Statistiche
Facendo la storia dei cimiteri ho voluto procedere ad una piccola ricerca statistica su coloro che vi hanno dimorato e non nascondo che questo mi ha portato a conoscenza di tante storie, tante tristissime storie che vanno molto al di là della morte stessa.
Una famiglia colpita da un lutto è già di per sé una cosa dolorosa, ma quando la morte colpisce ripetutamente con la sua falce, come impazzita, e ci mette di fronte alla immane sofferenza di una famiglia, lo sgomento ci coglie e ci deprime. E’ stato sempre detto che la filosofia della morte dei nostri nonni e avi era improntata ad un maggior comprensione della stessa, quasi fosse una liberazione dalle sofferenze di una vita non facile, unita a un fatalismo che veniva accettato cristianamente. Si ricorda quel babbo che fischiettava mentre imbullettava la piccola bara del figlio nato morto, consapevole della caducità dell’esistenza umana. Ma sarà stato per tutti così? Di fronte a tante tragedie familiari si rimane annichiliti e il nostro pensiero corre a quelle persone colpite duramente negli affetti tentando un’impossibile comprensione del loro dolore. Restiamo quindi col pietoso ricordo di quanti ci hanno preceduto e di coloro che hanno sofferto a causa della morte. Ogni parola è sempre superflua. Ma per comprendere a fondo questa realtà esamineremo più avanti le singole storie e i casi compassionevoli che rivestono un carattere di eccezionalità che poi in certi periodi è stata normalità.
Prima, però, è bene illustrare la statistica dei decessi nella Parrocchia iniziando dal 1700 fino all’anno 1969: un periodo di 270 anni. In quel lasso di tempo, meno gli anni 1737/1740 non accertati per mancanza di documentazione, i caduti delle due guerre mondiali e alcuni morti all’ospedale, sono state sepolte a Petroio, Quercegrossa, Nuovo Petroio e nelle Parrocchie vicine un totale di 1694 defunti. Divisi per secolo risultano:
dal 1700 al 1799 = 508 con una popolazione che va dai 162 ab. del 1708 ai 193 del 1781;
dal 1800 al 1899 = 707 con una popolazione che va dai 229 del 1808 ai 262 del 1882;
dal 1900 al 1969 = 479 con una popolazione che va dai 484 abitanti nel 1901 ai 634 del 1961.
Sono 7,4 funerali di media all’anno. In realtà la media ancora una volta ci nasconde la realtà perché grande è la differenza di decessi di anno in anno: si va dalla totale assenza (1800 e 1941), ad annate dove le morti raggiungono il numero di 19 (1797) e 20 (1746 e 1837). Questi ultimi dati ci mostrano la drammaticità di quel tempo e mancano dal conteggio tutti quei poderi che si trovano sotto Basciano. Basti pensare che parliamo spesso di una mortalità annua del 10% della popolazione.
Vediamo ora i dati essenziali di questa indagine: abbiamo visto che 1694 sono i defunti registrati, ma la seguente statistica riguarda i 1550 morti dei quali è riportata o calcolata l’età alla morte, dato che ci ha consentito di creare la tabella.
La registrazione da parte del parroco era stesa con indicazioni della paternità, maternità, luogo di residenza, luogo di sepoltura, età della morte, sacramenti ricevuti e qualche rara nota. Ma non sempre i dati erano completi. Sono 102 le registrazioni in cui è omessa l’età del defunto: 76 per il Settecento, 17 per l’Ottocento e 9 per il Novecento. Sono mancanze che per il Settecento, essendo il 15% del totale, falsano leggermente la statistica anche perché molto spesso si tratta di dati mancanti per i piccoli morti. Per l’800 e il ‘900 non incidono minimamente.
Continuiamo con la statistica, ricordando che il totale è di 1550 defunti:
morti entro il 1° anno di vita = 403 che sono il 26% del totale;
morti entro il 2° anno di vita = 548 che sono il 35% del totale;
morti entro il 20° anno di vita = 790 che sono il 50% del totale;
morti entro il 50° anno di vita = 991 che sono il 64% del totale;
morti oltre il 70° anno di vita = 305 che sono il 19% del totale;
morti oltre l’80° anno di vita = 115 che sono il 7,4% del totale.
