatamente. Un ulteriore tentativo di rilevare in forno in Piazza d’Indipendenza a Siena, andato a vuoto, convince Piero a lasciare Siena nel 1968 e tornare nella sua nuova abitazione nel palazzo davanti al Leccino Nuovo.
All’età di quarantun anni, nuovamente senza lavoro, Piero ricomincia da capo la sua ricerca occupazionale e trova lavoro dal Niccolai a Castellina, ma a causa di altri viene licenziato dopo solo un mese. Allora si ripresenta a Dino Castagnini e lavora come manovale a Castellina presso la villa Niccolai nella realizzazione di una galleria di 150 metri, passaggio per il nuovo garage. Dopo un biennio nel quale è stato occupato anche nella fabbrica di cornici dell’Andriolo a Quercegrossa, quella sotto casa sua, è raccomandato ai carabinieri di S. Francesco di Siena e viene assunto con compiti di factotum con lavori vari da sbrigare e soprattutto servizio di mensa. Sembra l’ultima occupazione, ma non lo è perché anni dopo è riassunto dalla Ditta Castagnini, passata intanto a Bernardo, dove raggiunge la pensione. Io credo che pensione più meritata non ci sia, e credo anche che un cammino così ricco d’esperienze, cosi vario nel mondo del lavoro, ma anche irrequieto per l’insofferenza a certe situazioni ambientali per le quali Piero non ha mai chinato il capo, non l’abbia compiuto nessun altro. Oggi, Piero cura il suo orto e dà fieno ai cavalli del figlio Riccardo: già, era proprio una mansione che gli mancava.




ROSSI GIUSEPPE (1921 - 1950 ca.); salariati; Passeggeri; da S. Leonino.
Giuseppe, detto “Beppe di Passeggeri”, è un altro fratello di Egisto Rossi di Quercegrossa (vedi). Dimorando insieme al fratello Antonio al Poggiolo, nell’aprile 1919 sposa Candida Orlanda Benocci detta “Maria”, di Cuna. Assunto dal senatore Sarrocchi a Passeggeri (sembra che si siano conosciuti durante la guerra), in attesa che sia pronta la nuova abitazione, si trasferisce provvisoriamente a Pomona presso il fratello Egisto e qui gli nasce il 1 marzo del 1920 la figlia Rina. Due/tre mesi dopo entra nella nuova pigione di Passeggeri e prende servizio come autista del senatore. Successivamente nacquero Lea (1926) e Ilva nel 1932, all’ospedale di Siena. Ma quello stesso 1932 vide la morte di Beppe, il 15 settembre, a soli 43 anni. La figlia 12enne Rina entrò subito a servizio dal fattore Vannini, e Lea, più tardi, lavorò per i Sarrocchi nella Villa. La mamma Maria continuò anch’essa a servire il senatore e le sue nipoti, e rimase ancora molti anni con le figlie a Passeggeri. Dopo la partenza di Rina, andata sposa nel 1943 a Guido Lazzeri di S. Leonino, la raggiunse poco dopo, iniziando così un alternare di residenza tra Passeggeri, dove gli avevano lasciato la casa, e i Cipressi dove abitavano i Lazzeri. Fini i suoi giorni nel 1968 dopo 36 anni di vedovanza e venne sepolta a S. Leonino. Le altre figlie si sistemarono a Siena con Lea che aveva sposato Duilio Fattorini di Uopini il 17 novembre 1945 e Ilva maritata a Giuseppe Rocchigiani nel 1966.

Giuseppe Rossi, sotto le armi, e la moglie Candida (Maria) Benocci.






ROSSI RUTILIO (1919-1953); braccianti/minatori; Quercegrossa; da Vagliagli.
Il 13 febbraio del 1919 si sposavano a Quercegrossa Rutilio Rossi di Vagliagli e Giulia Boddi di Modesto abitante nella Case Ticci di Quercegrossa. Rutilio è nato a Vagliagli il 28 maggio 1894 da Giuseppe e Angela Baldi. Dopo il matrimonio che lo ha visto trasferirsi in casa del suocero, il 30enne Rutilio inizia la costruzione della sua casetta sul terreno acquistato dai Ticci, lungo la strada principale. Sarà un'impresa che durerà alcuni anni fino al 1923/24. Nel 1922, intanto, è nata Anna la loro unica figlia. Rutilio oltre che bracciante tuttofare si impiegherà anche in miniera, risultando minatore nel 1936. Solamente venti anni Rutilio si godette la sua casa; vi morì infatti il 20 aprile del 1944, a 54 anni d'età. La figlia Anna (la Boddina) fatto un periodo di apprendistato iniziò a sua volta a lavorare per conto proprio, in casa sua, divenendo valente sarta con tanto di apprendiste. Trascorsi alcuni anni dalla morte del babbo, Anna si maritò a Siena con Michele Aprea, forse nel 1947, e intorno al 1953 lasciò per sempre Quercegrossa. Dal matrimonio con Michele nacque Lucia a fine 1947, la quale rimase ben presto orfana del padre, morto prematuramente a Siena subito dopo il loro trasferimento.



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