Racconti a Veglia
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La veglia
Studiata da sociologi ed esperti di costume, la veglia dei contadini è stata ed è rimasta come un fenomeno unico di una società altrettanto unica. Andare la sera dopo cena a trovare amici e amiche è costume di tutte le vecchie società, ma la veglia nel mondo mezzadrile era uno specifico e caratteristico rito ripetuto costantemente per quasi tutto l’anno, esclusi i periodi dei lavori maggiori, ed aveva in sè un significato che andava oltre la comune socializzazione, ma esprimeva una forma di corporativismo interfamiliare sentito in pieno dai contadini, sviluppando così tra le famiglie amicizia, confidenza e solidarietà. In quelle ore di veglia in un ambiente amico, quasi intimo, ossia la casa (cucina col focolare), le famiglie contadine vivevano momenti di relax totale dove ognuno, liberamente, dava sfogo alla sua parte migliore con umorismo, arguzie, scherzi, buffonate, giochi, racconti, pettegolezzi. Ragazze e giovanotti coglievano l’opportunità di incontrarsi con la scusa della veglia e nascevano i primi approcci. Poteva in certe serate particolari divenire ritrovo la stalla, magari per l’attesa di un parto di una vacca, ma era del tutto occasionale, riservata agli adulti e non offriva molte opportunità. Spesso un gruppo di donne con le figlie rientrava tardi da veglia e il capoccio brontolava:
“Qualche sera dormite fori”.
Ci si organizzava a veglia e non mancava il ballo nelle cucine al suono della fisarmonica, dopo aver spostato da una parte la tavola, ma nella stagione estiva si ballava sull’aia.
“Dopocena, quando non ballavano a Quercia, s’andava dal Mulino a ballà nell’aia di Gardinina dai Taddei. Veniva un certo Baldini col grammofono a carica e... ci si divertiva”.
Certe sere il gioco delle carte a Omonero coinvolgeva tutti i presenti, mentre le nonne da una parte lavoravano di ferro con la calza, e l’anziano nonno rimaneva sul canto del fuoco davanti alla brace, ma senza estraniarsi dal gruppo. Come giochi di carte andavano di moda il domino, briscola, bugia, rubamazzo e scopa. Per le donne era il momento di giocare a carte ed era puro divertimento: raramente c’era qualcosa o qualche lira in palio. Si passava una serata anche con la tombola, segnando i numeri con fagioli e ceci in un precario equilibrio. La mi’ mamma ricorda quando dal Mulino andavano a veglia alla Casanuova, al Casalino, alla rammentata Gardinina, e al Catruppolo anche se le più volte erano i Rossi a ospitare i Merlotti. Spesso facevano il
“compito” distribuendo alle donne presenti misure di lana uguali e gareggiavano a chi terminava prima di tutti la calza. Da una parte del tavolo i giovani si sfidavano a filone, e anche i grandi non disdegnavano il gioco dell’Oca con due dadi, allora in gran voga. Sotto Natale, nella grande cucina, si giocava il panforte tirandolo sulla tavola, ed era vinto da chi arrivava più vicino al bordo. Si creavano per le veglie delle aree territoriali, dove le famiglie avevano il loro abituale giro serale che prevedeva un naturale scambio: oggi da me, domani da te. C’erano dei veglianti quasi fissi, come Brunetto Rossi, il quale quasi tutte le sere si recava a veglia dai Buti, con altre famiglie assidue frequentatrici, e, come suo solito, inscenava uno spettacolino recitando un monologo vestito da soldato con una mantellina militare.
I Landi di Viareggio raggiungevano Gaggiola e la Casanova di Passeggeri, dove spesso ballavano oppure ricevevano a veglia le famiglie dei poderi vicini.
Tipica e molto rimpianta la veglia estiva sotto la parata o all’aperto, a sfogliare il granturco, raccontando di tutto e non mancava il fiasco del vino. D’inverno ci si tratteneva una serata intorno al focolare con una padella bucata e tante castagne arrosto.
Chiacchiere, giochi, ma anche lavoro per le ragazze, le quali spesso assistevano filando, ma non era facile a quell’ora con gli amici in casa come ricorda Anna Masti che recalcitrante si sentiva dire:
“Ora glielo dico che non volete lavorare: ora vi fo scomparire". Al Poderino, ricorda Marisa Candiani:
“La mi’ mamma Nella leggeva tanto e dopo cena ci si riuniva in casa Barucci e ci leggeva romanzi. Leggeva la Pia de' Tolomei, la Ginevra degli Armieri che tanto commuovevano le massaie”.
Da dire anche che le veglie ebbero i loro avversari fin dall’Ottocento, con la condanna di questa usanza che conduceva all’ozio, toglieva ai contadini il riposo necessario, portava alle spese e alla degenerazione dei costumi. Ciò rientrava in un discorso generale sulle cattive abitudini prese dai contadini, i quali troppo spesso si recavano in città ecc. Si raccomandava ai padroni di limitare la veglia soltanto ai giorni prefestivi, e lontano dai maggiori lavori agricoli, prefigurando utopisticamente un modello di veglia educativa e istruttiva. Dalla parte del clero non erano ben viste le veglie dove giravano troppi giovanotti. Alcune relazioni di parroci di campagna sono un’aperta critica a questa consuetudine, dove per loro c’è poco di virtuoso:
“E' generale in campagna l'andare a veglia dalle Ragazze, anche più giovani, tre, o quattro non per sposarla, ma per passarvi un ora, e divertirsi; è vero che i Padri e le Madri più delle volte ci sono presenti: Ma è un gran male che non vanno per il fine di sposare, e segue che il più delle volte che quei che ci vanno non le sposano. Amoreggiano, dice, è spesso questo il loro fine. E' peggio che in città, giacché in città vi va generalmente un giovane solo a trescare”. “Vanno dalle più belle”. L’arcivescovo Mancini osserva con una buona dose di equilibrio il fenomeno, trovandolo privo di malizia e
“che non è da giudicare che sempre vi sia del male”, ritenendo esagerate le parole dei parroci.
La parte migliore delle veglie forse non era il gioco o le castagne, ma il narrare di cose e persone, di fatti accaduti o leggendari, attirando l’attenzione di tutti, e spesso l’uditorio, dopo un attento ascolto, rimaneva a bocca aperta. I raccontini seguenti sono una piccolissima parte di quello che doveva essere un immenso patrimonio culturale; molti sono recenti e tutti conservati perchè ripetuti continuamente nelle veglie serali dove non mancava il buonumore.
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