Per i morti nel primo anno di vita suddividendo le registrazioni in tre secoli, ‘700, ‘800 e ‘900, abbiamo:
Periodo e percentuale 1700 % 1800 % 1900 % Totale
Morti entro l’anno di vita 105 26 241 60 57 14 403
Il primo numero che salta prepotentemente alla nostra attenzione è quello che indica in 548 il totale dei bambini morti entro i due anni di vita, ciò significa che il 35% dei nati sarebbe morto entro 24 mesi. Di questi 314 sono morti nell’Ottocento, il secolo delle grandi epidemie di colera e delle malattie infantili che falceranno tanti innocenti, ma sarà anche per questo il secolo delle grandi scoperte e dei primi vaccini. Una percentuale che supera abbondantemente quella del Settecento.
Dal 24 agosto 1834 al 20 dicembre 1837 in poco più di tre anni si hanno 31 decessi: solo 1 è un adulto, gli altri 30 non superano i 4 anni e 15 muoiono di pochi mesi. Nel decennio 1881-1890 saranno 34 i bambini morti in tenera età. Ma col ‘900 la situazione va migliorando grazie al progresso della medicina che inizia a dare i suoi frutti. Nel primo decennio, dal 1901 al 1910, si nota un leggero ma non ancora significativo calo: sono ancora 16 le morti. E’ nell’immediato decennio che precede la seconda guerra, dal 1930 al 1939, che la diminuzione si fa sentire con soltanto 8 morti, e con i 7 nei vent’anni successivi al conflitto mondiale si può dire che il fenomeno si stia attenuando per poi divenire statisticamente irrilevante. Altissimo si deve considerare quel 790 che sta a significare che la metà dei nati non ha superato i vent’anni di vita.
Abbandoniamo ora questa tristezza per un risultato positivo: sono 115 gli anziani che arrivano agli 80 anni. Con 18 e 31 per i primi due secoli e 62 nel ‘900, con un aumento discreto al 13% sul totale dei decessi.
Il più vecchio
Fra tanti morti registrati sorge spontanea una domanda: Ma chi è quello che è campato più di tutti? Ed ecco che a sorpresa viene fuori un nome del Settecento ed è Angiolo Burroni, morto nel 1794 a Mucenni (che faceva parte dell’annesso Petroio di Quercegrossa), alla bella età di 102 anni. E’ l’unico che ha superato il secolo fra tanti, anche se bisogna prendere con le molle i dati di quei tempi. Segue Bonci Apollonia di Sornano, morta nel 1766 a 95 anni e poi Bernardi Elisabetta del podere Erede a 94 nel 1746. Ma può essere che nel Novecento, il secolo del progresso e del miglioramento, non ci sia stato chi è vissuto fino a cent’anni? Sembra strano, ma è così. Tiene il primato Brogi Carlo con 93 anni, morto nel 1963, seguono Brogi Giovanni e Righi Assunta di Passeggeri con 91 anni.
Nel Settecento una curiosa registrazione a Basciano: si danno 114 anni a un defunto,
"come lui asseriva di avere", puntualizza il parroco.
La vita media
Procediamo ora con la più classica delle statistiche: la vita media.
Dividendo il periodo in secoli, che tra l’altro è una divisione che ha la sua logica storica e sociale, la vita media di un abitante di Quercegrossa nel 1700 è stata di 24 anni. Bisogna però sempre considerare che in quel tempo, e anche nell’Ottocento come abbiamo visto, era alta la mortalità infantile e abbassa in maniera notevole i numeri della vita media. Infatti, nell’Ottocento abbiamo lo stesso risultato, sempre 24. Nel Novecento si ha un considerevole salto fino a 51. Contando poi gli ultimi anni del periodo preso in considerazione, ossia dal 1950 al 1969, vediamo che la media della vita vissuta è salita a 66 anni e aumenterà sempre di più fino a raggiungere le cifre attuali.
Anni difficili
In questi tre secoli la morte ha giocato con gli anni, quando pochi decessi quando troppi.
Seguendone il corso si possono evidenziare alcune stagioni di alta mortalità. Vediamo in quest’ultimi casi che cosa è successo:
Il colera del 1837
Abbiamo già accennato alla grande moria in alcuni anni come il 1746 e il 1837 con 20 morti.
Che cosa è accaduto? Nel 1837, pur non avendo nessuna indicazione dal parroco che registra i decessi, non ci sono dubbi che si sia trattato di un’epidemia di colera. Nel Meridione e a Napoli colpì in maniera virulenta causando in quattro mesi 5.385 morti (tra questi Giacomo Leopardi), ma i cittadini infettati sono quasi il doppio. Nel luglio infuriò a Palermo con 1.000 morti e nel settembre si diffuse a Roma e in tutta la costa tirrenica compresa Genova, che lamenterà più di 1.000 morti. Siamo di fronte a uno dei grandi flagelli di quel secolo e anche Quercegrossa sarà colpita duramente: 20 morti nell’anno non sono pochi in una popolazione di 250 anime. Anche da noi i decessi sono concentrati nel mese di agosto e settembre, rispettivamente 8 e 5 poi 2 ai primi di ottobre, poi tutto finisce e, come a Genova, termina con una processione di ringraziamento. In quei due mesi se ne sono andati in 15, tutti bambini dai quattro mesi ai due anni, con l’eccezione di Maria Annunziata Tognazzi di Casapera in età di quattro anni. I morti del 1837:
Data Cognome Nome Luogo Età
25 aprile Stucchi Stefana Gallozzole -
25 maggio Buti Ferdinando Castello 0
4 agosto Bernini Enrichetta Petroio 2
7 agosto Bartalozzi Giuseppe Petroio 1
19 agosto Bartalozzi Desiderio Petroio 0
21 agosto Cenni Angela Belvedere 1
21 agosto Tabiani Giuseppe Olmicino 2
22 agosto Landi Agata Magione 2
23 agosto Bruni Agostino Sornano 0
28 agosto Maioli Giuditta Gallozzole 1
3 settembre Tognazzi M. Annunziata Casapera 4
6 settembre Masti Pellegrino Casanuova 1
9 settembre Guideri Ferdinando Erede 0
15 settembre Cellesi Rosa Belvedere 0
30 settembre Saltari Sonia Casanuova 0
3 ottobre Della Scala Assunta Bellostento 2
11 ottobre Brogi Antonio Quetole 1
25 novembre Manganelli Ambrogio Pietralta 0
17 dicembre Gigliuoli Gaetano Casanuova 0
20 dicembre Guideri M. Assunta Erede 1
Per età “0” si intendono quei bambini morti appena nati o fino a 12 mesi di vita.
Si può anche e facilmente seguire il diffondersi mortale dell’epidemia: i primi tre morti a Petroio dal 4 agosto e il quarto a Belvedere il 21 agosto. Da lì scende all’Olmicino e si spande alla Magione, a Sornano e alle Gallozzole. Risale poi al podere Erede e di nuovo a Belvedere con Quetole e Bellostento. Non ha dimenticato la Casanova.
Tante famiglie diverse in lutto e tanta paura per tutti: solo una tra queste, i Bartalozzi di Petroio, perdono due figli di pochi mesi.
La pestilenza del 1746
Difficile al contrario stabilire le cause delle 20 morti sui 193 abitanti del 1746. Muore il 10% della popolazione. I decessi sono concentrati in poco più di un mese, dall’11 agosto al 24 settembre, e questa volta l’epidemia miete 12 vite. Potrebbe essere ancora il colera, ma forse è qualcosa di diverso perché colpisce fanciulli e adulti con un solo decesso tra i neonati. Se ne va Elisabetta Bernardi dell’Erede di 94 anni che era nata nel 1652; Giacomo dell’Olmicino con i sui 80 e che porta con sé il nipotino Michele di 2 anni; Maria di Belvederino che aveva vissuto 60 anni e poi Angelo, Francesco e Maria, figli stroncati in giovane età. Nella circostanza le morti sono concentrate intorno a Petroio in un ipotetico semicerchio che racchiude Belvedere, Belvederino, Quetole, Pietralta, Sornano, Casalino e Olmicino. Da notare che l’anno precedente nella sola parrocchia di S. Martino a Cellole si erano avuti 30 decessi mentre a Quercegrossa erano stati 11 e 17 a Basciano: l’epidemia era nell’aria e si stava avvicinando.
La desolazione del 1797
Non ci sono altre parole per quel nefasto 1797. Nel solo mese di settembre si fanno 11 funerali che assommeranno a 14 con l’inizio della moria il 9 agosto e diventeranno 19 nell’anno. Anche questa volta la feroce falciatrice taglia senza distinzione di età: 6 i fanciullini e 8 gli adulti abbattuti dalla maligna peste. Preso di mira è l’Olmicino, dove in undici giorni si piangeranno 5 morti nella famiglia Buti. Il 9 settembre mamma Barbera, ormai vittima della pestilenza, sta per partorire e dà alla luce un bimbo morto al quale lei sopravvivrà di poche ore. La mattina successiva si apre un altro giorno di tragedia: parte il fratellino Antonio ormai orfano della mamma. Non finisce qui, il 20 settembre, a poche ore di distanza, anche zio Giuseppe e nonna Caterina passano a miglior vita. Nessun nemico sarebbe giunto a tanto. A suddetti decessi si aggiungono i 13 morti dei poderi intorno a Quercegrossa, della parrocchia di Basciano, come il Casino, Gaggiola, ecc., per un totale 32 morti nell’anno.
L’Ottocento
Iniziò male quel secolo e nei primi tre anni si registrarono a Quercegrossa 36 decessi; tanti bambini, ma anche 17 adulti e giovanetti. La parte del leone la fece il 1803 con 15 morti che sommati ai 9 dei poderi di Basciano fanno 24: un vero stermino. Di rilievo il dato della parrocchia di Basciano che da sola, in quell’anno, lamentò 30 morti. La registrazione dei funerali di Antonio Viligiardi morto a Monastero il 26 luglio, ci fornisce un indizio, seppur vago, del morbo. I Sacramenti gli furono impartiti da don Francesco Bianciardi, parroco di Quercegrossa:
"..nella sua infermità fu munito del Sacramento solamente dell’Olio Santo per essere quasi restato privo di cognizione alla prima febbre statogli amministrato il dì 23 del suddetto dal Molto Rev. do Sig. Francesco Bianciardi paroco di Querce Grossa per essere il paroco Giuseppe Fanciulli incomodato da febbre…".
Nel 1862 sono 16 le morti
In casa Landi della Magione muoiono 7 persone di cui 5 donne e la piccola Carolina Ercoli a balia. Vista l’eccezionalità dell’avvenimento, il parroco Gaetano Pratesi ritenne bene apporre una noto a piè di pagina:
"Le persone defonte e segnate in questo registro dal n° 61 a n° 66 spettanti alla famiglia Landi di questo popolo sono tutte decesse in pochi giorni per male influente denominato angina gangrenosa". Il totale tra il 9 e il 28 maggio furono nove le vittime nel popolo di quella strana epidemia. Alla Magione, Angela Buti moglie di Giuseppe, figlio del capo famiglia Antonio, è la prima e in venti giorni la seguono, oltre alla già detta Carolina, le giovinette Annunziata, Assunta, Emilia e Giuseppa rispettivamente di 11, 17, 15 e 6 anni, e per finire il 15 giugno morì Ferdinando di un anno.
La perdita delle 5 donne è una cosa eccezionale e grave per l’economia della famiglia che rimane con 10 uomini e una donna soltanto, la non più giovanissima moglie di Gaetano, Maria Marchetti di 51 anni. Per far fronte a questa carenza, Pellegrino di Gaetano di 22 anni, l’anno successivo si sposa e subito, ironia della sorte, nasce un bel maschietto che sarà chiamato Antonio come il vecchio capo famiglia, che nel frattempo ha pensato bene di raggiungere tutte le sue donne il 24 maggio 1863 all’età di 81 anni. Pellegrino avrà sei figli ma dovrà aspettare il quarto prima di avere una femmina chiamata Maria nel 1875.
Nel 1903, colera.
Sono 19 le morti che si diluiscono in tutto il territorio e per tutto l’anno. Praticamente non c’è mese senza mortalità a causa di una epidemia di colera.
Annate funebri
Tanti altri periodi di due o più anni consecutivi hanno l’alta media di oltre 10 decessi per anno. Essi rappresentano un fenomeno che certamente è riconducibile a eventi straordinari come malattie o carestie che ripetutamente colpivano popolazioni sottonutrite e indifese. Rammentare sempre che si tratta di una parrocchia con un basso numero di abitanti:
Dal 1831 al 1834: 44 morti in 4 anni.
Dal 1871 al 1872: 26 morti in 2 anni.
Dal 1887 al 1888: 33 morti in 2 anni.
Dal 1902 al 1906: 54 morti in 5 anni.
Dal 1920 al 1923: 50 morti in 4 anni.
Nel quinquennio 1915-1919 i numerosi caduti in guerra sommati ai decessi in parrocchia portarono a 57 i morti totali del popolo di Quercegrossa.
La presenza di due cimiteri a Quercegrossa fino all’anno 1803 ci spinge anche ad analizzare i criteri che muovevano le famiglie nel trasportare un defunto a un camposanto invece che all’altro. E’ utile in questo caso procedere dall’inizio, cioè dal 1700, per comprendere una situazione che si presenta piuttosto ingarbugliata e forse senza risposta.
Intanto vediamo nell’intero Settecento come sono stati distribuiti i seppellimenti su 508 decessi di cui 484 riportano il luogo di sepoltura:
285 a Quercegrossa (56%)
129 a Petroio (25%)
52 a San Leonino (10%)
13 a Vagliagli (2,8%)
Seguono 3 a Basciano, 1 a Lilliano, 1 a Siena e 23 non indicato (4,5%).
Larga prevalenza quindi nel ‘700 per il cimitero di Quercegrossa, ma è alto anche il numero dei funerali indirizzati a San Leonino, 52. Seppelliscono in questa Pieve da tutti i poderi con prevalenza di Belvedere (10), Pietralta (9) Quetole (4), Olmicino (4) e Gallozzole (4).
Questo discreto ricorso a un cimitero esterno (10%) si potrebbe spiegare in parte per la vicinanza, e in parte con la presenza delle Compagnie laiche che gestivano il servizio funebre per i loro associati. Il fatto curioso e inspiegabile è che con il 1776 cessano del tutto i funerali verso S. Leonino di defunti residenti nella parrocchia di Quercegrossa, ma probabilmente il fenomeno è legato alla soppressione delle Compagnie del 1785. Per chiarire il fenomeno faccio un esempio: ci sono nell’elenco cinque defunti dalla famiglia Petreni e due dei Mori di Casapera. Ora sappiamo dei Petreni che in quel momento abitavano a Vignale e i Mori in altri poderi di San Leonino in Conio. Certamente queste persone mantenevano contatti con le famiglie di origine e continuavano ad aderire alla Compagnia di San Leonino, come vi appartenevano anche gli otto Masini là seppelliti.
Ci sono poi nel Settecento i 129 sepolti di Petroio e qui è difficile comprendere la logica seguita dalle famiglie nello scegliere Quercegrossa o Petroio. Esempio: il 25 giugno 1748 moriva all’Olmicino Bartalini Lorenzo di anni 79 e veniva sepolto a Petroio; l’anno successivo un’altra Bartalini, Maria Camilla di un anno, veniva sepolta a Quercegrossa. Nel 1761 una Padovani di Belvedere è seppellita a Quercegrossa, pochi giorni dopo una Pianigiani, sempre di Belvedere, a Vagliagli. Ancora: una Stefanelli del Casalino nel 1788 a Quercegrossa, dopo due anni un altro Stefanelli sempre del Casalino a Petroio. Questi sono alcuni esempi tra i tanti che dimostrano che non c’era una scelta che poteva dipendere dall’appartenere a un popolo invece che all’altro oppure un criterio geografico ma, ripeto, in tanti casi poteva valere l’appartenenza ad una Compagnia. Dal 1803, con la cessazione delle tumulazioni a Quercegrossa, viene usato soltanto il Cimitero di Petroio senza nessun ricorso a cimiteri esterni. C’è poi quel lasso di tempo compreso tra il maggio 1871 e l’ottobre 1872 quando sono sospese le tumulazioni a Petroio ancor prima che sia pronto il nuovo cimitero, e i defunti vengono portati a Vagliagli (12), Basciano (4), Uopini e Castelnuovo. Dal 4 dicembre 1872 esisterà un solo cimitero di Quercegrossa.
Cause di morte
Le statistiche sulle cause di morte nelle campagne toscane dell’Ottocento indicano nell’enterite come la malattia di maggior mortalità, seguono poi polmonite, tubercolosi, vaiolo, febbri varie, colera ecc. Quando un virus aggrediva una famiglia, avvenivano morti multiple nello spazio di poco tempo. Si hanno esempi di vere e proprie decimazioni familiari come quella ricordata del 1862, ma raramente il parroco accennava alle cause del decesso, solo alcune annotazioni riguardano casi come il suicidio o la morte violenta e situazioni particolari. Alcuni esempi: il 20 marzo 1892 Naldini Annunziata si annegò per pazzia nel pozzo della villa di Passeggeri; il 3 aprile 1894 Semplici Pietro si annega a Casagrande spintovi dalla pazzia; 1868, la detta Bucci fu dalla nascita sempre mentecatta; 1868, Lapi Antonio della cura di Lecchi fu trovato morto colpito da un fulmine; il 22 gennaio 1830 Giuseppe Manganelli di 64 anni, vedovo, è trovato affogato nello Staggia.
Famiglie in lutto
Nel Seicento si ripresentava spesso la peste ed è a causa di questa che nel 1649 ci fu una grande moria di persone adulte di cui 10 furono sepolte nell’ospedale di Quercegrossa, come già descritto. I morti totali furono 27 a Basciano, di cui 17 dei poderi vicino a Quercegrossa. Nel 1658 sono 15 i morti nei poderi tra Quercegrossa e S. Stefano; nell’anno 1603 muoiono quattro ammalati di pena di petto e questo è un indizio di una epidemia di tubercolosi; l’anno seguente nello spazio di un mese, tra il marzo e l’aprile al Casino di Quercegrossa decedono 4 persone: due adulti e due bambini; nel 1607 ben 11 sono i morti tra Quercegrossa, Larginano, Macialla e Castellare, uno a Castagnoli; nel 1704, in un mese, all’Olmicino muoiono tre donne adulte dei Masini; dal 4 agosto 1720, sempre all’Olmicino la famiglia Franciagli perde in un mese ben 6 componenti di cui tre adulti e tre bambini; tra il 1785 e il 1786, i Maestrini di Macialla perdono tre figli nel periodo di un anno; nel 1808 Gaetano Pianigiani perde in tre mesi moglie e figlio di 43 anni e a gennaio dell’anno dopo muore anche lui; nel 1778 tre figlioli di Giuseppe Anichini muoiono in 4 mesi; nel 1678 a Larginano muoiono quattro Riccucci in un mese: un adulto e tre bambini; nel 1856 a Gaggiola in casa Vanni 4 morti adulte. Numerosi poi si riscontrano in tutti i tempi le morti a pochi giorni di distanza della mamma e del neonato.
Viste le cause dei decessi non ci meravigliamo se l’agosto è il mese con la più alta mortalità quando il caldo estivo e la siccità favoriscono pestilenze e infezioni. Al secondo posto si trova marzo e alta è la moria anche nei mesi invernali, da novembre a febbraio. Al contrario maggio e giugno registrano i dati più bassi: in assoluto giugno con 93 morti contro i 204 di agosto.
Concludo il capitolo dedicato ai cimiteri con la statistica che riguarda i gruppi di famiglie alle quali appartenevano i defunti della parrocchia nei tre secoli documentati. Dicendo gruppi intendo quelle famiglie con lo stesso cognome, anche senza legami di parentela, e al primo posto troviamo i Bruni con 59 defunti seguiti dai Masti con 51, Pianigiani con 45, Manganelli con 40, Landi con 35, Buti con 33, Ticci con 28 Masini e Cellesi con 25, Sancasciani con 24, Bogi e Stefanelli con 22, Carli e Barbucci con 18, Mori e Anichini con 17, Vannini con 16, ecc. Tra le famiglie soggette alla parrocchia di Basciano nei poderi che saranno di Quercegrossa troviamo i Viligiardi con 51 defunti seguiti dai Granai con 42, Guideri con 38, Bartalini, Fiaschi e Gabbrielli con 29, Bianciardi e Buti con 25, Fineschi e Neri con 21, ecc.
La porta del morto
In queste pagine dedicate ai cimiteri non potevo dimenticare un aspetto particolare dall’argomento: la porta del morto. Devo usare tutte le cautele possibili e informare che non essendoci documentazione appropriata riporto quanto sentito dire più volte.
Probabilmente utilizzate nei secoli precedenti il Mille, ne decadde l’uso e successivamente ne rimasero solo alcune tracce nei muri laterali delle chiese come quella di Quercegrossa dove si presenta ben delineata con un robusto architrave e segni di irregolare rimuratura e ciò fa pensare che sia stata aperta e usata: era la cosiddetta "porta del morto" o "del perdono" o "dei sassi". A Quercegrossa appare sopraelevata rispetto al terreno in quanto anticamente la chiesa aveva una scarpata laterale. Tenuta chiusa con infissi di legno o pietre, veniva aperta in occasione di funerali e da lì i corpi deposti sulla barella o in un semplice lenzuolo funebre venivano fatti passare direttamente al cimitero. Il suo significato va forse ricercato nella diffusa, antica usanza di seppellire all’interno dei luoghi di culto. Ma questa pratica provocò nelle piccole pievi un eccessivo moltiplicarsi di tombe e sepolcri con conseguente scomparsa di spazi liberi. Fu allora che si ricorse alla "porta del morto": la salma non usciva di chiesa dalla porta principale, ma da quella piccola apertura laterale, e idealmente rimaneva nel luogo sacro. Può essere però, più semplicemente, che fosse stata un’uscita riservata ai morti e non ai vivi ai quali era preclusa, oppure avere altro significato simbolico legato al mistero della morte a me sconosciuto.
Concludendo il capitolo voglio parlare della bella usanza delle epigrafi tombali con le quali le famiglie con poche lapidarie frasi ricordavano i defunti mettendo in evidenza la loro dirittura morale, il dolore patito nella malattia, l’attaccamento alla famiglia e in molte si chiedeva “una prece” per il morto e la consolazione per i familiari. La lapide marmorea rettangolare predominava allora nei cimiteri e su ognuna di esse vi era scolpita una preghiera e la memoria, come quella del mi’ nonno Egisto morto nel 1947:
“BEATI I MORTI CHE MUOIONO NEL SIGNORE - LA LUCE ETERNA ILLUMINI L'ANIMA DI EGISTO ROSSI - I NUMEROSI FIGLI LE NUORE I TENERI NIPOTI LACRIMANDO LO RICORDANO A QUANTI LO CONOBBERO”
Frammenti di memoria dal vecchio cimitero: in alto la lapide di Egisto Rossi (con errata data di nascita) e a destra una vecchia croce arrugginita e un porta lumino paravento con catenelle in uso fino agli anni Cinquanta. Foto in basso: l’angolo degli “angioletti” riservato ai piccoli. Nelle foto seguenti, la lapide sulla tomba di don Luigi Grandi e il semplice altare, entrambi nella cappellina del cimitero di Petroio - Quercegrossa.